Lettere

Le gerarchie cattoliche e le opinioni che offendono - di Renato Pierri

martedì 8 maggio 2007.
 

Già su L’Unità dell’otto maggio 2007

Gentile direttore,

tutti d’accordo, giornalisti, uomini politici, scrittori e via di seguito, che, come scrive Moni Ovadia su "L’Unità" (5 maggio), sia "indiscutibile il diritto sacrosanto dei cattolici, di tutti i cattolici, ad esprimere le proprie opinioni, quand’anche siano scomode o scabrose per i laici...". Però sembra si ignori che il diritto cade qualora tali opinioni, pur non potendosi configurare come reato, non siano solo scomode o scabrose, ma anche offensive; qualora possano creare discriminazioni, patemi d’animo, angosce, o cose peggiori. Il diritto viene meno anche quando si esprimono "opinioni" come queste: "Il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge" (Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 10 - approvato il 28 marzo 2003, da Giovanni Paolo II e firmato dal cardinale Joseph Ratzinger). E’ ovvio che nessuno può chiudere la bocca alla gerarchia ecclesiastica, però bisogna ricordare a chi usa con disinvoltura la parolina "diritto", che questo "indica il potere di fare ciò che non è espressamente vietato da una legge" (Samuel Pufendorf; 1632 - 1694). Se estendiamo il concetto alla legge morale, vediamo che, col pretesto della libertà di opinione, non di rado ci arroghiamo diritti che non abbiamo.

Renato Pierri


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