Venezuela, quarto mandato per Chavez
Il presidente si riconferma col 54,4%, Capriles al 44,4% *
CARACAS, 8 OTT - Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo vincendo le presidenziali col 54,4% dei voti. Il suo sfidante Henrique Capriles ha avuto il 44,4% delle preferenze. ’’Grazie al mio amato Pueblo! Viva Venezuela! Viva Bolivar!’’, ha commentato a caldo su Twitter il leader bolivariano.
Il cattivo esempio di Hugo Chávez
di Gennaro Carotenuto *
di Gennaro Carotenuto *
Mille commenti oggi si affannano a ragionare di percentuali e di erosione del consenso o mettono un cinico accento sulla salute del presidente che non avrebbe molto davanti. Eppure fino a ieri altrettanti commenti davano per sicura la sconfitta e sicuri i brogli (delle due l’una!), nonostante chiunque abbia toccato con mano, per esempio l’ex presidente statunitense Jimmy Carter, abbia definito esemplari le elezioni nel paese caraibico. Addirittura Mario Vargas Llosa dava così certa la vittoria di Capriles da prevedere l’assassinio di questo da parte del negraccio dell’Orinoco. Calunnie sfacciate. Ventiquattro ore dopo gli stessi editorialisti commentano il 55% di Chávez come una sconfitta del vincitore. Pace. Chi conosce la politica venezuelana sa come esistano geometrie variabili e storie di continue entrate e uscite sia da destra che da sinistra nell’appoggio al presidente che, fino a prova contraria -ne erano tutti sicurissimi- doveva essere bell’e morto di cancro per le elezioni di oggi. Invece non solo Chávez è vivo, e ne andrebbe elogiato il coraggio di fronte alla malattia ma si è confermato presidente del Venezuela.
Chávez ha vinto, che vi piaccia o no, sia per quello che ha fatto che per quello che rappresenta. Chávez ha vinto perché per la prima volta ha investito la ricchezza del petrolio in beneficio delle classi popolari che in questi anni hanno visto migliorato ogni aspetto della loro vita (salute, educazione, casa, trasporti). Non c’è nulla di rivoluzionario in questo, nonostante la retorica usata spesso a piene mani: “è il riformismo, stupido” direbbe Bill Clinton. È quanto rappresenta, invece, che fa essere Chávez rivoluzionario: conquistare pane e salute non è una conseguenza di un’economia affluente nella quale chi sta sopra può permettersi di essere così magnanimo da lasciare qualche avanzo. È un diritto fondamentale che va conquistato con la continuazione delle due battaglie storiche per la giustizia sociale e la dignità: la lotta di classe, nella quale il merito di Chávez è portare sulle spalle il peso del conflitto e quella anticoloniale, nella quale l’integrazione del Continente è un passaggio chiave.
In questo contesto la prima e più importante lezione del voto di ieri è che i venezuelani, e con loro buona parte del continente latinoamericano, non vogliono, ri-fiu-ta-no, la restaurazione liberale, la restaurazione dell’imperio del Fondo Monetario Internazionale, la restaurazione di un modello nel quale sono condannati a essere per l’eternità figli di un dio minore, mantenuti in una condizione di dipendenza semicoloniale dove le decisioni fondamentali sulla loro vita sono prese altrove. C’è un dato che a mio modo di vedere rappresenta ciò: in epoca chavista il Venezuela ha moltiplicato gli investimenti in ricerca scientifica di 23 volte (2.300%). Soldi buttati, si affrettano a dire i critici. Soldi investiti in un futuro nel quale i venezuelani non saranno inferiori a nessuno. I latinoamericani ragionano con la loro testa, hanno vissuto per decenni sulla loro pelle il modello economico che la Troika sta imponendo al sud dell’Europa e non vogliono che quell’incubo d’ingiustizia, fame, repressione e diritti negati ritorni. Il patto sociale in Venezuela non è stato rotto da Chávez ma fu rotto nell’89 quando Carlos Andrés Pérez (vicepresidente in carica dell’Internazionale Socialista) con il caracazo fece massacrare migliaia di persone per imporre i voleri dell’FMI.
Ancora oggi alcuni commenti irriducibilmente antichavisti (la summa per disinformazione è quello di Gianni Riotta su La Stampa di Torino) rappresentano il candidato delle destre sconfitto come un seguace del presidente latinoamericano Lula. Divide et impera. Erano i velinari di George Bush ad aver deciso di rappresentare l’America latina spaccata in due tra governi di sinistra responsabili e governi di sinistra irresponsabili. È straordinario come i Minculpop continuino a far girare ancora le stesse veline: l’immagine di Capriles progressista e vicino a Lula è stata costruita a tavolino dai grandi gruppi mediatici, a partire da quello spagnolo Prisa. Il curioso è che Lula rispose immediatamente “a brutto muso” di non tirarlo in ballo, perché lui con Capriles non ha nulla a che vedere e appoggia con tutto se stesso l’amico e compagno Hugo Chávez. Non importa: loro, i Riotta, facendo finta di niente, continuano imperterriti a definire Capriles come il Lula venezuelano. Allo stesso modo continuano a ripetere la balla sulla mancanza di libertà d’espressione in un paese dove ancora l’80% dei giornali fa capo all’opposizione. È un’invenzione, ma la disparità mediatica è tale che è impossibile farsi ascoltare in un contesto mediatico monopolistico. Non siamo ingenui: nella demonizzazione di Chávez c’è ben altro che l’analisi degli eventi di un continente lontano. C’è lo schierare un cordone sanitario alla benché minima possibilità che anche in Europa si possa ragionare su alternative all’imperio della Troika. Lo abbiamo visto con il trattamento riservato ad Aleksis Tsipras in Grecia e a Jean-Luc Mélenchon in Francia: non è permesso sgarrare.
Soffermarci su tale dettaglio ci svela una realtà fondamentale difficilmente comprensibile dall’Europa: è talmente impresentabile il neoliberismo che in America latina è oggi necessario nasconderlo sotto il tappeto e spacciare anche i candidati di destra come progressisti. Aveva un che di paradossale ascoltare in campagna elettorale Capriles giurare amore eterno agli indispensabili medici cubani elogiandone il ruolo storico. Come già il suo predecessore Rosales, sapeva che senza medici non ci sarebbe pace in un Venezuela che oggi conosce i propri diritti e non è disposto a rinunciarvi, altro merito storico di Chávez. I Riotta di turno tergiversavano non solo sul riconoscimento dei meriti storici di Cuba nella solidarietà internazionale (o la riducono ad un mero scambio economico, salute per petrolio) ma negano anche l’informazione che era quello stesso Capriles, giovane dirigente politico dell’estrema destra venezuelana, che l’11 aprile 2002 diede l’assalto all’ambasciata cubana durante l’effimero golpe del quale fu complice. Che vittoria per i cubani se quello stesso Capriles fosse davvero stato sincero nel riconoscerne i meriti!
Questo è il segno del trionfo di Chávez: nelle classi medie e popolari venezuelane vige oggi un discorso contro-egemonico a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica, della falsa retorica liberale per la quale tutti i diritti vanno garantiti a tutti ma a patto che siano messi su di uno scaffale ben in alto perché solo chi ci arriva con le proprie forze possa goderne. In Venezuela, in America latina, stanno spazzando via tutte le balle che racconta da decenni il Giavazzi di turno sul liberismo che sarebbe di sinistra. Chi lo ha provato, e nessuno come i latinoamericani lo ha provato davvero, sa bene di cosa si parla e non ci casca più. È un discorso quindi, quello chavista, che riporta in auge l’incancellabile ruolo della lotta di classe nella storia, la chiarezza della necessità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni.
Eppure il Riotta di turno liquida ancora oggi come “inutili” i programmi sociali chavisti. Che ignoranza, malafede e disprezzo per il male di vivere di chi non ha avuto la sua fortuna. Milioni di venezuelani, che avevano come principale preoccupazione della vita l’alimentazione del giorno per giorno, la salute spiccia (banali cure per un mal di pancia, operazioni alla cateratta del nonno) che la privatizzazione della stessa nega a chi non può permettersela, l’educazione dei figli, la casa, passando da baracche a dignitose case popolari, oggi godono di un sistema sanitario pubblico che ha visto decuplicare i medici in servizio, di un sistema educativo pubblico che ha visto quintuplicare i maestri, di un sistema alimentare pubblico che permette a molti di mettere insieme il pranzo con la cena. “Inutili”, dice Riotta, con una volgarità razzista degna delle brioche di Maria Antonietta. Oggi queste persone, escluse fino a ieri, possono spingere il loro tetto di cristallo più in alto, respirare di più, desiderare di più, magari perfino leggere inefficienze e difetti del processo e avere preoccupazioni, quali la sicurezza, più simili alle classi medie che a quelle del sottoproletariato nel quale erano stati sommersi durante la IV Repubblica. Questo i Riotta non possono spiegarlo: è così inefficiente il chavismo che ha dimezzato i poveri che nella IV Repubblica erano arrivati al 70%.
Rispetto al nostro cammino già segnato, il fiscal compact, l’agenda Monti, il patto di stabilità, dogmi di fede che umiliano le democrazie europee, Chávez in questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto, provato, modificato ricette, ben riposto e mal riposto fiducia nelle persone e nei dirigenti in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. È il caos creativo di un mondo, quello venezuelano e latinoamericano, che si è messo in moto in cerca della sua strada. Hanno chiamato questa strada socialismo, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Anche se il cammino è tortuoso e ripido, è la più nobile delle vette.
Gennaro Carotenuto su gennarocarotenuto.it
Gennaro Carotenuto
CHAVEZ O BARBARIE
di Fulvio Grimaldi *
Nella nostra condizione di schiavi coloniali non riuscivamo a vedere che la “Civiltà Occidentale” nasconde dietro alla sua scintillante facciata una muta di jene e sciacalli. E’ l’unico termine da applicare a chi si aggira per realizzare “compiti umanitari”. Una belva carnivora che si nutre di genti disarmate. Ecco cosa fa all’umanità l’imperialismo. (Che Guevara, all’Assemblea Generale dell’ONU, 1964)
* VEDI: CHAVEZ O BARBARIE | Informare per Resistere
http://www.informarexresistere.fr/2012/10/04/chavez-o-barbarie/#ixzz28dbk1Vuu
Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
SUD AMERICA
Venezuela, Chavez eletto per il quarto mandato
"Grazie al mio amato popolo, viva Bolivar"
Il leader bolivariano, al potere dal 1999, ha conquistato oltre il 54 per cento dei voti. Lo sfidante Capriles, candidato di un’alleanza delle forze di opposizione, si è fermato poco sotto il 45
dal nostro inviato OMERO CIAI *
CARACAS - Hugo Chavez vince e festeggia il quarto mandato con oltre un’ora di fuochi d’artificio che illuminano e scuotono la notte di Caracas. Con il 90 per cento dei voti scrutinati il presidente venezuelano uscente ha ottenuto il 54,2 per cento dei voti (7 milioni e 400mila) contro il 45 per cento (6 milioni e 200mila) del suo principale avversario, Henrique Capriles. Chavez vince ma non è un trionfo. Anzi. Dal 2006, quando sfiorò il 63 per cento dei suffragi, ha perso nove punti in percentuale. Non poco per un presidente e un governo che in Venezuela controllano tutto: dalla macchina dello Stato, utilizzata a piene mani per conservare il consenso, ai profitti del petrolio, l’unica vera e fenomenale risorsa del Paese. Mentre Capriles, che partiva dal 36 per cento ottenuto dall’opposizione sei anni fa, conquista tutto quello che perde Chavez.
Ormai tra i due blocchi, anche ideologici, che si contendono il governo del Venezuela c’è poco più di un milione di voti di differenza. Sei anni fa erano più di tre milioni. La forza di Chávez, anche se non è più il candidato invincibile di qualche anno fa, continua ad essere nel suo talento populista e nei programmi sociali finanziati grazie al controllo su Pdvsa, la holding del greggio. Ha aumentato il salario minimo, alzato le pensioni, allungato le ferie. Il prezzo per il Paese è alto perché ha debilitato il settore dell’industria privata e aumentato a dismisura il ruolo di uno Stato che ha sempre più impiegati e sempre più ruoli nella società. Ma d’altra parte il suo obiettivo è quello del "socialismo del XXI secolo", sempre più Stato e sempre meno mercato. Se la "rivoluzione bolivariana" subirà una nuova accelerazione o un ripensamento tattico è presto per dirlo dopo un’elezione che ha registrato una partecipazione eccezionale, l’81 per cento dei 19 milioni aventi diritto al voto, il 6% in più rispetto al 2006.
A giudicare dai grandi festeggiamenti per la vittoria la paura di perdere deve essere stata tanta. Parlando dal palazzo di Miraflores, Chávez ha mostrato ai suoi sostenitori la spada del padre della patria, Simon Bolivar. E in un lungo discorso ha detto che s’impegna a costruire "un grande Venezuela", "un Venezuela potente ogni giorno più democratico, più libero e più giusto". Poi ringraziato "i dirigenti dell’opposizione" guidati da Capriles, i quali hanno riconosciuto "la vittoria del popolo. Non si sono piegati ai piani di destabilizzazione che alcuni stavano accarezzando". "Viva la patria, viva l’allegria, viva il socialismo, hasta la victoria siempre", ha concluso in un tripudio di fuochi d’artificio.
Il nuovo mandato è per sei anni. Un ventennio di potere dal 1998. Resta l’incognita della malattia. Le cartelle cliniche di Chávez sono segrete. E’ stato operato per un tumore due volte e in campagna elettorale ha detto di "averlo già dimenticato".
Un segnale per capire qualcosa di più ci sarà presto. Per la Costituzione in caso di incapacità del presidente bisogna tornare a votare. Se in Parlamento il partito di Chávez cercherà di modificare la regola a favore di un vicepresidente che possa terminare il mandato vorrà dire che la malattia non è così superata come il presidente vuole far credere.