PREMESSA SUL TEMA. Materiali:
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
L’ITALIA (1994-2012), TRE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA SENZA "PAROLA", E I FURBASTRI CHE SANNO (COSA SIGNIFICA) GRIDARE "FORZA ITALIA". (Federico La Sala)
Monti: vedo la fine della crisi meno corporazioni, più lavoro
Ecco il testo scritto del discorso del premier Mario Monti al meeting di Cl a Rimini *
Cara Professoressa Guarnieri,
Caro Professor Vittadini,
Cari ragazzi,
venendo a Rimini, questa mattina, sapevo che avrei trovato una platea vivace. Non uno, ma migliaia di interlocutori, ciascuno con la sua proposta, la sua visione della vita e, certamente, un bagaglio carico di aspettative e preoccupazioni per il futuro.
Sono fermamente convinto del fatto che la vita pone a ciascuno di noi nuove sfide da affrontare, tutti i giorni, a qualsiasi età. Ciascuna sfida, quelle vinte, ma anche quelle da cui usciamo sconfitti, aiutano a costruire quello che saremo nel futuro. Per questo motivo non credo esistano sfide più o meno importanti. Può cambiare la tensione con la quale le affrontiamo. Certamente cambia la nostra preparazione e la capacità di accettarne gli esiti.
Provo a raccogliere l’invito rivoltoci dalla Professoressa Guarnieri: quello cioè di confrontarsi e affrontare le proprie sfide: le vostre quelle più difficili. Sono difficili perché l’incognita del percorso che vi aspetta è spesso più forte della fiducia che avete in voi stessi; oppure perché talvolta l’impazienza di trovare una dimensione che vi soddisfi prevale sulla pazienza di aspettare il fatidico "momento giusto". Sono certo che alcuni di voi non hanno nemmeno la certezza di quale sia davvero la collocazione più appropriata: se in Italia o all’estero, se da liberi professionisti, imprenditori o impiegati, nel privato o nella pubblica amministrazione.
"IMPREVEDIBILE ISTANTE"
Voi ragazzi lo avete chiamato "imprevedibile istante". È una definizione affascinante, e le parole che il Professor Vittadini e la Professoressa Guarnieri hanno pronunciato poc’anzi, ricordando l’impegno che ciascuno di noi deve porre sulla costruzione della propria persona, ne danno conferma.
Se interpreto bene il vostro pensiero, la crescita personale prende le mosse dalla capacità di iniziativa individuale, dalle soddisfazioni alle quali ciascuno può ambire legittimamente, ma che deve saper conquistare passo dopo passo, con il merito. È questione di istanti, che restano imprevedibili perché non ci è dato sapere se e come sapremo far nostro l’insegnamento che ci lasciano. Possiamo soltanto affidarci alla fiducia in noi stessi, maturandola dalla preparazione, dallo studio e dalla capacità di ascolto.
L’imprevedibilità è quindi un elemento essenziale. Solamente la forza di volontà, unitamente alla capacità che ciascuno ha e sa usare, sono il motore del successo personale, qualunque dimensione gli si voglia dare: professionale o umano.
A me l’imprevedibilità dell’istante ricorda un bel film di qualche anno fa: "L’attimo fuggente". Il professore che incita i suoi allievi ad abbandonare gli schemi, a ragionare con la propria testa, guardando il mondo da una prospettiva diversa, è la sintesi perfetta di quello di cui stiamo parlando. Nel film il professore chiede agli allievi di salire in piedi sul banco, osservando l’aula - il loro piccolo universo - da un punto mai sperimentato prima. In cortile chiede loro di camminare, scegliendo il passo che preferiscono, ad una sola condizione: che sia il "loro" passo.
Al tempo stesso è giusto ricordare, ed è un punto molto importante, che nel percorso che avete intrapreso non siete soli. Come per gli allievi del film, che hanno la fortuna di incontrare un professore che li guida attraverso le difficoltà, anche per voi c’è una guida, ed è una guida presente.
Le sfide di cui parlavo poc’anzi si vincono più facilmente se ci sono gli strumenti giusti per farlo. E il compito di "creare" questi strumenti spetta a chi ha già avuto la vostra bellissima e difficile età e, oggi, ha la responsabilità di garantire a voi opportunità migliori. In questo senso sono fondamentali la famiglia, i legami affettivi, gli amici, la fede che - lo ricordava poc’anzi la Professoressa Guarnieri - anima molti tra voi, l’associazionismo - Comunione e Liberazione è un esempio perfetto in tal senso - e, infine, le istituzioni pubbliche.
GENERAZIONE PERDUTA
Vedete, quando in un’intervista rilasciata poche settimane fa ho parlato di "generazione perduta", non ho fatto altro che constatare con crudezza - a volte è necessaria anche quella - una realtà che è davanti agli occhi di tutti: lo "sperpero" di una intera generazione di persone che oggi giovani non lo sono più, alcuni di loro hanno superato i 40 anni d’età, e che pagano le conseguenze gravissime della scarsa lungimiranza di chi, prima di me, non ha onorato il dovere di impegnarsi per loro. Un’intera generazione che paga un conto salatissimo.
Una generazione che, ci tengo a precisare, non considero perduta perché priva di mezzi o capacità. Al contrario, trovo che la perdita, gravissima, di capitale umano abbia nuociuto fortemente al Paese, in parte per l’emorragia di professionisti e studiosi che hanno scelto di vivere all’estero, in parte per le mancate opportunità di coloro che, benché meritevoli, sono rimasti in Italia, senza trovare adeguate soddisfazioni professionali.
È questa la perdita generazionale a cui facevo riferimento. Una perdita che danneggia tutti noi, non solo i diretti interessati, a cui non mancano né energie né competenze. Apprendo che, a seguito della mia dichiarazione, molti appartenenti alla fascia d’età compresa tra i 30 e i 40 anni hanno reagito, siglando un vero e proprio manifesto in cui spiccano parole portanti come merito, rispetto, impegno e fiducia. È la conferma di quanto ho appena detto: abbiamo un capitale umano eccellente, al quale le "batoste" di questi anni non hanno tolto la voglia di proporre e di partecipare alla vita del Paese.
Dobbiamo fare tutto quanto è possibile affinché il Paese non perda anche voi e, anzi, affinché possiate essere una risorsa preziosa per la nostra economia e per il sociale, ma soprattutto perché restiate sempre vivaci come siete oggi, perché possiate mantenere lo stesso fuoco nello sguardo, la stessa curiosità.
Lo spirito, da parte vostra, dev’essere quello al quale ha fatto riferimento il Segretario nazionale di "Giovani Insieme", un’associazione no-profit che ha contribuito a fondare il Forum Nazionale Giovani, pochi giorni fa: sentirsi pronti a prendere in mano le sorti di questo Paese. A noi invece spetta il compito di facilitarvi nel raggiungere questo risultato. Per riuscire non c’è che un modo: serve un’azione dura e decisa.
È esattamente quello che abbiamo provato a fare - e stiamo ancora facendo - nel poco tempo che ci è stato concesso. Abbiamo cercato, con la squadra di Governo, di creare le condizioni affinché quell’istante che voi chiamate imprevedibile perda un poco dell’alea che ha oggi e guadagni in certezza. Non troppa - altrimenti la partita sarebbe noiosa - ma tanto quanto basta per darvi il giusto coraggio per andare avanti.
SCUOLA E UNIVERSITÀ
Il primo punto sul quale abbiamo lavorato - e lavoreremo intensamente nei prossimi mesi - è l’istruzione, a tutti i livelli.
Per quanto riguarda la scuola abbiamo cinque obiettivi:
Primo obiettivo: promuovere una migliore scolarità in tutta la popolazione, favorendo il sapere e le competenze diffuse. Il Professor Vittadini ha citato un dato che bisogna invertire quanto prima: 38% dei quindicenni italiani che ritiene la scuola un luogo dove non si ha voglia di andare. La scolarità diffusa è il un passo necessario per "togliere il freno" allo sviluppo dell’imprenditorialità e contribuire al diffondersi di un’offerta di lavoro più qualificato.
Secondo obiettivo: offrire maggiore possibilità alle scuole di esprimere, con autonomia e responsabilità, le proprie potenzialità.
È importante, anzitutto, potenziare l’istruzione tecnico-professionale, come ricordava anche il Professor Vittadini poco fa. Se nel mercato del lavoro italiano persiste un divario tra la domanda elevata di alcune professionalità e l’offerta scarsa o inesistente è anche a causa dell’insuccesso della formazione tecnica. Confartigianato ha quantificato in 32mila i posti di "difficile reperimento". Una migliore formazione tecnico-professionale è il perno su cui insistere per colmare questo divario.
Dobbiamo anche insistere sul digitale, per accelerare i tempi e facilitare i rapporti tra la scuola pubblica e gli utenti: insegnanti, studenti e genitori.
Terzo obiettivo: introdurre nuove modalità di reclutamento e formazione dei docenti, per favorire l’ingresso nella scuola di giovani insegnanti capaci e meritevoli e favorire un rapporto continuo e stretto tra scuola e società, anche attraverso accordi istituzionali con università, enti di ricerca, associazioni professionali e parti sociali.
Quarto obiettivo: tra le nostre priorità c’è anche il contrasto all’insuccesso formativo, alla dispersione e all’abbandono scolastico. L’Agenda di Lisbona - che questo Governo sposa pienamente - pone l’obiettivo di portare il tasso di fallimento formativo sotto il 10%. Sono ben 8 punti percentuali in meno di quello attuale. Senza contare il tasso di abbandono scolastico dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che - ha ricordato recentemente il Corriere della Sera citando una ricerca di Confartigianato - resta elevatissimo: 18,6%.
Per riuscire stiamo portando avanti azioni specifiche per contrastare le cause di fenomeni di mancata scolarità e per promuovere il recupero delle aree scolastiche più compromesse, anche potenziando iniziative di educazione alla cittadinanza e alla legalità.
Di esempi ce ne sono molti. Tra i tanti, cito i "Fondi alle Regioni il diritto allo studio degli studenti meno abbienti". Grazie a questi Fondi abbiamo potuto stanziare 103 milioni di Euro a favore delle Regioni per la fornitura gratuita, nel prossimo anno scolastico, dei libri di testo delle scuole dell’obbligo e secondarie superiori.
Quinto obiettivo: riteniamo strategica la promozione della mobilità degli studenti, estendendo a tutti la possibilità di studiare e fare esperienza lavorativa all’estero, per poi tornare nel nostro Paese e far fruttare le conoscenze apprese.
Vi cito l’esempio del progetto Angels. Il nome, da solo, dice tutto: 5,3 milioni di Euro, ripartiti in tre annualità, con tre obiettivi principali: Anzitutto, far sperimentare agli studenti metodi di ricerca e insegnamento propri di altri sistemi educativi e sviluppati da centri di eccellenza internazionale; Inoltre, accrescere la domanda di qualità nell’insegnamento e nella ricerca; Infine, favorire la competitività e l’azione delle imprese del Mezzogiorno attraverso la formazione di nuove classi dirigenti.
Per quanto riguarda l’università il nostro progetto è, si fa per dire, "semplice": prima di tutto, vogliamo azzerare la "fuga dei cervelli" dal Paese, partendo dal momento in cui quei cervelli si stanno formando. Appena pochi giorni fa sfogliavo uno studio condotto dall’Istituto per la Competitività sul costo che la fuga dei cervelli produce per il nostro PIL. I dati sono preoccupanti. Il saldo negativo viene stimato in 1,2 miliardi di euro. Lo stesso studio quantifica in 20 miliardi di euro annui l’incremento di PIL che deriverebbe dall’azzeramento di questo saldo.
Contestualmente, stiamo cercando di migliorare gli atenei. Lo stiamo facendo attraverso tante azioni concrete, tre in particolare:
prima tra tutte quella finalizzata a favorire la "permeabilità" fra Università, imprese e centri di ricerca. Un sistema "poroso" in cui ciascuno degli attori che lo compongono offre agli altri il proprio valore aggiunto e ha la possibilità di colmare le proprie lacune facendo perno sulle competenze messe a disposizione dagli altri.
La seconda azione è volta a migliorare gli standard di valutazione e la loro trasparenza. Non si tratta di togliere i finanziamenti a chi non produce. Si tratta di premiare chi produce e di sollecitare chi è rimasto dietro a riflettere sulle proprie carenze, per tornare a essere competitivo.
Infine, con la terza azione miriamo a ricostruire i grandi aggregati di competenze nazionali, che per noi sono strumentali non solo alla "specializzazione intelligente" dei territori - vuol dire che ciascun territorio potrà e dovrà produrre il tipo di sapere per cui è più adatto - ma anche all’identificazione di cluster innovativi. In questo modo non mortifichiamo la possibilità di far nascere, anche dal nulla, nuovi saperi e capacità.
IL LAVORO
Assieme alla scuola, il lavoro occupa una posizione centrale nelle azioni presenti e future di questo Governo. La riforma è, e resta, il perno centrale della nostra azione.
Con la riforma abbiamo migliorato la qualità dell’occupazione per liberare tanti giovani dal labirinto della precarietà attraverso la definizione di un percorso professionale che consentisse loro di intravedere un futuro lavorativo e, magari, la possibilità di migliorare la loro posizione sociale. Il Ministro Fornero ha sintetizzato perfettamente il concetto. Si tratta - e sto citando - "di scommettere sul genio italiano, lavorando per ampliare gli spazi di tutti i giovani e le giovani donne".
Un percorso di carriera che, secondo noi, dovrebbe cominciare prima della laurea con uno stage, per poi proseguire con un contratto di apprendistato, che abbia una durata minima di sei mesi e assicuri la garanzia di una formazione adeguata a imparare un mestiere, e infine trasformarsi, per quelli che lo hanno meritato, in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Abbiamo creato le condizioni per rendere effettivo e conveniente questo percorso ai lavoratori e alle imprese.
Ai primi cerchiamo di garantire tempi ridotti di transizione tra scuola e lavoro e tra disoccupazione e occupazione. La transizione, nel mercato del lavoro che abbiamo creato, dev’essere sempre da un’attività a un’altra. È il solo modo per far sì che il lavoratore si arricchisca durante il cammino e il tessuto imprenditoriale non disperda nulla - anzi, si avvantaggi - di questo miglioramento. Al tempo stesso, siamo intervenuti con la radicale modifica del sistema degli ammortizzatori sociali. La direzione è, nuovamente, quella della creazione di un modello di tutele più universalistico e più finalizzato all’occupazione.
Per quanto riguarda le imprese, abbiamo concentrato gli incentivi contributivi sul contratto di apprendistato e abbiamo riconosciuto un importante sgravio dell’IRAP per le imprese che assumono a tempo indeterminato giovani e donne nelle regioni meridionali. Con il decreto sviluppo, poi, abbiamo introdotto un importante credito di imposta per le imprese che assumono a tempo indeterminato i laureati in materie tecniche e i giovani che hanno conseguito un dottorato.
LE PROFESSIONI E LIBERALIZZAZIONI
Chiaramente quando parlo di mercato del lavoro faccio riferimento a una gamma vastissima di competenze e professionalità. Molte delle misure che abbiamo approvato e che incidono sulla flessibilità in entrata e in uscita sono rivolte soprattutto ai lavoratori dipendenti.
Per i liberi professionisti abbiamo pensato che la strada migliore fosse quella della concorrenzialità. Con la liberalizzazione delle professioni abbiamo aperto alla concorrenza settori che troppo spesso mantenevano ai margini i nostri giovani e, per metterli in condizione di entrare quanto prima nel mercato del lavoro, abbiamo ridotto a 18 mesi il periodo di tirocinio.
Come vedete, il merito e l’impegno mantengono sempre un ruolo centrale, perché in un mercato aperto alla concorrenza si premiano soprattutto l’impegno e la dedizione. Faccio uno sforzo di semplificazione e cito i provvedimenti più significativi:
Anzitutto, la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali e la definizione del principio generale di libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali. Diamo così la possibilità ai titolari di negozi di investire sulla creatività e sulla flessibilità, sperimentando formule che un mercato chiuso non avrebbe consentito.
C’è poi la soppressione delle limitazioni per l’esercizio di attività professionali e la riduzione del tirocinio, dove previsto, a 18 mesi. Come potrete facilmente intuire, le due misure sono strettamente legate tra loro. L’obiettivo è quello di dare nuova dignità ai giovani professionisti. Molti di loro oggi faticano ad affermarsi, nonostante abbiano alle spalle anni di studio e di formazione sul campo.
Volevamo ridurre il gap tra la formazione - che è fondamentale, ma non può essere un ostacolo al lavoro vero e proprio o, peggio, una scusa per procrastinare l’inizio del lavoro - e l’esercizio di una professione. Ecco perché per noi è essenziale che ci siano più liberi professionisti e che costoro lavorino in un sistema di concorrenza pulito, a beneficio di tutti: degli stessi professionisti ma anche dei consumatori.
Infine, vorrei ricordare gli incentivi alla creazione di impresa. Un autorevole quotidiano economico poche settimane fa faceva un confronto tra le condizioni per fare impresa nelle principali democrazie contemporanee. Purtroppo, l’Italia non occupava una posizione particolarmente meritoria in classifica. Una delle cause, a nostro avviso, è la difficoltà di iniziare un’attività commerciale.
L’abbattimento dei costi burocratici è un inizio importante. Vi basterà un euro di capitale per cominciare la vostra impresa. Grazie al programma di semplificazioni che il Ministro Patroni Griffi sta realizzando avrete minori difficoltà nel rapporto con le pubbliche amministrazioni. E, soprattutto, avrete gli strumenti per fronteggiare il fenomeno dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni.
CONCLUSIONI
Cari ragazzi, ho cominciato questo discorso parlando della vostra vivacità, delle sfide che vi aspettano, dell’impegno che famiglia e istituzioni devono spendere a vostro favore affinché il percorso che avete davanti sia meno incerto. Soprattutto, ho parlato dei vostri sogni ed è con questi che vorrei concludere.
Anche io ho un sogno e vorrei condividerlo con voi. Ora che, grazie all’impegno del Parlamento, molte riforme sono state completate mentre altre sono già state messe in cantiere, il mio desiderio è che il 2013 sia l’anno degli investimenti in capitale umano. L’anno nel quale tutto il Paese si mobilita per combattere la crisi economica scommettendo sui propri giovani e sulle loro competenze e i loro talenti. L’anno nel quale, nonostante la crisi, le imprese fanno uno sforzo particolare per immettere il maggior numero possibile di giovani lungo il percorso di inserimento lavorativo tracciato dalla riforma del mercato del lavoro.
Per ripartire, si potrebbe cominciare da qui. Da un investimento straordinario in capitale umano al quale concorrano tutte le forze del Paese e soprattutto le imprese. Perché se lo Stato da solo non può risolvere ogni problema, ciò non significa che non possano riuscirci gli italiani - soprattutto quelli più giovani - se sapremo affrontare uniti i problemi che abbiamo di fronte. Cominciando da quello della disoccupazione giovanile.
Vedete, la società, la vostra società, ha delle straordinarie potenzialità; la nostra economia, pur con tante difficoltà, rappresenta ancora la seconda manifattura d’Europa e l’Europa, oltre a essere la prima economia del mondo, è anche uno straordinario progetto politico che può garantire a tutti noi una solida prospettiva e una grandiosa opportunità. Siete voi, la vostra generazione "globale", che può migliorare e arricchire il progetto di un’Europa unita. Come disse De Gasperi 60 anni fa, è in voi giovani che va fatto nascere, e poi continuamente rinnovato, l’ideale - o "la fiaccola", come disse lui - dell’avvenire dell’Europa
Dobbiamo essere all’altezza delle sfide che abbiamo davanti. Agli egoismi di parte dobbiamo far prevalere l’altruismo di ciascuno. Ed è questa, in conclusione, la miglior risposta a quanti mi chiedono che cosa stiamo facendo per i giovani. Stiamo combattendo per consegnare loro un’Italia più forte ed affidabile in un’Europa più unita e solidale nella quale i giovani di buona volontà possano guardare al futuro con serenità.
Anni fa, quando venni qui da Commissario europeo, parlai di "sciopero generazionale", invitando i giovani di allora a intraprendere una protesta forte, un percorso di rottura, per avviare cambiamenti radicali di cui il Paese aveva bisogno. Lo scorso anno il Presidente Napolitano vi ha ricordato di essere una risorsa preziosa per il Paese, a condizione "che siate sempre voi stessi".
Ecco, credo sia questa la sintesi più efficace, quella tra la consapevolezza di voi stessi e l’impegno civico e sociale. È questa la strada giusta. La vostra caparbietà, il vostro impegno - ancora una volta: i vostri sogni - e il contributo che il Governo sta dando sono gli ingredienti giusti per rendere il futuro meno incerto. Un futuro nel quale, e del quale, sarete voi i protagonisti.
Fatta l’Imu trovato l’inganno
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2012)
Sorpresa! Il governo non ha approntato i decreti attuativi per fare pagare l’Imu agli immobili della Chiesa. C’è il rischio - lo denuncia Milano Finanza non certo accusabile di manie anticlericali - che la Chiesa non paghi il dovuto nemmeno l’anno prossimo. Il governo nega e dice che a breve il regolamento attuativo sarà pronto. “A breve” è una parola grossa, perché le norme per spiegare bene agli enti ecclesiastici come non evadere più le tasse dovevano essere già note maggio scorso.
Lo dice il comma 3 dell’articolo 91 bis della legge 24 marzo 2012 che il ministro dell’Economia e delle Finanze (lo stesso Mario Monti, all’epoca) doveva emanare le norme apposite “entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge”. Cioè il 24 maggio. Una lentezza sorprendente. Borbottano al ministero delle Finanze che la materia “è complessa”. In realtà non doveva essere difficile separare il commerciale dal non commerciale. In altri paesi europei non si sono rotti particolarmente la testa. Ma la via dell’inghippo è già contenuta nel decreto legge, fatto per evitare la “Procedura d’infrazione” messa in moto dall’Unione europea per condannare decenni di scandalose esenzioni.
Prevede, infatti, la legge che negli edifici a “utilizzazione mista” l’eventuale esenzione (alle abitazioni dei religiosi o alla famosa cappella) “si applica solo alla frazione di unità, nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale”. Fin qui tutto chiaro. Ma poi segue una parolina: “...se identificabile...”. E qui si apre il varco alle furbate. Se la divisione dell’edificio non si può fare con chiarezza, dice la legge, l’“esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione”. Cioè l’ente ecclesiastico soggetto a tassazione si mette a calcolare per conto proprio (e poi lo dichiara al fisco) quanti spazi e metri quadrati dell’edificio servono a usi non commerciali: corridoi, scale, pianerottoli, parcheggi, stanze varie, spazi ad “uso comune”? Chissà?
Dalle carte Vatileaks apprendiamo che Gotti Tedeschi, quando era ancora presidente dello Ior, aveva già trafficato con il ministro Tremonti per arrivare a parametri che definissero “livello di superficie usata, tempi di utilizzo e di ricavo”. Si noti la finezza: tempi di utilizzo! L’immobile commerciale andrebbe tassato soltanto nei mesi in attività. Come se un albergo normale non pagasse l’Imu durante la chiusura stagionale.
La lentezza del ministero delle Finanze, che Monti ha tenuto fino all’11 luglio scorso, sta tutta in questa ricerca di sottigliezze per agevolare il più possibile la definizione dei parametri di “non commercialità”. È ovvio che siamo ben lontani dall’angolo in parrocchia.
Graziano Delrio, presidente dell’Anci, aveva proposto nel dicembre scorso l’istituzione di una “anagrafe degli immobili ecclesiastici”. Quelli destinati al culto avrebbero continuato a essere esentati e quelli commerciali avrebbero pagato. In casi controversi, sosteneva il presidente dell’associazione dei Comuni italiani, era “giusto che sia il Comune di appartenenza a giudicare se vada versata l’imposta o meno, sulla base delle attività svolte”.
Non risulta che la Cei si sia attivata per creare un’anagrafe del genere né che il governo abbia premuto per farlo. D’altronde anche il governo tecnico Monti, così sollecito a riferirsi al quadro normativo europeo, non ha mostrato il minimo interesse per una norma cardine vigente in Germania: i soldi pubblici vanno solo a enti che pubblicano il loro bilancio. Ci fosse in Italia, ordini religiosi e diocesi, destinatari di 8 per mille o altri sussidi statali, sarebbero indotti alla trasparenza assoluta.
C’è poco da sperare che i tanti enti ecclesiastici evasori adottino il comportamento virtuoso delle suore che a Roma gestiscono l’hotel Giusti: il loro albergo si estende su tre piani, gli altri due costituiscono il convento: ma le suore hanno deciso da anni di pagare le tasse sull’intero edificio. Nella sola Roma si sono accertate evasioni per 25 milioni di euro. In Italia si può calcolare tranquillamente qualche centinaio di milioni di euro. Soldi che il governo non ha fretta di incassare. Infatti ha condonato le tasse per il 2012. Un regalo fiscalmente ingiustificabile. Ma c’è un neo: rimandando il pagamento Imu per gli enti ecclesiastici commerciali al 2013, il governo si rende passibile ex nunc di una nuova procedura di infrazione presso la Ue a motivo della concorrenza sleale tra alberghi normali e alberghi ecclesiastici.
Crescita e Austerity. L’aut aut che Monti non vede
di Guido Viale (il manifesto, 21.08.2012)
«It’s the economy, stupid»: era stato questo lo slogan vincente di Bill Clinton nella campagna contro George Bush (senior) vent’anni fa. Forse oggi è il caso di riprendere quelle stesse parole contro il ragionier Monti, economista di fama mondiale, che non riesce a spiegarsi come mai, avendo «messo i conti in ordine», lo spread italiano continui a essere il triplo di quello di altri paesi quasi altrettanto indebitati e senza quell’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese dello Stato destinata al pagamento degli interessi) che nessun altro in Europa può vantare.
Le borse non sono cieche: spread alto ed economia a pezzi vanno insieme Il fatto è che con le sue misure «salvaitalia», «crescitalia», spending review e «spremilavoro» Monti ha letteralmente strangolato, e continua a strangolare, l’economia italiana: la sua base produttiva e occupazionale, le sue imprese, le sue potenzialità; mentre con il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact ha posto le premesse perché nei prossimi anni e decenni l’economia italiana non possa mai più riprendersi: esattamente come in Grecia. Perché allora la finanza internazionale (e nazionale), che guarda alla sostanza delle cose e non ai discorsi, non dovrebbe aspettarsi che un programma del genere porti diritto al fallimento?
Lo spread è la dimostrazione che, in barba ai cosiddetti «fondamentali», la scommessa è proprio questa. A difesa di Monti si potrebbe argomentare che a non capire questa cosa elementare (o a fingere di non capirla, per nascondere altri obiettivi) non è solo lui ma che è in buona compagnia.
Innanzitutto del suo governo e dei partiti che lo sostengono; che continuano a blaterare di un "dopo Monti", come se questo governo non stesse mettendo le premesse (addirittura in Costituzione!), perché il dopo non si differenzi minimamente dal prima (compreso il «prima di Monti», con cui è sempre più evidente la sostanziale continuità, a parte lo «stile» al posto del carnevale). Ma dietro o accanto a lui, a confermarlo nella sua pretesa di salvatore della patria, c’è tutto l’establishment della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs che lo ha allevato insieme al suo socio Draghi. Entrambi si presentano come i demiurghi dalle cui decisioni dipendono le sorti non solo dell’Italia ma anche quelle dell’euro, e insieme all’euro, dell’Unione europea - e per inevitabile contagio, come ben ha capito Obama, prigioniero anche lui, però, dello staff di finanzieri nelle cui mani si è messo contando di addomesticarli e non di esserne addomesticato - dell’economia mondiale. Ma entrambi cominciano a capire che il gioco in cui si sono messi è più grande di loro (nonostante tutta la «potenza di fuoco» che Draghi sostiene di voler mettere in campo); e forse più grande di chiunque altro al mondo.
Perché il modo di operare della finanza non è una congiura, ma un meccanismo cieco che nessuno in realtà governa: giacché è un contesto in cui ciascuno, anche le maggiori potenze del mondo, non può più agire se a difesa del proprio, per quanto immenso, «particulare»: che nel corso del tempo si è andato riducendo sempre più alla contabilità dei margini realizzati giorno per giorno: magari e per lo più, come si sta scoprendo giorno per giorno, attraverso meccanismi truffaldini: come la manipolazione del libor e dei rating, le scommesse contro governi o investitori di cui si è consulenti (i famigerati Cds, spacciati per il loro contrario, cioè assicurazioni contro il fallimento). O le modificazione delle regole delle vendite allo scoperto: quella con cui Draghi, allora ancora Governatore di Banca d’Italia, ha a suo tempo spianato la strada alla nomina di Monti.
Le regole con cui tenere sotto (parziale) controllo gli spiriti mortiferi della finanza, messi a punto tra la crisi del 1929 e la conferenza di Bretton Woods (a favore, per la verità, di una parte ridotta e privilegiata delle nazioni) sono state abolite da tempo in nome del pensiero unico, della deregolamentazione e della libera circolazione dei capitali. E con un solo obiettivo: privatizzare tutto e riprendere ai lavoratori quel poco che avevano conquistato in più di un secolo di lotta di classe.
Non saranno quindi né Monti né Draghi a porre un freno o a invertire questo processo. La partita tornerà ben presto in forme drammatiche e in un contesto tumultuoso e privo di mediazioni - distrutte o rese insignificanti dalla degenerazione della «politica» - nelle mani delle vittime del loro operato: ma in un contesto nazionale e internazionale carico di rischi autoritari e di elementi di confusione. È questo il quadro di riferimento di ogni possibile discussione sulla «ripresa» d’autunno
La guerra segreta di Monti
di Gianluca Di Feo
Il governo ’tecnico’ ha autorizzato gli aerei italiani a bombardare l’Afghanistan. Una strategia che dovrebbe preparare il nostro futuro disimpegno, ma che si sta trasformando in un’escalation drammatica e costosissima *
L’ultima battaglia si è combattuta a inizio agosto, per colpa di un convoglio Usa che si è ostinatamente infilato nella valle sbagliata. Il comando italiano di Herat, che da anni gestisce la regione occidentale dell’Afghanistan e conosce i pericoli di queste strade, aveva cercato di mettere in guardia gli alleati. Ma la colonna americana non ha rinunciato alla spedizione e dopo pochi chilometri la massicciata si è sbriciolata: un mezzo corazzato da dieci tonnellate è finito in una scarpata. Una festa per i talebani, corsi a colpire il reparto intrappolato. E un incubo per le truppe della Nato: cinque giorni di bombe e sparatorie, con tre bersaglieri feriti, un elicottero semidistrutto e tre blindati in fiamme.
Tutto è accaduto nella prima delle zone strategiche dove si sta ammainando il tricolore. Oggi il nostro contingente è nel pieno della "transizione", nome burocratico per indicare la lenta ritirata che si chiuderà nel 2014: nessuno al vertice della Nato crede che l’esercito di Kabul possa difendere da solo le postazioni che gli stiamo consegnando. Il costo di questa guerra però è diventato insostenibile per l’Alleanza atlantica. Anche l’Italia ha già pagato un prezzo altissimo: finora 4,28 miliardi di euro e 51 vite umane. Mentre la sicurezza resta un’illusione, poco più che uno slogan.
SALVATE IL CONVOGLIO. Questa estate è stata caldissima per i nostri militari, 4.200 tra uomini e donne che devono sorvegliare una zona grande quanto l’Italia settentrionale. Una delle emergenze più drammatiche è stata provocata proprio dal convoglio americano imprigionato. Tutta colpa di un Buffalo, un veicolo corazzato a prova di bomba che ha fatto cedere la strada, bloccando un’altra dozzina di blindati. In piena notte, un elicottero spagnolo è sceso per portare i primi aiuti ma il terreno si è rivelato troppo fragile anche per il velivolo Super Puma, che si è ribaltato. A quel punto è scattata la massima emergenza. Pure i talebani sono stati informati della situazione e non hanno perso tempo, seminando le vie d’accesso di micidiali ordigni Ied. Le colonne di soccorso di bersaglieri e marines ne hanno subito incassati due, poi sono finite sotto il tiro dei kalashnikov. Intanto due grandi elicotteri italiani Chinook hanno agganciato il velivolo spagnolo, portandolo via in volo. E solo dopo due giorni di scontri una gru dei nostri genieri è riuscita a tirare il Buffalo fuori dalla scarpata. La marcia è ripresa, ma per poco. Un’altra bomba ha distrutto le ruote del veicolo di testa, mentre i guerriglieri ricominciavano a fare fuoco. Troppo pericoloso avvicinarsi: i rifornimenti di acqua e munizioni sono stati paracadutati. Poi all’alba gli americani hanno fatto saltare in aria il mezzo danneggiato e sono ripartiti, mentre nuove squadre di rinforzo si dirigevano verso il convoglio, accolte da mine e raffiche. L’ultimo agguato ha preso di mira i bersaglieri della Garibaldi: una carica esplosiva contro un blindato Lince ha ferito tre soldati che hanno salvato la pelle grazie alla prontezza della loro reazione. L’odissea per arrivare alla fortezza di Qal-E-Now è durata cinque giorni, mentre caccia statunitensi F-18, elicotteri da battaglia Mangusta e bombardieri Amx italiani si sono alternati per tenere a distanza i miliziani.
TIRO ALLE ANTENNE. Anche i jet dell’Aeronautica adesso usano le bombe: il tabù degli attacchi dal cielo è stato fatto cadere dal governo Monti a fine gennaio. Da allora i jet italiani decollano con gli ordigni sotto le ali. Gli Amx si sono specializzati nella distruzione delle antenne, con cui i talebani potenziano la loro rete di comunicazioni: incursioni con ordigni di precisione, pianificate con cura per evitare rischi ai civili. Quando però ci sono reparti nei guai, allora i raid diventano ravvicinati: a luglio una formazione di bersaglieri e soldati afghani è caduta in trappola, con raffiche e razzi da tre lati. Solo le bombe dei caccia italiani hanno impedito che l’agguato si trasformasse in strage. A luglio ci sono state oltre 120 missioni degli Amx tra ricognizioni e sostegno ai reparti. E anche queste azioni sono il segno dell’escalation che accompagna "la transizione", senza dimenticare i raid non stop degli elicotteri Mangusta: hanno già superato 7 mila ore di volo, sparando milioni di proiettili.
La Cosa Bianca celebra il montismo
“La sua cifra per la Terza
Repubblica”
di Paolo Berizzi (la Repubblica, 20 agosto 2012)
Monti come De Gasperi. Sostenuto da un nuovo, ormai avviatissimo blocco centrista - Cosa Bianca o chiamatelo come volete. E comunque sì, quel contenitore cattolico che si prepara per le elezioni del 2013, spianando la strada a un sempre meno improbabile (nonostante le smentite dell’interessato) impegno dell’attuale premier nella prossima legislatura. Perché - come sintetizza il ministro per la Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi - «la Terza Repubblica ha bisogno della cifra politica che Monti rappresenta, e che riporta alla memoria la figura di De Gasperi». Ecco, al di là e al netto delle suggestioni commemorative, è proprio a questo che serviva il convegno degasperiano organizzato a Trento nell’anniversario della morte del fondatore della Dc (da Pieve Tesino).
Anzitutto, come voleva l’ideatore dell’iniziativa, il governatore Lorenzo Dellai, ha segnato una nuova tappa di avvicinamento alla nascita ufficiale (il congresso costituente è previsto a novembre) del “partitone” al quale stanno lavorando da tempo Casini e Fini (assieme a Beppe Pisanu). E poi, appunto, quale migliore occasione per scaldare l’investitura del «nuovo De Gasperi»: Monti, «anche lui europeista», uno che - per dirla ancora con Riccardi - «sa legare politici e tecnici, laici e cattolici», che «pensa alle nuove generazioni più che al consenso e parla un linguaggio politico concreto».
Lo slogan dei nuovi centristi degasperomontiani («il bipolarismo ha fallito, ha prodotto solo disastri») è sotto la luce del sole: manca solo il nome del partito. Né devono sorprendere i dettagli. Dellai, il cui nome è dato per certo nell’organigramma del nuovo soggetto politico, ha voluto accanto a sè, oltre a Riccardi, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il presidente delle ACLI Andrea Olivero. «Siamo amici da tanto tempo», dicono i quattro. Chiedono al titolare della Cooperazione chi dei suoi colleghi vedrebbe bene nella nuova avventura politica. Risposta: «Non so, però Dellai mi è simpatico...». Dal canto suo il ministro si dice indisponibile, così come Bonanni, alla candidatura. Particolari trascurabili rispetto ad altre «coincidenze».
Dopo averlo già citato in più di un’occasione recente, pubblica e privata, ieri Monti ha chiuso il suo intervento al Meeting di Rimini leggendo il passaggio di un discorso del padre della Dc: siamo nel 1950, piena ripresa economica e De Gasperi è presidente del consiglio. Sessantadue anni dopo, in mezzo alla crisi europea, a tessere la tela del Professore c’è un partito che sta nascendo. Che abbraccerà ministri dell’attuale governo ma anche forse forze esterne che attendono in panchina o ai blocchi di partenza (Montezemolo, Marcegaglia, lo stesso Olivero). Guai, però, a chiamarlo “partito di Monti».
«L’epoca dei partiti personali è finita - ragiona Dellai, già tra i fondatori della Margherita - ma una cosa è certa: il futuro della politica è la sintesi tra tecnici e politici». Più chiaro di così. «Stenderemo un documento su Trento con i nomi dei promotori». La domanda che tutti si fanno è: ci sarà anche Gianfranco Fini? Il presidente della Camera sabato ha studiato bene la sua apparizione a Pieve Tesino per l’annuale commemorazione della morte di De Gasperi. Dellai non lo ha accolto proprio calorosamente (è arrivato addirittura in ritardo) e ieri si è guardato bene dall’invitarlo.
Perché De Gasperi parlava di un «centro che guarda a sinistra e non ha mai voluto fare accordi con la destra». Sul tema, o nei dintorni, aleggia anche una frase del ministro Riccardi. Che a proposito di anti europeismo dice: «I rigurgiti di fascismo sono il nuovo nemico dell’Europa assieme alla irrilevanza». Una stoccata al presidente della Camera la riserva anche Matteo Renzi: «Come erede di De Gasperi è più credibile il mago Otelma». Sulle prove tecniche del Grande Centro, intanto, piovono le critiche dal Pdl. «Usano De Gasperi per coprire l’alleanza con Bersani e Vendola», chiosa il capogruppo Fabrizio Cicchitto.
LE MAPPE
La dissociazione tra politica e democrazia rappresentativa
Una volta l’arena politica era occupata dai partiti e i politici erano, di conseguenza, gli eletti dai cittadini. Ora i parlamentari si sono mascherati da "gente comune". Senza esserlo verametne. Così sono divenuti sempre più impopolari
di ILVO DIAMANTI *
LA DISSOCIAZIONE fra politica e democrazia rappresentativa. Si è ormai consumata. Anche se si continua a parlare "come se". Tutto fosse come prima. Quando l’arena "politica" era occupata dai partiti e i "politici", di conseguenza, erano gli eletti dai cittadini. Nelle liste promosse e proposte dai "partiti". Eppure non è così. Oggi in modo particolarmente esplicito ed evidente. Basta riflettere sulle vicende al centro del dibattito "politico" in questi giorni. Anzitutto, la polemica intorno alla presunta trattativa fra Stato e mafia, che vede coinvolto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "intercettato" durante le indagini, da un lato. I magistrati di Palermo, titolari dell’inchiesta, dall’altro. Accanto ad essi, altri soggetti istituzionali importanti. La Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi sulla legittimità dell’intercettazione e, soprattutto, del suo uso ai fini dell’inchiesta. Inoltre, il capo del governo, Mario Monti, il quale ha parlato di "abusi" nell’ambito delle intercettazioni. E, ancora, l’Anm, intervenuta a sostegno dell’azione della Procura di Palermo. Ma potrei elencare altri nomi, di altre figure, titolari di altre cariche istituzionali. Uno per tutti: Mario Draghi. Protagonista delle vicende relative all’economia e ai mercati. Le questioni che attraggono maggiormente l’attenzione pubblica. Il discorso non cambierebbe di significato. Per l’assenza, pressoché totale, di leader e soggetti di partito. "Eletti" in assemblee "elettive". Segno che oggi la politica, in Italia, è guidata e influenzata da soggetti non direttamente espressi dai canali della rappresentanza democratica. Della democrazia rappresentativa.
Naturalmente, i magistrati (inquirenti, giudicanti e costituzionali) interpretano istituzioni e poteri "costitutivi" della democrazia. Che concorrono a "garantire" e sorvegliare. Il Presidente della Repubblica e il Capo del governo: hanno un ruolo di primo piano, nel sistema politico. E sono, ovviamente, espressi dagli organismi rappresentativi. Per primo: il Parlamento. I giornali e i giornalisti, gli intellettuali: sono gli attori protagonisti dell’Opinione Pubblica. Prerogativa e condizione essenziale della democrazia rappresentativa. A conferma, però, che i partiti, oggi, partecipano al "campo politico" in misura laterale e subalterna. Questa situazione è stata provocata, anzitutto, da comportamenti e situazioni di privilegio che la crisi economica ha reso ancor più inaccettabili, per i cittadini. Ma anche dall’importanza assunta, sulla scena politica, da altri ambiti e canali. Anzitutto i media e la televisione. I teleschermi hanno, infatti, sostituito le piazze, la comunicazione e l’immagine hanno rimpiazzato il rapporto diretto con il territorio e la società. I "politici", cioè gli uomini di partito, eletti nei parlamenti nazionali e anche locali, per conquistare il consenso, si sono mascherati da "gente comune". Senza esserlo veramente. Così sono divenuti sempre più impopolari.
Per conquistare voti, per vincere le elezioni, i "politici" si sono presentati come "antipolitici". Cioè: contro i partiti e i politici eletti nei partiti. Anche se, per essere eletti, hanno formato e fondato nuovi (anti) partiti. Un’altra importante causa di delegittimazione della politica e dei politici è di tipo "tecnologico". Questa, infatti, è l’epoca della Rete e del Digitale. Che influenzano tutto. L’economia, la politica, la vita quotidiana. I mercati: sono sempre aperti, dovunque. Scossi da emozioni e sentimenti a ciclo continuo. Fiducia e Sfiducia si propagano in tempo reale. E, si sa, Fiducia e Sfiducia sono il fondamento dei Mercati. Ma anche della Politica. Visto che la Politica, oggi, si fonda sull’andamento dei Mercati. Ed essa stessa, a sua volta, è un "mercato".
Le tecnologie della comunicazione: hanno trasformato anche e soprattutto le nostre abitudini quotidiane. Noi siamo in contatto con tutti, dovunque, in qualunque momento. Attraverso i computer, i telefoni cellulari, i tablet. E ora gli smartphone. Che sono computer, telefoni cellulari e tablet al tempo stesso. Tutti comunicano in tempo reale. Su Fb e Twitter. D’altronde, ciò che prima era custodito in immensi giacimenti cartacei oggi è digitalizzato. Conservato in archivi immateriali. Siamo nell’era dell’Opinione Pubblica sempre in Rete. In cui tutti possono parlare ed essere ascoltati. Intercettati. In cui ogni documento, anche il più segreto, può essere scrutato, captato e divulgato. In Rete. Dove le Democrazie temono l’eccesso di trasparenza e di libertà. Dove Assange e WikiLeaks diventano la peggiore minaccia per le Patrie della Democrazia e dei diritti, come gli Usa e l’Inghilterra. Dove una band di ragazze diventa un rischio inaccettabile per un potere centrale e centralizzato, come quello della Russia. Che, più della protesta in piazza, teme il "ridicolo" diffuso in Rete. E si ribella alla ribellione "pop". Pardon: punk.
In Italia, la rivoluzione digitale, la Rete, insieme alla degenerazione della Democrazia del Pubblico - portata alle estreme conseguenze da quasi vent’anni di berlusconismo - hanno minimizzato il ruolo e l’importanza dei "politici di partito". E dei "partiti politici". Oscurati dai Tecnici, dai Magistrati, dai Professionisti della Comunicazione. Non a caso, i soggetti politici di maggior successo, oggi, sono un Professore senza Partito, come Mario Monti (accolto con entusiasmo all’inaugurazione del Meeting di Rimini) e un protagonista della Rete e della Comunicazione (con grandi competenze nello spettacolo), come Beppe Grillo. Inseguito, a fatica, da un Magistrato Politico, come Di Pietro.
Personalmente, mi preoccupa l’eclissi della democrazia rappresentativa e dei soggetti che, tradizionalmente, la interpretano. Tuttavia, ritengo la democrazia diretta, che corre in Rete, utile a correggere e arricchire la democrazia rappresentativa. Non a sostituirla. Così, ci attendono tempi insidiosi. Perché non vedo futuro per la democrazia rappresentativa "senza" partiti. Ma neppure "con questi" partiti. Rischiamo altrimenti di assuefarci a una politica che si svolge fuori, oltre e sempre più spesso contro. I partiti.
* la Repubblica, 20 agosto 2012