Il potere di chi vota
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 01.09.2010)
Che la legge elettorale in vigore sia una «porcata» è stato detto proprio dal suo estensore, il ministro Calderoli. È lui che mi ha dato l’idea di battezzarlo Porcellum. Ed è una porcata nel senso che è una legge elettorale truffaldina: tale perché assegna un premio di maggioranza alla maggiore minoranza . Per esempio, se Berlusconi conseguisse alle prossime elezioni il 30 per cento del voti, e se nessun altro partito o coalizione arrivasse a tanto (al 30 per cento), Berlusconi otterrebbe alla Camera il 55 per cento dei seggi.
Ora, un premio di maggioranza è lecito se rafforza chi consegue la maggioranza assoluta dei voti (il 50 o più per cento); ma non se trasforma una minoranza elettorale in una maggioranza di governo. Su questo punto credo che anche i fautori del sistema maggioritario «secco » ( all’ inglese ) siano d’accordo. Eppure anche quel sistema trasforma spesso e volentieri, per esempio, un 40 per cento dei voti in una maggioranza di seggi in Parlamento.
In questo caso non c’è, beninteso , un premio di maggioranza; ma è il meccanismo del «primo che piglia tutto» dei sistemi uninominali che opera, di fatto, come un premio. Questa stortura viene invece eliminata dal sistema maggioritario a doppio turno. Non riesco pertanto a capire come mai i nostri fautori del maggioritario si ostinino a sostenere il sistema inglese invece del maggioritario a doppio turno del sistema francese. Il primo è distorcente, il secondo non lo è. E allora?
Le radici di questa ostinata anglofilia risiedono, credo, nell’errata persuasione che solo il maggioritario secco porti alla creazione di un sistema bipartitico. Ma questa persuasione è sicuramente sbagliata e ampiamente smentita dai fatti.
Già negli anni Sessanta correggevo le «leggi» di Duverger sull’influenza dei sistemi elettorali asserendo, sul punto, che i sistemi maggioritari a un turno «proteggono un sistema bipartitico che c’è, ma non trasformano in bi partitico un sistema multipartitico». La nostra esperienza con il Mattarell um, la l egge elettorale per tre quarti maggioritaria che ha preceduto il Porcellum, ha abbondantemente confermato la mia tesi.
Con il sistema proporzionale della prima Repubblica i partiti rilevanti sono stati 5-6; con il successivo Mattarellum si sono triplicati. Perché? La ragione di questa frantumazione l’ho spiegata (invano) non so quante volte. È che nei collegi uninominali i partitini acquistano un potere di ricatto che altrimenti non hanno. Sanno di non poter vincere, ma nei collegi «insicuri» dove lo scarto tra i maggiori partiti è piccolo, sanno che il loro voto è decisivo. Nasce così il sistema delle « desistenze » : ionon mi presento, mettiamo, in dieci collegi e tu, in contraccambio, mi assicuri un collegio ogni dieci. La frantumazione del nostro sistema partitico nasce così.
Sì, ripudiare il Porcellum è essenziale e doveroso. Ma tornare al maggioritario secco è tornare a una esperienza fallimentare. Ecco perché non posso firmare l’appello promosso dal professor Pietro Ichino. Ma sarei prontissimo a sottoscrivere un suo appello per un sistema elettorale maggioritario a doppio turno.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Legge elettorale: Attesa per primi voti. Napolitano: "Paradossale voto anticipato"
L’ex Capo dello Stato boccia l’accordo: ’Intesa dei 4 solo convenienza’
di Redazione *
E’ "abnorme" e "paradossale" il voto anticipato, tanto più frutto di un’intesa "extra-costituzionale" legata alla legge elettorale, da parte "di quattro leader di partito che agiscono solo calcolando le proprie convenienze".
Giorgio Napolitano pronuncia un sonoro "no". Nelle ore in cui la Camera, in un’Aula quasi deserta, avvia la discussione del nuovo sistema di voto "tedesco", arriva dall’ex capo dello Stato una netta e autorevole stroncatura dell’accordo siglato da Pd, M5s, Fi e Lega.
Matteo Renzi assicura di non avere "fretta di andare a elezioni". Purché, aggiunge, si continui ad "abbassare le tasse" con una "legge di bilancio che abbia la forza di quella del 2016". Ma le parole di Napolitano fanno sperare i piccoli partiti che, complici anche le incognite del voto segreto, puntano a far saltare la legge e bloccare il ritorno alle urne.
Poco meno di una ventina di deputati, su 630, prende parte alla discussione generale della legge elettorale nell’emiciclo di Montecitorio. Ma a tradire i nervosismi della vigilia delle prime votazioni, previste oggi all’ora di pranzo, c’è un ruvido botta e risposta tra Beppe Grillo e il Pd.
Il leader M5s infatti, parlando con gli operai Ilva a Taranto, dice che la legge elettorale "non la capisce nessuno". Poi si corregge e spiega che il tema è "complicato" ma il lavoro sul testo è "certosino" e il testo che emerge è "costituzionale". Ma il Pd teme che dietro i 15 emendamenti presentati da M5s si celi la voglia di mettere in discussione qualche punto dell’accordo.
E Lorenzo Guerini avverte: "Per noi l’accordo è valido se nessuno si sfila". Se uno dei quattro partiti vota "contro, anche su un punto marginale", sottolinea Ettore Rosato, l’accordo salta. Ma nell’accordo non c’è, assicura Matteo Richetti, il ritorno alle urne: "Nessun automatismo".
Ma è la mancanza di una legge elettorale uniforme l’unico vero ostacolo al ritorno al voto. Perciò i piccoli partiti denunciano che il giorno dopo l’approvazione del "tedesco" i quattro "grandi" saranno pronti a dichiarare finita la legislatura. Pier Luigi Bersani, che con Giuliano Pisapia lavora al non facile percorso per il nuovo soggetto della sinistra, la racconta così: "L’accordo è votare subito. Chi non sta governando pensa di lucrare un po’ di voti, chi sta governando non vuole fare la legge di stabilità: fa impressione l’assenza di responsabilità". La corsa alle urne nasce dai "capricci di uno che vuole tornare a fare il presidente del Consiglio", attacca Enrico Letta con implicito riferimento a Renzi.
E Napolitano dettaglia con durezza le sue critiche: "In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature", mentre le urne nei mesi della manovra rischiano di alimentare "instabilità" e minare la credibilità. Di più, afferma l’ex capo dello Stato: è "extra-costituzionale" il patto a quattro siglato da Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini per una legge che "rende più difficile la governabilità" e il ritorno al voto. Perciò l’ex presidente si augura che al Senato la discussione sia vera. Alle sue parole il Pd sceglie di non replicare, mentre Renato Brunetta da FI le definisce una "sterile polemica".
Angelino Alfano prova intanto a incalzare: il testo è "incostituzionale", anche perché usa i collegi del Mattarellum, disegnati 25 anni fa, nel 1993. Nessuna incostituzionalità, assicura il Pd: "Se ci fosse stato lo sbarramento al 3% Ap sarebbe stato a favore", dice Rosato. Ma proprio sui collegi i quattro grandi partiti stanno ancora lavorando: in Aula il relatore Emanuele Fiano potrebbe presentare un emendamento che modifica quelli del Senato e li riduce dai 112 attuali, ai 100 dell’Italicum. Un altro emendamento, già ribattezzato "salva Mdp", permetterà ai neonati gruppi della sinistra di presentare liste senza raccogliere le firme, come tutti gli altri gruppi. Ma sui cardini dell’intesa, avvertono i Dem, non possono esserci modifiche. Perciò, di fronte alle richieste di M5s di introdurre il voto disgiunto e le preferenze e di fronte alle perplessità di alcuni di Fi sulla parità di genere, i Dem avvertono che se cambia qualcosa salta tutto. Occhi puntati, dunque, sui voti a scrutinio segreto, possibili sui temi più delicati: ne va del destino dell’intera legge.
Renzi pronto a vedere Berlusconi
Legge elettorale, il segretario Pd disponibile a incontrare anche Grillo: “Ora o mai più”
Accelerazione sul modello tedesco e sul voto a fine settembre, ma Alfano punta i piedi
di Carlo Bertini Ugo Magri (La Stampa, 26.05.2017)
Non di nascosto ma alla luce del sole, Matteo Renzi è pronto a incontrare tutti gli altri leader. Tutti: compreso Silvio Berlusconi e, perché no, Beppe Grillo (se i Cinquestelle volessero farsi guidare da lui nella trattativa). Per parlare di legge elettorale e, qualora si delineasse una vasta intesa sul modello proporzionale «alla tedesca», del modo più rapido per concludere questa sfortunata legislatura. Gli incontri si susseguiranno fino a lunedì perché il giorno seguente Matteo vuole andare nella direzione del suo partito, tirare le somme e zittire gli eventuali malpancisti. C’è il clima tipico delle grandi vigilie e delle svolte ineluttabili.
Tutti ci credono
Ufficialmente il Pd tiene ancora vivo il «Rosatellum», mezzo maggioritario e mezzo proporzionale, con Renzi che chiederà ai suoi interlocutori cosa ne pensano. Ma conosce già la risposta: tutto il peggio possibile. Per cui passerà subito alla sostanza, cioè quel «tedesco» che ha sempre più ammiratori perché, come segnala la vecchia volpe Franceschini, «è l’unico treno capace di arrivare alla meta». Oltre a Pd , Forza Italia e Mdp, per un motivo o per l’altro non sono ostili M5S e Lega. Unico irriducibile rimane Alfano, che vede nella soglia del 5 per cento un sopruso ai suoi danni. Potrà da solo rappresentare il classico granello che blocca l’ingranaggio? In casa Renzi qualche ansia si coglie, perché l’alleato di governo non può essere preso a pedate. E poi, i tempi sono terribilmente stretti.
Per votare il 24 settembre, insieme con la Germania, le Camere andrebbero sciolte entro luglio. Per quella data ci vorrebbe una legge elettorale già in «Gazzetta Ufficiale» e con i collegi ridisegnati: impresa da Guinness. Al momento la discussione si svolge in commissione alla Camera. Ben che vada, la legge arriverà in aula il 10 giugno. Poi passerà in Senato. Per rispettare la tempistica, l’intesa dovrebbe essere non solo blindata, ma fatta rispettare con la precisione di un cronografo elvetico. Il rischio che salti tutto è presente allo stesso Matteo: «Se a luglio dovesse essere bocciata la riforma, non se ne farebbe più nulla». Toccherebbe andare alle urne con le due leggi amputate dalla Consulta, previo un mini-decreto correttivo delle parti più inconciliabili. A Renzi tutto sommato non dispiacerebbe, perché con i «consultelli» il Pd ci guadagna. Ma è proprio questo che tiene sulle spine il Cav.
I dubbi di Silvio
Berlusconi ha due timori. Il primo è che Salvini e Meloni lo prendano di mira accusandolo di «inciucio» coi «comunisti». Per questo già mette le mani avanti e nega Patti del Narareno (Renzi, con più ironia, si scrolla i sospetti citando «Cara ti amo» di Elio e le Storie Tese: qualunque cosa lui dica, agli altri non sta mai bene). Berlusconi poi sospetta che l’altro tenti nuovamente di buggerarlo: questa volta sfruttando l’esca del sistema tedesco (che a Forza Italia fa gola) per andare al voto con l’altro sistema. Nonostante questi fantasmi, il clima tra i due eserciti è cameratesco. Rosato (capogruppo Pd) procede a braccetto con l’ex nemico Brunetta, il testo della legge lo stanno limando insieme. E casomai non si dovesse fare in tempo a votare il 24 settembre, già spunta un’altra data: il 22 ottobre. Il Colle teme che non ci sarebbe più tempo per approvare la Finanziaria entro l’anno, scatenando l’ira di Bruxelles. Per Renzi, è un problema che non esiste: pure Germania e Austria votano in autunno, ma con loro nessuno ha da ridire...
Da “delinquente naturale” ad alleato abituale del Pd: ricordate chi è Berlusconi?
Amnesie - Il Caimano torna sulla scena come interlocutore dell’ex rottamatore per fare la legge elettorale e da argine al “populismo”. Ma il suo passato è tutto una macchia
di Gianni Barbacetto (Il Fatto, 25.05.2017)
Silvio torna. Sì, Berlusconi si prepara a essere di nuovo al centro della vita politica italiana. Come leader del suo schieramento, che non ha trovato un “federatore”. Ma anche come interlocutore privilegiato, anzi unico, del centrosinistra di Matteo Renzi, per fare la legge elettorale. Intendiamoci: nel centrosinistra per vent’anni hanno ripetuto che non bisognava demonizzarlo. Ma allora almeno qualcuno c’era a ricordare ogni giorno i conflitti d’interessi, le amicizie pericolose, le indagini penali. Del resto, occupava la scena politica e parlare con lui, se non trattare con lui, poteva apparire scelta obbligata.
Oggi invece il sistema politico di cui Berlusconi era diventato il perno è saltato, la scena è cambiata, le sue forze si sono ridotte, le sue schiere sfrangiate, il bipolarismo non c’è più. Eppure c’è chi cerca un nuovo patto del Nazareno. Il leone è invecchiato, ha incassato sonore sconfitte, si è indebolito politicamente, è stato sostituito da nuovi narcisismi a Palazzo Chigi. Ma tutto questo sembra valergli una sanatoria generale, una amnistia della memoria. Il Caimano è dimenticato, oggi Silvio è un partner strategico con cui Renzi può fare argine al male assoluto: il “populismo”. Forse vale però la pena di fare un esercizio di memoria e di ricordare chi è Silvio Berlusconi, il politico unfit all’estero, pregiudicato in Italia.
La sentenza che lo butta fuori dalla scena politica (per ora) è del 1 agosto 2013: la Corte di cassazione conferma 4 anni di pena per frode fiscale. Perché ritiene provato al di là di ogni ragionevole dubbio che Berlusconi, quando già era in politica e formalmente non più alla guida delle sue società, abbia nascosto cifre imponenti al fisco italiano e agli altri azionisti di Mediaset. La condanna riguarda “solo” 7,3 milioni di euro, occultati negli anni 2002 e 2003. Altri 6,6 milioni (del 2001) sono stati cancellati dalla prescrizione. Ma in totale, scrivono i giudici, “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” sono di ben “368 milioni di dollari”. Nella sentenza di primo grado, i giudici scrivono che l’imputato ha una “una naturale capacità a delinquere”. Può essere richiamato in scena, come alleato politico, un personaggio che ha nascosto al fisco 368 milioni di dollari?
Ma è lunga la storia imprenditoriale e politica di Berlusconi, che spesso coincide con la sua storia giudiziaria: 35 procedimenti penali, sette prescrizioni, una amnistia, due proscioglimenti per leggi modificate su misura in corso d’opera, quattro processi ancora in corso. Tra questi, il Ruby 3, per aver pagato testimoni affinché mentissero al processo Ruby 1 (per concussione e prostituzione minorile, nel quale è stato assolto anche grazie al cambiamento della legge sulla concussione).
Certo è stata ormai dimenticata la sentenza che condanna il suo vecchio avvocato, Cesare Previti, per aver comprato la sentenza che ha fatto diventare proprietà di Berlusconi la Mondadori, la più grande casa editrice italiana. Per lui è arrivata la prescrizione, grazie alle attenuanti generiche: ma che la sentenza sia stata comprata da Previti, per Berlusconi e con i soldi di Berlusconi, è provato, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Per non andare troppo indietro nel tempo, della Prima Repubblica possiamo qui ricordare solo una delle mazzette che hanno fatto la storia di Tangentopoli: ma è la mazzetta più grande pagata a un singolo uomo politico, 23 miliardi di lire a Bettino Craxi, segretario del Psi e gran protettore del Silvio Berlusconi diventato padrone unico delle tv private italiane. Il processo All Iberian si è concluso con un’ennesima prescrizione (grazie alla generosità del giudice che gli ha concesso le attenuanti generiche, dimezzando così i termini), ma il finanziamento illecito dei 23 miliardi è stato riconosciuto provato. Delicato il capitolo palermitano della irresistibile ascesa dell’imprenditore diventato politico.
È in carcere per mafia Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi e ideatore di Forza Italia, condannato nel 2014 a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, per aver fatto da mediatore tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra, a cui giungevano finanziamenti da Arcore. Ma già una sentenza irrevocabile del 1997 stabiliva, condannando per associazione mafiosa l’uomo d’onore Pierino Di Napoli, che certamente la Fininvest di Silvio Berlusconi versava ogni anno 200 milioni di lire a Cosa Nostra per la “protezione delle antenne tv in Sicilia”. I soldi passavano da Dell’Utri al suo amico Gaetano Cinà, che poi li consegnava a Pierino Di Napoli, il quale andava dal boss Raffaele Ganci con un sacchetto di plastica e gli diceva: “Raffaele, questi i soldi delle antenne”. Poi - dice la sentenza - Ganci si presentava da Totò Riina e gli consegnava il pacchetto: “Zu’ Totuccio, vedi che Pierino ha portato i soldi delle antenne”. (Particolare temporale: i versamenti sono continuati anche dopo il 1992, anno della strage in cui è morto Giovanni Falcone, di cui ora Berlusconi si dice tifoso. Tanto tifoso da continuare a versare 200 milioni ai suoi assassini).
Una volta arrivato ai cieli della politica, Silvio ha anche comprato un paio di senatori, nel 2008, per far cadere Romano Prodi e tornare al governo. Una lunga carriera, quella di Silvio, ieri “delinquente naturale”, oggi naturale alleato. Matteo Renzi intanto se la cava con una battuta: “Andrei a cena con Berlusconi, Salvini e D’Alema? Certo avrei delle cose da chiedere a tutti e tre, a Berlusconi del Patto del Nazareno... Ma sono a dieta”.
DIECI COLTELLATE. MINIMA UNA GUIDA AL REFERENDUM *
Intitolare questi brevi ragionamenti "dieci coltellate" e’ un espediente retorico: a indicare la necessita’ e l’urgenza di squarciare la cortina delle menzogne ed uscire dalla subalternita’ al discorso dominante che e’ il discorso falso e fraudolento della classe dominante che tutte e tutti ci opprime.
Indicheremo qui di seguito tre trappole in cui non cadere (la trappola delle velocita’, la trappola del risparmio, la trappola della governabilita’), formuleremo tre elogi (del perfetto bicameralismo, della rappresentanza proporzionale, del costituzionalismo nemico dell’assolutismo), dichiareremo tre beni irrinunciabili (la repubblica parlamentare; lo stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri; la democrazia, ovvero la sovranita’ popolare) e giungeremo a una conclusione che ci sembra coerente e doverosa: il 4 dicembre votare No al golpe degli apprendisti stregoni; difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana.
E valga il vero.
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1. La trappola della velocita’
Quando si prendono decisioni importanti non si discute mai abbastanza. Quando si fanno le leggi, piu’ ci si pensa e meglio e’. La democrazia e’ un processo decisionale lento e paziente; come scrisse Guido Calogero si contano tutte le teste invece di romperle. Solo le dittature sono veloci, velocissime, e il frutto di quella velocita’ e’ sempre e solo la schiavitu’ e la morte di innumerevoli esseri umani.
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2. La trappola del risparmio
Da quando in qua per risparmiare quattro baiocchi occorre massacrare la Costituzione, che e’ la legge a fondamento di tutte le nostre leggi, la base del nostro ordinamento giuridico e quindi della nostra civile convivenza? Da quando in qua per risparmiare quattro baiocchi occorre distruggere la forma istituzionale repubblicana del nostro paese e sostituirla con la dittatura del governo, ovvero con la dittatura del capitale finanziario transnazionale di cui il governo in carica e’ servo sciocco? Per ridurre i costi dell’attivita’ parlamentare basterebbe una legge ordinaria che riduca gli emolumenti a tutti i parlamentari portandoli a retribuzioni ragionevoli.
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3. La trappola della governabilita’
Cio’ che si nasconde dietro la parola magica - ovvero la cortina fumogena - della "governabilita’" altro non e’ che il potere dei potenti di imporre la loro volonta’ e i loro abusi senza opposizioni e senza controlli. La governabilita’ non e’ ne’ un valore ne’ un bisogno in nome del quale devastare la democrazia, lo stato di diritto, i diritti civili, politici e sociali che ad ogni persona appartengono.
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4. Elogio del perfetto bicameralismo
In un parlamento due camere sono meglio di una: se nell’una si commette un errore l’altra puo’ correggerlo; se nell’una prevale un’alleanza di malfattori, l’altra puo’ contrastarla. Due camere si controllano reciprocamente. Cosi’ si sbaglia di meno. Benedetto sia il bicameralismo perfetto.
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5. Elogio della rappresentanza proporzionale
In una democrazia il potere e’ del popolo che lo esercita attraverso i suoi rappresentanti. Il parlamento che fa le leggi in nome del popolo deve essere rappresentativo di esso in modo rigorosamente proporzionale. Se invece una minoranza si appropria della maggioranza dei seggi quel parlamento non e’ piu’ democratico, diventa solo la foglia di fico di un regime oligarchico. E se il governo si sostituisce al parlamento nella sua funzione legislativa non solo quel parlamento diventa una foglia di fico a tentar di occultare l’oscenita’ del potere reale, ma quel potere non e’ piu’ ne’ democratico ne’ repubblicano, e’ diventato un’autocrazia. Benedetta sia la rappresentanza proporzionale.
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6. Elogio del costituzionalismo, nemico dell’assolutismo
Il fine e il senso di ogni Costituzione e’ impedire o almeno limitare gli abusi dei potenti. Nelle societa’ divise in classi di sfruttatori e sfruttati, di proprietari ed espropriati, di governanti e governati, chi esercita funzioni di governo e’ costantemente esposto alla forza corruttiva del potere. Nessun potere deve essere assoluto, ogni potere deve avere limiti e controlli. Benedetto sia il costituzionalismo, nemico dell’assolutismo.
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7. Una repubblica parlamentare, non una dittatura
Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l’effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) mutila ed esautora il parlamento e si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia’ detiene, viene meno la repubblica parlamentare. Ma per noi la repubblica parlamentare e’ un bene irrinunciabile.
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8. Uno stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri
Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l’effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia’ detiene, annienta la separazione e il controllo dei poteri, che sono il fondamento dello stato di diritto. Ma per noi lo stato di diritto, ovvero la separazione e il controllo dei poteri, e’ un bene irrinunciabile.
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9. Una democrazia, ovvero la sovranita’ popolare
Se il governo attraverso la riforma costituzionale, la riforma elettorale ed il loro "combinato disposto" (ovvero l’effetto sinergico delle norme contenute nelle due riforme) riduce il parlamento a un giocattolo nelle sue mani, si fa un senato non piu’ eletto dal popolo, si fa una camera dei deputati in cui una minoranza rapina la maggioranza assoluta dei seggi, si appropria di fatto del potere legislativo e lo somma a quello esecutivo che gia’ detiene, la sovranita’ popolare e’ annichilita e con essa la democrazia. Ma per noi la democrazia, ovvero la sovranita’ popolare, e’ un bene irrinunciabile.
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10. No al golpe, difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana
Nel referendum del 4 dicembre si vota per dire si’ o no al golpe. Chi vota si’, come vuole il governo degli apprendisti stregoni, accetta il golpe che distrugge il parlamento eletto dal popolo, lo stato di diritto, la democrazia costituzionale. Chi vota no, contro la volonta’ del governo degli apprendisti stregoni, difende il parlamento eletto dal popolo, lo stato di diritto, la democrazia costituzionale, e quindi si oppone al golpe. No al golpe. No al fascismo. No alla barbarie. Al referendum votiamo No. Senza odio, senza violenza, senza paura. Difendiamo la Costituzione della Repubblica italiana.
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Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 21 ottobre 2016
Mittente: "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, -e-mail: nbawac@tin.it, centropacevt@gmail.com, centropaceviterbo@outlook.it
Italicum fatto e disfatto, con la regia dell’ex
Legge elettorale. Napolitano adesso vede i difetti della «sua» legge. Renzi è pronto a cambiarla. Guardando alla Consulta. L’ex capo dello stato ha nominato cinque giudici costituzionali, compresi presidente e relatore
di Andrea Fabozzi (il manifesto, 11.09.2016)
ROMA Il giorno in cui il suo successore al Quirinale Sergio Mattarella firmò, molto velocemente, la nuova legge elettorale, Giorgio Napolitano dal suo studio di senatore a vita commentò: «È un raggiungimento importante, era inevitabile approvare l’Italicum che del resto non è arrivato in un mese ma in oltre un anno». Tutti i giornali riportarono con evidenza questa benedizione dell’ex capo dello stato e nessuno ci trovò niente di strano. Era stato lui con i suoi discorsi pubblici contro le «zavorre», le «paralisi» e i «frenatori» a spingere il parlamento ad approvare questa riforma elettorale assieme alla legge di revisione costituzionale.
Era stato lui a voltarsi dall’altra parte quando il governo forzava i lavori parlamentari, sostituiva parlamentari «dissidenti» in commissione e quando le opposizioni salivano al Colle per protestare o gli rivolgevano pubblici appelli. Ed era stato ancora lui, nel gennaio 2015, ad aiutare il governo ritardando di due settimane le sue annunciate dimissioni, in modo da consentire - prima dell’elezione di Mattarella in seduta comune e prima dunque della rottura tra Renzi e Berlusconi - il decisivo e delicato passaggio dell’Italicum in senato.
Ieri Giorgio Napolitano ha spiegato al direttore di Repubblica che ci sono diversi aspetti dell’Italicum che «meritano di essere riconsiderati». Non solo. Ha invitato Renzi ad assumere un’iniziativa, «una ricognizione tra le forze parlamentari per capire quale possa essere il terreno di incontro per apportare modifiche alla legge elettorale». Ha sottolineato il difetto secondo lui principale dell’Italicum: «Si rischia di consegnare il 54% dei seggi a chi al primo turno ha preso molto meno del 40% dei voti». E ha indicato una possibile soluzione: «C’è in questo momento una sola iniziativa sul tappeto, è di esponenti di minoranza del Pd tra i quali Speranza». Si tratta di una proposta per modificare il vecchio Mattarellum in senso ulteriormente maggioritario. Ma si tratta della stessa minoranza Pd che aveva contrastato all’epoca l’Italicum, sentendo il presidente della Repubblica Napolitano tuonare contro le «spregiudicate tecniche emendative» in difesa dell’integrità dei testi del governo.
Durante l’ultimo passaggio dell’Italicum alla camera dei deputati, tra l’aprile e il maggio dello scorso anno, i bersaniani del Pd tentarono di introdurre nella legge elettorale un quorum minimo per accedere al ballottaggio, di recuperare gli apparentamenti al secondo turno, di cancellare le pluricandidature. Con l’appoggio delle opposizioni avrebbero potuto farcela. Il momento era delicato. Il senatore a vita Napolitano si fece risentire con poche parole: «Guai se si ricomincia da capo». Il governo mise la fiducia - mossa clamorosa e secondo molti costituzionalisti illegittima - la legge elettorale passò nella forma che Napolitano, oggi, vuole modificare.
E vuole modificare perché, ha spiegato a Repubblica, «rispetto a due anni fa lo scenario politico è mutato... nuovi partiti in forte ascesa hanno rotto il gioco di governo tra due schieramenti» si rischia «che vada al ballottaggio chi al primo turno ha ricevuto una base troppo scarsa di legittimazione col voto popolare». Ed è così: la legge pensata per il bipolarismo e sull’onda del Pd al 40% alle elezioni europee del 2014, può essere sperimentata per la prima volta (perché è applicabile da appena un paio di mesi, malgrado sia stata imposta al parlamento a tappe forzate) in un quadro pienamente tripolare. Ha ragione l’ex capo dello stato, solo che il bipolarismo che era fortissimo all’epoca della sua prima elezione al Quirinale, nel 2006, era già completamente svanito all’epoca della sua seconda, nel 2013. I 5 Stelle erano una realtà forte quanto e anzi molto di più del centrodestra anche prima che Napolitano inaugurasse la sua regia sulle riforme, con il Letta e con Renzi. Napolitano non se n’era accorto? Può darsi, del resto era stato lui stesso a negare l’evidenza del successo grillino alle amministrative precedenti. «Non vedo nessun boom» fu la sua frase celebre.
L’intervento di Napolitano, malgrado tutto, potrebbe essere ancora una volta decisivo. Il presidente del Consiglio, che fino a qui aveva aperto timidi spiragli, concede immediatamente la sua piena e «sincera» disponibilità a cambiare la legge. Lo fa con un’intervista al TgNorba (era a Bari, a inaugurare la fiera del Levante). «L’Italicum non piace? E che problema c’è - dichiara lo stesso Matteo Renzi che sull’Italicum ha messo la fiducia - discutiamolo, approfondiamola, ma facciamo una legge elettorale migliore di questa». Dietro di lui, e dietro Napolitano, è come se si aprissero le cateratte del cielo. Un po’ tutti gli esponenti di maggioranza che l’anno scorso giuravano sulla perfezione dell’Italicum, sono prontissimi a cambiarlo - si notano in particolare i ministri Franceschini e Alfano - e tutti lo fanno raccomandando un dibattito «non strumentale». Ma è evidente l’interesse del governo, che di certo non riuscirà a cambiare la legge elettorale prima del referendum, ma che in questo modo offre l’impressione di una disponibilità che può aiutarlo a recuperare consensi per il Sì.
E poi c’è un altro aspetto: il punto che - adesso - Napolitano critica della legge elettorale è proprio uno dei due che la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare il 4 ottobre. Se le questioni di incostituzionalità avanzate dagli avvocati coordinati da Besostri dovessero essere accolte dalla Corte, la legge sarebbe migliorata eppure resterebbe una brutta legge. Il compromesso è evidentemente appoggiato da Napolitano, che quando era al Quirinale ha nominato cinque degli attuali giudici costituzionali (un terzo), compresi presidente (Grossi) e relatore (Zanon).
Italicum
Un duro colpo alla democrazia
di COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE*
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale giudica l’approvazione, il 4 maggio scorso, della legge elettorale "Italicum" un gravissimo danno all’assetto democratico della Repubblica.
È legge voluta e imposta da una stretta minoranza del Parlamento, appena un quarto dei voti scrutinati, ingigantito dal premio di maggioranza del Porcellum, a sua volta sanzionato dalla Corte costituzionale.
Questo Parlamento, eletto con una legge dichiarata incostituzionale in alcuni punti essenziali, aveva il dovere di procedere con cautela e con ampi consensi e la necessaria consultazione; invece è stato prodotto per volontà di Renzi uno strappo pesante che ha lacerato il suo stesso partito e che ha portato all’approvazione dell’Italicum da parte di una maggioranza di deputati che in realtà hanno ricevuto una minoranza di voti dagli italiani.
Come già il Porcellum, la nuova legge Italicum trasforma una minoranza in una maggioranza, che potrebbe essere smisurata rispetto ai voti effettivamente ottenuti al primo turno e aggrava il peso del premio attribuendolo a un solo partito invece che a una coalizione. Così il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto è demolito.
Il voto che va al partito che prevarrà sia pure di poco conterà molto di più di quello attribuito a tutti gli altri: il primo avrà d’ufficio 340 seggi, tutti gli altri dovranno dividersi i restanti 290. Con questi numeri la falsa maggioranza potrà arrivare a scegliersi un futuro Presidente della Repubblica di suo gradimento, influire pesantemente sulla composizione della Corte costituzionale e il Consiglio superiore della Magistratura. Così gli organi di garanzia saranno in mano al capo del governo, cui una nuova legge si appresta ad attribuire poteri sostanziali sulle reti televisive pubbliche.
Con questa legge avremo una Camera i cui due terzi saranno nominati dalle segreterie di partito invece che scelti dai cittadini. Gli eletti, che dovranno l’elezione al capo del loro partito, gli obbediranno ciecamente quando sarà capo del governo e si realizzerà così ciò che Leopoldo Elia aveva chiamato "premierato assoluto", riducendo drasticamente il potere legislativo del Parlamento e attribuendo poteri senza limiti e senza controllo al governo e in particolare al presidente del Consiglio. Si cambia la forma di governo fino a distorcere la forma dello Stato.
Allo stesso tempo la partecipazione dei cittadini viene relegata al voto ogni 5 anni, perché la maggioranza parlamentare potrà ignorare il confronto con le parti sociali e in particolare con il sindacato come è già accaduto in questi mesi imponendo i propri provvedimenti al Paese. Questo finisce con il mettere in seria discussione la stessa prima parte della Costituzione, perché meccanismi istituzionali accentrati e autoritari possono essere il veicolo per rimettere in discussione anche i valori che dovrebbero presiedere alla vita della nostra Repubblica. La partecipazione alle scelte politiche nazionali sarà resa assai più difficile dalle modifiche costituzionali in corso di approvazione, di cui i punti più preoccupanti sono la sostanziale riduzione del Senato ad una sorta di dopolavoro di lusso per consiglieri regionali e l’accentramento nelle mani del governo di poteri importanti delle Regioni e degli Enti locali.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale invita tutti i cittadini a riflettere sulle conseguenze negative di questa legge elettorale. I diritti sociali, e in particolare quelli del lavoro, già pesantemente attaccati dalle leggi degli ultimi governi (lavoro, pubblica amministrazione, scuola) saranno ancora più in pericolo.
La sostituzione dell’intelligenza collettiva col comando di un capo la si coglie esplicita nella riforma della scuola che attribuisce tutti i poteri sostanziali al preside: un premierato assoluto anche nell’insegnamento.
Il Coordinamento si rivolge a tutte le forze attive della società e chiede ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai gruppi spontanei di coordinare la loro azione a sostegno di tutte le iniziative che possano impedire l’entrata in vigore della legge. Azione giudiziaria, come quella che ha portato al giudizio negativo della Corte costituzionale sul Porcellum. Azione referendaria, anche per tentare di abrogare la legge entro il giugno 2016, prima che diventi operante.
A questo fine nei prossimi giorni il Coordinamento avvalendosi delle competenze di autorevoli costituzionalisti e giuristi presenterà proposte di quesiti referendari sia per l’abolizione dell’Italicum entro la sua entrata in vigore nel 2016, sia per modificare la sostanza della legge elettorale approvata in coerenza con le osservazioni della Corte costituzionale al Porcellum. Ogni soggetto attivo potrà decidere se raccogliere queste proposte e impegnarsi per una campagna referendaria di abrogazione totale o parziale della legge elettorale approvata definitivamente il 4 maggio scorso.
Il Coordinamento chiede a tutti i soggetti attivi di impegnare le energie contro la costruzione di un potere assoluto nelle mani di una minoranza. Votare con l’Italicum sarebbe un danno grave per la Repubblica.
* ADISTA - SEGNI NUOVI, 23 MAGGIO 2015 • N. 19
* http://coordinamentodemocraziacostituzionale. net/
La legge elettorale
I padroni del voto di tutti
di Michele Ainis (Corriere della Sera, 24.01.2015)
I compromessi, come i funghi, si dividono in due categorie: quelli buoni e quelli cattivi. È commestibile il compromesso raggiunto sulla legge elettorale? Perché di questo, in ultimo, si tratta: l’ Italicum che sta per varcare l’uscio del Senato non è la legge di Renzi, né di Berlusconi. Il primo avrebbe preferito i collegi uninominali (intervista al Messaggero , 25 aprile 2012). Il secondo ha ingoiato il doppio turno, e ha pure dovuto digerire il premio alla lista, anziché alla coalizione. Ma non è generosità, è realismo. Perfino Lenin, nel settembre 1917, scrisse che in politica non si può rinunziare ai compromessi.
E a noi popolo votante, quanto ci compromette il compromesso? Per saperlo, bisogna innanzitutto togliersi un Grillo dalla testa: che da qualche parte esista un sistema perfetto, dove l’elettore sia davvero sovrano. No, non c’è. I candidati li decidono i partiti, mica noi. Anche con l’uninominale, la nostra scelta è sempre di secondo grado. Rousseau diceva che il cittadino è libero soltanto quando vota, dopo di che per 5 anni torna schiavo. Sbagliava: non siamo del tutto liberi nemmeno in quell’unica giornata.
Però c’è prigione e prigione. La più buia era il Porcellum: premio di maggioranza senza limiti, parlamentari senza voto.
Di quanto si sono poi allargate le sbarre della cella? Di un bel po’, diciamolo; specie se mettiamo a confronto l’ultima versione dell’ Italicum con il suo primo stampo. Per farlo, basta puntare gli occhi su una lettera dell’alfabeto: la «P».
Premio, pluricandidature, preferenze, parità di genere, primarie, percentuali per l’accesso ai seggi: è su questi campi che si gioca la partita dei partiti.
E dunque, il premio di maggioranza. In origine scattava con il 35% dei consensi, poi al 37%, ora al 40%. Meglio così, la forzatura suona meno forzata. Quanto alla soglia di sbarramento per i piccoli partiti, l’8% è diventato il 3%; ma dopotutto, se la governabilità discende dal premio, non aveva senso negare l’accesso in Parlamento alle forze politiche minori. Progressi pure sulle quote rosa: la Camera aveva detto no, il Senato dice sì. Però regressi sulle pluricandidature: da 8 a 10, come se Buffon giocasse in tutti i ruoli. E niente da fare sulle primarie obbligatorie, che avrebbero restituito un po’ di peso agli elettori. Infine le preferenze: subentrano alle liste bloccate, anche se restano bloccati i capilista. E clausola di salvaguardia rispetto all’abolizione del Senato elettivo, un altro punto che mancava nell’accordo originario.
Si poteva fare meglio? Certo, ma anche peggio. Tuttavia c’è un’altra «P» da scrivere a margine di questa legge elettorale: il nuovo presidente. Toccherà a lui compensare la «P» del premier, che ne esce più forte che mai. Se viceversa al Colle entrerà una sua controfigura, in futuro i compromessi Renzi potrà farli con se stesso.
Legge elettorale incostituzionale: tutti a casa compresi gli atti
di Andrea Viola *
Dopo ben otto anni da quando esiste l’attuale legge elettorale la Corte Costituzionale riconosce l’incostituzionalità del Porcellum. Questa vicenda mina definitivamente la credibilità della politica italiana e dei vari partiti. Senza tanti giri di parole, tutti i parlamentari eletti dal 2006 non erano e non sono legittimati a sedere all’interno del Parlamento. Ma non basta e non è solo questo. Tutte le nomine, le leggi e tutti gli atti compiuti da queste persone abusive sono viziate alla radice dall’illegittimità costituzionale della legge elettorale che li aveva nominati “Onorevoli”.
L’art. 136 Cost., come è noto, dispone che la norma dichiarata incostituzionale cessi di avere efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale. Quindi è molto chiaro che cessando di avere efficacia la norma che ha eletto i Parlamentari, questi, non possano più sedere in maniera legittima in Parlamento. Questo l’effetto principale. Ma si deve valutare con serietà l’invalidità di tutti gli atti collegati. In prima analisi risulta evidente che l’elezione del Capo dello Stato sia anche essa non valida, perché fatta da un Parlamento non legittimo. E da qui una marea di atti a rischio invalidità.
Su questi punti esistono vedute giurisprudenziali e dottrinali non chiare. Come sempre accade su argomenti delicati e politici-istituzionali. Un forte orientamento dottrinale asserisce questo principio: “La disapplicazione della legge deriva esclusivamente dalla sua illegittimità, e non rileva di conseguenza la data a partire dalla quale si fa questione dell’applicazione della legge; unica condizione è che non si tratti di fatti esauriti, sussistendo la quale, dopo la decisione, la legge incostituzionale deve essere disapplicata ogni volta che se ne presenti l’occasione, sia in relazione a fatti posteriori, sia in relazione a fatti anteriori alla pronuncia della Corte”.
Facile intuire che qualsiasi cittadino possa far valere questo principio e di volta in volta chiedere l’invalidità degli atti collegati e provenienti dal Parlamento illegittimo. Immaginatevi il caos che ne potrebbe derivare. Prendete tutte le nomine fatte dal 2006 e tutti gli atti emanati dal parlamento e dal Governo e considerate che questi sono tutti viziati dall’illegittimità costituzionale.
Si potrebbe chiedere ad esempio l’invalidità della riforma assurda che ha cancellato i Tribunali.
Si potrebbero mettere in discussione tutte le spese folli per gli F35.
Si potrebbe chiedere l’invalidità della riforma delle pensioni e del lavoro.
Si potrebbe chiedere la disapplicazione di ogni atto di nomina.
Si potrebbe chiedere la cancellazione di equitalia e di tutte le cartelle collegate perché viziate alla radice.
Insomma una vera rivoluzione.
Il paradosso è che anche le firme del Capo dello Stato sulle leggi e sugli atti normativi sono anche esse non valide. Ma si potrebbe andare oltre e dire che la Stessa Corte Costituzionale ha dei giudici nominati da un Parlamento e da un Presidente della Repubblica, così come indica l’art. 135 Cost., non legittimati. Capite che la portata di questa vicenda è grottesca. La cosa più grave è che tutti sapevano che questa legge elettorale era incostituzionale. Bastava leggere la Costituzione. La politica tutta ha una responsabilità enorme.
Ora però cari onorevoli illegittimi dovete andare subito a casa perché li non potete stare. Una cosa importantissima dimenticavo. Dovete restituire tutti i soldi che avete preso in questi anni in maniera illegittima. Tutti i nostri soldi che avete preso senza alcun diritto. E se non lo farete ogni cittadino sarà legittimato a denunciarvi. Basta chiacchiere. The End.
La Consulta boccia il Porcellum “Illegittimi premio maggioranza e liste bloccate senza preferenze”
La Corte Costituzionale accoglie il ricorso. Si allontana l’ipotesi di voto in tempi rapidi. I partiti: ora nuova legge. Grillo: si voti col Mattarellum Renzi in pressing: così torna la legge elettorale della Prima Repubblica *
Roma Il Porcellum è morto. Dopo anni di tentativi andati a vuoto in Parlamento, la Corte Costituzionale sentenzia la fine della legge elettorale che il suo stesso autore definì una «porcata». Sono illegittimi il premio di maggioranza senza soglia e le liste bloccate, afferma la Consulta. E i partiti esultano, anche se la bocciatura del Porcellum, che era largamente prevista, li mette sotto accusa, per l’incapacità dimostrata a fare una riforma in Parlamento. Ora serve una nuova legge, dichiarano unanimi. Ma non sarà così facile, come dimostra un nuovo scontro in commissione al Senato.
PAROLA AI PARTITI
Nelle prossime settimane, quando la sentenza sarà pubblicata con le motivazioni dei giudici costituzionali, la decisione della Consulta sarà efficace. Da quel momento la legge elettorale con cui si è votato nelle ultime tre legislature non esisterà più, per la cancellazione del premio di maggioranza e delle liste bloccate. «Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali», sottolinea la Corte. Ed è quello che si proverà a fare: non solo intervenire sulle due parti incostituzionali, ma varare una riforma complessiva. Si concretizza intanto il rischio paventato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che da mesi aveva indicato l’intervento della Consulta come il momento in cui si sarebbe potuto manifestare «il naufragio delle Camere». I partiti nei fatti si sono mostrati sordi in questi mesi alle sollecitazioni del capo dello Stato, che oggi non commenta la sentenza, sull’assoluta priorità di una riforma del sistema di voto.
LE REAZIONI
La legge elettorale sarà tra i punti qualificanti del discorso di mercoledì del premier Enrico Letta alle Camere. Ed è «una decisione ottima» quella della Consulta, secondo il vicepremier Angelino Alfano. Perché «non ci sono più pretesti o alibi» per non cambiare «con urgenza. Ora c’è «ancora di più» la spinta ad agire, osserva il ministro Dario Franceschini. E Gaetano Quagliariello, titolare delle Riforme, guarda al disegno più ampio di un intervento complessivo sulle istituzioni, «a partire da bicameralismo e riduzione dei parlamentari».
«La sentenza era ampiamente attesa», sottolinea il segretario Pd Guglielmo Epifani: «La si smetta di mettere freni di ogni tipo» al cambiamento del sistema di voto. Più critici i toni di FI e se Silvio Berlusconi non commenta per ora la decisione, si dice convinto che la Corte costituzionale sia «un organismo politico della sinistra». Anche Renzi va all’attacco: «Politicamente con questa sentenza della corte costituzionale cambia poco, ma tecnicamente la legge elettorale che torna in vigore è quella prima del referendum del 1993, è quella della prima repubblica. Se vogliono far finire questi vent’anni tornando indietro, mi sembra una scelta discutibile».
LE IPOTESI
Tranchant Beppe Grillo, che non vede alternative al ritorno al voto con il Mattarellum, perché «i partiti, Letta e Napolitano non hanno più nessuna legittimità» e «solo un nuovo Parlamento potrà modificare la legge elettorale». Le Camere sono illegittime perché elette con un sistema incostituzionale: è la tesi del M5S, che a Montecitorio chiede di interrompere i lavori. «Siamo tutti decaduti», dice Daniela Santanché. E FI concorda con i grillini: ci sono 148 deputati scelti con premio di maggioranza, la cui elezione non è stata ancora convalidata. Mentre al Senato, fa sapere il presidente della giunta Dario Stefano, la convalida è già stata effettuata. Ma è alla riforma, che si pensa nella maggioranza. Con la consapevolezza che la strada è ancora lunga e difficile. Innanzitutto, infatti, pur nella condivisione dei principi del bipolarismo e della restituzione ai cittadini della scelta dei parlamentari, manca ancora un accordo definito su un sistema condiviso: se nel Pd torna in auge il doppio turno alla francese, Ncd sarebbe disposta a dire sì a un sistema con doppio turno di coalizione solo per assegnare il premio di maggioranza.
IL “SUPERPORCELLUM”
Ma i problemi iniziano a monte, quando si discute sul metodo. Perché mentre Matteo Renzi chiede di portare la legge elettorale alla Camera, la commissione del Senato, dopo mesi di stallo, con un inatteso “colpo di reni” decide di istituire un comitato ristretto sulla riforma. Una mossa, su cui si sono astenuti M5S e Sel, che di fatto trattiene la legge a Palazzo Madama. E spacca il Pd, con i renziani che denunciano il “blitz”. Il timore è che nelle secche del Senato si lavori a un “SuperPorcellum”, un sistema proporzionale che sarebbe, afferma la renziana Di Giorgi, «l’humus ideale su cui perpetuare le larghe intese».
* La Stampa, 04/12/2013
Il “premio” è incostituzionale
La Cassazione boccia il Porcellum. Ma il centrodestra non vuole abrogarlo
Verdetto della Consulta in sei mesi
di Sara Nicoli (il Fatto, 18.05.2013)
Per la Cassazione l’attuale legge elettorale, il Porcellum, è incostituzionale in più punti. E così la creatura di Roberto Calderoli torna sotto la lente della Corte costituzionale provocando un’accelerazione del dibattito sulla riforma che si attende da otto anni e tre elezioni. Il ministro Quagliariello sembra intenzionato a ottenere una revisione del premio di maggioranza, ma d’accordo con il Pdl, è contrario a far votare dal Parlamento una nuova legge elettorale prima del via libera definitivo alla riforma complessiva delle istituzioni. La Cassazione, però, ha provocato una valanga ormai difficile da contrastare.
Con l’ordinanza interlocutoria, depositata ieri, ha dichiarato “rilevanti e non manifestamente infondate” alcune “questioni di legittimità costituzionale” sollevate in un ricorso sottoscritto da 27 persone, privati cittadini, guidate dall’avvocato Aldo Bozzi. In sostanza, ci sono parti del Porcellum che incidono, in modo diverso, sulle modalità d’esercizio della sovranità popolare, garantite dall’articolo 1 (comma 2) e dall’articolo 67 della Costituzione. La prima questione riguarda le liste bloccate.
La Cassazione avanza “dubbi” sul meccanismo di “un voto che non consente all’elettore di esprimere alcuna preferenza”. Nelle liste, infatti, l’attribuzione della rilevanza dell’ordine di inserimento dei candidatideterminaun“concreto ed effettivo vincolo di mandato dell’eletto nei confronti del partito politico di riferimento” e questo è in contrasto con l’articolo 67 della Costituzione. Ma è soprattutto sul secondo punto, il premio di maggioranza in entrambi i rami del Parlamento,adessereconsiderato in forte odore di incostituzionalità.
Dice la Cassazione: il “meccanismo premiale,incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, contraddice l’esigenza di assicurare governabilità, provocando una alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio è in grado di eleggere gli organi di garanzia che restano in carica per un tempo più lungo della legislatura”. Questo perché essendo “il premio diverso per ogni Regione il risultato è una sommatoria casuale dei premi regionali che finiscono per elidersi tra loro e possono addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste e coalizioni su base nazionale”.
Ora che succede? La Consulta si troverà davanti ad uno snodo importante, quello di non poter lasciare il Paese senza una legge elettorale, visto che l’annullamento, anche in toto, del Porcellum non farebbe rivivere automaticamente il Mattarellum. È quindi più probabile che la Corte si limiti ad annullare singoli punti della legge, ma in questo contesto,itempimedid’intervento sono di sei mesi.
Il Pdl, se potesse, non cambierebbe una virgola del Porcellum. Ma messo di fronte alla necessità di intervenire cercherà di limitare i danni (è parola di Brunetta): va bene cambiare il premio di maggioranza al Senato e prevedere una soglia minima affinché il premio stesso scatti, ma nulla di più, preferenze comprese.
Invece, il Pd con Anna Finocchiaro, si appresta a depositare in Senato un ddl per il ritorno al Mattarellum.Il Porcellum fino a oggi ha favorito sia Pd che Pdl e poiché entrambi gli azionisti di maggioranza non si fanno molte illusioni sulla tenuta del governo, è allo studio un compromesso per un eventuale ritorno a breve alle urne. Ma le posizioni restano distanti. Mercoledì ci sarà un vertice di maggioranza per aprire il dossier riforme.
Elezioni, i candidati si pagano la poltrona. Pd chiede 35mila euro, 25mila per il Pdl
Il Popolo della libertà li vuole in unica soluzione, al Partito democratico vanno bene anche a rate. Il "balzello" viene fatto pagare ai primi sei nella lista al Senato e i primi nove della Camera. Contributi a tranche anche nella Lega Nord. Berselli (Pdl): "Con il Porcellum non si sostengono costi individuali per l campagna. Per questo pagano tutti con il sorriso sulle labbra"
di Redazione (Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2013) *
Un gettone d’ingresso per diventare parlamentare. È quello che chiedono il Pd e il Pdl ai loro candidati. E più precisamente ai primi sei nella lista al Senato e i primi nove della Camera. Quasi fosse un balzello, un pegno da pagare perché tanto quei soldi, a spese dei contribuenti, rientreranno attraverso lo stipendio. La differenza della pratica bipartisan sta solo nelle cifre: il Pd chiede 35mila euro, il Pdl 25mila. Ma la differenza è anche nel metodo di pagamento: i berluscones pretendono che la somma sia cash e assolutamente anticipata, nel partito di Bersani c’è invece la possibilità di rateizzare la cifra. Più alta, ma pagata nei mesi di mandato attraverso una detrazione dallo stipendio di deputato a favore del partito.
NON NE FANNO uno scandalo gli aspiranti onorevoli che lo chiamano “contributo alla campagna elettorale”. “Ciascuno di noi versa la stessa cifra, poi ovviamente se non vieni eletto ti viene restituito fino all’ultimo centesimo”, chiarisce il Carlo Giovanardi, che alle prossime politiche corre per il Senato, dietro a Silvio Berlusconi e ad Anna Maria Bernini. Un gigante del partito, mai messo in discussione e che ha precisato che per fare il parlamentare occorre soprattutto “esperienza”. Giovanardi, che nell’ultimo governo Berlusconi è stato sottosegretario, è deputato dal 1992. La bellezza di 21 anni. E un seggio sicuro anche alle prossime elezioni. Nonostante le posizioni omofobe più volte espresse, sino alla negazione dell’Olocausto per i gay pronunciata proprio nella Giornata della memoria.
“Paga solo chi si trova in cima alla lista e che quindi ha buone chance di essere eletto, sicuramente non quelli in seconda fascia”, spiega Filippo Berselli, senatore e coordinatore del Pdl in Emilia Romagna, entrato in Parlamento la prima volta 30 anni fa con l’Msi. Berselli, a sorpresa, non sarà candidato. Ma lui l’ha presa con filosofia, e difende il partito e il gettone d’ingresso . “Non vuol dire pagarsi il posto - spiega - ma fare un investimento, che, se si tiene conto degli stipendi da parlamentari, non è poi così elevato. In fondo, prima del Porcellum, quando c’era ancora il sistema con le preferenze, ognuno per guadagnarsi i voti doveva tirare fuori i soldi per spot, cartoline, santini, cartelloni e manifesti, andando a sborsare molto di più. Per questo oggi pagano tutti con il sorriso sulle labbra”. E se non dispongono subito di quella cifra? “Se la fanno prestare. Ne troveranno a bizzeffe di finanziatori. La pratica è stata introdotta nel 2006, non ci sono mai stati problemi”. Berselli ironizza, ma nel suo partito, un altro escluso illustre, Fabio Garagnani, non ha preso bene la mancata candidatura : “Io avevo già pagato i 25mila euro e non mi hanno messo in lista”. Garagnani, perché non sollevasse un caso, dopo tre giorni è stato rimborsato fino all’ultimo centesimo.
UN SISTEMA diventato ormai una tradizione. “Diamo una mano al partito dai tempi del Pci - racconta Andrea De Maria, candidato alla Camera dopo aver sbancato alle parlamentarie di Bologna con oltre 10mila preferenze - Qui in Emilia Romagna la somma richiesta è 35mila euro, da versare nei cinque anni di legislatura con un prelievo dalle indennità da parlamentari. Non c’è niente di male”. Nel partitone potrebbe essere concesso uno strappo alla regola ai candidati più giovani e con meno disponibilità. Probabile che Bersani conceda loro uno sconto. “Quello che mi chiederanno verserò, sono le regole e le rispetto” dice convinto Enzo Lattuca, classe 1988, enfant prodige del Pd alle prossime elezioni. “Al limite chiederò un prestito un banca. Non credo incontrerò difficoltà”. Contributi a rate anche nella Lega Nord. Secondo quanto raccontato alla Procura di Forlì dalla ex-segretaria di Umberto Bossi Nadia Dagrada, dal 2000 il Consiglio federale del Carroccio obbliga i candidati a pagarsi il seggio in Parlamento, facendo firmare un’impegnativa davanti al notaio. L’accordo prevede 2000 euro al mese alla prima elezione, e 2400 euro alla seconda, da versare nei 60 mesi di legislatura.
di Emiliano Liuzzi e Giulia Zaccariello
da Il Fatto Quotidiano del 26 gennaio 2013
Il Porcellum e i porcellini
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 14.10.2012)
Il testo della nuova legge elettorale sinora lungamente sudata nella sua gestazione nella commissione Affari costituzionali del Senato passerà ora (con calma, si intende) all’esame dell’Aula. Non è una proposta unanime. È una proposta di impianto proporzionale che al Pd di Bersani non piace (secondo me a ragione). Ma Bersani non si oppone come altri facendo fuoco e fiamme. E così la proposta arriverà, finalmente, all’Aula del Senato. Lì il testo passerà così com’è? Forse, perché il Senato non prevede il voto segreto e quindi lì è più difficile fare vigliaccate. Se ne vedremo di belle sarà allora a Montecitorio, dove invece il voto segreto è consentito.
In attesa di quel voto segreto, facciamo il punto. Il Porcellum, la legge elettorale di Calderoli, fu un atto di tracotanza: l’allora alleanza di ferro Berlusconi-Bossi bastava ad assicurare il passaggio di una legge truffa che è purtroppo ancora vigente. Questa volta la legge in gestazione è invece un calcolino di paure (di essere rottamati) e di allettamenti demagogici. Ma la paura non è, spesso, buona consigliera. E nemmeno lo è la demagogia sfrenata. Difatti il testo faticosamente partorito in Senato è pieno di stranezze forse intese a salvare i «rottamandi», ma non per questo di stranezze intelligenti. Ne indicherò tre.
Un primo problema per tutti i sistemi elettorali proporzionali, o prevalentemente tali, è di bloccare la frammentazione dei partiti (che è, piaccia o non piaccia, la causa prima della ingovernabilità, come nel suo secondo governo Prodi ha forse capito, visto che si è trovato a dover fare ogni giorno «la quadra» con 13 partiti e con un governo di oltre cento governanti.
Un po’ troppi, no? Comunque sia, per bloccare la frammentazione occorre (Germania docet) uno sbarramento che elimini i partitini, i nanetti. Invece, udite udite, i nostri legislatori ora propongono uno sbarramento del 5 per cento che per i partiti coalizzati scende al 4 per cento. Invece, se uno sbarramento deve funzionare, le coalizioni elettorali tra i partiti devono essere vietate. Questa è una condizione inderogabile e anche molto ovvia. Possibile che i nostri legislatori non ci arrivino? Analogo è il discorso sul premio di maggioranza. Il progetto prevede un premio del 12,5 per cento. È una misura di premio accettabile, ma di nuovo viziata dal fatto che può essere attribuito non solo al partito ma anche a una coalizione. No, e poi no. Nei sistemi parlamentari le coalizioni si fanno in parlamento, non prima. E si possono anche cambiare. Pertanto il premio va attribuito soltanto al partito che ottiene più voti.
Un ultimo punto è sulle preferenze. Quando le avevamo (fino agli anni 90) Mario Segni le fece abolire per referendum, davvero a furor di popolo. Ora, da qualche anno, giornali, tv e partiti sbavano sulle preferenze. Senza preferenze, si proclama, il popolo è spodestato. La domanda resta: le preferenze ricreano davvero il «popolo sovrano»? A suo tempo si sapeva che in Sicilia le preferenze erano manovrate dalla mafia. Ora si scopre che vengono comprate anche a Milano. E allora? Una soluzione ci sarebbe. La propongo da anni, ovviamente
Una nebbia fitta fuori stagione
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 17.09.2012)
Che il sistema elettorale escogitato dal leghista Calderoli, noto come il Porcellum, fosse un sistema da dimenticare e al più presto seppellire è forse l’unico punto condiviso della riforma elettorale che stiamo oramai discutendo invano da mesi e mesi. Qual è il problema? Si sa che nessun sistema elettorale è del tutto «neutrale». Ma non esageriamo. I sistemi proporzionali favoriscono la frammentazione e i partitini; ma sappiamo che in genere basta uno sbarramento del 5 per cento come in Germania (con divieto, si intende, di alleanze che lo vanifichino) per correggere questo difetto. I sistemi maggioritari o uninominali sono invece accusati del difetto opposto: di favorire i grandi partiti. Ma talvolta è così, talvolta no. Vedi caso, da noi il Mattarellum - un sistema per tre quarti maggioritario - ha prodotto una frammentazione che né Prodi né i suoi fedeli hanno mai ammesso e tantomeno spiegato. Comunque il sistema maggioritario a doppio turno (come oggi in Francia) eliminerebbe, volendo, questo difetto.
Allora, non è vero che noi siamo bloccati dalla ricerca di un sistema elettorale neutrale. Siamo bloccati, invece, dal fatto che i nostri partiti non sanno più quale sia l’elettorato sul quale puntare, o quale sia l’elettorato «fedele». Vagano, appunto, nella nebbia. A cominciare da Berlusconi.
Il Cavaliere naviga, ma per il resto è fermo. Si supponeva che dopo aver graziosamente lasciato le patate bollenti al «governo dei tecnici» lui sarebbe ridisceso in campo. È vero che il suo partito oramai sta al 22 per cento. Ma contava sull’effetto trainante del suo rientro e sulla sua indubbia bravura di acchiappavoti. Invece la sua sondaggista di fiducia non ha registrato, almeno sinora, nessun effetto trainante, di trascinamento, dalla sua ricomparsa. Così Berlusconi medita e attende. Tanto ha sempre il potere di tutelare i suoi interessi e di bloccare le sue pendenze giudiziarie.
Se Berlusconi è fermo, il suo principale avversario, Bersani, si destreggia tra mille difficoltà. Si libera o non si libera di Vendola? Un giorno sì, e un giorno no. Sostiene lealmente il governo Monti, ma non può dimenticare che ha bisogno del voto di una Cgil che sempre più lo combatte. In questi frangenti, ha l’idea (direi poco azzeccata nel momento nel quale centinaia di milioni di musulmani sono scatenati contro l’Occidente per un filmino che nessuno di loro ha visto) di promettere la cittadinanza ai figli degli immigrati, ivi inclusi gli islamici.
Ma torniamo al problema di fondo, alla nebbia. La nebbia è creata in primo luogo dai grillini, che al momento risultano al 18 per cento dei consensi anche se nessuno capisce cosa saprebbero fare al governo; e ancor più, in secondo luogo, dall’incognita di quasi la metà del nostro elettorato che dichiara nei sondaggi di non voler votare o di non sapere per chi votare. Questo è il vero terrore dei politici minacciati di rottamazione. Quale sarà il loro elettorato? Dove lo dovrebbero cercare? E come fermare il grillismo? Bravo chi lo sa.
RIFORMA ELETTORALE/
Quando l’ipocrisia è al potere. Dopo tanto blaterare, arriva il Superporcellum.
“Un voto inutile è utile se serve a eleggere qualcuno” diceva Totò nei panni dell’indimenticabile Antonio La Trippa ne Gli Onorevoli. Forse il trio ABC dovrebbe riguardare quel film. Troverebbe tanti tratti in comune con quello che stanno facendo: tanta demagogia e tanta ipocrisia. Per un solo risultato: la legge elettorale sarà peggio dell’attuale con nessuno voto di preferenza e una coalizione che si deciderà soltanto dopo, nelle segrete stanze del potere. Alle spalle dei cittadini.
di Carmine Gazzanni *
Hanno una gran paura dell’ondata di antipolitica. Temono le forze disobbedienti di Di Pietro e Grillo. Potevano dimostrare uno slancio di buon senso per riportare il cittadino a credere nei grandi partiti, ma niente. Il potere è sempre il potere. Ed eccolo lì, allora, il Superporcellum, una legge elettorale pensata, concepita, studiata solo e soltanto per ostacolare chi è scomodo, per lasciare nell’ombra chi potrebbe dar fastidio. Dunque, per non consentire il normale svolgimento del processo democratico.
Esagerazioni? Assolutamente no. Dopo la porcata di Calderoli, per ben cinque anni di seguito si è detto dell’esigenza di cambiare legge elettorale. Nessuno avrebbe mai pensato che, alla fine, si sarebbe deciso per una riforma che avrebbe messo ulteriormente tra parentesi il volere del cittadino. Basta poco per rendersene conto.
La bozza di riforma, che presumibilmente sarà presentata il 29 agosto, dovrebbe prevedere una soglia di sbarramento (4% o 5%), il diritto di tribuna per i partiti che non riescono ad eleggere parlamentari, l’abbandono del maggioritario ripristinando il sistema proporzionale, la cancellazione dell’attuale premio di maggioranza, l’indicazione del candidato premier sulle liste e la riduzione del numero dei parlamentari: dagli attuali 945 a 750 (500 deputati e 250 senatori).
Tre, poi, i colpi di genio. Primo: premio di maggioranza del 10-15% al partito più votato. Un particolare non da poco dato che un sistema così concepito non esiste da nessuna parte al mondo se non in Grecia, un Paese che - diciamocela tutta - non ha brillato negli ultimi anni per stabilità politica. E allora perché si è deciso tale criterio? Semplice: Pdl, Udc e soprattutto Pd che tanto ha insistito a riguardo vivono una paura che non permette loro di dormire sonni tranquilli. Il loro incubo risponde ai nomi di Grillo e Di Pietro. Temono che possano collezionare voti, che possano estromette il potere di palazzo che detengono. Insomma, l’obiettivo è far fuori i dissidenti, mantenere lo status quo e continuare a godere dei soliti interessi di corte.
Secondo: non ci sarà alcun ritorno alle preferenze. Tanto parlare per nulla. Niente di niente. Come detto, un post-Porcellum. Anzi, un Porcellum al quadrato, dato che, stando alla bozza, c’è un altro particolare non da poco: le coalizioni - ecco il terzo colpo di genio - non verranno decise prima (e dunque non saranno note all’elettorato), ma soltanto dopo dai partiti stessi. Che, dunque, nelle segrete stanze potranno fare il bello e il cattivo tempo. Un esempio per intenderci: un elettore di sinistra decide di dar sostegno al Partito Democratico. Lo vota, ma il Pd, dopo le urne, decide di allearsi con Casini. Quanto sarà tenuto conto, in questo modo, del reale volere dell’elettore x?
Ipocrisia, dunque. Demagogia e politichese a gogò. E paura, anzi terrore. Brama di potere. Ecco la sintesi dell’ennesima porcata che verrà presentata a giorni e su cui la maggioranza è tutta compatta. Né potrebbe essere altrimenti. È ovvio a tutti, infatti, che il ritardo nel concepire la legge elettorale sia dovuto semplicemente al fatto che Alfano, Bersani e Casini hanno pensato prima alle possibili alleanze per le prossime politiche. Si sono insomma messi a tavolino per pensare e concepire una riforma che potesse accontentare un po’ tutti e che tenesse conto proprio di quegli accordicchi già decisi e che diventeranno espliciti tra qualche mese, quando saremo più a ridosso delle elezioni.
Per il momento, però, una certezza c’è. Finchè il cittadino sarà tenuto lontano dal potere decisionale con una legge elettorale finta, che lo chiama al voto ma soltanto per prenderlo in giro, non cambierà nulla. Dopo venti anni di Berlusconi, niente è cambiato. E nulla cambierà. Non ci sarà alcuna nuova stagione democratica. Semplicemente perché l’oligarchia partitica continua a proteggere se stessa, illudendo e blaterando di presunti cambiamenti. E lo sappiamo bene: quando comanda l’oligarchia non c’è spazio per la democrazia. Tertium non datur.
Domani in Cassazione le oltre 600mila firme contro il Porcellum
Parisi: «Risultato straordinario». Adesioni raccolte in meno di un mese
L’Asinello polemico con il Pd: la direzione non votò a favore dei quesiti
Domani saranno depositate in Cassazione le firme per il referendum abrogativo della legge elettorale. Dal comitato promotore: «Superata quota 600mila». Parisi: «E adesso vediamo che succede in Parlamento».
di Maria Zegarelli (l’Unità, 29.09.2011)
«La pistola è sul tavolo e adesso possiamo dire che è carica». Oltre 600mila pallottole. Come a dire che il Porcellum ha il destino segnato. Arturo Parisi, anima e motore del referendum contro l’attuale legge elettorale, è più che soddisfatto per come è andata questa raccolta di firme che, dice, «ha dello straordinario». Per il deputato democratico è una delle poche cose positive in questa giornata parlamentare che è un’altra delle pagine nere di questa legislatura. Mentre parla Parisi aspetta il suo turno per andare a votare la sfiducia al ministro Francesco Saverio Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. «In poco meno di un mese abbiamo raccolto molte più delle 500mila firme necessarie dice -. Il “Generale agosto” ha fermato ben altre armate». Non questa, che è sopravvissuta al periodo delle ferie e ha tenuto il campo malgrado la fretta con cui si è preparata la battaglia. E così domani mattina i sei leader dei partiti promotori (Idv, Sel, I democratici di Parisi, i referendari di Segni, Pli e Unione dei Popolari) depositeranno le firme in Cassazione per la convalida aprendo l’autostrada alla consultazione referendaria.
Quante firme sono state raccolte? «Dalla quantità di pacchi che ho visto nella sede di Santi Apostoli direi tante», risponde Parisi. Andrea Armaro, de I Democratici, dice che sono oltre seicentomila (100mila in più di quelle richieste dalla legge). Sono tutte là, stipate negli scatoloni dentro il salone dove si riunirono i 45 fondatori del Pd, quello stesso dove Romano Prodi riuniva l’Ulivo e l’Unione. Un tempo che sembra lontanissimo.
QUOTE RISPETTATE
Ogni partito ha rispettato, anzi è andato oltre, la quota che doveva raggiungere: 150mila firme Idv e Sel, 100mila l’Asinello di Parisi, 150mila insieme Pli, Referendari e Unione dei popolari. Esulta Antonio Di Pietro: «La raccolta firme contro l’attuale legge elettorale e per sostenere la proposta d`iniziativa popolare per l`abolizione delle Province ha superato ogni aspettativa. Solo l`Italia dei Valori, nonostante lo scetticismo di molti e il bavaglio imposto all`informazione dal governo, ne ha raccolte quasi 500mila». Dal Comitato c’è chi, sorridendo, ridimensiona: «Se fosse davvero così vorrebbe dire che ne avremmo quasi un milione di firme...». Non si smorza invece, la polemica con il Pd. «È difficile dire per il Pd di aver raccolto le firme annota Armaro visto che né il segretario né D’Alema hanno firmato. E appena il 19 luglio scorso la direzione ha votato all’unanimità contro l’iniziativa referendaria di Parisi».
Parisi intanto si gode il doppio risultato: «Il referendum ha rianimato anche l’interesse del parlamento per la riforma elettorale e questo era il nostro obiettivo. Il fatto che abbia firmato lo stesso presidente della Commissione Affari Costituzionali al Senato, Vizzini, dicendo che solo il referendum avrebbe riavviato il dibattito ha un significato preciso. Come la dichiarazione di Angelino Alfano che ora dice di voler restituire ai cittadini un diritto che il suo stesso partito gli ha sottratto con il referendum».
Vero è che Parisi ad Alfano attribuisce una credibilità prossima allo zero: «Chi ha voluto il Porcellum e ha messo a repentaglio la nostra democrazia, può essere assunto a interlocutore solo se accompagnato da avvocato e carabinieri», ma è anche vero che a questo punto il tema torna in primo piano. Il Pd ha una sua proposta, sistema francese con doppio turno, mentre il Pdl pensa al sistema spagnolo rivisto, (partita aperta con la Lega), mentre è già fallita l’intesa che voleva costruire con l’Udc di Casini proprio sulla legge elettorale in vista di future alleanze.
«Io firmo» punta a raccogliere 500 mila firme entro settembre. Tra i promotori Passigli, Sartori, Cheli
Adesioni eccellenti, da Abbado a Hack, da Piano a Eco, da De Mauro a Carandini, da Pollini a Loy
Un’altra onda referendaria per portarsi via il Porcellum
Lo tsunami referendario potrà affondare anche la pessima legge elettorale? Ci credono Passigli, Sartori & co che hanno presentato ieri
«Io firmo, riprendiamoci il voto»: quattro quesiti per cambiare il sistema politico.
di R. Bru. (l’Unità, 17.06.2011)
L’onda alta del referendum può portarsi via anche il Porcellum? L’idea è semplice, l’obiettivo ambizioso, ma non impossibile: 500 mila firme entro la fine di settembre. Quattro punti per intervenire chirurgicamente sulla legge elettorale: togliere di mezzo le liste bloccate che confinano dentro il recinto dei partiti la scelta dei candidati lasciando fuori gli elettori, eliminare il premio di maggioreanza, che attribuisce tutto il potere ad una minoranza, fissare una soglia di sbarramento al 4%, vietare l’indicazione del nome del candidato premier sulla scheda, perché questa scelta deve essere rigorosamente attribuita, come prevede la Costituzione, al capo dello Stato. La parola, insomma, torni ai cittadini.
L’iniziativa «Io firmo, riprendiamoci il voto» è stata lanciata ieri dal Comitato per il referendum sulla legge elettorale, che già vede una rosa di adesione che sembra comporre il gotha delle eccellenze italiane: da Claudio Abbado ad Alberto Asor Rosa, da Andrea Carandini a Umberto Eco, da Rosetta Loy a Carlo ed Inge Feltrinelli, da Tullio De Mauro a Dacia Maraini, da Renzo Piano a Maurizio Pollini, da Corrado Stajano a Innocenzo Cipolletta, da Benedetta Tobagi a Margherita Hack.
Spiega Stefano Passigli, uno dei promotori del referendum, che «ogni tentativo di modificare la legge è destinato a fallire», perché gli effetti del Porcellum sono proprio la frammentazione politica, le coalizioni disomogenee e ingovernabili, il trasformismo. Qualcosa che è molto lontano dal sogno maggioritario alla anglosassone sognata da Mario Segni nei roventi anni novanta.
Ecco allora questa mobilitazione trasversale, volta a tagliare di netto i quattro punti più controversi della legge Calderoli. Che, lo ricordiamo, è in vigore dal dicembre 2005 e fu battezzata non a caso «Porcellum» dal politologo Giovanni Sartori, oggi tra i promotori del nuovo referendum: è lui a ricordare «uno dei maggiori vizi della legge», ossia il premio di maggioranza dato a una minoranza. «Falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male». Lui ritiene adatto all’Italia «il doppio turno alla francese o quello tedesco».
Ma perché ricorrere ad un referendum? Con la sua consueta franchezza, Sartori non ha dubbi che sia «l’unico rimedio contro l’inerzia dei partiti in materia di legge elettorale». Alla fine, è il costituzionalista Enzo Cheli a riservare l’affondo più netto: «Dopo la legge Acerbo (quella del 1923, voluta da Mussolini allo scopo di assicurare al partito fascista una maggioranza granitica, ndr), è la peggiore legge elettorale della storia italiana: intere aree sociali buttate fuori dal parlamento, mentre il premio di maggioranza dato ad una coalizione al di là di una soglia minima è a rischio costituzionalità».
Bene. Ma un problema, che già ha cominciato a causare qualche polemica, c’è. Ed è il fatto che, quel che ne uscirebbe sarebbe una legge proporzionale, che butterebbe a mare vent’anni di maggioritario. Infatti, il padre del maggioritario italiano, Mario Segni, protesta con durezza: «Il referendum Passigli è il ritorno alla peggiore partitocrazia». Arturo Parisi è d’accordo: «Che la legge elettorale introdotta da Berlusconi debba essere abrogata al più presto è fuori discussione. Ma una cosa è abrogarla per andare avanti verso una democrazia compiuta. Un’altra è abrogarla per tornare indietro alla stabile instabilità della prima repubblica».
I nuovi referendari la mettono così: l’iniziativa intende essere uno stimolo per spingere il parlamento a modificare il Porcellum, colpevole di aver sprofondato l’Italia «in un finto bipolarismo che riversa la frammentazione politica in ciascuno dei due schieramenti garantendo solo l’ingovernabilità del paese». E poi, chiude Passigli, «nel nostro referendum la soglia al 4% senza eccezione alcuna ridurrebbe a sei il numero dei partiti attuali». Detta così sembra semplice, ma l’ex senatore rivela che per riuscire a modificare la legge elettorale con lo strumento referendario è stato necessario un complicatissimo lavoro di «tagli e cuci»: i quattro quesiti sono formulati in modo da apporre alla legge 90 modifiche. Di tutto, per affondare il Porcellum.
Referendum
Tre quesiti contro la legge porcata
«Sì agli eletti, no ai nominati». Abolire le liste bloccate, cancellare il premio di maggioranza e l’indicazione del candidato premier, la Camera eletta col proporzionale con una soglia di sbarramento unica al 4%
I parlamentari non sarebbero più nominati dalle segreterie dei partiti, ma scelti con la preferenza unica
di pa.za.( il Fatto, 17.06.2011)
Tre quesiti per cambiare il porcellum, la “peggiore delle leggi elettorali possibili”. È partita ieri una nuova campagna referendaria, dopo il successo dei Sì su acqua, nucleare e legittimo impedimento. Questa volta, la legge da abrogare è quella che traduce in seggi i voti degli elettori, senza dare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Dunque: “Riprendiamoci il voto”.
Come si fa?
Primo, abolire le liste bloccate e chiudere con il Parlamento dei “nominati”, dove il rischio “trasformismo” è moltiplicato all’ennesima potenza: l’eletto non risponde all’elettore ma a chi gli garantisce il mantenimento del seggio.
Secondo, l’abrogazione del premio di maggioranza che con la “porcata” (Calderoli dixit) viene attribuito alla lista che ottiene anche un solo voto in più rispetto alle altre. Un “vizio”, ha spiegato ieri il politologo Giovanni Sartori, che “falsa tutto, perchè dà un premio di maggioranza a una minoranza”.
Terzo, cancellare le “deroghe” alla soglia di sbarramento (ora varia se i partiti sono coalizzati o meno) e tornare al 4% valido per tutti, per evitare il proliferare dì mini-partiti. Quarto, eliminare l’indicazione del candidato premier: il Porcellum ha inserito un meccanismo dei sistemi presidenziali, senza che ci siano gli adeguati contrappesi.
Nel Comitato promotore ci sono esperti di diritto e di scienza della politica (Stefano Passigli, Enzo Cheli, Giovanni Sartori, Gustavo Visentini ) che sanno perfettamente che dal referendum non uscirebbe la migliore legge elettorale possibile, ma “qualsiasi innovazione” è meglio che restare fermi. Che poi è quello che sta facendo il Parlamento. Sartori non esista a parlare di “inerzia” e pure di “malafede”. Tutti, comunque, si augurano che alla Camera e al Senato si trovi presto un accordo, perché “la via parlamentare” resta quella maestra.
La campagna referendaria può servire da stimolo, anche se al Comitato sono consapevoli che non saranno i big dei partiti ad aiutarli nella raccolta firme. L’unica reazione positiva è arrivata dall’Udc, sostenitrice del proporzionale.
I fan del bipolarismo del Pd, invece, l’hanno già bocciata. Si tornerebbe “alla stabile instabilità della prima Repubblica”, dice Arturo Parisi; è una proposta “in direzione opposta a quelle del Pd” anche per il costituzionalista e senatore democratico Stefano Ceccanti. Contro i referendari anche i Radicali.
In compenso, hanno aderito alla proposta, tra gli altri, Umberto Eco, Alberto Asor Rosa, Dacia Maraini, Innocenzo Cipolletta, Renzo Piano. Si comincia dalla settimana prossima. I moduli sono scaricabili da www.referendumleggeelettora le.it . Obiettivo: 500 mila firme entro fine settembre. (pa.za.)
I firmatari: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Maurizio Pollini, Tullio De Mauro, Mario Pirani, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Vittorio Gregotti, Renzo Piano, Carlo Federico Grosso, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Margherita Hack, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Rosetta Loy, Giovanni Sartori...
LEGGE ELETTORALE: ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
di Avv Natalina Raffaelli - natalinaraffaelli@tin.it - 3 marzo 2011 *
Invitiamo tutti i cittadini a essere presenti all’udienza pubblica del Tribunale di Milano il 16 marzo alle ore 15 per testimoniare la loro volontà di tornare ad essere parte attiva e decisiva della vita e delle sorti del Paese
Il 16 marzo, alle ore 15, innanzi al Tribunale di Milano in pubblica udienza sarà discussa la causa promossa da alcuni cittadini elettori italiani per rivendicare il loro diritto ad esprimere il proprio voto in modo eguale, libero e diretto, così come garantito dalla Carta Costituzionale, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.
La legge n.270 del 21.12.2005, tristemente nota come “legge porcellum”, viola gravemente il diritto dei cittadini italiani a scegliere liberamente i propri rappresentanti in Parlamento.
Gli articoli 48, 56 e 58 della Costituzione, che disciplinano l’esercizio del diritto di voto, si inseriscono nel principio generale posto dall’ articolo 1, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale ”la sovranità appartiene al popolo”, che trova in essi la propria immediata e compiuta applicazione, quanto alle “forme” e i “limiti” per l’esercizio del diritto di voto.
In particolare, l’articolo 48 della Costituzione al fine di garantire il libero esercizio del diritto di voto dispone al secondo comma: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico” ed al quarto comma: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”;
il primo comma dell’articolo 56 della Costituzione dispone “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto” e il primo comma dell’articolo 58 della Costituzione dispone: “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”.
Suffragio diretto significa che non vi debbono essere intermediazioni tra il corpo elettorale (il singolo elettore) e i suoi rappresentanti (gli eletti): gli elettori debbono poter scegliere direttamente i propri rappresentanti.
Il fatto poi che lo stesso articolo 56 della Costituzione, quarto comma, stabilisca che la ripartizione dei seggi della Camera si effettua in base alla popolazione di ogni singola circoscrizione elettorale (“..... dividendo il numero degli abitanti della Repubblica ..... per seicentodiciotto e distribuendo i seggi ...sulla base dei quozienti interi .....) conferma il principio, costituzionalmente garantito, di rappresentanza diretta degli eletti nei confronti del corpo elettorale; e, ugualmente, il fatto che l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione stabilisca che il voto è “personale”, vuol dire che l’esercizio del diritto di voto non può essere delegato, né ceduto ad altri.
La nuova disciplina sottrae del tutto all’elettore la potestà di esprimere il proprio voto di preferenza per i candidati compresi nella lista votata e si pone in contrasto con l’articolo 48 della Costituzione, relativamente alla cui valenza la Corte Costituzionale, con la sentenza 2/10 luglio 1968 n. 96 ha testualmente statuito che “in materia di elettorato attivo l’art. 48, secondo comma, della Costituzione ha carattere universale e i principi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”.
Essa risulta in contrasto pure col secondo comma dell’art. 48 della Costituzione (il voto è ...... eguale), laddove, per come chiarito dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n.15/2008, “l’assenza di una soglia minima per l’assegnazione del premio di maggioranza è carenza riscontrabile già nella normativa vigente che, giova ricordarlo, non impone coalizioni, ma le rende possibili”, e la possibilità che una coalizione di piccoli partiti possa superare con minimo scarto liste singole corrispondenti a partiti più consistenti non coalizzati e accedere in tal modo, con una bassa percentuale di voti, al premio di maggioranza, che funge da “moltiplicatore” ai fini dell’assegnazione dei seggi e del numero dei rappresentanti in Parlamento dei voti ottenuti da ciascuna delle liste coalizzate, di fatto attribuendo minor peso e rilevanza al voto espresso per le coalizioni perdenti (disuguaglianza del voto).
L’istituto del collegamento tra liste, attraverso il meccanismo del collegamento, consente ai partiti maggiori di incidere profondamente sul risultato elettorale e sulla effettiva rappresentanza del corpo elettorale e di distorcerne la volontà fino ad escludere dal parlamento, attraverso il rifiuto dell collegamento, una lista o più liste politiche che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4% su base nazionale, e a riconoscere, invece, una vasta rappresentanza a liste collegate, che rappresentano però percentuali irrisorie e di assoluta minoranza dell’elettorato.
Il sistema elettorale introdotto dalla l.n.270/2005 ha sottratto del tutto all’elettore la potestà di esprimere il proprio voto di preferenza, impedendogli così completamente di scegliere tra i candidati che si presentano per essere eletti quello cui dare il proprio consenso: il rapporto fiduciario tra elettore ed eletto insito nel voto di preferenza risulta dunque definitivamente soppresso. Si badi bene: non vengono qui in discussione le modalità di espressione della preferenza, cioè se uninominale o proporzionale, nelle quali comunque viene consentita una scelta diretta tra i diversi candidati; ciò che si denuncia è che l’attuale sistema elettorale italiano, per come dimostrano anche gli esempi sopra illustrati impedisce qualsiasi collegamento diretto tra elettore ed eletto, al punto che l’elettore non ha alcun potere nel determinare l’elezione dei singoli candidati inseriti in lista, rimessa esclusivamente ai capi del partito o dei partiti legati in coalizione.
La lista bloccata costringe l’elettore ad accettare ciecamente la scelta già fatta dagli organi di partito mediante l’ordine di inserimento dei candidati nella lista presentata e quella che faranno, all’esito della consultazione elettorale, sulla base di interessi, convenienze e connivenze del tutto personali e particolari, tra i candidati eletti in diverse circoscrizioni: a lui è rimessa solo la scelta tra il “prendere” ( e così andare a votare per “non si sa chi”) o “lasciare” (e rinunciare così ad un diritto-dovere fondamentale di ogni ordinamento democratico).
Questa situazione è particolarmente grave, stante anche l’ormai diffusa connivenza tra mafia e politica, tra criminalità organizzata e politica, contro la quale gli elettori non hanno più alcuno strumento a disposizione per poterla contrastare mediante un effettivo e concreto voto di preferenza, che consentirebbe di rifiutare i soggetti compromessi
Infine, le legge elettorale vigente, limitando fortemente il diritto di voto dei cittadini, appare incostituzionale per violazione dell’art.117 Cost., che impone il rispetto delle norme e dei principi del diritto internazionale e dei trattati sottoscritti, poiché risulta contraria all’art. 3 del Protocollo n.1 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e a quanto stabilito nel Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia (§ 2, b), secondo cui gli elementi fondamentali del diritto elettorale interno non devono essere modificati nell’imminenza della consultazione elettorale e dovrebbero essere oggetto di una legge di rango costituzionale o di rango superiore alla legge ordinaria e il voto di ciascun cittadino deve essere “uguale”, “diretto”, “libero” ed “effettivo”.
Per tali motivi alcuni cittadini italiani hanno inteso fare ricorso ai Tribunali ordinari italiani perché, previa declaratoria di incostituzionalità della legge n. 270/2005, sia riconosciuto il diritto garantito dalla Costituzione italiana ad un voto diretto, uguale, libero ed effettivo per scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché sia dichiarata la violazione di quel loro diritto, così come riconosciuto dall’art.3 del Protocollo n.1 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’esito delle azioni intraprese è però di grande e fondamentale importanza per tutti i cittadini italiani, che invitiamo tutti a essere presenti all’udienza pubblica del Tribunale di Milano il 16 marzo per testimoniare la loro volontà di tornare ad essere parte attiva e decisiva della vita e delle sorti del Paese.
L’eventuale rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale della legge elettorale per i motivi denunciati costringerebbe il Parlamento a modificarla, impedendo così di andare al voto con le stesse norme.
* LIBERA CITTADINANZA: http://www.liberacittadinanza.it/articoli/legge-elettorale-ricorso-alla-corte-europea-dei
LEGGE ELETTORALE
La tentazione del Cavaliere
lo scambio fra lodo e Mattarellum
Berlusconi potrebbe tornare al Mattarellum solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale. Otterrebbe i due terzi, eviterebbe il referendum e bloccherebbe al più presto tutti i suoi processi milanesi
di LIANA MILELLA *
A MARE il Porcellum, pur di salvare se stesso. Il ritorno al Mattarellum, ma solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale, in modo da ottenere i due terzi, evitare il referendum e bloccare al più presto - aprile calcolano gli uomini di Berlusconi - tutti i suoi processi milanesi. Stavolta definitivamente. Senza più patemi. Tranquillo fino allo scadere della legislatura. È questa la tela segreta, il grande scambio tra scudo e legge elettorale, che in queste ore sta tessendo palazzo Chigi. Nella quale l’atteggiamento e la posizione di Fini rivestono, per il Cavaliere, un ruolo fondamentale. Un suo sì, "ma pieno, rotondo e senza scherzi", allo scudo rappresenta un primo passo essenziale. Perché, ragiona il premier con il Guardasigilli Angelino Alfano, "dell’intesa sul lodo dobbiamo essere sicuri al cento per cento, altrimenti è meglio che io faccia saltare tutto adesso per votare in primavera".
Il Porcellum, la legge "porcata" come la battezzò il leghista Calderoli, gli ha regalato il potere assoluto di mettere in lista chi gli pare e consegnarlo come un pacco regalo agli italiani, ma Berlusconi è deciso a buttarla via tentando uno scambio con il Pd. Che sfrutta un dato di fatto, la voglia profonda dei Democratici di tornare al sistema inventato dall’ex ministro Sergio Mattarella. Come dimostra la notizia che i pd Arturo Parisi e Stefano Ceccanti ieri si vantavano di aver già raccolto 187 firme, 80 senatori e 107 deputati, per sostenere quella "semplice legge" ipotizzata dall’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky e una legislatura fa depositata dall’ex pm Felice Casson. Due righe, "è abrogato il Porcellum, si torna al Mattarellum". Sui mal di pancia del Pd punta Berlusconi, convinto, mentre ne ragiona con i suoi, che lo scambio tra lodo Alfano e abolizione del Porcellum non sia affatto un sogno impossibile.
A chi, delegato a svolgere il ruolo di ambasciatore, gli obietta che "mai e poi mai i Democratici voterebbero per una legge che considerano ad personam", lui fornisce l’argomento utile da spendere: "Ditegli che solo così potranno cambiarla, altrimenti si torna a votare con quella". Fa di conto, il Cavaliere. Dà per scontata l’adesione dell’Udc e comincia a convincersi che anche Fini sullo scudo stia facendo sul serio. Al presidente della Camera, che già quest’estate si interrogava su quale potesse essere la via d’uscita per risolvere i problemi giudiziari del premier e chiedeva consigli, in quel di Ansedonia, alla sua consigliera per la giustizia Giulia Bongiorno, lei aveva risposto che l’unica via, la più "pulita", era quella della sospensione dei processi per la durata del mandato, ma da perseguire con legge costituzionale. Fini dunque non gioca, e ieri Italo Bocchino lo ha confermato ad Angelino Alfano.
Incontro casuale, si dice. Due padri che portano a scuola, per l’inizio dell’anno, la figlia e il figlio. Guarda caso pure nella stessa classe. Poi una merenda, tra scorte e telecamere, al bar Ruschena, lungotevere all’angolo della Cassazione. Un’ora e più di colloquio. Su Repubblica la notizia che Fini dà mandato alla Bongiorno di dare il via libera all’accelerazione del lodo. Bocchino conferma che il suo capo fa sul serio. Quella "è una strada che rispetta le regole, non scassa il sistema, riguarda solo un processo e non ne manda a capofitto centinaia come il processo breve".
E allora non resta che far di conto. Verificare i tempi. Incrociare il progetto con la decisione della Consulta sul legittimo impedimento (il 14 dicembre). L’ipotesi di cambiare quella legge, su cui pure Alfano ha ragionato, non pare spendibile. Una versione che la attenuasse, ha spiegato l’avvocato del premier Niccolò Ghedini, danneggerebbe soltanto il suo assistito. La tattica decisa è un’altra. Che i berluscones spiegano così: "Metteremo la Corte di fronte al fatto compiuto che il Parlamento sta approvando a tappe forzate la legge costituzionale, per cui la legge ponte, il legittimo impedimento, è comunque destinata a scomparire". Per questo contano i tempi, cui è delegato a lavorare Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali e relatore del lodo. Che ieri ha sottoposto al capogruppo pdl Maurizio Gasparri l’ipotesi di un incontro congiunto tra Camera e Senato per verificare la stesura di un testo definitivo.
Su questo si gioca la corsa a tappe forzate. Sì rapido al Senato, aula ad inizio ottobre, entro dicembre il secondo voto alla Camera. Tre mesi obbligatori di attesa. Poi la terza e quarta lettura. Legge pronta ad aprile. E qui, calcola Vizzini, "dovrebbero essere necessari 190, al massimo 200 giorni, per andare al referendum, qualora fosse necessario". Ma Berlusconi lavora per evitarlo mettendosi d’accordo col Pd. Se non ci riuscisse ecco il referendum in autunno, che lui considera già vinto visto che spenderà la sua faccia. A quel punto starà per scadere il legittimo impedimento. Ma a vederlo da fuori è un puzzle con molti, troppi incastri.
* la Repubblica, 14 settembre 2010
IL SONDAGGIO
Gli italiani bocciano il Porcellum
Vincono proporzionale e preferenze
Rilevazione di Ipr Marketing per Repubblica.it. Il 41% vuole il sistema tedesco con sbarramento, il 21% preferirebbe il modello francese. E la grande maggioranza dice no al Parlamento dei "nominati"
di CARMINE SAVIANO *
Porcellum? No, grazie. Le legge Calderoli è all’ultimo posto tra le preferenze elettorali degli italiani. Non solo. La maggioranza vuole dire addio al sistema delle liste bloccate. E’ quanto emerge dal sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it. Una serie di interviste, realizzate il 9 settembre, che certificano l’allergia alle norme elettorali in vigore. Il modello preferito? Quello tedesco, il proporzionale con sbarramento, con il 41% dei consensi. Sulle preferenze, poi, lo scontento è bipartisan: tra gli elettori di Pdl e Lega solo il 19% accetta le liste bloccate.
Ipr ha chiesto a un campione statistico di indicare il sistema elettorale preferito. Quattro le opzioni: un sistema proporzionale con sbarramento sul modello tedesco; un sistema maggioritario uninominale a doppio turno sul modello francese; il Mattarellum ovvero la legge in vigore in Italia fino al 2005; e infine la Legge Calderoli.
L’esito è chiaro, e dice che il maggioritario non è poi così nel cuore degli italiani. In testa alle preferenze, infatti, c’è il modello tedesco (41%), seguito da quello francese (22%), dal Mattarellum (18%). Solo il 12% degli italiani dichiara di gradire l’attuale legge elettorale.
I dati che riguardano il gradimento del Porcellum parlano da soli. E se nel centrosinistra il gradimento è prossimo alla zero (1%), il dato che sorprende è quello che riguarda il centrodestra: tra gli elettori di Pdl e Lega solo il 31% dice di voler confermare l’attuale legge.
Più equilibrata la ripartizione del 41% in favore del modello tedesco. Lo sceglierebbero il 51% degli elettori Pd-Idv e il 27% dei cittadini che votano Pdl-Lega. Anche tra gli elettori degli altri partiti la quota è molto alta, il 46%. Il sistema tedesco è un modello proporzionale puro - a tanti voti corrispondono tanti seggi - con sbarramento al 5%.
Analogo equilibrio sul modello francese. Nel centrosinistra il tasso di gradimento è del 21%, mentre nel centrodestra è del 19. Tra gli altri partiti: il 32%. In questo sistema, per essere eletti c’è bisogno della maggioranza assoluta dei voti espressi in un collegio. Il secondo turno scatta se nessuno dei candidati supera la metà più uno dei voti validi.
Per l’opzione Mattarellum, infine, si esprimono il 25% degli elettori di Pd-Idv e il 20% degli intervistati di centrodestra.
Stop alle liste bloccate. La bocciatura del Porcellum diventa plastica ed evidentissima sulla questione preferenze. Il 60% degli intervistati vuole tornare a scegliere i parlamentari. Basta con le liste bloccate e le Camere dei "nominati", insomma. Solo il 20% preferisce votare come ora, senza avere voce in capitolo su chi andrà ad occupare i seggi parlamentari. La percentuale è più alta (il 70%) tra i simpatizzanti del centrosinistra, ma anche tra gli elettori del centrodestra le liste bloccate se la passano male: il 46% non le vuole più, e un altro 35% è senza opinione.
"Il Porcellum ha trasformato la democrazia in oligarchia cancelliamo quest’aberrazione"
intervista a Gustavo Zagrebelsky,
a cura di Liana Milella (la Repubblica, 08 settembre 2010)
Il calderoliano Porcellum «rovescia la democrazia in oligarchia». Dunque va messo da parte prima di un nuovo voto. «Basta una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"». Perché, ragiona l’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, altrimenti l’attuale legge elettorale continuerà a «ferire la Costituzione» e ad espropriare i cittadini del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. Per salvare «quella piccola cosa che è la democrazia» si mobilita l’associazione Libertà e Giustizia.
Ironizza Ellekappa, nella vignetta che campeggia sul sito: «Siamo seri, non si può andare a votare con una legge elettorale che grugnisce». Ci spiega il perché dell’iniziativa?
«Non si è mai vista in democrazia una legge elettorale in cui gli elettori non possano scegliere i propri rappresentanti, ma siano semplicemente chiamati ad "abboccare" alle designazioni fatte dalle segreterie dei partiti. Leggi di questo genere esistono solo nelle dittature di partito. Se questa non è un’aberrazione, non so cos’altro potrebbe essere».
Una legge che delega alle segreterie dei partiti, a solo cinque uomini in Italia come dice Fini, la nomina di mille parlamentari, espropria i cittadini del diritto di indicare i propri rappresentanti?
«Certamente. Ma non solo. Rovescia la democrazia in oligarchia. Che cos’è l’oligarchia se non il regime in cui i pochi che stanno in alto chiamano a sé e cooptano i propri uomini di fiducia? La democrazia non richiederebbe che i rappresentanti in Parlamento siano invece uomini di fiducia dei cittadini?».
Ma quando la legge Calderoli fu votata si disse che serviva per evitare campagne elettorali costose e per bloccare le interferenze di lobby criminali sulla scelta di deputati e senatori. Questi argomenti le paiono validi?
«Sono funzionali a un sistema oligarchico, non democratico. Potrebbero essere presi sul serio se si potesse dimostrare che l’attuale illimitato potere delle segreterie dei partiti di scegliere i candidati sia stato usato per selezionare una classe dirigente di persone oneste e competenti, degne di ricoprire la funzione parlamentare. Non generalizziamo, ma possiamo dire che effettivamente sia accaduto così? Ovvio che i problemi esistono, ma devono essere risolti diversamente, per esempio stabilendo limiti rigorosi alle spese elettorali e regole di trasparenza sui finanziamenti. La penetrazione di interessi criminali nella politica, poi, può essere addirittura facilitata dalla gestione oligarchica delle candidature».
A questa legge si può imputare la "colpa" di aver acuito la distanza tra cittadini e politica e di aver favorito l’astensionismo?
«Sì. Una legge come quella attuale è la dimostrazione che la classe dirigente vuole proteggersi dall’ingresso sulla scena della politica della cosiddetta società civile. Chiariamoci il concetto. Società civile non sono i salotti, le lobby, i gruppi organizzati per interessi settoriali. La società civile è l’insieme dei gruppi, delle associazioni, di coloro che liberamente, come ad esempio nel grande mondo del volontariato, dedicano gratuitamente passione ed energie al bene comune. Costoro chiedono giustamente "rappresentanza", ma la legge attuale li allontana dalla presenza in politica».
In un meccanismo come quello inventato nel 2005 lei individua un vulnus costituzionale?
«Sì. Nel solo fatto che, come giustamente si dice, deputati e senatori siano designati dall’alto e non eletti dai cittadini, c’è una violazione della sovranità popolare (articolo 1 della Costituzione). In più, il sistema attuale fa dei parlamentari degli agenti dei capi di partito che li hanno messi in lista, e non i rappresentanti della nazione come dovrebbe essere, secondo l’articolo 67 della Costituzione. Infine, un Parlamento così fatto è totalmente privo di autonomia e di autorevolezza rispetto a coloro che ve li hanno messi. Ciò che è accaduto in questi giorni, quando il presidente del Consiglio promette candidature in cambio di adesioni al Pdl, non dimostra forse, nel modo più chiaro, che i posti in Parlamento sono considerati proprietà di chi comanda, il quale li può distribuire come vuole?».
Libertà e Giustizia si mobilita «per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento». Com’è nata l’idea?
«È nata per tutte le ragioni dette finora. È una mobilitazione per la democrazia. La speranza è creare un movimento trasversale e corale tra tutti coloro che hanno a cuore questa piccola cosa che è la democrazia. Non abbiamo nessuna idea, né ci preoccupa averla, su chi potrebbe avvantaggiarsi e chi invece sarebbe danneggiato dall’abrogazione della legge elettorale vigente. In gioco c’è ben altro che il successo di questo o quel partito. C’è la difesa della democrazia».
Ogni volta che si ragiona di riforma del sistema elettorale si apre una contesa tra sostenitori di diverse soluzioni, quella tedesca, francese, spagnola o inglese. Un guazzabuglio dal quale non si esce mai. Lei cosa suggerirebbe per arrivare almeno a un compromesso decente?
«La situazione attuale è di emergenza. Giustizia e Libertà ha lanciato tempo fa questo slogan: "Mai più al voto con questa legge elettorale". Ogni altra soluzione sarebbe migliore. Tuttavia, se ciascuna forza politica interessata alla riforma elettorale si muoverà per conto proprio secondo la sua strategia politica, il risultato sarà inevitabilmente l’impasse, e ci terremo la legge che si dice di voler cambiare».
E invece c’è una via d’uscita?
«Il suggerimento minimalista è di rivolgersi indietro alla legge precedente, il cosiddetto Mattarellum. Era una legge criticabile, ma certamente rappresenterebbe oggi il meno peggio. Sarebbe già qualcosa di importante. Si trattava di un compromesso tra logica maggioritaria e logica proporzionalistica che potrebbe soddisfare, almeno parzialmente, tutti quanti. Poi, se i tempi lo consentiranno, si potrà lavorare fuori dell’emergenza, per un nuovo sistema elettorale. Per raggiungere questo risultato, al quale le Camere prima dello scioglimento dovrebbero dedicarsi, basterebbe una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"».
Un appello perché, prima di votare, si cambi questa brutta legge elettorale
di Rino Formica e Emanuele Macaluso (Corriere della Sera, 08.09.2010)
Illustri Presidenti,
i nostri padri costituenti prima di dare inizio alla elaborazione del testo costituzionale affrontarono due temi dirimenti e pregiudiziali: 1. La forma di Stato; 2. La struttura formale della Carta.
Sul primo punto si votò l’o.d.g. Petrassi (no al Governo presidenziale e no al Governo direttoriale sì ad un sistema parlamentare). Sul 2˚punto si aprì una discussione intorno a 3 o.d.g. (Bozzi, Calamandrei e Dossetti). L’Assemblea approvò l’o.d.g. Bozzi integrato dai suggerimenti di Togliatti e di Piccioni («il testo della Costituzione dovrà contenere nei suoi articoli disposizioni concrete di carattere normativo e istituzionale, anche nel campo economico e sociale»).
I Costituenti, per tenere insieme la costruzione di un ordinamento istituzionale democratico ed equilibrato, previdero poteri bilanciati da sostenere con un sistema di garanzie regolato sul principio della rappresentanza proporzionale della volontà popolare. (La Costituente votò un o.d.g. di Antonio Giolitti in tal senso).
Noi che scriviamo questa lettera siamo in condizioni di poter parlare con scienza e coscienza di esperienza vissuta e partecipata, perché abbiamo attraversato tutte le fasi pacifiche e drammatiche della vita repubblicana dalla Costituente ad oggi. Non vogliamo affrontare i temi caldi che attualmente incidono sull’equilibrio costituzionale: la crisi dello Stato nazionale; la crisi del partito politico e della democrazia organizzata; il lento svanire della democrazia parlamentare.
Vogliamo cogliere l’occasione che ci offre la discussione in corso sulla possibile fine anticipata della legislatura per porre alle più alte cariche istituzionali un problema ineludibile: o si cambia la legge elettorale in senso proporzionalistico o si cambiano i quorum di garanzie degli artt.64 (regolamenti della Camera), art.83 (elezione Presidente della Repubblica), art.135 (elezione giudici della Corte Costituzionale), art.138 (procedura di revisione costituzionale).
La questione non è nuova, ma oggi il conflitto tra quorum di garanzia costituzionale e legge elettorale maggioritaria, è più grave del passato a causa della debolezza delle forze politiche e per la crisi del bipolarismo bipartitico. La stessa sconcezza della nomina diretta dei parlamentari da parte dei capi partito appare come una infelice irrisione di ogni principio di libera determinazione della volontà popolare.
Dalla Costituente (1946) alla XI legislatura (1992) la rappresentanza parlamentare è stata eletta con leggi proporzionali. Il tema dei quorum di garanzia è nato con il Referendum abrogativo del 18 aprile 1993 su la legge elettorale del Senato.
Il Gruppo Socialista, pochi giorni dopo quel voto, presentò il 14 maggio 1993 la proposta di legge costituzionale (atto Camera n.2665) per l’abrogazione del terzo comma dell’art.138. Il 3 novembre 1993 il testo approdò in Aula. Tutti i Gruppi si dichiararono d’accordo con l’eccezione di Rifondazione comunista e i Radicali. Il testo fu approvato con 341 voti a favore e 7 voti contrari. Lo scioglimento delle Camere affossò la modifica dell’art. 138. Il 28 febbraio 1995 il centro-sinistra presentò una organica proposta di legge costituzionale (atto Camera n.2115) per la modifica degli artt. 64, 83, 135 e 138. Tutti gli altri Gruppi presentarono proposte di modifiche del 138. La discussione si svolse su tutte le proposte, il 2 e 3 agosto 1995 ed ebbe il parere favorevole del Governo. Ma anche in questo caso l’anticipato scioglimento delle Camere (1996) affossò le modifiche costituzionali.
Sul tema cadde il silenzio interrotto da una proposta alla Camera nella fine della XV legislatura e nella riproposizione del testo al Senato all’inizio dell’attuale legislatura (4 giugno 2008) a firma Oscar Luigi Scalfaro (atto Senato n.741). L’argomento è ancora una modifica del quorum dell’art. 138, e ancora una volta si osserva che la nuova legge per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica con premio di maggioranza, consente a maggioranze relative di elettori di diventare maggioranze assolute dei deputati e dei senatori; pertanto la quota di voti parlamentari necessaria per l’approvazione in seconda deliberazione di riforme costituzionali (metà più uno degli eletti) è, per così dire, «a portata di mano» per cambiare le regole e i principi della Costituzione secondo le opinioni o, peggio, le convenienze dei vincitori nell’ultima competizione elettorale.
A questo punto c’è da chiedersi: perché le forze politiche che da 17 anni hanno sempre votato alla quasi unanimità in prima lettura le proposte di modifica dei quorum di garanzia costituzionale come necessario bilanciamento alla introduzione delle leggi elettorali maggioritarie, hanno accantonato la questione?
A questa domanda si può dare una sola risposta: nel potere costituito è prevalsa la convinzione che l’attenuarsi delle garanzie costituzionali può essere giocata come arma politica aggiuntiva da una parte politica contro l’altra.
Noi ci rivolgiamo a Voi come supremi garanti della democrazia italiana, perché sia posto al Parlamento, prima dello scioglimento delle Camere, il tema per deliberare o una modifica in senso proporzionalista della legge elettorale o una modifica dei quorum di garanzia costituzionale.
Il tempo stringe e non consente oziose e inconcludenti discussioni. La nostra generazione si ribellò alla notte buia della dittatura, ed ha avuto l’onore di partecipare alla costruzione di una grande democrazia moderna. Noi temiamo che disattenzione o, peggio, fatalistica rassegnazione, possa distruggere un’opera preziosa per tutti
LA POLEMICA
Angela Napoli: "Non escludo che deputate si siano prostituite"
Accusa shock della deputata di Futuro e Libertà, conseguenza di una legge elettorale che costringe le donne, per essere in lista, "ad assecondare il padrone di turno". Insorge la componente femminile del Pdl: "Intervenga la presidenza della Camera". Perina: "Napoli caduta in trappola"
CATANZARO - "Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite". E’ la dichiarazione shock di Angela Napoli, deputata di Futuro e Libertà e componente della commissione parlamentare antimafia, in una analisi delle conseguenze dell’attuale legge elettorale durante un’intervista a Klaus Davi. Immediata la reazione indignata delle deputate del Pdl. Mentre Flavia Perina critica la Napoli: "E’ caduta in una trappola".
"Se non c’è meritocrazia...". "Purtroppo può essere vero - ribadisce la Napoli a Klaus Davi - e questo porta alla necessità di cambiare l’attuale legge elettorale. E’ chiaro che, essendo nominati, se non si punta sulla scelta meritocratica, la donna spesso è costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volontà del padrone di turno". In una nota, Angela Napoli definisce "ipocrita" anche il ddl del ministro Mara Carfagna che prevede il carcere per i clienti delle prostitute. "Se veramente diventasse legge, sarebbero non tanti, ma tantissimi i parlamentari arrestati. Salvo che i parlamentari beccati con prostitute se la cavino con l’immunità, mentre un operaio o un camionista finirebbero per pagare nella solita logica di casta, come sempre avviene".
Perina: "Napoli nella trappola di Davi". Critica con Angela Napoli è Flavia Perina, anche lei deputata di Futuro e Libertà e direttrice de Il Secolo. "Prostituirsi per fare carriera in politica? Ci sono tanti modi per farlo e la maggior parte di essi non c’entra niente con il sesso e con le donne - scrive in una nota -. E ci sono tanti modi per denunciarlo senza violare la dignità delle donne elette in parlamento. Angela Napoli è caduta nella trappola di Klaus Davi, che dà visibilità alla sua trasmissione confondendo abitualmente i temi della sessualità e della politica".
Insorgono le deputate del Pdl. ’’Mi vergogno terribilmente per le affermazioni di Angela Napoli - afferma la deputata Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunita’ del Pdl -. Mi aspetto che i membri di Futuro e Libertà si dissocino pubblicamente da queste infami accuse che gettano fango e discredito su tutte le donne, di qualsivoglia forza politica, elette dal 2006 ad oggi’’. "E’ tristemente ridicolo - aggiunge Saltamartini - che la collega lanci accuse di questa risma solo per sponsorizzare la modifica della legge elettorale".
Per Jole Santelli, vicepresidente dei deputati del Pdl, "le parole di Angela Napoli offendono l’intero Parlamento e non solo le colleghe parlamentari. Il presidente della Camera deve immediatamente intervenire nel censurare le gravi affermazioni dell’onorevole Napoli ed entrambi i presidenti dei due rami del Parlamento tutelare la dignità delle parlamentari e della stessa istituzione che rappresentano".
Anche Alessandra Mussolini sposa la linea della "vergogna" e il richiamo alle istituzioni interne al Parlamento perché intervengano. "Queste parole - dice - offendono le deputate di tutti i gruppi parlamentari e chiedo la convocazione immediata dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati per prendere i provvedimenti del caso".
Passa alle vie legali Melania Rizzoli, Pdl. ’’E’ mia intenzione incaricare l’avvocato Giulia Bongiorno a querelare la collega deputata Angela Napoli per la sua dichiarazione diffamatoria" che, non riportando nomi, "è lesiva indistintamente di tutte le deputate e senatrici’’. "Siamo tutte prostitute - aggiunge la Rizzoli -, avendo ognuna di noi pari dignità di fronte al Parlamento. A meno che la deputata Angela Napoli non abbia il coraggio di fare i nomi e i cognomi delle deputate e senatrici che lei ritiene siano stato elette per l’attività da lei denunciata’’.
Sempre dal Pdl, ecco il contrattacco di Beatrice Lorenzin. "Attaccare le donne, facendo leva su un facile pregiudizio maschilista e gossipparo, è la strada scelta da queste sedicenti paladine della causa femminile che hanno trovato l’ultimo ricovero in Fli e che nei fatti si sono dimostrate, per comportamenti politici, totalmente estranee alla promozione e alla tutela della causa femminile, fuori e dentro il partito".
* la Repubblica, 08 settembre 2010
L’INIZIATIVA
"No al Porcellum, ridateci la nostra democrazia"
L’appello di Libertà e Giustizia e Valigia blu
Si chiedono nuove norme per dire basta al "Parlamento dei nominati". La possibilità di firmare sul sito e sulla pagina su Facebook
di CARMINE SAVIANO *
UNA democrazia "ridotta a regime". Dove deputati e senatori sono nominati da pochi, pochissimi, "capi partito". Si chiama "Ridateci la nostra democrazia", ed è la mobilitazione lanciata dall’associazione Libertà e Giustizia, con l’adesione del gruppo Valigia Blu, per chiedere, alle forze politiche presenti in Parlamento, di abrogare il Porcellum e restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. "La sovranità popolare, la nostra sovranità in quanto cittadini, ci è stata scippata da questa legge", dice a Repubblica.it Sandra Bonsanti, presidente di LeG. La protesta è già partita: sul sito di Leg e su Facebook è possibile firmare per cambiare la legge elettorale.
Un Parlamento di nominati. L’appello di LeG passa in rassegna tutte le deformazioni politiche e istituzionali causate dal Porcellum. "Salta agli occhi di tutti è quella che riguarda la sovranità popolare. Il Porcellum ce l’ha scippata", dice la Bonsanti. E, inoltre, "è gravissimo prevedere un premio di maggioranza di questa portata: può bastare il 30% dei voti per ottenere il 55% dei seggi". Poi, il ruolo delle opposizioni: "Questa legge è stata contrastata certo, ma senza sufficiente impegno". Questo perché, come si legge nell’appello, avere deputati e senatori che vivono "sotto perenne ricatto di pochi capi partito cui è attribuito il potere di nomina", forse, conviene a tutti. Una forzatura della Costituzione da cui si può uscire attraverso "un accordo in tempi rapidi su una legge realmente rispettosa delle scelte del popolo". E se non si dovesse trovare un accordo, dice la Bonsanti, "proponiamo un ritorno al Mattarellum, una legge non perfetta ma che almeno consentiva una libertà di scelta agli elettori".
Ecco, quindi, il punto operativo dell’iniziativa: "Il presidente onorario di LeG, Gustavo Zagrebelsky e tutto l’ufficio di presidenza dell’associazione si impegnano a promuovere al più presto una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare composta di soli due articoli: il primo che dichiara abrogata l’attuale legge elettorale, il secondo che stabilisce il ritorno alla legge precedentemente in vigore". L’appello, lanciato il 21 giugno, ha già raccolto 15mila firme e l’adesione di molti politici. Ora scatta la mobilitazione. L’obiettivo è un costituire un comitato per coordinare le iniziative e per, eventualmente, presentare la legge di iniziativa popolare.
Sul web. Alla mobilitazione per sostenere l’iniziativa di LeG parte dal gruppo Valigia Blu. Che su Facebook ha aperto il gruppo "Ridateci la nostra democrazia". Arianna Ciccone, spiega a Repubblica. it le tappe previste. "Vogliamo raccogliere adesioni anche di personaggi famosi e intellettuali, far capire che l’esigenza di cambiare la legge elettorale è sentita da tanti settori della società civile". Un appello che si rivolge ai cittadini "che devono mobilitarsi, uscire dalla rete, prendere coscienza del pericolo di questa legge"; ai tutti i politici che "devono prendersi la responsabilità di dire di no a questa proposta"; ai media, che devono "implementare il modello già sperimentato con la protesta contro la Legge Bavaglio: unire tutti, dai gruppi editoriali ai blog". E nessuna scelta definitiva sul modello elettorale da scegliere: "Devono restituirci il potere di scegliere i nostri rappresentanti".
FIRMA SULLA PAGINA FACEBOOK 1 FIRMA SUL SITO DI LeG 2
Il testo dell’appello
"La presidenza di Libertà e Giustizia lancia un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento affinché si impegnino a restituire al cittadino il potere previsto dalla Costituzione di eleggere propri rappresentanti alla Camera e al Senato. E’ infatti unanimemente riconosciuto che con l’attuale legge elettorale detta "porcellum" questo potere è stato totalmente sottratto all’elettore e depositato nelle mani di pochi capi partito. L’attuale Parlamento è dunque composto da parlamentari "nominati" e non eletti: è questo il più grave vulnus alla Repubblica parlamentare disegnata nella nostra Carta costituzionale. LeG chiede che se non fosse possibile trovare un accordo in tempi rapidi su una legge elettorale realmente rispettosa delle scelte del popolo, i partiti si impegnassero almeno a ripristinare la legge elettorale in vigore fino al 2005, nota come "Mattarellum", basato su un sistema misto, maggioritario e proporzionale. Una democrazia non può vivere in un regime in cui deputati e senatori "nominati" sono sostanzialmente sotto perenne "ricatto" dei pochi capi partito cui è attribuito il potere di nomina. Il presidente onorario di LeG, Gustavo Zagrebelsky e tutto l’ufficio di presidenza dell’associazione si impegnano a promuovere al più presto una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare composta di soli due articoli: il primo che dichiara abrogata l’attuale legge elettorale, il secondo che stabilisce il ritorno alla legge precedentemente in vigore.
Nel frattempo vi chiediamo di firmare quest’appello e di aiutarci a diffonderlo".
Così va cambiata la legge elettorale
di Valerio Onida, Franco Casavola, Giovanni Maria Flick, Piero Alberto Capotosti, Enzo Cheli, Giovanni Sartori, Alessandro Pace, Sergio Bartole, Alessandro Pizzorusso, Lorenza Carlassare, Umberto Allegretti, Fulco Lanchester, Gaetano Azzariti, Paolo Caretti, Enzo Balboni, Federico Sorrentino, Cesare Pinelli, Renato Balduzzi, Stefano Merlini, Carlo Federico Grosso, Massimo Siclari, Stefano Passigli, Giancandido De Martin, Giovanna De Minico, Silvio Gambino, Enrico Grosso, Roberto Gualtieri, Franco Bassanini, Massimo Villone, Antonio La Spina, Carmela Salazar, Mauro Volpi, Antonio Zorzi Giustiniani, Mario Chiavario, Paolo Ridola, Giuditta Brunelli, Giovanni Cordini, Pietro Ciarlo, Margherita Raveraira, Antonio Cantaro, Michele Carducci, Stefano Grassi, Claudio De Fiores, Francesco Rigano, Antonella Sciortino, Roberto Toniatti, Roberto Scarciglia, Gianluca Gardini, Francesco Rigano, Roberto Romboli, Costantino Murgia, Antonio Saitta, Maria Paola Viviani Schlein, Salvatore Prisco, Salvatore Bellomia, Giuseppe Di Gaspare, Francesco Bilancia, Giampiero Di Plinio, Giovanni Di Cosimo, Riccardo Guastini, Stefano Maria Cicconetti, Maurizio Pedrazza Gorlero, Ernesto Bettinelli, Damiano Nocilla, Lorenzo Chieffi *
Caro direttore,
In Italia, come nelle altre democrazie moderne, la sovranità popolare si esprime nelle forme e nei limiti della Costituzione. Tali forme sono in Italia quelle della democrazia parlamentare: il potere di nomina del presidente del Consiglio appartiene al presidente della Repubblica, unico requisito indispensabile per la formazione di un governo è quello di ottenere la fiducia delle due Camere, lo scioglimento delle Camere è disposto dal capo dello Stato, e i membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincoli di mandato.
Riteniamo inaccettabili e infondate interpretazioni che tendano ad accreditare la prevalenza sulla Costituzione vigente di una presunta "Costituzione materiale" basata sulla elezione diretta del governo o del presidente del Consiglio.
Allo stesso tempo, siamo consapevoli che la deriva plebiscitaria che attraversa il nostro discorso pubblico trae alimento dalle modalità con cui il sistema maggioritario è stato introdotto nel nostro paese nella forma di un inedito "bipolarismo di coalizione" sconosciuto agli altri sistemi democratici europei. In particolare, riteniamo fortemente dannoso il meccanismo del premio di maggioranza previsto dalla normativa attuale che esaspera e radicalizza il confronto politicoelettorale e impernia la competizione elettorale su schieramenti precostituiti, unificati dal leader, ma spesso disomogenei, invece che, come avviene nel resto d’Europa, su liste o candidati di partiti, venendo così a svolgere impropriamente la funzione di surrogato di un sistema di tipo presidenziale. È prioritario dunque riformare la legge elettorale, rendendo la nostra normativa coerente con l’impianto costituzionale e con i principi che regolano la legislazione elettorale europea.
Questa riforma deve seguire quattro principi: superamento dell’anomalia del premio di maggioranza (che non è presente in nessuna democrazia occidentale); ripristino di un rapporto tra eletti e territorio; equilibrio tra rappresentanza e governabilità; riduzione della frammentazione.
Tali principi possono essere tradotti in pratica sia attraverso una correzione del sistema proporzionale con l’introduzione di collegi uninominali maggioritari e di una soglia di sbarramento sul modello tedesco; sia attraverso un sistema uninominale maggioritario a doppio turno sul modello francese. Con le opportune correzioni, possono entrambi incentivare una moderna democrazia dell’alternanza di tipo europeo. In ogni caso, l’individuazione del sistema più idoneo e al tempo stesso più capace di raccogliere il necessario consenso parlamentare spetta alle forze politiche, alle quali rivolgiamo questo appello consapevoli che la riforma della legge elettorale costituisce una necessità ineludibile per la nostra democrazia.
* la Repubblica, 09.09.2010.
Il maggioritario per l’Italia non funziona
di BILL EMMOTT (La Stampa, 14/9/2010)
E’ lusinghiero per noi inglesi che il nostro sistema sia stato tanto spesso lodato nel corso del dibattito italiano sulla politica e la legge elettorale. E ci siamo sentiti lusingati anche quando quest’anno, a maggio, tanti commentatori italiani hanno espresso preoccupazione perché il nostro sistema elettorale maggioritario uninominale secco non era riuscito, per la prima volta in 36 anni, a produrre un governo forte, portando necessariamente alla formazione di un governo di coalizione per la prima volta dal 1945. Eppure, per quanto lusinghiera, l’attenzione è, a mio parere, sbagliata. Un sistema maggioritario ha funzionato bene per la Gran Bretagna, ma non è adatto all’Italia.
L’anno scorso ho girato l’Italia facendo ricerche per un nuovo libro, «Forza, Italia», che sarà pubblicato il mese prossimo da Rizzoli. L’obiettivo della ricerca era esplorare i punti di forza del Paese per trovare la «Buona Italia», in contrapposizione alla «Cattiva Italia» su cui tanti critici stranieri (me compreso) si sono concentrati. Dopo questo primo editoriale su «La Stampa» spero di scrivere regolarmente della Buona Italia.
Grazie a questa affascinante e piacevole ricerca ho concluso che le riforme non funzioneranno se non si adatteranno ai punti di forza e alla vera natura della società italiana. Ed è per questo che l’esperimento con i sistemi maggioritari è stato un fallimento. L’attuale collasso della maggioranza che sostiene il governo Berlusconi ne è l’ultima prova.
Alcuni diranno che il conflitto all’interno della coalizione di centro-destra è personale, un conflitto basato sul sostegno o sull’opposizione a Silvio Berlusconi stesso, e quindi non possono esserne tratte conclusioni strutturali o di sistema.
Ma questa è una spiegazione elementare. La realtà più profonda, sicuramente, è che la coalizione formata nel 2008 era artificiale. Così come lo era quella del 2001-06, anche se è durata più a lungo. Queste sono state coalizioni tra incompatibili, di meridionali con la Lega Nord, di riformatori liberali e conservatori, di fautori di un fisco indulgente con sostenitori dell’austerità.
A sinistra è lo stesso. Il Partito Democratico esiste veramente come partito? Perché le forze più vivaci ed attive a sinistra sono al di fuori del Pd, come la Sinistra Ecologia e libertà di Nichi Vendola o L’Italia dei valori di Antonio di Pietro? Perché il partito è lacerato dalle fazioni? Si può dire, correttamente, che tutti i grandi partiti raccolgono diverse tendenze, come il Partito Democratico in America, il Partito laburista in Gran Bretagna o la Spd in Germania. Ma è questione di proporzioni. Forse Pierluigi Bersani si accinge a dimostrare che sbaglio, ma apparentemente né lo stesso Pd né la sua sperata coalizione per il nuovo Ulivo sembrano avere una logica.
La speranza di alternanza, per i potenziali governi concorrenti, era comprensibile dopo Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica. Ma il detto militare che i generali cercano sempre di combattere l’ultima guerra, piuttosto che guardare alla prossima battaglia, è anche molto adatta alla situazione. La mancanza di alternanza è stata un vero problema nel contesto della Guerra fredda e in una politica dove gli estremi erano inaccettabili. Ma oggi? Tutti gli sforzi per produrre maggioranze solide, con il premio di maggioranza e la ricerca di partiti bipolari, sono falliti.
Ciò che ha l’Italia con l’attuale sistema elettorale è un’alternanza instabile. In aggiunta, ha fallito nel produrre governi operativi. Né il governo Berlusconi del 2001-06 né quello attuale sono riusciti ad attuare granché dell’agenda delle riforme, nonostante l’apparente forza di voto delle coalizioni in Parlamento. Perché? La mia convinzione è che il motivo è questo: le coalizioni erano artificiali, non reali, così come il Pd resta un partito artificiale.
L’elenco delle riforme che sembra essere in agenda per tutti include giustizia, istruzione, lavoro, federalismo, modifiche costituzionali, e altro ancora. Tutte queste riforme hanno bisogno di un ampio consenso perché ci sia una possibilità di realizzarle. Tutte richiedono l’accettazione di base da parte delle principali parti politiche che gli avversari hanno legittimamente il diritto di governare.
Eppure, né il consenso né l’accettazione sono possibili, fino a quando resta in piedi l’attuale sistema maggioritario e iper-partigiano. L’alternanza politica britannica funziona in parte grazie alla tradizione: è ciò a cui siamo abituati. Ma funziona soprattutto perché c’è in Gran Bretagna un’ampia accettazione delle regole del gioco politico.
Noi non abbiamo una costituzione scritta ma tutti i partiti politici accettano che la nostra tradizione costituzionale fissi alcuni requisiti e regole di base. A maggio di quest’anno, quando le nostre elezioni politiche non hanno prodotto una maggioranza assoluta, quella tradizione costituzionale è stata messa a dura prova. Eppure, in quattro giorni, è stata formata una coalizione ed è stata accettata dallo sconfitto Partito laburista. Esisteva già il consenso perché il cambiamento fosse regolare e legittimo.
In Italia, mi pare, il consenso deve essere creato e ricreato continuamente. Potere e interessi sono più divisi e più diffusi che in Gran Bretagna. La profonda divisione tra destra e sinistra è più di una semplice questione di filosofia o politica. Quindi, questa divisione di base ha sempre bisogno di essere colmata per creare il consenso e questo consenso richiede anche l’inserimento di altre forze, sia regionali o di settore. Per questo nel mio libro propongo che sia abbandonato il premio di maggioranza e che la legge elettorale sia riformata in favore di un sistema che scoraggi i partiti minuscoli ma che riconosca comunque la diversità e la diffusione di interessi politici e di identità.
Un sistema simile a quello usato in Irlanda, che permette di evitare le liste di partito votando direttamente per i candidati in circoscrizioni multiple, dove questi vengono scelti con un «voto singolo trasferibile» e raggruppati in base alle preferenze, con la soglia del 5% di consensi necessaria per ottenere seggi: questo è il tipo di sistema che mi sembra adatto a soddisfare le caratteristiche di base dell’Italia e a produrre governi capaci di riforma.
Nessun sistema elettorale è infallibile. Ma ogni sistema ha bisogno di incanalare la politica di un Paese, senza cercare di sovvertirla o trasformarla.
(Traduzione di Carla Reschia)
Un compromesso per la legge elettorale di MICHELE AINIS (La Stampa, 15/9/2010)
Doveva risuonare la voce d’un inglese, per raccontarci come siamo fatti noi italiani. Nell’editoriale pubblicato ieri dalla Stampa, Bill Emmott ce l’ha cantata chiara: lasciate perdere il maggioritario, dalle vostre parti non funziona. Ha generato coalizioni artificiali, governi instabili, e in conclusione zero riforme. Meglio per voi il proporzionale, anzi un proporzionale perfetto, all’irlandese. Così ogni idea, ogni opinione, ogni cultura potrà specchiarsi in Parlamento. Senza nessuna camicia di gesso, che tanto va poi regolarmente in pezzi al primo starnuto.
La diagnosi di Emmott riecheggia una lezione che fu di Montesquieu: sono le leggi che devono adattarsi agli uomini, non gli uomini alle leggi. Sicché nessun vestito normativo è buono in assoluto, dipende dalla taglia del popolo che dovrà indossarlo. Anzi: secondo Montesquieu dipende anche dal clima, dal territorio, e naturalmente dalla storia. La nostra storia racconta un’Italia dei Comuni mai del tutto tramontata, tant’è che ne sopravvivono 8 mila, ciascuno rivale dell’altro. Ma se è per questo, sopravvive inoltre una congerie di corporazioni, lobby, sindacati, ordini professionali.
E naturalmente di partiti, dentro e fuori il Parlamento. Noi italiani siamo così, 60 milioni di commissari tecnici, ciascuno con la sua formazione in testa per la nazionale di pallone. Potremmo mai intonare un’unica canzone quando discutiamo di politica? Potremmo mai filare d’accordo, sia pure per lo spazio d’una legislatura? No, e infatti Bobbio disse una volta che la nostra storia costituzionale si è snodata attraverso un’altalena di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi). La sola novità che la seconda Repubblica ci ha recato in dote è la sostituzione della crisi con un eterno stato di pre-crisi, ma il rantolo è lo stesso.
Però se la premessa è esatta, sulla conseguenza che ne trae Bill Emmott va depositata un’opinione dissenziente. Non perché il bipolarismo sia diventato la nostra legge di natura; questo vincolo funziona esclusivamente nella geografia terrestre, dove un polo di centro non esiste, esistono soltanto il Polo Nord e il Polo Sud. Viceversa nella politica italiana il terzo polo prese forma già in Assemblea costituente (dove oltre ai cattolici e ai marxisti operò una pattuglia quanto mai agguerrita d’orientamento liberale), e in seguito ha sempre continuato a manifestarsi in varia guisa. Evidentemente la scelta binaria ci sta stretta, di fidanzate ne vogliamo almeno tre. Quanto al bipartitismo, poi, non ne parliamo; o meglio ne parlano soltanto i Radicali, che tuttavia non hanno mai accettato di diluire la propria identità in una formazione politica più vasta.
Ma davvero tutto ciò significa che per salvarci dovremmo scimmiottare le istituzioni dell’Irlanda? A parte le difficoltà di comprensione (lì il presidente si chiama Uachtarán na hÉireann), a parte il fatto che da quelle parti il capo del governo nomina 11 senatori su 60 (vabbè, tutto sommato funziona così pure in Italia), a parte che fin qui eravamo stati noi a offrire sangue italiano agli irlandesi (quello di Trapattoni), sta di fatto che il loro sistema elettorale rischia d’aumentare i nostri guai, anziché diminuirli.
Tranquilli, non entro in tecnicismi: metodo Hare (peraltro non troppo diverso dal metodo d’Hondt con cui nella prima Repubblica venivano assegnati i seggi del Senato), formula a voto singolo trasferibile (tu voti per me, dopo di che se io ho già fatto il pieno elettorale il tuo voto lo acchiappa il mio rivale), e via elencando. Ma il punto è che un proporzionale esasperato - sia pure con una soglia minima per far scattare il seggio - finirebbe per frazionarci ulteriormente, mettendo a nudo tutti i nostri vizi. No, non è questa la terapia di cui abbiamo bisogno.
Non cresceremo d’una spanna passando dal bipolarismo coatto alla disgregazione forzata. Meglio per noi i sistemi misti, com’era il Mattarellum: tre quarti di maggioritario, un quarto di proporzionale. E se il Porcellum, con il suo premio di maggioranza esorbitante, ha alimentato un bipolarismo falso e muscolare, formulo a mia volta una proposta: correggiamo il maggioritario con un premio di minoranza. Per com’è messa l’opposizione di sinistra, sarebbe un’opera di carità.
Scusate non siamo britannici di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 16/9/2010)
A che cosa serve un sistema elettorale? A vincere le elezioni o a stabilire delle regole del gioco valide per tutti? Domanda ingenua.
La risposta «politicamente corretta» è ovviamente la seconda, ma i nostri politici sono fissati sulla prima. Questo spiega il frenetico discutere di sistemi elettorali a fasi intermittenti, ma soprattutto oggi. E insieme la certezza che non cambierà nulla. Infatti chi è beneficiario dell’attuale sistema elettorale non vuole rischiare, e non intende ragioni anche se ammette a denti stretti che l’attuale meccanismo è tutt’altro che ottimale. Siamo al brutto paradosso che per imporre eventualmente un sistema elettorale più intelligente, occorre prima vincere le elezioni.
Tutto questo è una patologia italiana? Lo pensano in molti, anche e soprattutto analisti stranieri. Ma parecchi di loro si sono ormai stufati di analizzarci. Hanno smesso di darci lezioni, perché siamo incorreggibili. Ci guardano con supponente benevolenza.
Meno male che c’è ancora un Bill Emmott che prende molto sul serio la situazione italiana e ci dà qualche consiglio. «Nessun sistema elettorale è infallibile - ha scritto l’altro ieri sulla Stampa - ma quello italiano con le sue "condizioni artificiali" è particolarmente fallimentare. Assolutamente sbagliato tuttavia sarebbe pensare di migliorarlo - dice - con l’introduzione del maggioritario puro all’inglese. Non soltanto perché questo non funziona neppure più in Inghilterra ma perché non risponderebbe alla "vera natura della società italiana"». L’intervento dell’analista inglese si conclude con una proposta pratica che - se ho capito bene - è una sorta di proporzionale dal basso, con scelta diretta dei candidati, senza la mediazione partitica, che rispecchi il pluralismo sociale, frenato tuttavia dallo sbarramento del 5%. Non è il caso ora di discutere della fattibilità di questa proposta operativa, mi preme invece andare alle premesse che stanno alla base del ragionamento.
Tutte portano al presupposto che esista una «Buona Italia» che attende soltanto il sistema elettorale adeguato, non artificiale o «naturale» per esprimersi. Mi sembra una simpatica ingenuità che non tiene conto delle ragioni che l’analista stesso porta per spiegare - da buon inglese - perché la vita politica in Gran Bretagna funziona nonostante si sia bloccato il suo classico (e un tempo ammirato) meccanismo maggioritario. La ragione è semplice ma decisiva. La vita politica inglese funziona perché esiste tradizionalmente «un’ampia accettazione delle regole politiche». Nel cuore profondo della società civile e della cultura politica. Ecco il punto. In Inghilterra esisteva «già il consenso perché il cambiamento fosse regolare e legittimo» - dice riferendosi al recente cambiamento di governo e di coalizione.
In Italia è esattamente l’opposto. Delegittimazione e ostilità verso l’avversario sono la sostanza della dinamica quotidiana che altera ogni rapporto. Ma dobbiamo porci la domanda: l’incapacità di avere il consenso di fondo sulle grandi regole è il prodotto di una classe politica irresponsabile e incapace o non riproduce qualcosa di più profondo? Malata è soltanto la politica o non piuttosto una società civile incattivita, desolidarizzata, disillusa, frammentata, ripiegata su interessi di parte? Come e perché si è arrivati a questo?
Alla luce di questi interrogativi il rapporto tra politica e società civile non può risolversi semplicemente nella ingegneria di un sistema elettorale che rifugga da «coalizioni artificiali», facendo emergere d’incanto «la vera natura della società italiana». Non esiste una «Buona Italia» che attende di essere rivelata. Quello che manca è una classe dirigente nazionale come tale - non solo in politica ma nell’economia, nelle imprese, nel sistema mediatico e dell’istruzione - che si assuma l’onore di costruire il consenso (costituzionale) sulle grandi regole prima e oltre ogni formula di governo. Se non abbiamo questa tradizione (come in Inghilterra), non c’è più tempo da perdere.
Trovo sano che, a differenza di molti analisti stranieri, Emmott non faccia della figura di Berlusconi l’epitome dell’Italia. Ma sbaglia a vedere il berlusconismo soltanto in chiave di «coalizione artificiale» in cui coesistono impulsi, attese e istanze contraddittorie che ora stanno implodendo. Il fatto che si stia vertiginosamente ridimensionando il mito del carisma comunicativo del Cavaliere e che oggi appaia come un affannato politico che deve tenere insieme i pezzi di un gruppo che era composto di zelanti «seguaci», non deve far dimenticare che - in questo modo - ha realizzato il ricambio di classe politica più radicale dal dopoguerra. Le conseguenze non sono ancora evidenti. Ma la sua è (stata) molto di più di una «coalizione artificiale». A ben vedere è stato anzi il tentativo di cancellare l’idea stessa di coalizione partitica per creare un «popolo di elettori», un nuovo demos che rivendicava addirittura il diritto di modificare le grandi regole costituzionali. In questo ha interpretato pulsioni profonde di settori importanti della società civile. Ora li lascia disillusi, frustrati per la sproporzione delle aspettative sollevate rispetto alla modestia delle cose realizzate. Ma non è ancora chiaro come finirà.