Donne e occupazione

CAMPANIA: LAVORO NERO E SICUREZZA ZERO. Due donne, una di 15 anni, muoiono in una fabbrica-garage.

giovedì 6 luglio 2006.
 

DRAMMA IN CAMPANIA. UN LABORATORIO CHE PRODUCEVA MATERASSI RICAVATO IN UN GARAGE SENZA VIE DI FUGA

Bruciano vive nella fabbrica abusiva

Due operaie muoiono a Salerno. Una aveva 15 anni e lavorava in nero

di Fulvio Milone (La Stampa, 6/7/2006)

MONTESANO MARCELLANA. Aveva interrotto gli studi e trovato un lavoro per portare qualche soldo a casa.

Ce ne sono a centinaia, come lei, in questi paesi sperduti nell’interno della provincia salernitana, pronte a consumare per un pugno di euro gli anni più belli della vita davanti al banco di una fabbrichetta, che in realtà è un seminterrato senza aria nè misure di sicurezza.

Non sappiamo ancora con certezza se Giovanna avesse un vero contratto, ma la sua età, 15 anni, e il luogo in cui lavorava, un garage che in questo paese di un migliaio di anime definiscono pomposamente «fabbrica di materassi», lasciano pensare che fosse una delle tante ragazze reclutate al nero dal padroncino di turno. Saranno i carabinieri a stabilire la verità, gli stessi che ieri hanno tirato fuori dalla «fabbrica» andata a fuoco il corpo carbonizzato di Giovanna Curcio.

Una morte lenta e dolorosa, la sua: è rimasta imprigionata tra le fiamme, arsa viva con un’altra operaia, Annamaria Mercadante, di 49 anni. I vigili del fuoco hanno lavorato per cinque ore prima di avere ragione del fuoco, divampato per cause ancora non chiare e alimentato dal materiale acrilico ammonticchiato alla meglio nel vecchio garage adibito a laboratorio in una palazzina di quattro piani, abitata da sette famiglie: una ventina di persone che per un pelo sono scampate alla morte, e che ora sono senza un tetto.

Giovanna non viveva a Montesano sulla Marcellana, uno degli ultimi paesi della provincia salernitana, al confine con la Basilicata. Abitava con i suoi, gente povera ma dignitosa, a Casalbuono, un Comune vicino. L’anno scorso aveva lasciato la scuola, un lusso per chi ha il problema di combinare il pranzo con la cena, e si era messa a cercare un lavoro.

L’aveva trovato, qualche mese fa, nella Bimal.tex di Montesano. Una fabbrica che in realtà è tutto fuorchè una fabbrica: vi si confezionano materassi, è vero, ma l’ambiente è del tutto simile a quello di quei tanti laboratori dove adulti e bambini, spesso cinesi, siedono fianco a fianco, accomunati dallo stesso lavoro faticoso e deprimente.

La Bimal.tex si trova alla periferia del paese, in contrada Prato Comune. Il proprietario (i carabinieri hanno reso note solo le iniziali di nome e cognome, B.M.) dovrà spiegare come mai quel buco sotto il livello stradale fosse privo di qualsiasi misura di sicurezza: non solo non esistevano vie di fuga, ma i banchi di lavoro e il pavimento erano pieni di materiale acrilico accatastato senza alcuna precauzione. Ieri, al momento dell’incendio provocato forse da un corto circuito, c’erano quattro operaie intente a cucire i materassi. Giovanna e Annamaria si trovavano in fondo al locale, nel punto più distante dalla porta, e non ce l’hanno fatta a fuggire.

Le fiamme sono divampate in un attimo, provocando una cortina di fumo nero, denso, irrespirabile. L’allarme è stato dato dalle due operaie che sono riuscite a salvarsi e dalle famiglie che abitano ai piani superiori. «Sono stati attimi terribili - racconta una donna che ha dovuto lasciare in fretta e furia la sua casa -. Erano le 10, ho sentito le urla provenire dalla strada e mi sono affacciata alla finestra. Dal garage cominciava già a salire il fumo, allora ho avvertito i carabinieri».

Poco dopo sono arrivati anche i vigili del fuoco. «Lì dentro era l’inferno - racconta uno di loro -. L’incendio sembrava indomabile perchè il materiale infiammabile era dappertutto. Ad un certo punto abbiamo temuto che il fuoco attaccasse tutto il fabbricato». Dopo cinque ore, però, i pompieri sono riusciti a entrare nel laboratorio. E solo allora hanno potuto recuperare i due corpi carbonizzati, accartocciati sul pavimento, in un angolo, stretti l’uno all’altro, come se Giovanna e Annamaria avessero voluto proteggersi a vicenda, o almeno stringersi in un abbraccio nel momento della morte.

In paese conoscevano Anna Maria Mercadante: «Abitava a Padula, poco distante da qui. Fino a qualche mese fa gestiva una lavanderia, ma gli affari sono andati male e così lei ha dovuto arrangiarsi con un lavoretto nella fabbrica dei materassi». Nessuno, invece, conosceva bene Giovanna: «Una ragazzina uguale a tutte le altre che si avvicendavano nel laboratorio. Venivano pagate per qualche mese e poi via, di nuovo a casa».


Rispondere all'articolo

Forum