Editoriale

San Giovanni in Fiore, Italy: siate tutti uguali, dunque schiavi

Informazione, stampa, comunicazione: ceux qui...
sabato 18 maggio 2013.
 

Se c’è un elemento che distingue la Calabria e soprattutto San Giovanni in Fiore, questo è l’obbligo di livellare menti e coscienze; il che ha una lontana radice ’ndranghetista e serve a mantenere l’ordine del potere.

Saverio Alessio e io spiegammo bene la questione, analizzando tabù atavici della Calabria, del suo interno: dell’area - Fiore, appunto - più toccata dalle migrazioni e colpita dalle tragedie minerarie all’estero.

In maniera più ampia e articolata, Salvo Inglese e Mauro Minervino si soffermarono sulle cause del fenomeno: uno dal punto di vista dello psichiatra, l’altro da antropologo.

Oggi vi racconto una storia esemplare sull’omologazione in premessa. A San Giovanni in Fiore devi essere come gli altri, la diversità spirituale è abolita ed è condannata in modo più pesante di altre diversità.

Meccanicamente - e sarebbe da richiamare Émile Durkheim o Alfonso Iacono - la società si schiera per difendere i codici dell’abitudine, le regole imposte da un sistema fondato sull’abuso perpetuo e sull’oppressione come arma contro l’esistenza.

Nelle scorse settimane mandai un comunicato, ai colleghi della stampa del posto, su un incontro con Piero Sansonetti promosso dagli allievi del locale corso di giornalismo.

Come da previsioni - visto che a San Giovanni in Fiore ci sono sempre tantissime e ben più importanti iniziative di cui i giornali devono occuparsi - nessuno dei colleghi venne alla serata con Sansonetti, sul tema dell’isolamento della Calabria a opera dell’informazione nazionale.

Un argomento che ogni giornalista calabrese vive - diciamo - sulla propria pelle, meno che a San Giovanni in Fiore, evidentemente; enclave dello Stato turco, uzbeko o della celeberrima Città di Benarivez.

La mia nota voleva essere un contributo, data l’assenza totale dei colleghi, perché, a volerlo, rendessero conto del dibattito e delle conclusioni dell’appuntamento con Sansonetti, peraltro organizzato - e con vivo entusiasmo - da aspiranti giornalisti di varia età.

Ebbi cura di indicare voci e rispettivi numeri telefonici per eventuali domande; posto che se non sei stato a una conferenza, a una seduta consiliare, a un evento, chiedi a chi c’era, assumi notizie e ne scrivi, se vuoi.

Siccome ero l’insegnante del suddetto corso di giornalismo, ebbi l’accortezza di indicarmi solo come collaboratore a titolo gratuito, senza altro aggiungere, mantenendo un profilo di naturale modestia, nell’economia del comunicato.

All’incontro con Sansonetti mi misi in fondo al pubblico, perché non è necessario né utile apparire, mostrarsi, celebrarsi come vuole la cultura dell’immagine su cui si basa Facebook.

Peraltro, non volli alcun merito, dal momento, poi, che di tutto si erano occupati i corsisti, e con grande puntualità e competenza.

Con mia meraviglia, ho scoperto ieri che la nota in questione è stata trasformata in un articolo a mia firma, pubblicato, senza che ne sapessi nulla, dal mensile locale Il Quindicinale .

Riassumo. Nessuno di Il Quindicinale venne alla serata, sicché scrissi e mandai una nota a una serie di colleghi, con i recapiti per raccogliere, eventualmente, gli elementi utili alla stesura di un articolo di approfondimento. Nessun collega ha voluto approfondire e il direttore di Il Quindicinale, Antonio Mancina, ha pensato bene di intestarmi la nota stampa come articolo; alla faccia della deontologia, del rispetto e dei valori professionali e personali del sottoscritto, fatto passare per uno che ama scrivere di sé.

Qui, a sud del Sud, tutto è uguale, tutto identico: tutto e niente fa brodo, nell’eterna apparenza delle cose, nell’immobilità del microcosmo fuori del mondo.

E, aggiungo: che uno faccia la cresima è notizia, che un dirigente produca un documento falso non è notizia, che dal basso e insieme si faccia cultura - come coinvolgimento, riflessione critica collettiva, sintesi di esperienze e ingegneria sociale partecipata - dà fastidio a molti signori. Soprattutto alle vittime più inconsapevoli del sistema.

Emiliano Morrone

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