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Roma, 6 dicembre 2011. Perché il governo Monti non ha previsto la Patrimoniale? In questa inchiesta, conti alla mano, se ne spiegano le ragioni.
Il decreto Monti per salvare l’Italia non prevede la Patrimoniale, cioè la tassa sui grandi patrimoni. Alla vigilia della presentazione, si paventava l’ipotesi di chiedere ai ricchi, vale a dire a quelli che possiedono più di 1 milione di euro, il 5 per mille sul valore dei loro beni.
Così, Berlusconi, che per la rivista Forbes ha oggi un patrimonio di 4,6 miliardi di euro, avrebbe dovuto all’erario 23 milioni.
All’articolo 16, il decreto Monti tassa, invece, solo i beni di lusso. Il nuovo presidente del Consiglio ha dichiarato che sarebbe stato difficile individuare patrimoni e titolari. Con questo argomento, ha motivato l’esclusione della Patrimoniale, di cui Berlusconi, che non l’avrebbe mai votata, ha detto: "Svaluta le case degli italiani".
Per capire meglio, applicando le norme del decreto Monti - che riguardano automobili, barche, aerei, elicotteri e velivoli leggeri - vediamo quanto un miliardario come il Cavaliere dovrebbe pagare oggi allo Stato.
Se, per assurdo, Berlusconi avesse 1000 Ferrari Fiorano, l’auto più performante della casa di Maranello, dovrebbe allo Stato un’addizionale di 5.720.000 euro. Se, poi, possedesse 10 barche più lunghe di 64 metri, s’aggiungerebbero tasse per 2.560.000 euro. Nel caso in cui fosse proprietario di 10 Falcon EX, jet di 22 tonnellate provvisto di ogni confort, avrebbe un esborso di 1.661.000 euro. Ancora, se avesse una flotta di trenta elicotteri oltre i 10.000 chili, dovrebbe versare 9.966.000 euro di tasse. Con tutti questi beni, che comunque non ha, quanto dovrebbe allo Stato?
Riepilogando: 1000 Ferrari Fiorano, 10 barche sopra i 64 metri, 10 jet Falcon e 30 elicotteri fanno un totale di tasse sui mobili da sogno di 19.907.000 euro.
Il risparmio, rispetto all’applicazione della Patrimoniale al 5 per mille, sarebbe di 3.093.000 euro.
Allora, il decreto Monti salva i ricchi? Cuique suum.
Emiliano Morrone
Una storia che ritorna
di Guido Crainz (la Repubblica, 08.12.2011)
"Oro per la patria" chiese il fascismo agli italiani per sostenere la guerra di aggressione all’Etiopia, e nella "giornata della fede" le donne furono chiamate a donare l’anello nuziale. Cominciò così il percorso che ci avrebbe portati alla tragedia della seconda guerra mondiale, e la Liberazione vide un Paese piegato e piagato. Un Paese che seppe però trovare la forza per risollevarsi e dare avvio ad una Ricostruzione materiale ed etica. In un quadro di drammatica miseria e di inflazione senza freni la moderazione responsabilmente scelta dal sindacato portò a sacrifici pesanti per i lavoratori ma fu decisiva. Ad essa non corrisposero però altre misure: ad esempio una imposta patrimoniale straordinaria e progressiva, e un cambio della moneta volto a colpire gli arricchimenti occulti. Le avevano proposte con forza le sinistre, che parteciparono al governo sino al 1947, ma vi si opposero la destra conservatrice e i grandi poteri economici e finanziari. E le sinistre furono poi estromesse dal governo nel clima della "guerra fredda".
Per risollevarci furono certo decisivi gli aiuti americani e il Piano Marshall ma quel clima pesò negativamente. Alimentò un’offensiva anticomunista e antisindacale che aprì la via a licenziamenti massicci, ad uno sfruttamento intenso nelle fabbriche e al mantenimento di salari bassissimi: profonde iniquità sociali segnarono così il nostro sviluppo e contribuirono alla sua interna debolezza. Ebbero radici qui le tensioni che emersero negli anni del "miracolo", ulteriormente alimentate poi da una dura controffensiva padronale. E destinate inevitabilmente ad esplodere: vennero così l’"autunno caldo" del 1969 e una "conflittualità permanente" che rese più acuta da noi la crisi degli anni settanta. Una crisi aggravata dallo shock petrolifero del 1973, che accentuò la nostra fragilità e mandò in frantumi la più generale illusione di uno "sviluppo senza limiti". Negli anni Ottanta rimuovemmo quei nodi e dimenticammo colpevolmente che stavano crescendo ormai "i figli del trilione", come fu detto: si stava avvicinando infatti a cifre stratosferiche il debito pubblico che gli adulti stavano scaricando sulle loro spalle. E che salì dal 60% del Pil nel 1981 al 120% e oltre dei primi anni Novanta.
La crisi internazionale mise allora impietosamente a nudo le nostre responsabilità, ruppe il "patto di finzione" su cui era apparentemente prosperata l’Italia craxiana e ci fece giungere in pessime condizioni alla sfida europea. Una sfida che apparve allora quasi impossibile ma che venne affrontata positivamente grazie al duro sforzo di risanamento iniziato dai governi guidati fra il 1992 e il 1994 da Amato prima e da Ciampi poi. Furono aiutati da sofferte scelte sindacali sul costo del lavoro (e dal coraggio di leader come Bruno Trentin), e furono meno condizionati che in passato dai partiti, travolti dalla bufera di Tangentopoli. Un paradosso, a ben vedere, che avrebbe dovuto imporre una riflessione profonda e una rigenerazione radicale della classe dirigente: così non fu, e ad una parte del Paese il "nuovo" parve identificarsi allora con le illusioni del populismo antipolitico e mediatico.
Il severo risanamento fu proseguito invece dal primo governo Prodi, che ci assicurò l’ingresso in Europa. Forse in qualcosa fu troppo debole: ad esempio nel farci comprendere il significato profondo del progetto che giustificava i sacrifici. Nell’aiutarci a dare corpo e soprattutto anima ad un futuro europeo da costruire. Oggi abbiamo di fronte lo stesso nodo, ulteriormente aggravato.
EQUITA’ E SACRIFICI
Alla faccia dell’equità! La manovra del governo, ancora una volta, si presenta come una beffa a danno dei ceti più tartassati: i lavoratori dipendenti, i pensionati e i giovani. Il professor Monti è stato richiesto a gran voce per risanare il debito di un paese sbrindellato dall’inerzia e dall’incapacità di classi dirigenti corrotte, conniventi e capaci di legiferare solo “Ad personam”.
Un nome di tale rilievo lasciava ben sperare, tuttavia i fatti hanno dimostrato il contrario. Chiedere ai cittadini di pagare più contributi per avere, alla fine e più vicini al “trapasso”, di meno è un’azione da “killer leggero”. L’affermazione può sembrare forte, ma tant’è. L’innalzamento dell’età pensionabile produrrà solo effetti finanziari, rendendo ancor più misera e difficile la vita dei contribuenti: un trentenne, impossibilitato ad accumulare contributi, che trovasse oggi un lavoro stabile potrebbe andare in pensione a 66 anni, con 36 anni di contributi, 6 in meno del previsto, ciò comporterà una decurtazione sulla sua pensione, già misera, pari al 2% per ogni anno mancante. Per arrivare ai 42 previsti e percepire, per intero, la pensione dovrebbe fino a fino a 72 anni e 9 mesi o pagare di tasca propria. A 72 anni quanto gli resterà ancora da vivere ? E cosa vogliamo dire di chi è rimasto senza lavoro oggi, a 45 o a 50 anni e in piena crisi, e a cui mancano ancora 20 anni di contributi ?
Il meccanismo contributivo potrebbe essere equo se ci fosse la possibilità di lavorare, ma non lo è affatto la modalità di realizzazione del passaggio dal vecchio al nuovo sistema. I tempi e i sacrifici devono essere diluiti e spalmati meglio e verso l’”alto”. Ciò che serve nell’immediato è una quantità enorme di denaro per risanare il debito, tuttavia si è ritenuto inopportuno attingere a capitoli corposi come le frequenze televisive, i tagli agli stipendi, ai vitalizi e ai rimborsi dei politici oltre al loro numero, l’abolizione dell’intero contributo per l’editoria, il signoraggio, una patrimoniale vera, l’aumento dell’irpef per i redditi superiori a sessantamila euro. Di buon esempio è stata la rinuncia di Monti allo stipendio e al vitalizio, facciano altrettanto gli altri affiliati della casta, almeno una tantum per il primo punto e in aeternum per il secondo.
Molti politici da quattro soldi esortano i cittadini a sostenere il sacrificio e cercano invano di attribuire la causa dello scompenso in eccesso sul capitolo pensioni alle generazioni precedenti e non ai governi passati. E’ la menzogna spudorata di una classe dirigente irresponsabile, preda del berlusconismo delirante, che tenta di spostare le colpe dalla politica alla società civile. E’ stata la politica a regalare pensioni da 50.000, 100.000 e oltre euro al mese e buoni uscita a sei zeri. Perché non prevedere forti tagli su questi capitoli ?
Lo slogan “Il vostro debito non lo paghiamo” è sacrosanto e chi lo espone o ne comunica il contenuto è ben consapevole del maldestro tentativo della politica di scaricarsi dal peso del danno fatto. Le generazioni passate e presenti sono innocenti. Le richieste di sacrifici del governo perdono il loro senso quando non si chiede ai responsabili del debito di risarcire il danno, quando si chiede ai cittadini di continuare a sostenere i benefici del Vaticano addossandosi una spesa di circa 4 miliardi di euro all’anno, e quando ci si accinge, in piena crisi, a spendere oltre 15 miliardi per 131 nuovi caccia stealth F35 ed altri miliardi ancora per sostenere la spesa militare.
Sconcertante è la ricapitalizzazione delle banche a spese dei contribuenti, ma come è possibile che il popolo debba mantenere le banche ? Imbarazzante è la deduzione di 10.000 euro per le aziende che assumono nuovo personale. Ogni azienda grava sui cittadini anche quando non assume: tutte le infrastrutture necessarie per farla funzionare (acqua, luce, gas, strade, ferrovie, servizi ecc.) le paghiamo tutti, tuttavia gli imprenditori non distribuiscono equamente i loro introiti, ma, in moltissimi casi e all’occorrenza, si limitano a sottopagare, sfruttare e dare il benservito ai lavoratori, spesso utilizzando denaro pubblico. La Fiat, le aziende edili, le numerosissime piccole imprese che producono in nero, sono un chiaro esempio.
La limitazione alla circolazione del contante per le quote superiori ai 1000 euro è poco più che un’arma spuntata. L’imposizione del pagamento tramite carta elettronica o assegno non garantisce il recupero dell’evasione per spese di importi inferiori, per esempio l’intervento dell’idraulico o dell’elettricista, la spesa per le scarpe, ma anche un’otturazione dal dentista. Questa innovazione è totalmente a vantaggio delle banche, perché costringe chiunque ad avere un conto corrente e una carta elettronica, con le relative spese. E’ pur vero che il costo per il cittadino sarà inizialmente pari a zero, ma quanto dureranno queste condizioni ? In Belgio, dove il contante ha un limite di 15000 euro, per regolarizzare le prestazioni svolte in ambito domestico, si utilizzano, fin dal 2004, i buoni-lavoro. Dalla data di introduzione ad oggi la loro crescita, in termini di adesione, è stata esponenziale e il risultato contro l’evasione fiscale notevole. In Italia nel 2003 la legge Biagi introdusse lo stesso strumento, stranamente da noi si è fatto di tutto per complicarne l’utilizzo: l’uso è diventato effettivo solo nel 2008, non sempre è facile reperire i buoni ed è necessario fare lunghe code e compilare molti moduli per utilizzarli, tutto nel classico stile burocratico italiano.
Una caratteristica che connota tutti i politici, ma in gran numero anche i professori universitari è lo scollamento dal mondo reale e il totale squilibrio verso una dimensione ideale, una sorta di schizofrenia che determina la totale incapacità di trovare soluzioni ex aequo et bono all’occorrenza. Entrambi, ogni tanto, farebbero bene ad oltrepassare la soglia dell’universo parallelo in cui vivono per recarsi nel mondo reale e fare esperienza della vita terrena, potrebbero imparare molte cose interessanti.
Antonio C.
Lei le chiama "castronate", ma il decreto Monti non lo abbiamo scritto noi. Chieda a Monti come mai ha voluto preservare i ricchi dalle tasse. Ci smentisca con i numeri. Le nostre castronate derivano dai calcoli, basati sull’articolo 16 del "Salva Italia". Fino a prova del contrario, le castronate sono le sue generiche affermazioni, prive di ogni riferimento e tra l’altro anonime.
Emiliano Morrone
Il nuovo Presidente del Consiglio dorme ancora e si illude di salvare capra e cavoli - vale a dire, sia il Paese sia il Partito che grida "Forza Italia"!!!
Ecco perché Monti non ha voluto la Patrimoniale:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI.
Federico La Sala
La Chiesa non fa sacrifici
Esenzione dell’Ici, otto per mille, insegnanti di Religione diventati statali, fondi alle scuole cattoliche e altri privilegi che il Vaticano non vuole toccare: dov’è la sobrietà uinvocata dal cardinale Scola?
di Marco Politi (il Fatto, 07.12.2011)
La Chiesa si autoesenta, sacrifici mai. Resta attaccata ai suoi privilegi, ma è prodiga di consigli sull’equità della manovra. È da agosto che l’opinione pubblica aspetta dalla Cei un segnale di disponibilità ad aiutare lo Stato a ripianare il suo debito colossale. In tempi passati i vescovi fondevano l’oro dei sacri calici per sostenere la difesa di un regno invaso. Ora che il nemico finanziario è molto più subdolo e spietato, non succede nulla. Dalla gerarchia non è giunto il più piccolo segnale di “rinuncia”. Solo la dichiarazione del Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, che ha affermato: “Il problema dell’Ici è un problema particolare, da studiare e approfondire”.
Eppure quello che pensano gli italiani è chiarissimo. Sono contrari all’esenzione dell’Ici, sono contrari a spolpare le casse dello Stato ai danni della scuola pubblica, perché credono al principio costituzionale che chi fonda una scuola privata la paga con i propri soldi. Soprattutto gli italiani sono convinti a grande maggioranza che la Chiesa predica bene e razzola male. Vedere per credere l’indagine del professor Garelli sulla “Religione all’italiana”.
QUANDO si parla di soldi, la gerarchia ecclesiastica si rifugia subito nel vittimismo, accusa complotti da parte dei nemici della Chiesa, si attacca a errori di conteggio sbagliati per qualche dettaglio o di chi mette sullo stesso piano la Cei (organismo nazionale) e il Vaticano, realtà internazionale. Nessuno trascura l’aiuto sistematico che è venuto in questi anni alle fasce più povere da parrocchie, episcopato e organizzazioni come la Caritas o Sant’Egidio. Ma ora è il momento di gesti straordinari e di uno sfoltimento di privilegi come avviene in tutto il Paese.
Ci sono fatti molto precisi su cui la gerarchia non ha mai dato risposta e che costituiscono privilegi inaccettabili specialmente nella drammatica situazione economica attraversata dal Paese. Ne elenchiamo alcuni, che indignano egualmente credenti e diversamente credenti. Non limitare l’esenzione Ici agli edifici strettamente di culto è un’evasione fiscale legalizzata. L’attuale sistema di conteggio dell’8 per mille è truffaldino perché non tiene conto del fatto che quasi due terzi dei contribuenti - non mettendo la crocetta sulla dichiarazione delle tasse - intendono lasciare i soldi allo Stato.
In Spagna, dove è stato a suo tempo copiato il sistema italiano, si conteggiano giustamente soltanto i “voti espressi”. In Germania il finanziamento alle chiese luterana e cattolica avviene con una “tassa ecclesiastica” che grava direttamente sul cittadino. Se il contribuente non vuole, si cancella. L’attuale sistema dell’8 per mille è uscito fuori controllo. Doveva garantire una somma più o meno equivalente alla vecchia congrua data dallo Stato ai sacerdoti, ma essendo agganciata all’Irpef la somma che il bilancio statale passa alla Cei è cresciuta a dismisura. Nel 1989 la Chiesa prendeva 406 miliardi di lire all’anno, oggi il miliardo di euro che incassa equivale a quasi 2.000 miliardi di lire. Cinque volte di più!
L’8 per mille è stato pensato (ed è approvato come principio dalla maggioranza degli italiani) per finanziare il clero in cura d’anime e l’edilizia di culto in primo luogo. Ciò nonostante la Chiesa si fa pagare ancora una volta a parte i cappellani nelle forze armate, nella polizia, negli ospedali, nelle carceri, persino nei cimiteri. Si tratta di decine di milioni di euro. Nessuno ignora quanti splendidi preti siano impegnati specialmente nelle prigioni, ma è il sistema del pagamento aggiuntivo che non è accettabile. Lo stesso vale per le decine di milioni aggiuntivi versati dallo Stato, dalle regioni e dai comuni per l’edilizia di culto, che è già coperta dall’8 per mille.
PER NON PARLARE dei milioni di euro elargiti ogni anno attraverso la famigerata “Legge mancia”. Invitando a uno stile di vita più sobrio per la festa di sant’Ambrogio in Milano, il cardinale Scola afferma che con gli anni si è stravolto il concetto di “diritti”. In un clima di benessere e “senza fare i conti con le risorse veramente disponibili si sono avanzate pretese eccessive in termini di diritti nei confronti dello Stato”. Verissimo. C’è da aggiungere che anche la Chiesa ha partecipato alla gara. Non è bastato che gli insegnanti di Religione venissero stipendiati dallo Stato, si è preteso che da personale extra-ruolo venissero anche statalizzati. Contemporaneamente si è iniziato a mungere le casse statali per finanziare le scuole cattoliche. Altrove in Europa lo fanno, ma non c’è l’8 per mille. È l’ingordigia nel ricorso ai fondi statali che spaventa.
Quanto al Vaticano, i Trattati lateranensi garantiscono ad esempio un adeguato fornimento d’acqua al territorio papale. Non è prepotenza il rifiuto di contribuire allo smaltimento delle acque sporche? Costa all’Italia 4 milioni di euro l’anno. Cifra su cifra ci sono centinaia di milioni che possono essere risparmiati. Il premier Monti può fare tre cose subito. Decretare che, come accade in Germania e altri Paesi, i finanziamenti statali vanno solo a enti che pubblicano il bilancio integrale di patrimoni e redditi: così gli italiani e lo Stato conosceranno il patrimonio delle diocesi. Limitare l’esenzione dell’I-ci esclusivamente agli edifici di culto. Attivare la commissione paritetica prevista dall’art. 49 della legge istitutiva dell’8 per mille per rivedere la somma del gettito. Sarebbe molto europeo.
Edifici esenti
Un privilegio che vale 700 milioni l’anno
di Luca de Carolis (il Fatto, 07.12.11)
Un privilegio da 700 milioni di euro all’anno. Tanto vale il mancato gettito fiscale da Ici sugli immobili della Chiesa, secondo la stima dell’Associazione nazionale comuni. Valutazione più che prudente di un patrimonio enorme, pressoché incalcolabile. C’è chi parla di un 20-25% degli immobili nazionali. Secondo il settimanale Il Male, solo a Roma i beni ecclesiastici esenti da Ici sono 306, mentre a Milano sono 42. Proprietà spesso in zone centrali, dalla metratura importante, a conferma che l’Ici “mancata” sui beni della Chiesa è una voragine per i bilanci dei Comuni. Anche perché spesso gli enti religiosi, facendo leva su una normativa ambigua, pretendono di non pagare l’imposta anche su immobili che danno reddito.
Nel suo libro I senza Dio, il giornalista Stefano Liviadotti riporta un documento del 2009 del Comune di Roma, pubblicato da l’Espresso, dalle cifre significative. Rispondendo a un’interrogazione sul mancato incasso dell’Ici nel 2006, il sindaco Alemanno scrive: “Le stime indicano in circa 25,5 milioni la perdita di gettito parziale per l’Ici ordinaria. Va aggiunto il minor introito per arretrati, stimato in circa 8 milioni”. Nel marzo scorso, Alemanno ha fornito nuovi numeri: “Gli uffici dell’amministrazione capitolina hanno effettuato una ricognizione, a partire dal 2005, delle attività degli enti ecclesiastici. L’accertamento ha consentito un recupero dell’imposta pari a 9 milioni e 338 mila euro, comprensivi di interessi e sanzioni”.
A colpire è anche la destinazione d’uso dei beni ecclesiastici che non conoscono Ici. Tra i 306 immobili romani elencati dal Male, abbondano gli alberghi. Come il Nova Domus, hotel a quattro stelle nei pressi della basilica di San Pietro, o l’Hotel Santa Prisca, alle pendici del colle Aventino, che dà il nome a uno dei quartieri-bene di Roma. Oppure la Villa Eur Parco dei Pini, rinomata per i congressi. Tante le strutture per turismo prevalentemente religioso: in molti casi spartane, quasi sempre dall’ottima ubicazione. Di frequente piene, perché Roma è pur sempre la città dei pellegrini, dove il Giubileo del 2000 ha fatto spuntare decine tra alberghi e pensioni per fedeli da tutto il mondo. Ovviamente, di proprietà del Vaticano. A margine della selva di istituti per suore e ordini religiosi, anche cliniche e case di cura: talvolta enormi, con molto verde e ampi parcheggi. Stesso spartito a Milano, dove tra gli immobili esenti da Ici c’è anche la Residenza universitaria Torrescalla. All’inaugurazione dell’anno accademico, lo scorso 26 novembre, presenziava l’ad di Finmeccanica, Giuseppe Orsi.