Papa

Un documento del papa Benedetto XVI, quando era ancora il cardinale Ratzinger, sulla "collaborazione dell’uomo e della donna".

Lettera ai Vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo
sabato 23 aprile 2005.
 

Da www.ratzinger.it

-  LETTERA AI VESCOVI
-  DELLA CHIESA CATTOLICA
-  SULLA COLLABORAZIONE DELL’UOMO E DELLA DONNA
-  NELLA CHIESA E NEL MONDO

INTRODUZIONE

1. Esperta in umanità, la Chiesa è sempre interessata a ciò che riguarda l’uomo e la donna. In questi ultimi tempi si è riflettuto molto sulla dignità della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunità civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all’approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l’insegnamento di Giovanni Paolo II,1 la Chiesa è oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalità genuine della promozione della donna.

Il presente documento, dopo una breve presentazione e valutazione critica di alcune concezioni antropologiche odierne, intende proporre riflessioni ispirate dai dati dottrinali dell’antropologia biblica - indispensabili per salvaguardare l’identità della persona umana - circa alcuni presupposti per una retta comprensione della collaborazione attiva, nel riconoscimento della loro stessa differenza, tra uomo e donna nella Chiesa e nel mondo. Queste riflessioni, inoltre, vogliono proporsi come punto di partenza per un cammino di approfondimento all’interno della Chiesa e per instaurare un dialogo con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nella sincera ricerca della verità e nel comune impegno a sviluppare relazioni sempre più autentiche.

I. IL PROBLEMA

2. In questi ultimi anni si sono delineate nuove tendenze nell’affrontare la questione femminile. Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Agli abusi di potere, essa risponde con una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i sessi, in cui l’identità ed il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la conseguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo risvolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia.

Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale, e cioè composta di padre e di madre, l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa.

3. La radice immediata della suddetta tendenza si colloca nel contesto della questione femminile, ma la sua motivazione più profonda va ricercata nel tentativo della persona umana di liberarsi dai propri condizionamenti biologici.2 Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale.

Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile.

4. Dinanzi a queste correnti di pensiero, la Chiesa, illuminata dalla fede in Gesù Cristo, parla invece di collaborazione attiva, proprio nel riconoscimento della stessa differenza, tra uomo e donna.

Per comprendere meglio il fondamento, il senso e le conseguenze di questa risposta conviene tornare, sia pur brevemente, alla Sacra Scrittura, ricca anche di umana sapienza, in cui questa risposta si è manifestata progressivamente grazie all’intervento di Dio a favore dell’umanità.3

II. I DATI FONDAMENTALI DELL’ANTROPOLOGIA BIBLICA

5. Una prima serie di testi biblici da esaminare sono i primi tre capitoli della Genesi. Essi ci collocano «nel contesto di quel “principio” biblico, in cui la verità rivelata sull’uomo come “immagine e somiglianza di Dio” costituisce l’immutabile base di tutta l’antropologia cristiana».4

Nel primo testo (Gn 1,1-2,4) si descrive la potenza creatrice della Parola di Dio che opera delle distinzioni nel caos primigenio. Appaiono la luce e le tenebre, il mare e la terraferma, il giorno e la notte, le erbe e gli alberi, i pesci e gli uccelli, tutti «secondo la loro specie». Nasce un mondo ordinato a partire da differenze che, d’altra parte, sono altrettante promesse di relazioni. Ecco dunque abbozzato il quadro generale nel quale si colloca la creazione dell’umanità. «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... Dio creò l’uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1, 26-27). L’umanità è qui descritta come articolata, fin dalla sua prima origine, nella relazione del maschile e del femminile. È questa umanità sessuata che è dichiarata esplicitamente «immagine di Dio».

6. Il secondo racconto della creazione (Gn 2,4-25) conferma in modo inequivocabile l’importanza della differenza sessuale. Una volta plasmato da Dio e collocato nel giardino di cui riceve la gestione, colui che è designato, ancora con termine generico, come Adam, fa esperienza di una solitudine che la presenza degli animali non riesce a colmare. Gli occorre un aiuto che gli sia corrispondente. Il termine designa qui non un ruolo subalterno, ma un aiuto vitale.5 Lo scopo è infatti di permettere che la vita di Adam non si inabissi in un confronto sterile e, alla fine, mortale solamente con se stesso. È necessario che entri in relazione con un altro essere che sia al suo livello. Soltanto la donna, creata dalla stessa «carne» ed avvolta dallo stesso mistero, dà alla vita dell’uomo un avvenire. Ciò si verifica a livello ontologico, nel senso che la creazione della donna da parte di Dio caratterizza l’umanità come realtà relazionale. In questo incontro emerge anche la parola che dischiude per la prima volta la bocca dell’uomo in una espressione di meraviglia: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2,23).

«La donna - ha scritto il Santo Padre in riferimento a questo testo genesiaco - è un altro “io” nella comune umanità. Sin dall’inizio essi [uomo e donna] appaiono come “unità dei due”, e ciò significa il superamento dell’originaria solitudine, nella quale l’uomo non trova “un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,20). Si tratta qui solo dell’“aiuto” nell’azione, nel “soggiogare la terra”? (cfr Gn 1,28). Certamente si tratta della compagna della vita, con la quale, come con una moglie, l’uomo può unirsi divenendo con lei “una sola carne” e abbandonando per questo “suo padre e sua madre” (cfr Gn 2,24)».6

La differenza vitale è orientata alla comunione ed è vissuta in un modo pacifico espresso dal tema della nudità: «Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gn 2,25). In tal modo, il corpo umano, contrassegnato dal sigillo della mascolinità o della femminilità, «racchiude fin “dal principio” l’attributo “sponsale”, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e - mediante questo dono - attua il senso stesso del suo essere ed esistere».7 E, sempre commentando questi versetti della Genesi, il Santo Padre continua: «In questa sua particolarità, il corpo è l’espressione dello spirito ed è chiamato, nel mistero stesso della creazione, ad esistere nella comunione delle persone, “ad immagine di Dio”».8

Nella stessa prospettiva sponsale si comprende in che senso l’antico racconto della Genesi lasci intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista «per l’altro» (cfr 1Cor 11,9): è un’affermazione che, ben lungi dall’evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui Persone, con l’avvento del Cristo, rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre. «Nell’“unità dei due”, l’uomo e la donna sono chiamati sin dall’inizio non solo ad esistere “uno accanto all’altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l’uno per l’altro... Il testo di Genesi 2,18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l’unica. Tutta la storia dell’uomo sulla terra si realizza nell’ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere “per” l’altro, nella “comunione” interpersonale, si sviluppa in questa storia l’integrazione nell’umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”».9

Nella visione pacifica che conclude il secondo racconto di creazione riecheggia quel «molto buono» che chiudeva, nel primo racconto, la creazione della prima coppia umana. Qui sta il cuore del disegno originario di Dio e della verità più profonda dell’uomo e della donna, così come Dio li ha voluti e creati. Per quanto sconvolte e oscurate dal peccato, queste disposizioni originarie del Creatore non potranno mai essere annullate.

7. Il peccato originale altera il modo con cui l’uomo e la donna accolgono e vivono la Parola di Dio e la loro relazione con il Creatore. Subito dopo aver fatto dono del giardino, Dio dà un comandamento positivo (cfr Gn 2,16), seguito da un altro negativo (cfr Gn 2,17), in cui è affermata implicitamente la differenza essenziale che esiste tra Dio e l’umanità. Sotto la suggestione del Serpente, questa differenza è contestata dall’uomo e dalla donna. Di conseguenza viene stravolto anche il modo di vivere la loro differenza sessuale. Il racconto della Genesi stabilisce così una relazione di causa ed effetto tra le due differenze: quando l’umanità considera Dio come suo nemico, la stessa relazione dell’uomo e della donna viene pervertita. Quando quest’ultima relazione è deteriorata, l’accesso al volto di Dio rischia, a sua volta, di essere compromesso.

Nelle parole che Dio rivolge alla donna in seguito al peccato, si esprime, in modo lapidario ma non meno impressionante, il tipo di rapporti che si instaureranno ormai tra l’uomo e la donna: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gn 3,16). Sarà una relazione in cui l’amore spesso verrà snaturato in pura ricerca di sé, in una relazione che ignora ed uccide l’amore, sostituendolo con il giogo della dominazione di un sesso sull’altro. La storia dell’umanità riproduce di fatto queste situazioni, nelle quali si esprime apertamente la triplice concupiscenza che ricorda San Giovanni, parlando della concupiscenza della carne, della concupiscenza degli occhi e della superbia della vita (cfr 1Gv 2,16). In questa tragica situazione vengono perduti quell’uguaglianza, quel rispetto e quell’amore che, secondo il disegno originario di Dio, esige la relazione dell’uomo e della donna.

8. Il ripercorrere questi testi fondamentali permette di riaffermare alcuni dati capitali dell’antropologia biblica.

Prima di tutto bisogna sottolineare il carattere personale dell’essere umano. «L’uomo è una persona, in eguale misura l’uomo e la donna: ambedue, infatti, sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale».10 L’eguale dignità delle persone si realizza come complementarità fisica, psicologica ed ontologica, dando luogo ad un’armonica «unidualità» relazionale, che solo il peccato e le «strutture di peccato» iscritte nella cultura hanno reso potenzialmente conflittuale. L’antropologia biblica suggerisce di affrontare con un approccio relazionale, non concorrenziale né di rivalsa, quei problemi che a livello pubblico o privato coinvolgono la differenza di sesso.

C’è da rilevare inoltre l’importanza e il senso della differenza dei sessi come realtà iscritta profondamente nell’uomo e nella donna: «La sessualità caratterizza l’uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche su quello psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione».11 Essa non può essere ridotta a puro e insignificante dato biologico, ma è «una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano».12 Questa capacità di amare, riflesso e immagine del Dio Amore, ha una sua espressione nel carattere sponsale del corpo, in cui si iscrive la mascolinità e la femminilità della persona.

È la dimensione antropologica della sessualità, inseparabile da quella teologica. La creatura umana nella sua unità di anima e di corpo è qualificata fin dal principio dalla relazione con l’altro-da-sé. Questa relazione si presenta sempre buona ed alterata al tempo stesso. Essa è buona, di una bontà originaria dichiarata da Dio fin dal primo momento della creazione. Essa è, però, anche alterata dalla disarmonia fra Dio e l’umanità sopraggiunta con il peccato. Questa alterazione non corrisponde tuttavia né al progetto iniziale di Dio sull’uomo e sulla donna, né alla verità della relazione dei sessi. Ne consegue perciò che questa relazione buona, ma ferita, ha bisogno di essere guarita.

Quali possono essere le vie di questa guarigione? Considerare ed analizzare i problemi inerenti alla relazione dei sessi solo a partire da una situazione segnata dal peccato porterebbe necessariamente il pensiero a ritornare agli errori precedentemente accennati.

Bisogna dunque rompere questa logica di peccato e cercare una via d’uscita che permetta di eliminarla dal cuore dell’uomo peccatore. Un orientamento chiaro in questo senso viene offerto dalla promessa divina di un Salvatore, nella quale sono impegnati la «donna» e la sua «stirpe» (cfr Gn 3,15). È una promessa che prima di realizzarsi conosce una lunga preparazione nella storia.

9. Una prima vittoria sul male è rappresentata dalla storia di Noè, uomo giusto, che, guidato da Dio, sfugge al diluvio con la sua famiglia e con le diverse specie di animali (cfr Gn 6-9). Ma è soprattutto nella scelta divina di Abramo e della sua discendenza (cfr Gn 12,1ss) che la speranza di salvezza si conferma. Dio comincia così a svelare il suo volto, affinché attraverso il popolo eletto l’umanità apprenda la via della somiglianza divina, cioè della santità, e quindi del cambiamento del cuore. Tra i molti modi in cui Dio si rivela al suo popolo (cfr Eb 1,1), secondo una lunga e paziente pedagogia, vi è anche il riferimento ricorrente al tema dell’alleanza dell’uomo e della donna. Ciò è paradossale, se si considera il dramma rievocato dalla Genesi e la sua replica molto concreta al tempo dei profeti, come pure la mescolanza fra sacro e sessualità presente nelle religioni che circondano Israele. Eppure questo simbolismo appare indispensabile per comprendere il modo con cui Dio ama il suo popolo: Dio si fa conoscere come Sposo che ama Israele, sua Sposa.

Se in questa relazione Dio viene descritto come «Dio geloso» (cfr Es 20,5; Na 1,2) ed Israele denunciato come Sposa «adultera» o «prostituta» (cfr Os 2,4-15; Ez 16,15-34) il motivo è che la speranza, rafforzata dalla parola dei profeti, è proprio di vedere la nuova Gerusalemme diventare la sposa perfetta: «come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Ricreata «nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore» (Os2,21), colei, che si era allontanata per cercare la vita e la felicità negli dèi falsi, ritornerà e, a Colui che parlerà al suo cuore, «canterà come nei giorni della sua giovinezza» (Os 2,17) e lo udrà dichiarare: «tuo sposo è il tuo creatore» (Is 54,5). È in sostanza lo stesso dato che si afferma quando, parallelamente al mistero dell’opera che Dio realizza attraverso la figura maschile del Servo sofferente, il libro di Isaia evoca la figura femminile di Sion adornata di una trascendenza e di una santità che prefigurano il dono della salvezza destinata ad Israele.

Il Cantico dei Cantici rappresenta senza dubbio un momento privilegiato nell’uso di questa modalità di rivelazione. Nelle parole di un amore umanissimo che celebra la bellezza dei corpi e la felicità della ricerca reciproca, si esprime altresì l’amore divino per il suo popolo. La Chiesa non si è dunque ingannata quando ha riconosciuto nell’audacia di unire, attraverso l’impiego delle medesime espressioni, ciò che vi è di più umano a ciò che vi è di più divino, il mistero della sua relazione col Cristo.

Lungo tutto l’Antico Testamento si configura una storia di salvezza che mette simultaneamente in gioco la partecipazione del maschile e del femminile. I termini di sposo e sposa o anche di alleanza, con i quali si caratterizza la dinamica della salvezza, pur avendo un’evidente dimensione metaforica, sono molto più che semplici metafore. Questo vocabolario nuziale tocca la natura stessa della relazione che Dio stabilisce con il suo popolo, anche se questa relazione è più ampia di ciò che può sperimentarsi nell’esperienza nuziale umana. Parimenti, le stesse condizioni concrete della redenzione sono in gioco, nel modo in cui oracoli come quelli di Isaia associano ruoli maschili e femminili nell’annuncio e nella prefigurazione dell’opera della salvezza che Dio sta per compiere. Tale salvezza orienta il lettore sia verso la figura maschile del Servo sofferente, sia verso la figura femminile di Sion. Gli oracoli di Isaia infatti alternano questa figura con quella del Servo di Dio, prima di culminare, nella finale del libro, con la visione misteriosa di Gerusalemme che partorisce un popolo in un solo giorno (cfrIs 66,7-14), profezia della grande novità che Dio sta per realizzare (cfr Is 48,6-8).

10. Nel Nuovo Testamento tutte queste prefigurazioni trovano il loro compimento. Da una parte Maria, come eletta figlia di Sion, nella sua femminilità, ricapitola e trasfigura la condizione di Israele/Sposa in attesa del giorno della sua salvezza. Dall’altra, la mascolinità del Figlio permette di riconoscere come Gesù assuma nella sua persona tutto ciò che il simbolismo antico-testamentario aveva applicato all’amore di Dio per il suo popolo, descritto come l’amore di uno sposo per la sua sposa. Le figure di Gesù e di Maria, sua Madre, non soltanto assicurano la continuità dell’Antico Testamento con il Nuovo, ma lo superano, dal momento che con Gesù Cristo appare - come dice Sant’Ireneo - «ogni novità».13

Questo aspetto è messo in particolare evidenza dal Vangelo di Giovanni. Nella scena delle nozze di Cana, per esempio, Gesù è sollecitato da sua madre, chiamata «donna», a offrire come segno il vino nuovo delle future nozze con l’umanità (cfr Gv 2,1-12). Queste nozze messianiche si realizzeranno sulla croce dove, ancora in presenza della madre, indicata come «donna», sgorgherà dal cuore aperto del Crocifisso il sangue/vino della Nuova Alleanza (cfr Gv 19,25- 27.34).14 Non c’è dunque niente di sorprendente se Giovanni Battista, interrogato sulla sua identità, si presenti come «l’amico dello sposo», che gioisce quando ode la voce dello sposo e deve eclissarsi alla sua venuta: «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv3,29-30).15

Nella sua attività apostolica, Paolo sviluppa tutto il senso nuziale della redenzione concependo la vita cristiana come un mistero nuziale. Scrive alla Chiesa di Corinto da lui fondata: «Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2Cor 11,2).

Nella Lettera agli Efesini la relazione sponsale fra Cristo e la Chiesa viene ripresa e approfondita con ampiezza. Nella Nuova Alleanza la Sposa amata è la Chiesa, e - come insegna il Santo Padre nella Lettera alle famiglie - «questa sposa, di cui parla la Lettera agli Efesini, si fa presente in ogni battezzato ed è come una persona che si offre allo sguardo del suo Sposo: “Ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei... al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,25-27)».16

Meditando quindi sull’unione dell’uomo e della donna come è descritta al momento della creazione del mondo (cfr Gn 2,24), l’Apostolo esclama: «Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa!» (Ef 5,32). L’amore dell’uomo e della donna vissuto nella forza della vita battesimale diventa ormai sacramento dell’amore del Cristo e della Chiesa, testimonianza resa al mistero di fedeltà e di unità da cui nasce la «nuova Eva» e di cui questa vive nel suo cammino sulla terra in attesa della pienezza delle nozze eterne.

11. Inseriti nel mistero pasquale e resi segni viventi dell’amore del Cristo e della Chiesa, gli sposi cristiani sono rinnovati nel loro cuore e possono sfuggire ai rapporti segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all’asservimento che la rottura con Dio a causa del peccato aveva introdotto nella coppia primitiva. Per essi la bontà dell’amore, di cui il desiderio umano ferito aveva conservato la nostalgia, si rivela con accenti e possibilità nuove. È in questa luce che Gesù, di fronte alla domanda sul divorzio (cfr Mt 19,3- 9), può ricordare le esigenze dell’alleanza tra l’uomo e la donna come volute da Dio all’origine, ovvero prima dell’insorgere del peccato che aveva giustificato gli accomodamenti successivi della legge mosaica. Lungi dall’essere l’imposizione di un ordine duro ed intransigente, questa parola di Gesù è in effetti l’annuncio di una «buona notizia», quella della fedeltà, più forte del peccato. Nella forza della risurrezione è possibile la vittoria della fedeltà sulle debolezze, sulle ferite subite e sui peccati della coppia. Nella grazia del Cristo che rinnova il loro cuore, l’uomo e la donna diventano capaci di liberarsi dal peccato e di conoscere la gioia del dono reciproco.

12. «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... non c’è più uomo né donna», scrive San Paolo ai Galati (3,27-28). L’Apostolo non dichiara qui decaduta la distinzione uomo-donna che altrove dice appartenere al progetto di Dio. Ciò che vuole dire è piuttosto questo: nel Cristo, la rivalità, l’inimicizia e la violenza che sfiguravano la relazione dell’uomo e della donna sono superabili e superate. In questo senso, è più che mai riaffermata la distinzione dell’uomo e della donna, che, del resto, accompagna fino alla fine la rivelazione biblica. Nell’ora finale della storia presente, mentre si profilano nell’Apocalisse di Giovanni «un cielo nuovo» e «una nuova terra» (Ap21,1), viene presentata in visione una Gerusalemme femminile «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). La rivelazione stessa si conclude con la parola della Sposa e dello Spirito che implorano la venuta dello Sposo: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).

Il maschile ed il femminile sono così rivelati come appartenenti ontologicamente alla creazione, e quindi destinati a perdurare oltre il tempo presente, evidentemente in una forma trasfigurata. In tal modo caratterizzano l’amore che «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8), pur rendendosi caduca l’espressione temporale e terrena della sessualità, ordinata ad un regime di vita contrassegnato dalla generazione e dalla morte. Di questa forma di esistenza futura del maschile e del femminile, il celibato per il Regno vuole essere la profezia. Per coloro che lo vivono esso anticipa la realtà di una vita che, pur restando quella di un uomo e di una donna, non sarà più soggetta ai limiti presenti della relazione coniugale (cfr Mt 22,30). Per coloro che vivono la vita coniugale, inoltre, tale stato diventa richiamo e profezia del compimento che la loro relazione troverà nell’incontro faccia a faccia con Dio.

Distinti fin dall’inizio della creazione e restando tali nel cuore stesso dell’eternità, l’uomo e la donna, inseriti nel mistero pasquale del Cristo, non avvertono quindi più la loro differenza come motivo di discordia da superare con la negazione o con il livellamento, ma come una possibilità di collaborazione che bisogna coltivare con il rispetto reciproco della distinzione. Di qui si aprono nuove prospettive per una comprensione più profonda della dignità della donna e del suo ruolo nella società umana e nella Chiesa.

III. L’ATTUALITÀ DEI VALORI FEMMINILI NELLA VITA DELLA SOCIETÀ

13. Tra i valori fondamentali collegati alla vita concreta della donna, vi è ciò che è stato chiamato la sua «capacità dell’altro». Nonostante il fatto che un certo discorso femminista rivendichi le esigenze «per se stessa», la donna conserva l’intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua protezione.

Questa intuizione è collegata alla sua capacità fisica di dare la vita. Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la personalità femminile in profondità. Le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società. È essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate - e la storia passata e presente ne è testimone - possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana.

Anche se la maternità è un elemento chiave dell’identità femminile, ciò non autorizza affatto a considerare la donna soltanto sotto il profilo della procreazione biologica. Vi possono essere in questo senso gravi esagerazioni che esaltano una fecondità biologica in termini vitalistici e che si accompagnano spesso a un pericoloso disprezzo della donna. L’esistenza della vocazione cristiana alla verginità, audace rispetto alla tradizione antico-testamentaria e alle esigenze di molte società umane, è al riguardo di grandissima importanza.17 Essa contesta radicalmente ogni pretesa di rinchiudere le donne in un destino che sarebbe semplicemente biologico. Come la verginità riceve dalla maternità fisica il richiamo che non esiste vocazione cristiana se non nel dono concreto di sé all’altro, parimenti la maternità fisica riceve dalla verginità il richiamo alla sua dimensione fondamentalmente spirituale: non è accontentandosi di dare la vita fisica che si genera veramente l’altro. Ciò significa che la maternità può trovare forme di realizzazione piena anche laddove non c’è generazione fisica.18

In tale prospettiva si comprende il ruolo insostituibile della donna in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale che coinvolgono le relazioni umane e la cura dell’altro. Qui si manifesta con chiarezza ciò che Giovanni Paolo II ha chiamato il genio della donna.19 Questo implica prima di tutto che le donne siano presenti attivamente e anche con fermezza nella famiglia, «società primordiale e, in un certo senso, “sovrana”», 20 perché è qui, innanzitutto, che si plasma il volto di un popolo, è qui che i suoi membri acquisiscono gli insegnamenti fondamentali. Essi imparano ad amare in quanto sono amati gratuitamente, imparano il rispetto di ogni altra persona in quanto sono rispettati, imparano a conoscere il volto di Dio in quanto ne ricevono la prima rivelazione da un padre e da una madre pieni di attenzione. Ogni volta che vengono a mancare queste esperienze fondanti, è l’insieme della società che soffre violenza e diventa, a sua volta, generatrice di molteplici violenze. Questo implica inoltre che le donne siano presenti nel mondo del lavoro edell’organizzazione socialeeche abbiano accesso a posti di responsabilità che offrano loro la possibilità di ispirare le politiche delle nazioni e di promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali.

Al riguardo, non si può tuttavia dimenticare che l’intreccio delle due attività - la famiglia e il lavoro - assume, nel caso della donna, caratteristiche diverse da quelle dell’uomo. Si pone pertanto il problema di armonizzare la legislazione e l’organizzazione del lavoro con le esigenze della missione della donna all’interno della famiglia. Il problema non è solo giuridico, economico ed organizzativo; è innanzitutto un problema di mentalità, di cultura e di rispetto. Si richiede, infatti, una giusta valorizzazione del lavoro svolto dalla donna nella famiglia. In tal modo le donne che liberamente lo desiderano potranno dedicare la totalità del loro tempo al lavoro domestico, senza essere socialmente stigmatizzate ed economicamente penalizzate, mentre quelle che desiderano svolgere anche altri lavori potranno farlo con orari adeguati, senza essere messe di fronte all’alternativa di mortificare la loro vita familiare oppure di subire una situazione abituale di stress che non favorisce né l’equilibrio personale né l’armonia familiare. Come ha scritto Giovanni Paolo II, «tornerà ad onore della società rendere possibile alla madre -senza ostacolarne la libertà, senza discriminazione psicologica o pratica, senza penalizzazione nei confronti delle sue compagne - di dedicarsi alla cura e all’educazione dei figli secondo i bisogni differenziati della loro età».21

14. È opportuno comunque ricordare che i valori femminili, ora richiamati, sono innanzitutto valori umani: la condizione umana, dell’uomo e della donna, creati ad immagine di Dio, è una e indivisibile. È solo perché le donne sono più immediatamente in sintonia con questi valori che esse possono esserne il richiamo ed il segno privilegiato. Ma, in ultima analisi, ogni essere umano, uomo e donna, è destinato ad essere «per l’altro». In tale prospettiva ciò che si chiama «femminilità» è più di un semplice attributo del sesso femminile. La parola designa infatti la capacità fondamentalmente umana di vivere per l’altro e grazie all’altro.

Pertanto la promozione della donna all’interno della società deve essere compresa e voluta come una umanizzazione realizzata attraverso quei valori riscoperti grazie alle donne. Ogni prospettiva che intende proporsi come una lotta dei sessi è solamente un’illusione ed un pericolo: finirebbe in situazioni di segregazione e di competizione tra uomini e donne e promuoverebbe un solipsismo che si alimenta ad una falsa concezione della libertà.

Senza pregiudizio circa gli sforzi per promuovere i diritti ai quali le donne possono aspirare nella società e nella famiglia, queste osservazioni vogliono invece correggere la prospettiva che considera gli uomini come nemici da vincere. La relazione uomo-donna non può pretendere di trovare la sua condizione giusta in una specie di contrapposizione, diffidente e difensiva. Occorre che tale relazione sia vissuta nella pace e nella felicità dell’amore condiviso.

Ad un livello più concreto, le politiche sociali -educative, familiari, lavorative, di accesso ai servizi, di partecipazione civica - se, da una parte, devono combattere ogni ingiusta discriminazione sessuale, dall’altra, devono sapere ascoltare le aspirazioni e individuare i bisogni di ognuno. La difesa e la promozione dell’uguale dignità e dei comuni valori personali devono essere armonizzate con l’attento riconoscimento della differenza e della reciprocità laddove ciò è richiesto dalla realizzazione della propria umanità maschile o femminile.

IV. L’ATTUALITÀ DEI VALORI FEMMINILI NELLA VITA DELLA CHIESA

15. Per quanto riguarda la Chiesa, il segno della donna è più che mai centrale e fecondo. Ciò dipende dalla identità stessa della Chiesa, che essa riceve da Dio ed accoglie nella fede. È questa identità «mistica», profonda, essenziale, che occorre tenere presente nella riflessione circa i rispettivi ruoli dell’uomo e della donna nella Chiesa.

Fin dalle prime generazioni cristiane, la Chiesa si è considerata come comunità, generata dal Cristo e legata a lui da una relazione d’amore, di cui l’esperienza nuziale è l’espressione migliore. Di qui deriva che il primo compito della Chiesa è di restare alla presenza di questo mistero dell’amore di Dio, manifestato nel Cristo Gesù, di contemplarlo e di celebrarlo. A questo riguardo la figura di Maria costituisce nella Chiesa il riferimento fondamentale. Si potrebbe dire, con una metafora, che Maria porge alla Chiesa lo specchio in cui essa è invitata a riconoscere la sua identità così come le disposizioni del cuore, gli atteggiamenti ed i gesti che Dio attende da lei.

L’esistenza di Maria è un invito fatto alla Chiesa a radicare il suo essere nell’ascolto e nell’accoglienza della Parola di Dio, perché la fede non è tanto la ricerca di Dio da parte dell’essere umano, ma piuttosto il riconoscimento da parte dell’uomo che Dio viene a lui, lo visita e gli parla. Questa fede, per la quale «nulla è impossibile a Dio» (cfr Gn 18,14; Lc 1,37), vive e si approfondisce nell’ubbidienza umile e amante con cui la Chiesa sa dire al Padre: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). La fede continuamente rimanda a Gesù - «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) - e lo accompagna nel suo cammino fino ai piedi della croce. Maria, nell’ora delle tenebre più profonde, persiste coraggiosamente nella fedeltà, con l’unica certezza della fiducia nella parola di Dio.

Sempre da Maria la Chiesa impara a conoscere l’intimità del Cristo. Maria, che ha portato nelle sue mani il piccolo bambino di Betlemme, insegna a conoscere l’infinita umiltà di Dio. Ella che ha accolto nelle sue braccia il corpo martoriato di Gesù deposto dalla croce mostra alla Chiesa come raccogliere tutte le vite sfigurate in questo mondo dalla violenza e dal peccato. Da Maria la Chiesa impara il senso della potenza dell’amore, come Dio la dispiega e la rivela nella vita stessa del Figlio prediletto: «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore... ha innalzato gli umili» (Lc 1,51-52). Sempre da Maria i discepoli di Cristo ricevono il senso e il gusto della lode davanti all’opera delle mani di Dio: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» (Lc 1,49). Essi imparano che sono nel mondo per conservare la memoria di queste «grandi cose» e vegliare nell’attesa del giorno del Signore.

16. Guardare Maria ed imitarla, tuttavia, non significa votare la Chiesa ad una passività ispirata a una concezione superata della femminilità e condannarla a una vulnerabilità pericolosa, in un mondo in cui ciò che conta è soprattutto il dominio e il potere. In realtà la via di Cristo non è né quella del dominio (cfr Fil 2,6), né quella del potere come viene inteso dal mondo (cfr Gv 18,36). Dal Figlio di Dio si può imparare che questa «passività» è in realtà la via dell’amore, è un potere regale che sconfigge ogni violenza, è «passione» che salva il mondo dal peccato e dalla morte e ricrea l’umanità. Affidando l’apostolo Giovanni a sua Madre, il Crocifisso invita la sua Chiesa ad imparare da Maria il segreto dell’amore che trionfa.

Ben lungi dal conferire alla Chiesa un’identità fondata su un modello contingente di femminilità, il riferimento a Maria con le sue disposizioni di ascolto, di accoglienza, di umiltà, di fedeltà, di lode e di attesa, colloca la Chiesa nella continuità della storia spirituale di Israele. Questi atteggiamenti diventano, in Gesù e per mezzo di lui, la vocazione di ogni battezzato. A prescindere dalle condizioni, dagli stati di vita, dalle vocazioni diverse, con o senza responsabilità pubbliche, essi sono ciò che determinano un aspetto essenziale dell’identità della vita cristiana. Pur trattandosi di atteggiamenti che dovrebbero essere tipici di ogni battezzato, di fatto è caratteristica della donna viverli con particolare intensità e naturalezza. In tal modo le donne svolgono un ruolo di massima importanza nella vita ecclesiale, richiamando tali disposizioni a tutti i battezzati e contribuendo in modo unico a manifestare il vero volto della Chiesa, sposa di Cristo e madre dei credenti.

In questa prospettiva si comprende anche come il fatto che l’ordinazione sacerdotale sia esclusivamente riservata agli uomini22 non impedisca affatto alle donne di accedere al cuore della vita cristiana. Esse sono chiamate ad essere modelli e testimoni insostituibili per tutti i cristiani di come la Sposa deve rispondere con l’amore all’amore dello Sposo.

CONCLUSIONE

17. In Gesù Cristo tutte le cose sono state fatte nuove (cfr Ap 21,5). Il rinnovamento nella grazia tuttavia non è possibile senza la conversione dei cuori. Guardando a Gesù e confessandolo come Signore, si tratta di riconoscere la via dell’amore vincitore del peccato che egli propone ai suoi discepoli.

In tal modo la relazione dell’uomo con la donna si trasforma e la triplice concupiscenza di cui parla la prima Lettera di Giovanni (cfr 1Gv 2,16) cessa di avere il sopravvento. Si deve accogliere la testimonianza resa dalla vita delle donne come rivelazione di valori senza i quali l’umanità si chiuderebbe nell’autosufficienza, nei sogni di potere e nel dramma della violenza. Anche la donna, da parte sua, deve lasciarsi convertire e riconoscere i valori singolari e di grande efficacia di amore per l’altro, di cui la sua femminilità è portatrice. In entrambi i casi si tratta della conversione dell’umanità a Dio, di modo che sia l’uomo che la donna conoscano Dio come il loro «aiuto», come il Creatore pieno di tenerezza, come il Redentore che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).

Una tale conversione non può compiersi senza l’umile preghiera per ricevere da Dio quella trasparenza di sguardo che riconosce il proprio peccato e al tempo stesso la grazia che lo guarisce. In modo particolare si deve implorare la Vergine Maria, donna secondo il cuore di Dio, «benedetta fra le donne» (cfrLc 1,42), scelta per rivelare all’umanità, uomini e donne, quale è la via dell’amore. Solamente così può emergere in ogni uomo ed in ogni donna, in ciascuno secondo la sua grazia propria, quella «immagine di Dio» che è l’effigie santa con cui sono contrassegnati (cfr Gn 1,27). Solamente così può essere ritrovata la strada della pace e della meraviglia di cui è testimone la tradizione biblica attraverso i versetti del Cantico dei Cantici in cui corpi e cuori celebrano lo stesso giubilo.

La Chiesa certamente conosce la forza del peccato che opera negli individui e nelle società e che talvolta porterebbe a far disperare della bontà della coppia. Ma per la sua fede nel Cristo crocifisso e risorto, essa conosce ancor più la forza del perdono e del dono di sé malgrado ogni ferita e ogni ingiustizia. La pace e la meraviglia che essa indica con fiducia agli uomini e alle donne di oggi sono la pace e la meraviglia del giardino della risurrezione, che ha illuminato il nostro mondo e tutta la sua storia con la rivelazione che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16).

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 31 maggio 2004, Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria.

+ Joseph Card. Ratzinger Prefetto

-  + Angelo Amato, SDB
-  Arcivescovo titolare di Sila
-  Segretario


1Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981): AAS 74 (1982), 81-191; Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988): AAS 80 (1988), 1653-1729; Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994): AAS 86 (1994), 868-925; Lettera alle donne (29 giugno 1995): AAS 87 (1995), 803-812; Catechesi sull’amore umano (1979-1984): Insegnamenti II (1979) - VII (1984); Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1o novembre 1983): Ench. Vat. 9, 420-456; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia (8 dicembre 1995): Ench. Vat. 14, 2008-2077.

2Sulla complessa questione del gender, cfr anche Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia, matrimonio e «unione di fatto» (26 luglio 2000), 8: Supplemento a L’Osservatore Romano (22 novembre 2000), 4.

3Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 21: AAS 91 (1999), 22: «Questa apertura al mistero, che gli veniva dalla Rivelazione, è stata alla fine per lui [l’uomo biblico] la fonte di una vera conoscenza, che ha permesso alla sua ragione di immettersi in spazi di infinito, ricevendone possibilità di comprensione fino allora insperate».

4Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 6: AAS 80 (1988), 1662; cfr S. Ireneo, Adversus haereses, 5, 6, 1; 5, 16, 2-3: SC 153, 72-81; 216-221; S. Gregorio di Nissa, De hominis opificio, 16: PG 44, 180; In Canticum homilia, 2: PG 44, 805-808; S. Agostino, Enarratio in Psalmum, 4, 8: CCL 38,17.

5La parola ebraica ezer, tradotta con aiuto, indica il soccorso che solo una persona porta ad un’altra persona. Il termine non comporta alcuna connotazione di inferiorità o strumentalizzazione, se si pensa che anche Dio è talora detto ezer nei confronti dell’uomo (cfr Es 18,4; Sal 9-10, 35).

6Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 6: AAS 80 (1988), 1664.

7Giovanni Paolo II, Catechesi L’uomo-persona diventa dono nella libertà dell’amore (16 gennaio 1980), 1: Insegnamenti III, 1 (1980), 148.

8Giovanni Paolo II, Catechesi La concupiscenza del corpo deforma i rapporti uomo-donna (23 luglio 1980), 1: Insegnamenti III, 2 (1980), 288.

9Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 7: AAS 80 (1988), 1666.

10Ibid., 6, l.c., 1663.

11Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1o novembre 1983), 4: Ench. Vat. 9, 423.

12Ibid.

13Adversus haereses, 4, 34, 1: SC 100, 846: «Omnem novitatem attulit semetipsum afferens».

14La Tradizione esegetica antica vede in Maria a Cana la «figura Synagogae» e la «inchoatio Ecclesiae».

15Il quarto Vangelo approfondisce qui un dato presente già nei Sinottici (cfr Mt 9,15 e par.). Sul tema di Gesù Sposo, cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994), 18: AAS 86 (1994), 906- 910.

16Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994), 19: AAS 86 (1994), 911; cfr Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 23- 25: AAS 80 (1988), 1708-1715.

17Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 16: AAS 74 (1982), 98-99.

18Ibid., 41, l.c., 132-133; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae (22 febbraio 1987), II, 8: AAS 80 (1988), 96-97.

19Cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), 9- 10: AAS 87 (1995), 809-810.

20Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994), 17: AAS 86 (1994), 906.

21Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), 19: AAS 73 (1981), 627.

22Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994): AAS 86 (1994), 545-548; Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (28 ottobre 1995): AAS 87 (1995), 1114.


Sul tema, nel sito, cfr.

-  FESTIVAL DELLA MATEMATICA 2009. Salvare il mondo con i numeri....
-  ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO" (Franca Ongaro Basaglia)?
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