Il nuovo desiderio di un figlio a tutti i costi
di Michela Marzano (la Repubblica, 13.01.2011)
Avere dei figli sembra ormai un’ossessione. Come se il fatto di non averne fosse una menomazione. Una mancanza insopportabile. Bisogna averne almeno uno, come si ha un lavoro o una casa. Per realizzarsi ed essere veramente felici. Anche quando si ha tutto, o quasi. Come Elton John che, quando nasce Zachary, dice di essere "sopraffatto dalla gioia". O Gianna Nannini, che un mese prima della nascita di Penelope, le scrive una lettera su Vanity Fair: «Tu, il più grande amore della mia vita, arrivi dopo il dolore profondo e lo shock».
È come se ormai, ad un certo punto dell’esistenza, i figli facessero parte dell’equilibrio di ogni persona, del benessere individuale. «Ognuno ha il diritto di fare quello che vuole, quando vuole, e con chi vuole», dichiara la rockstar italiana per far tacere i dibattiti suscitati da questa sua gravidanza tardiva. D’altra parte, accanto ai casi delle star, ci sono tante storie di persone normali che sognano un figlio e, spesso, devono combattere con percorsi legislativi complicati e dolorosi.
Ma che cosa significa, oggi, essere genitori? Bisogno? Desiderio? Diritto?
Fino a poco tempo fa, era "naturale" sposarsi, fondare una famiglia, avere dei figli. Era scontato,
dunque accettato come dato biologico, che esistesse, per la donna, la necessità di diventare madre,
di fare un bambino e di occuparsene. Per le famiglie più modeste, un figlio era una vera e propria
risorsa economica. Due braccia in più per portare soldi in casa. Per le famiglie aristocratiche e
borghesi, i figli assicuravano la trasmissione del patrimonio, la continuità della "stirpe". Tutto era
"naturale". Tanto più che esisteva un legame indissolubile tra l’atto sessuale e l’atto procreativo: i
bambini erano "il frutto della vita".
A partire dagli anni Sessanta e Settanta, però, le cose sono progressivamente cambiate. Da un lato, per la prima volta nella storia, si poteva legittimamente "fare l’amore" senza "fare figli". Dall’altro lato, i progressi della scienza e della medicina hanno permesso di dissociare la procreazione dalla sessualità: grazie alle tecniche di fecondazione assistita, anche le coppie sterili e omosessuali possono oggi, almeno in teoria, avere dei figli.
La figura del genitore non è più monolitica. Ne esistono di tutti i tipi. Genitori single. Genitori biologici. Genitori adottivi. Genitori eterosessuali. Genitori omosessuali. Certo, da un punto di vista giuridico, non esiste alcuna omogeneità. E anche questo genera disparità e confusioni.
In Italia, si ammette ancora solo la fecondazione omologa; in Francia, c’è anche quella eterologa, ma possono usufruirne soltanto le coppie eterosessuali; solo in Spagna, in Belgio, in Olanda e in Svezia è accettata l’omoparentalità. Ma per chi ne ha, oltre che il desiderio, anche i mezzi, tutto sembra ormai possibile. Perché non utilizzarli, allora? Tanto più che la sacralizzazione del "desiderio", e dunque anche del "desiderio di un figlio", corrisponde perfettamente ad un’epoca in cui la rivendicazione della propria libertà di scelta si traduce molto più spesso di quanto non si creda in una nuova forma di conformismo. Se tutti desiderano un figlio, perché io non posso? E, soprattutto: se non ci riesco, c’è qualcosa, in me, che non va?
Il desiderio appartiene alla sfera privata e nessuno può intervenire. Nel caso dei figli, però, il privato è anche necessariamente pubblico. O almeno sociale. Non solo perché il desiderio riguarda una terza persona, che ancora non esiste e che, in fondo, non ha chiesto nulla. Ma anche perché i figli, nel momento in cui nascono, non appartengono più solo ai genitori ma cominciano a far parte di una comunità più vasta.
Certo, nessuno ha il diritto di giudicare i desideri degli altri. Non esistono dei "buoni desideri" e dei "cattivi desideri". Esattamente come non esistono delle persone che meritano o meno di diventare genitori. Il desiderio di avere un figlio è sempre complesso e ambivalente. Si può voler un figlio per colmare un vuoto, per avere un erede, per riparare qualcosa della propria storia familiare, per proiettarsi nel futuro, per lasciare una traccia in questo mondo... Esattamente come, nel passato, lo si poteva volere perché succedeva, per abitudine, per rispettare le tradizioni...
In fondo poco importa. Se si vuole un figlio, è inutile cercare di capire le ragioni precise di questo desiderio. Non esiste un modello perfetto di genitore capace di garantire l’equilibrio e la serenità dei figli.
Quando sono piccoli, fragili e sprovvisti di tutto, i bambini hanno bisogno che qualcuno si occupi di loro. Poco importa se esiste o meno un legame biologico tra figli e genitori. Poco importa se i genitori sono eterosessuali o omosessuali. La funzione paterna o materna può essere assunta anche dagli zii, dai nonni, dai cugini. Anche l’età dei genitori, in fondo, è relativa. Ciò che conta è che i genitori si occupino dei figli avendo la consapevolezza che non si tratta solo di "oggetti", di qualcosa che hanno desiderato tanto e che, quando arriva, appartiene loro per sempre. Essere genitori significa permettere ai figli di crescere, di imparare ad "arrangiarsi da soli", di rendersi progressivamente indipendenti.
Essere genitori, più che un diritto, è un dovere. Primo fra tutti, il dovere di "adattarsi" a queste creature che sono nate senza averlo chiesto e che devono poter avere la possibilità, crescendo, di prendere le distanze dal modello materno o paterno che hanno conosciuto. Per diventare adulti, autonomi e liberi anche loro di avere dei desideri da soddisfare.
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
Il mensile di Legambiente apre alle famiglie omosex
a cura di Pasquale Quaranta
ROMA - La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente, apre una riflessione sui diritti delle coppie omosessuali e dei loro figli. Nel numero di ottobre, in distribuzione nelle librerie Feltrinelli, un dossier di tredici pagine dal titolo “Legami d’amore” testimonia l’affermazione di legami familiari oltre i pregiudizi.
In copertina l’immagine di una famiglia composta da due madri con i loro figli. Sono Maria Silvia Fiengo e Francesca Pardi che a Milano hanno fondato Lo Stampatello, prima casa editrice per l’infanzia dedicata ai temi delle famiglie omogenitoriali. “Sono sempre più i figli di coppie omosessuali in Italia - spiega Maria Silvia Fiengo - ed è fondamentale per ogni bambino e ogni bambina rispecchiarsi nei racconti e nei libri illustrati”.
Ad aprire il dossier è l’intervento di Francesco Gnerre, professore di didattica e sociologia della letteratura, che sottolinea come la cultura angloamericana abbia diffuso anche in Europa il modello di una società inclusiva e come la letteratura gay degli anni Settanta abbia permesso alle persone omosessuali di considerarsi una comunità.
Tra gli interventi quello di Andrea Pini, insegnante delle scuole superiori, racconta perché nel nostro paese sia ancora difficile essere se stessi se si è omosessuali a partire dalle speranze di emancipazione nel dopoguerra.
Simonetta Moro, presidente di Polis Aperta, associazione che riunisce persone gay e lesbiche nelle forze dell’ordine, racconta il suo impegno per contrastare l’omofobia all’interno del mondo militare e delle forze di polizia, in modo da creare un ambiente più sereno e più rispettoso delle persone omosessuali che servono il paese in uniforme.
Tra le testimonianze, La Nuova Ecologia racconta l’amore di due mamme, Viola Valentini e Gabriella Giarratano, per il loro figlio. “Prima o poi - scrivono - questo Paese riconoscerà la nostra esistenza come famiglia. È solo questione di tempo ma intanto nostro figlio ha già due anni”. Luca Possenti e Francescopaolo Di Mille, una due papà gay, racconta quanto sia difficile per governanti e legislatori capire il vissuto della loro famiglia. Le due mamme e i due papà sono attivisti dell’associazione di genitori omosessuali Famiglie Arcobaleno.
A seguire il contributo intitolato “Ecologia di genere” di Pasquale Quaranta, giornalista e curatore del dossier, spiega perché i diritti delle persone omosessuali siano un obiettivo che riguarda anche gli ambientalisti. “Se vostra figlia o vostro figlio fossero gay o lesbica in che mondo vi augurereste che viva la sua vita?”. Un dibattito da portare avanti.
Spazio anche alla lotta ai pregiudizi che circolano nella Chiesa cattolica con la testimonianza di Antonio De Chiara, fondatore del gruppo di gay cristiani Ponti Sospesi. “Vogliamo migliorare la nostra relazione con Gesù - afferma De Chiara - purificandola degli errati insegnamenti del clero”.
Il dossier è arricchito con un omaggio inedito di Ciro Ciretta, all’anagrafe Ciro Cascina, interprete della scuola teatrale napoletana sulla tradizione dei “femminiell”: un omaggio a un’amica di tanti anni fa, Salvatore detto Samanta, scomparsa misteriosamente.
Foto d’epoca dell’archivio dell’Afan, associazione femminell antiche napoletane, e altre tratte dal libro di Andrea Pini, Quando eravamo froci (il Saggiatore), danno radici profonde alle rivendicazioni moderne. “Legami d’amore” segnala infine numeri utili e indirizzi per chi volesse approfondire o semplicemente chiedere aiuto: un dossier destinato non solo alle socie e ai soci di Legambiente ma a tutte le persone e alle associazioni impegnate nella tutela della qualità della vita di tutte e tutti.
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La Nuova Ecologia può essere acquistata nelle librerie Feltrinelli e online nell’edicola virtuale https: al costo di 5 euro (spese di spedizione comprese). È inoltre distribuita in abbonamento postale ai soci di Legambiente (tesseramento@legambiente.it, 0686268316) e agli abbonati (abbonamenti@lanuovaecologia.it, 0686203691).
Per visualizzare il dossier, clicca sul link seguente p40.it
IL PADRE EFFETTIVO STA DIVENTANDO IDENTICO AL PADRE PUTATIVO - IL "DIO PADRE" DI GESU’ STA DIVENTANDO IDENTICO A IL "PADRE PUTATIVO" GIUSEPPE - E IL MONDO CATTOLICO-ROMANO NON RIESCE PIU’ A CAPIRE NULLA.
IL CARDINALE DARIO CASTRILLON HOYOS INSEGNA: "Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio" (dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)!!!
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
di ADRIANO FABRIS (Avvenire, 13.01.20111).
Lo confesso: mi sento discriminato. Come padre, come papà. Ma non è una questione di sesso, stavolta non c’entra la differenza di genere. Ne parlavo con mia moglie: si sente discriminata anche lei, come madre, come mamma. Se si estendesse infatti la recente decisione del Dipartimento di Stato americano - per la quale dal prossimo febbraio sulla domanda per il passaporto non figureranno più i termini «madre» e «padre», che saranno sostituiti da «genitore 1» e «genitore 2» - allora io come padre e mia moglie come madre dovremmo rinunciare ufficialmente a questa nostra qualifica. Per non discriminare altre forme di famiglia e di genitori.
Si ripete un copione già visto: per non discriminare gli altri, il discriminato ora sarei io. Sarebbe bene che ufficialmente non mi facessi più chiamare «padre». Per correttezza mio figlio dovrebbe rivolgersi a me come al «genitore 2». Per «politica correttezza», poi, nelle mie preghiere, io stesso dovrei dire: «Genitore 2 nostro, che sei nei cieli». Domandiamoci che cosa ci sta sotto.
Domandiamoci quale cambiamento di mentalità questa decisione del Dipartimento di Stato americano al tempo stesso riflette e promuove. Oggi, a ben vedere, è in atto un processo di vera e propria negazione del biologico. A dispetto di tanta retorica su un certo tipo di alimentazione «naturale». A dispetto di tanti discorsi che si fanno a proposito di biopolitica.
Il naturale, infatti, nella mentalità comune sta divenendo identico all’artificiale, l’effettivo al putativo. L’importante è che la funzione sia salvaguardata. E una stessa funzione - si sa - in molti casi può essere svolta da chiunque: uomo, donna, animale, macchina. Il problema però è che nessuno si chiede se, ad esempio, la funzione del padre e del «genitore 2» siano davvero la stessa.
Ma se proprio le cose dovessero andare così, chiederei almeno di essere coerenti. Se davvero la funzione deve prendere il sopravvento sulla relazione biologica, se l’artificiale deve sostituire la natura, allora andiamo fino in fondo. Io sono padrino (di battesimo: non nel senso del libro di Mario Puzo e del film di Francis Ford Coppola) di alcuni bambini; sono «zio» (non solo in senso parentale: anche in quel senso metaforico del termine che vige in molte parti d’Italia) di figli di molti miei amici. Pretendo che questo venga dichiarato ufficialmente. Pretendo che sia scritto sul passaporto. Così, almeno, si scoprirà di quante relazioni è al centro questa o quella persona. E magari costui cesserà di credersi un individuo isolato e autosufficiente.
Ratzinger contro le unioni di fatto
"Danneggiano le coppie sposate"
ROMA - Approvare le unioni di fatto penalizza le coppie sposate. Lo ha detto il Papa ricevendo gli amministratori di Roma e del Lazio, il sindaco Gianni Alemanno e i presidenti Nicola Zingaretti e Renata Polverini, per il tradizionale scambio di auguri di inizio d’anno. «Approvare forme di unione che snaturano l’essenza e il fine della famiglia, finisce per penalizzare quanti, non senza fatica, si impegnano a vivere legami affettivi stabili, giuridicamente garantiti e pubblicamente riconosciuti», ha detto il Papa. Tra i temi affrontati da Benedetto XVI, anche la tutela della vita, con l’impegno dei consultori contro l’aborto, e la necessità di politiche organiche a favore delle famiglie a partire dagli asili nido.
* la Repubblica 15.01.2011
I FIGLI
di KHALIL GIBRAN *
E una donna che portava un bimbo al seno disse,
Parla con noi dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono vostri figli.
Essi sono i figli e le figlie della brama della Vita per la vita.
Essi vengono attraverso voi ma non per voi.
E benché essi siano con voi essi non appartengono a voi.
Voi potete dare loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,
Poiché essi hanno i propri pensieri.
Voi potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime,
Poiché le loro anime dimorano case di domani, che non potrete visitare, neppure in sogno.
Potrete essere come loro, ma non cercate di farli simili a voi,
Poiché la vita procede e non si ferma a ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce vive, sono scoccate lontano.
L’Arciere vede il bersaglio sulla strada dell’infinito, ed Egli con forza vi tende
affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Piegatevi nelle mani dell’Arciere con gioia:
Poiché come egli ama la freccia che vola, così Egli ama l’equilibrio dell’arco
* da: " Il Profeta" di Khalil Gibran
Una rivoluzione infinita
E la parola ci rese umani
Racchiusi nella mente infantile i segreti del linguaggio
di Edoardo Boncinelli (Corriere della Sera, 30.12.2010)
Probabilmente niente è più esclusivamente umano del linguaggio e niente conosciamo di più difficile da tenere separato dal nostro modo di vedere il mondo e vivere la nostra vita. Tutto quello che sappiamo e che riusciamo ad argomentare passa infatti per la nostra capacità di concettualizzare e di parlare.
Non sappiamo quando il linguaggio sia comparso nella nostra storia naturale, ma siamo in molti a pensare che da allora niente è stato più come prima. È stato molto probabilmente «un evento improvviso ed emergente» alla base di quello che qualcuno ha chiamato «il Grande Balzo in Avanti» della nostra storia, perché si ritiene da parte di molti che il linguaggio sia «virtualmente sinonimo di pensiero simbolico» .
La sua conquista è un evento unico nella nostra evoluzione come specie e nella nostra personale esistenza individuale. Ma quali sono i suoi tratti essenziali e su quali fondamenti si appoggia? A nessuno è mai sfuggita l’importanza del linguaggio, ma solo oggi il suo studio, coincidente almeno in parte con l’avanguardia della linguistica contemporanea, ha raggiunto una sua maturità e sta probabilmente per dare i suoi frutti migliori.
Sono più di cinquant’anni che la linguistica è stata rivoluzionata e posta su nuove basi dalle idee di Noam Chomsky, il massimo linguista vivente e un grande indagatore delle profondità della nostra mente e dello spirito. Di lui è appena uscito Il linguaggio e la mente (Bollati Boringhieri), che riassume un po’ tutto il tragitto del suo pensiero sull’argomento. Si tratta in realtà della recente, terza, edizione di un’opera ormai classica che ebbe la sua prima edizione nel 1968 e che può essere utilizzata come filo conduttore per l’esposizione del pensiero di Chomsky e per fare, attraverso questo, il punto sullo stato dell’arte dello studio del linguaggio e del suo rapporto con il funzionamento della mente.
Il libro consta di tre parti, concettualmente se non tipograficamente: un inquadramento storico della disciplina, un’esposizione della visione chomskyana della struttura del linguaggio e una sua valutazione dei rapporti fra lo studio del linguaggio e lo studio della mente stessa. È ovvio che la parte più estesa e più interessante debba essere la seconda.
Chi sappia poco o niente della linguistica contemporanea può trovare qui una sua mirabile esposizione, priva di tecnicismi e virtualmente estranea allo slang specialistico. È questa la parte più vitale e duratura del contributo di questo autore, ma io mi voglio concentrare invece su alcuni punti della terza parte, che contiene secondo me aspetti stimolanti e contraddittori.
Molte persone ritengono che il contributo storico specifico di Chomsky sia stato quello di tentare di persuaderci che il linguaggio è una nostra facoltà innata, così che tutti parliamo essenzialmente la stessa lingua, anche se moltissime sue caratteristiche specifiche sono inevitabilmente apprese, e danno delle idee di Chomsky stesso un giudizio positivo o negativo a seconda che condividano o meno questo assunto. Ciò è molto curioso, perché a me, biologo, la cosa sembra così pacifica che non valga nemmeno la pena che qualcuno la affermi: come potrebbe essere che il linguaggio - che tutti impariamo, che tutti impariamo alla stessa età ed essenzialmente con le stesse modalità e che rappresenta una nostra caratteristica e necessità irresistibile - non abbia una solida base biologica radicata nei nostri geni?
Come ho detto, non mette nemmeno conto di parlarne, se non per studiarne le modalità e soprattutto il suo sbocciare in tutti i bambini del mondo di tutte le epoche, indipendentemente dalla loro condizione culturale e sociale.
Ma il paradosso è poi rappresentato dal fatto che il nostro autore non è tenero con alcuna forma di riduzionismo e in questo libro in particolare si mostra sostanzialmente, benché forse inconsapevolmente, pessimista sulla riducibilità anche futura dello studio del linguaggio allo studio del cervello e della mente.
Nell’ultimo capitolo del libro Chomsky va direttamente a toccare tali temi occupandosi di «Biolinguistica e capacità umane» . Due osservazioni. Appoggiandosi ad una citazione di Bertrand Russell del 1929, secondo cui la chimica non può essere ridotta alla fisica, il nostro autore liquida per sempre un approccio riduzionista, si intende al linguaggio, anche se non lo dice esplicitamente.
L’esempio capita proprio a proposito. Se è vero che ogni grande investigatore delle forme di pensiero è fiero di studiare il suo tema iuxta propria principia ed è tentato di farne una disciplina autonoma, è proprio l’esempio della chimica che mostra i limiti del tentativo. Se un chimico oggi volesse dedurre tutti i fenomeni chimici basandosi solo su quel capolavoro dello spirito umano che è il sistema periodico degli elementi, o tavola di Mendeleev, incontrerebbe serie difficoltà, fingendo di ignorare l’esistenza del nucleo atomico e degli elettroni.
Così oggi forse continuare a scavare esclusivamente dentro e intorno alla grammatica generativa trasformazionale e alle sue varianti è come tentare di fare del sistema periodico la stele di Rosetta del linguaggio e del suo uso. Una grande, forse insormontabile, difficoltà nello studio del linguaggio è data poi dal fatto che noi non nasciamo parlando, ma acquisiamo l’uso del linguaggio durante un lungo periodo della nostra infanzia del quale non siamo assolutamente coscienti e che lascia nel cervello stesso una traccia sconvolgente e indelebile.
Nessuno può sapere che cosa succede allora nel nostro cervello ed è arduo persino cercare di immaginarlo. Non si può, in sostanza, capire il linguaggio osservando il cervello adulto, occorre studiarne la genesi nel tempo senza incorrere nell’errore, per tanto tempo portato avanti, che i bambini siano adulti in miniatura. L’arrivo del linguaggio è stato rivoluzionario ed epocale nella nostra storia evolutiva, ma lo è anche nella nostra storia personale.
Figli contesi
Il compito dei genitori, dichiarava Freud, è un compito impossibile
Viviamo da tempo nell’epoca della crisi simbolica della funzione di autorità.
Sono evaporate le figure della Legge e del Padre
Quando giudici e tribunali si sostituiscono ai genitori
La situazione diventa paradossale quando, come accade sempre più spesso, sono i piccoli a dettare le regole agli adulti
di Massimo Recalcati (la Repubblica, 18.10.2012)
Il compito dei genitori, dichiarava Freud, è un compito impossibile. Come governare (e psicoanalizzare), aggiungeva. Cosa significa? Significa che il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Significa che ciascun genitore è chiamato ad educare i suoi figli a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. Per questa ragione i genitori migliori non sono quelli che si offrono ai loro figli come esemplari, ma quelli consapevoli del carattere impossibile del loro mestiere. Ecco una buona notizia che dovrebbe alleggerire l’angoscia di chi si trova ad occupare questa posizione.
Il compito impossibile dei genitori si carica oggi di nuove angosce, come dimostra il caso di Cittadella. Scopriamo l’acqua calda se diciamo che il nostro tempo è il tempo della crisi simbolica della funzione dell’autorità. Questo vuol dire che la Legge ha smarrito il suo fondamento simbolico. Se il nostro è il tempo dell’evaporazione del padre è anche il tempo dell’evaporazione della Legge come ciò che custodisce la possibilità degli umani di vivere insieme. I sintomi di questa crisi sono sotto gli occhi di tutti e non investono solo lo studio dello psicoanalista (genitori angosciati, figli smarriti) ma attraversano l’intero corpo sociale: difficoltà a garantire il rispetto delle istituzioni, frana della moralità pubblica, eclissi del discorso educativo, caduta di un senso condiviso, incapacità di costruire legami sociali creativi... In primo piano è un indebolimento culturale non tanto delle leggi scritte sul codice e sui libri di Diritto ma del senso stesso della Legge che, come la psicoanalisi insegna, ha come suo tratto fondamentale quello di sostenere la vita umana come marcata da una mancanza, da un senso del limite, da una impossibilità di autosufficienza.
Questo indebolimento culturale non genera solo smarrimento, ma anche l’invocazione compulsiva della Legge nella forma dell’appello ai giudici, ai tribunali, alle norme stabilite dal Codice. È un tratto del nostro tempo: la Legge viene continuamente invocata a partire da un difetto di trasmissione del senso simbolico della Legge. È quello che accade anche nelle famiglie. Ci sono i tribunali che accolgono le istanze dei bambini malmente trattati dagli adulti e quelli che soccorrono gli adulti nelle loro diatribe coniugali.
L’istituto della mediazione familiare sembra essere divenuto indispensabile per temperare conflitti a rischio di degenerazione. Situazione tanto più paradossale se si considera che sono spesso i figli che impongono la legge in famiglia. Sono loro che dettano le regole. È una grande mutazione antropologica messa in rilevo da diversi studiosi: non è più il figlio che deve adattarsi alle norme simboliche che regolano la vita di una famiglia, ma sono le famiglie che si adattano alla legge stabilita dai loro figli. L’invocazione dell’intervento del giudice segnala questa alterazione profonda dei ruoli simbolici. I genitori, che sono sempre più in difficoltà nel trasmettere ai loro figli il senso sella Legge, si appellano alla Legge del giudice affinché gli restituisca la proprietà dei figli!
La violenza, il sopruso, il disordine caratterizzano da sempre le relazioni umane, comprese quelle familiari. I conflitti fanno parte della vita. Perché allora si è reso sempre più necessario l’intervento di una istanza Terza capace di regolare semaforica- il disordine delle relazioni affettive più intime? Sempre più frequentemente i problemi della famiglia finiscono di fronte a un giudice o esigono una mediazione compiuta da un Terzo. Nell’epoca in cui il Terzo sembra non esistere più, nell’epoca dove tutto è uguale a tutto, si chiama in causa il Terzo ogni qualvolta si incontra un ostacolo al perseguimento dei proprio interessi o di quello dei propri figli. I genitori rompono senza problemi il patto generazionale con gli insegnanti se si tratta di non far perdere un anno al proprio figlio ingiustamente giudicato. La Legge agisce orizzontalmente permeando la nostra vita ordinaria.
Perché non si separano se non fanno altro che litigare? Si chiedeva un mio giovanissimo paziente. Quando osò porre questa domanda ai suoi genitori questi risposero all’unisono: «E tu cosa faresti?». Risposta. «Dunque se io morissi vi lascereste, finalmente?». La logica ferrea di questo piccolo non lascia scampo ai suoi genitori sull’assunzione delle loro responsabilità.
La genitorialità non può mai essere confusa con il destino, talvolta burrascoso, della coppia. Sappiamo come i figli possano venire trascinati nel gorgo tremendo delle reciproche rivendicazioni dei coniugi. È allora che si esige l’intervento di un Terzo. Ma il giudice interviene sui figli o sugli adulti? La sua chiamata in causa sempre più inflazionata non testimonia forse una minorizzazione generalizzata degli adulti, nel senso che è venuta loro meno la forza di assumersi la responsabilità della decisione.
In gioco è piuttosto una delega della responsabilità. Perché il Terzo deve essere necessariamente un giudice? Non dovrebbe apparire nella forma del riconoscimento del senso simbolico della Legge, quello che, per esempio, impone ai genitori la cura dei propri figli al di là dei loro interessi personali?
Il senso simbolico della Legge oggi è screditato o del tutto confuso (querulomaniacalmente) con l’esistenza dei Codici. Restituire valore al carattere simbolico della Legge implicherebbe per i genitori saper rinunciare alle aspettative personali sui loro figli. Essere padri, come ci ricorda lo scandaloso racconto biblico del sacrificio di Isacco, implica la dimensione della rinuncia radicale al possesso dei propri figli, implica saperli affidare al deserto.