L’assemblea della Federazione europea dei giornalisti, riunita a Berlino, ha votato all’unanimità un documento di condanna della stretta sulle intercettazioni voluta dal governo italiano e le sanzioni penali previste contro i giornalisti.
«L’assemblea annuale della Federazione europea dei giornalisti - si legge nel testo approvato reso noto dalla Fnsi, presente a Berlino con il presidente Roberto Natale, il segretario Franco Siddi e col direttore Giancarlo Tartaglia - condanna il progetto di legge del governo italiano che, con la scusa della privacy, vuole stabile sanzioni penali - fino a tre anni di carcere - per i giornalisti che pubblichino informazioni o citino notizie di inchieste giudiziarie. È il caso soprattutto delle intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura. Questa è un’iniziativa - prosegue il documento - che mette il bavaglio ai giornalisti e impedisce ai cittadini di essere informati su temi d’interesse pubblico compresi nelle inchieste giudiziaria».
«Questo modo di procedere - è scritto ancora - è contrario ai principi universali dei diritti dei media e della loro funzione nelle democrazie moderne. I giornalisti, infatti, non devono nascondere le informazioni d’interesse generale, sia originate da fonti libere sia da fonti confidenziali, che essi hanno il dovere di proteggere. Il progetto di legge del governo italiano è contrario alle convenzioni internazionali e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’assemblea annuale della Fej sostiene il sindacato dei colleghi italiani, la Fnsi, nel suo contrasto, nella sua opposizione contro il disegno di legge e fa appello al Parlamento italiano a non approvarlo o a modificarlo profondamente».
Articolo 21: disegno di legge anticostituzionale «La magistratura potrebbe sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla corte costituzionale perchè il disegno di legge sulle intercettazioni limita la sua autonomia. La norma costituzionale che sarebbe violata è l’art.112 che prevede l’obbligo per il pm di esercitare l’azione penale. Questa norma verrebbe svuotata se il pm non avesse i mezzi per condurre l’azione penale...». È il parere autorevole dell’avvocato Domenico D’Amati, presidente del comitato giuridico di Articolo21 che interviene sul sito dell’associazione sul tema del ddl sulle intercettazioni.
«Non è difficile prevedere che - afferma D’Amati se il disegno di legge sulle intercettazioni sarà approvato dalle Camere e se la legge approvata sarà promulgata dal Presidente della Repubblica, Berlusconi avrà il suo caso Guantanamo davanti alla Corte Costituzionale. Il primo magistrato cui sarà chiesto di condannare alla reclusione un giornalista per aver dato notizia delle malefatte di qualche esponente della casta, emerse da intercettazioni in sede giudiziaria, manderà gli atti alla Consulta perchè annulli la nuova legge. E la Corte Costituzionale non sarà la sola a sancire l’abnormità di questo tentativo di ritorno ai tempi bui, perchè non mancheranno certo di pronunciarsi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’Unione».
Per D’Amati, «un’altra ragione che potrà portare la legge sulle intercettazioni davanti alla Corte Costituzionale è che essa si presenta come attentato all’autonomia della magistratura. Per l’art. 112 della Costituzione, il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Questa norma sarebbe svuotata del suo contenuto, se il Pubblico Ministero fosse privato della possibilità di ricorrere, in caso di necessità, allo strumento delle intercettazioni».
Giulietti: proposta Alfano è un bavaglio ai giornalisti «La proposta presentata, dal ministro Alfano in materia di intercettazioni, per quanto riguarda il diritto di cronaca è letteralmente irricevibile». Lo afferma Giuseppe Giulietti, portavoce di articolo 21. «Non è solo e soltanto un tentativo di mettere un bavaglio ai cronisti e agli editori - sostiene - ma è anche e soprattutto il tentativo di mettere una benda sugli occhi e sulle orecchie dei cittadini italiani. Se tali norme dovessero essere mai approvate non favorirebbero il diritto sacrosanto alla privacy delle persone, bensì aumenterebbero i ricatti incrociati e il commercio clandestino dei dossier. Il cronista che entrerà in possesso di notizie di particolare rilevanza sociale non potrà che pubblicarle pena la violazione del codice deontologico e della legge professionale del 1963. Questo principio del resto è stato riconosciuto anche dai giudici di Strasburgo. Agli editori ed ai cronisti non resterebbe che ricorrere alla obiezione di coscienza facendo prevalere i valori contenuti nell’Articolo 21 della Costituzione. Nelle prossime ore - conclude - l’associazione ’Articolo 21’ costituirà in Europa ed in Italia un comitato di giuristi che avranno il compito di seguire l’iter della legge e di controllarla in tutte le sedi possibili».
Bindi: no ai privilegi per i parroci «Sono assolutamente contraria a una norma che crei privilegi per qualunque esponente di qualsiasi religione». Così Rosy Bindi, intervistata da Lucia Annunziata nel corso di "In mezz’ora", ha commentato il ddl sulle intercettazioni che prevede che per intercettare un prete si debba avvisare il vescovo. Alla conduttrice, che le fa notare come questa norma fosse presente anche nel disegno di legge preparato da Clemente Mastella, la vicepresidente della Camera ha risposto: «Se questa norma c’era, io non me ne ero accorta e chiedo scusa, perchè sono contraria a questo provvedimento. Posso solo dire: meno male che non è stato approvato».
Bonelli (Verdi): aria di regime Per Angelo Bonelli dei Verdi «anche la stampa europea sente aria di regime in Italia. Per questa ragione oggi da Berlino ha fortemente criticato il disegno di legge sulle intercettazioni varato dal governo Berlusconi che, non solo rischia di imbavagliare il diritto all’informazione dei cittadini, ma che lega le mani su reati gravi alla magistratura, commentando il documento votato all’unanimità dall’assemblea della Federazione europea dei giornalisti.
«La destra - aggiunge l’esponente del Sole che ride - vuole far assomigliare sempre più il nostro Paese ad un regime sud americano minacciando con il carcere i cronisti e mandando l’esercito per le strade per l’ordine pubblico». «Il disegno di legge sulle intercettazioni è un attacco alla libertà d’informazione dei cittadini e mina fortemente la capacità di indagine della magistratura ma, soprattutto, rischia di far diventare l’Italia la zimbella d’Europa - ha concluso Bonelli - Non esiste nulla di simile in nessun altro Paese europeo».
* l’Unità, Pubblicato il: 15.06.08, Modificato il: 16.06.08 alle ore 11.33
Intercettazioni: e allora arrestateci tutti
di Marco Travaglio *
L’altro giorno, fingendo di avanzare un’«ipotesi di dottrina», Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai «dittatori democratici» e ha spiegato: «Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno».
«Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura. si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ’transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo». Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l’indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l’informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l’esercito per le strade. Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell’informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all’inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie «non più coperte da segreto», perché anche su quelle cala un tombale «divieto di pubblicazione» che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro «contenuto». Non si potrà più riportarli né testualmente né «per riassunto». Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente. L’inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove.
Anche l’Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all’apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l’opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.
Chi scrive qualcosa è punito con l’arresto da 1 a 3 anni e con l’ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov’è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l’accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l’ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.
E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l’Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l’indagine, prim’ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via.Così ti passa la voglia d’informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato. D’ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il «nuovo» reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l’editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori:quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l’editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società). La libertà d’informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano. Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l’una dall’altra. Tutto ciò, s’intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.
Personalmente, annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d’indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali («Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», con possibili restrizioni solo in caso di notizie «riservate» o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l’Unione Cronisti, l’associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.
* l’Unità, Pubblicato il: 15.06.08, Modificato il: 15.06.08 alle ore 15.19
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Intercettazioni, giornalisti in rivolta
di Roberto Rossi *
Ipotesi numero uno: Giovanni Santini, amministratore di condominio di Roma, viene ucciso da Georgeta Nikita, 30 anni, tre figli e un quarto in arrivo. Un colpo secco con il matterello che gli spacca il cranio. Il corpo chiuso in una valigia viene ritrovato poco dopo dalla polizia. Ipotesi numero due: in Abruzzo viene arrestato Ottaviano Del Turco. Un imprenditore della sanità locale lo accusa di aver preso soldi. Vero o falso lo accerterà un giudice. Qui non importa. Importa per Giuseppe Cascini, magistrato, presidente dell’Anm, spiegare che sia nel primo sia nel secondo caso, se fosse approvato il secondo "lodo Alfano" che procede a tappe forzate alla Camera, nessuno avrebbe saputo nulla. Né il nome della vittima, né quello del carnefice, non quello del presunto corrotto, né quello del altrettanto presunto corruttore. «A un certo punto gli abruzzesi si sarebbero trovati senza presidente senza sapere perché».
Che cos’è il “secondo Lodo Alfano” che prende il nome, appunto, dal ministro della Giustizia Angiolino Alfano? L’opinione pubblica lo conosce come la “legge sulle intercettazioni”. Nata, dice il governo, per limitare la pubblicazione delle intercettazioni non utilizzate dal magistrato. Ma è qualcosa di peggio. Perché quel “lodo” è «un attentato al diritto di cronaca». Di più. Spiega il parlamentare Giuseppe Giulietti: “è una legge che mette in pericolo l’articolo 21 della Costituzione”. Quello che tutela e riconosce la libertà d’espressione. Perché il secondo lodo Alfano non solo limita le intercettazioni per i soli reati di mafia e terrorismo e solo in caso di gravi indizi di colpevolezza, ma anche impdisce la normale attività di cronaca non permettendo la pubblicazioni di atti giudiziari, non coperti da segreto istruttorio, fino alla prima fase dibattimentale del processo. Né atti, né i nomi di imputati, arrestati, magistrati.
“In particolare sono tre i punti del provvedimento contestati” spiega Riccardo Levi, che con gli altri ha partecipato a Roma alla manifestazione organizzata dal sindacato dei giornalisti dal titolo “Ddl Alfano se lo conosci lo eviti”. “Il primo è la modifica del codice di procedura penale che impedisce la pubblicazione di intercettazioni”. Il secondo è “il carcere per il giornalista che viola la legge”. La terza è “la multa per gli editori” del giornale dove la notiza appare.
“Se questa legge - spiega Marco Travaglio davanti a un centinaio di persone - venisse approvata la via è quella di ricorrere alla Corte Costituzionale e quella di Giustizia europea. Subito. Per questo mi auguro che dal Parlamento esca una norma più lurida possibile. Per questo mi rivolgo all’opposizione: non emendate nulla”. Quella di Travaglio è la stessa posizione espressa successivamente dal leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro e riassumibile nello slogan “né confronto, né dialogo”. Semmai un referendum. Successivamente.
Che pure ieri in qualche modo c’è stato. Perché alla manifestazione ha preso parte anche il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Oggi è martedì grasso e questo carnevale deve finire» ha il senatore. «La pubblicazione di tutto in ogni modo e in ogni circostanza non è più possibile. Si può discutere su qualche dettaglio però credo - ha proseguito Gasparri sommerso da contestazioni - che la pubblicazione di tutto come è avvenuto in Italia abbia fatto male alla giustizia sabotando le indagini e abbia danneggiato persone che in molti casi non sono state nemmeno rinviate a giudizio. Forse - ha concluso - sono stato l’unico a difendere il provvedimento. Una legge ci vuole, questa situazione è durata per troppi anni e l’eccesso di intercettazioni deve cessare»
«Ma quale carnevale!» replica la capogruppo del Pd nella commissione giustizia della camera, Donatella Ferranti. « Qui l’unico ad avere la maschera è il senatore Gasparri che mentre dai tg sbraita a difesa delle forze dell’ordine, in parlamento appoggia silenziosamente norme che depotenziano l’attività investigativa delle forze dell’ordine e compromettono la sicurezza dei cittadini. Nonostante le laceranti divisioni interne - prosegue Ferranti- la maggioranza approverà una riforma delle intercettazioni che è un regalo alla criminalità: una vera e propria “legge ad crimen” che impedirà alle forze dell’ordine di assicurare alla giustizia numerosi colpevoli di reati di grave allarme sociale».
Un esempio? Ancora Cascini: «La legge dice di usare le intercettazioni solo in caso di gravi indizi di colpevolezza. In sostanza mai». Infatti è risaputo che quando ci sono gravi indizi di colpevolezza il sospetto viene arrestato.
* l’Unità, 24 febbraio 2009
Avviso d’emergenza
di Furio Colombo (l’Unità, 16.06.2008)
L’invio di reparti militari armati
nelle strade delle grandi città
rende unica l’Italia in Europa.
Le intercettazioni vietate stanno
già raccogliendo l’opposizione
netta di tutta l’Europa libera
Voci di estremo allarme si alzano nel Paese in cui un nuovo governo aveva fatto finta, sulle prime, di essere normale, un qualunque governo di destra europeo. Improvvisamente annuncia di seguito - e si prepara a imporre per decreto e con l’approvazione automatica della sua maggioranza - una serie di leggi con cui inventa un clima di tensione e paura. E risponde a quel clima inventato con leggi liberticide, anticostituzionali e contro il diritto di sapere. L’opinione pubblica libera e informata viene proclamata il nemico da eliminare. Si rivela il volto del nuovo governo. Come è stato detto da Antonio Di Pietro, è un volto che evoca paesi ad alto rischio come la Colombia. Ecco alcune voci che descrivono il nostro Paese oggi.
Stefano Rodotà: «Siamo di fronte a un fenomeno che l’Italia ha conosciuto in altri decenni: le leggi speciali».
Giovanni Sartori: «La Carta della prima Repubblica non è stata abolita perché non c’è più bisogno di rifarla. La si può svuotare dall’interno. Basta paralizzare la magistratura. Alla fine il potere politico comanda da solo».
Marco Travaglio: «Personalmente annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quello che so. Continuerò a pubblicare atti di indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Lo farò in base all’art. 21 della Costituzione e all’art. 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo».
Eugenio Scalfari: «Attenti al risveglio. Può essere durissimo. Può essere il risveglio di un Paese senza democrazia».
Ecco che cosa è accaduto: militarizzazione del territorio «per ragioni strategiche»; uso dei soldati per il pattugliamento delle aree urbane; divieto quasi assoluto delle intercettazioni telefoniche nelle indagini, con limiti scandalosi e risibili (interrompere dopo tre mesi, non poterle utilizzare se si accerta un nuovo reato!) per le poche intercettazioni possibili; impunità (ancora non si sa per che cosa) al primo ministro garantita dal ritorno del vergognoso «lodo Schifani». Torna il passato e torna al peggio. Rivediamolo.
***
Un giorno dell’anno 2002, il secondo anno di direzione de l’Unità rinata e rifondata (non più di partito, non più vincolata ad alcuna ortodossia, ispirata alle battaglie «liberal» della stampa anglosassone, pragmatica e intransigente) direttore e il condirettore di questo nuovo corso (ovvero Antonio Padellaro e io) si sono presentati a una assemblea di senatori Ds per spiegare perché nel descrivere le imprese del governo Berlusconi di allora, fondato su una serie di «leggi vergogna», di «leggi ad personam» e di progetti di svuotamento o annullamento della seconda parte della Costituzione (in modo da colpire, sterilizzandoli, i principi democratici fondanti della prima parte della Costituzione, da cui nasce la nostra libertà) perché l’Unità usasse ripetutamente e con piena convinzione la parola «regime».
L’accusa era di estremismo. Ma uno strano estremismo. Non eravamo colpevoli di squilibri e tensioni ideologiche. Il nostro singolare e mal tollerato estremismo non si misurava sulla causa dei lavoratori ma sulle accuse al primo ministro. Dicevamo che godeva della speciale potenza, di una ricchezza immensa e che usava liberamente, impunito, i vantaggi di un gigantesco conflitto di interessi che gli consentiva di governare insieme il pubblico e il privato e di bloccare le informazioni, stava dando segni sempre più chiari di tracimare ogni argine, passare ogni limite, e piegare norme e leggi, anche europee, ai suoi interessi privati. Già allora l’operare politico di Berlusconi era come una bomba a grappolo. Ogni nuovo colpo assestato ai codici italiani portava immediate conseguenze private per il legislatore-beneficiario, un serie di distorsioni e anomalie estranee all’Europa nel sistema giuridico e una catena di conseguenze di fatto su soggetti estranei, come il blocco o l’impossibilità di decine di altri processi o la cancellazione di fatto di altre azioni penali.
Ma l’accusa è rimasta, come se si fosse trattato di un ossessione privata e personale. La frase tipica era: dire «regime è una sciocchezza. Un governo può essere più o meno buono ma la nostra democrazia è intatta».
Non era intatta. E ci è voluto un referendum popolare per cancellare le gravi ferite arrecate alla Costituzione. Una legge elettorale clamorosamente antidemocratica è ancora in vigore, e sono rimaste intatte tutte le leggi vergogna e ad personam che hanna reso ridicola o brutta l’immagine italiana nel mondo democratico ai tempi del primo Berlusconi.
***
Ed eccoci arrivati alla nuova prova mortale a cui è sottoposta adesso la democrazia italiana. In nome di un dialogo che - ormai deve essere evidente ed è certo chiaro ai milioni di cittadini che hanno votato Pd - sarà impossibile, la opposizione continua a esprimersi con i toni garbati e rispettosi della normale vita democratica. Quei toni, quanto alle civilissime intenzioni che esprimono, fanno onore a chi le usa. O meglio, facevano onore a chi voleva ostinarsi a credere nella normalità, forse in base al sempre atteso ma raro miracolo della fede che muove le montagne.
Ma niente è normale nella situazione italiana che stiamo vivendo. Tutta l’energia, la bravura tecnica e la forza politica che ci servirebbe in un mondo attanagliato da una crisi gravissima, per proteggere i cittadini dai danni più gravi, collaborare fra noi e collaborare col mondo, vengono dirottati in alcune ossessioni che riguardano esclusivamente interessi personali o politici di alcune persone in Italia.
È un delitto contro il Paese, spinto dentro strade senza sbocco, tenuto stretto in una morsa di paura insensata. La militarizzazione del territorio serve per coprire l’incapacità di risolvere il problema dei rifiuti al modo facile e immediato che era stato sbandierato in campagna elettorale. Berlusconi, incapace di capire e di risolvere la questione, ricorre all’occupazione militare.
L’invio di reparti militari armati nelle strade delle grandi città esalta la paura, inventa una emergenza, rende unica l’Italia in Europa (e certo i fucili spianati di soldati non addestrati all’ordine pubblico non è un invito al turismo) e - se ci fossero i problemi che, per fortuna non ci sono - aggraverebbe i rischi di incidenti. Comunque, farà sparire provvisoriamente i criminali, che sanno come riorganizzarsi, e lascerà gli immigrati isolati e spaventati a fare da esca per le ronde militari. Bisognerà pure arrestare qualcuno. Quanto alle intercettazioni vietate, esse stanno già raccogliendo l’opposizione netta di tutta l’Europa libera, giornalisti, giuristi, difensori dei diritti civili.
È bene annunciare per tempo, anche in Italia, la disobbedienza civile per evitare di farsi complici di un progetto estraneo al diritto, alla Costituzione, ai codici europei e italiani, e al buon senso. Perché è impensabile che un governo voglia fare sua la battaglia per creare uno scudo salva- malfattori. Ma se questo è lo scopo, dovrà avere tutta l’opposizione che merita. Speriamo che il Partito Democratico si renda conto che questa è la sua battaglia, pena la caduta in un vuoto senza storia.
Il Cavaliere sui colloqui pubblicati da Panorama: "Copione già visto
Bisogna deve agire per evitare altri abusi". E il suo predecessore attacca
Intercettazioni, no di Prodi alla solidarietà di Berlusconi
Sul settimanale le telefonate per chiedere favori. L’ex premier: "Niente di rilevante"
ROMA - Panorama pubblica le telefonate di Prodi; Berlusconi si dichiara solidale con l’ex premier chiedendo leggi per evitare "abusi che incidono sulle libertà fondamentali", ma il Professore si smarca e replica secco, evidenziando il rischio che si voglia creare un caso per "limitare i poteri di indagine attribuiti ai magistrati".
Il caso Siemens. Il caso è scoppiato con la pubblicazione su Panorama delle telefonate di Alessandro Ovi, collaboratore da sempre di Prodi, intercettato dai magistrati di Bolzano che indagano sulla presunta tangente pagata dalla Siemens per ottenere l’acquisto dell’Italtel.
Ascoltando le telefonate del dirigente nel’ex azienda di Stato, i pm di Bolzano sono incappati in una serie di conversazioni in cui Ovi appare come un tramite per "raggiungere" l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi.
In quelle telefonate, Prodi viene intercettato a parlare con Ovi mentre i due studiano il modo di aiutare il nipote Luca dell’allora premier, giovane azionista di minoranza di una società, per uscire da una empasse gestionale con altri soci. Ovi viene pure intercettato per "sbloccare finanziamenti pubblici richiesti dal consuocero di Prodi, Pier Maria Fornasari", primario dell’istituto ortopedico Rizzoli di Bologna.
Le telefonate raccolte dalla procura di Bolzano sono state trasmesse alla procura di Roma che ha aperto un fascicolo privo di ipotesi di reato e di indagati.
La solidarietà di Berlusconi. Il premier parla in mattinata, e sono parole di solidarietà ma anche di annuncio delle prossime mosse sulla giustizia: "La pubblicazione di telefonate che riguardano Romano Prodi, a cui va la mia assoluta solidarietà non è che l’ennesima ripetizione di un copione già visto. E’ grave che ciò accada - dice Berlusconi - e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali".
La replica del Professore. L’ex premier, che già aveva definito irrilevante il contenuto delle telefonate intercettate, risponde a stretto giro all’attuale inqulino di Palazzo Chigi. E si smarca nettamente dalla solidarietà del suo rivale. "Vista la grande enfasi e, nello stesso tempo, l’inconsistenza dei fatti a me attribuiti da Panorama - non vorrei che l’artificiale creazione di questo caso politico alimentasse il tentativo o la tentazione di dare vita, nel tempo più breve possibile ad una legge sulle intercettazioni telefoniche che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che in molti casi si è dimostrato indispensabile per portare in luce azioni o accadimenti utili allo svolgimento delle funzioni che le sono proprie". "Da parte mia - conclude - non ho alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche".
La legge sulle intercettazioni. Nel giugno scorso, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge sulle intercettazioni che prevede l’autorizzazione solo per i reati superiori a 10 anni di detenzione con l’unica deroga alla soglia di intercettabilità per i reati contro la pubblica amministrazione.
* la Repubblica, 29 agosto 2008
LA STAMPA; 29/8/2008
Ancora intercettazioni,
duello Berlusconi-Prodi
Il premier: «Adesso basta abusi,
serve intervento del Parlamento».
Il Professore: «Vogliono creare un
caso per poter fermare i magistrati.
Le mie telefonate? Pubblicate pure»
ROMA Intercettazioni di nuovo nella bufera. La pubblicazione di alcune telefonate dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, da cui risulterebbero richieste di di raccomandazioni, fanno tornare alla ribalta l’ipotesi di una legge che regolamenti l’uso i controlli telefonici da parte dei pm.
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dichiara la sua solidarietà a Prodi e invoca un intervento legislativo del parlamento. Ma il Professore respinge l’ipotesi di un provvedimento. «La pubblicazione di intercettazioni telefoniche riguardanti Romano Prodi, a cui va la mia assoluta solidarietà, non è che l’ennesima ripetizione di un copione già visto. È grave che ciò accada e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali», afferma in una nota il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in mattinata.
Poco dopo l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, interviene con una nota per spiegare: «Vista la grande enfasi e, nello stesso tempo, l’inconsistenza dei fatti a me attribuiti da "Panorama" non vorrei che l’artificiale creazione di questo caso politico alimentasse il tentativo o la tentazione di dare vita, nel tempo più breve possibile ad una legge sulle intercettazioni telefoniche che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che in molti casi si è dimostrato indispensabile per portare in luce azioni o accadimenti utili allo svolgimento delle funzioni che le sono proprie». «Da parte mia - conclude Prodi - non ho alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche».
Prodi ha ricevuto una telefonata di solidarietà di Piero Fassino e l’ex ministro Mussi, citato nelle intercettazioni, sottolinea che i testi pubblicati confermano la sua assoluta estraneità ai fatti e afferma: «vista la pelosa solidarietà e la nuova furbastra campagna del centrodestra contro le intercettazioni, aggiungo che a mio parere le intercettazioni servono». «La dichiarazione di solidarietà che il presidente del Consiglio a Romano Prodi è un esercizio non utile, sarebbe bastato che i giornali di sua proprietà non pubblicassero quelle intercettazioni». Intanto, della convention democratica di Denver, arriva il commento del segretario del Partito Democratico Walter Veltroni: quella di Berlusconi verso Prodi «è una solidarietà appare evidentemente falsa e non ispirata a principi e pensieri reali», ha spiegato Veltroni.