Festa alla Romita
Invito/Comunicazione agli amici della Romita
Domenica 24 marzo 2013 alla Romita
facciamo una grande Festa.
Quest’anno ricorre l’Ottavo Centenario dell’arrivo di Francesco di Assisi su questo monte. Era l’anno 1213, Francesco aveva 31 anni e venne quassù perchè gli avevano parlato di un luogo alto, solitario nel silenzio dei boschi, con un panorama dai vasti orizzonti, con una grotta tra le rocce, dove nel IV. sec. era vissuto un Eremita, e una Cappella dedicata alla Madonna, ormai diruta. Francesco prega nella grotta, ripara la Cappella e, ispirato dalla bellezza del paesaggio, compone un testo in latino (“Exhortatio ad laudem Dei”), preludio al Cantico delle Creature. Da allora sono trascorsi 800 anni e noi nutriamo una venerazione per quelle pietre toccate dalle sue mani delicate e operose. I suoi Frati hanno abitato e custodito con cura questo luogo santo finché non ne furono cacciati nel 1867. Dopo un lungo periodo di abbandono con distruzione e saccheggi, dal 1991 la Romita è risorta a nuova vita ed è tornata al suo antico splendore. Grazie alla fede, alla fatica e alla costanza di centinaia di amici giovani o rimasti giovani.
Domenica 24 marzo ricorderemo questo nuovo inizio.
Era il 28 febbraio 1991. Alla ricerca dell’antico Convento/Eremo, descritto nella Storia del mio Ordine come luogo solitario sulla montagna, m’inoltrai per un sentiero ripido e sassoso nel folto del bosco silenzioso. Paesaggio selvaggio e incontaminato: rocce imponenti e alberi secolari. Un muraglione di enormi massi, testimonianza della forza e della fatica del passato, preparava l’arrivo a questo luogo alto, nascosto e misterioso. All’improvviso tra la folta vegetazione tracce di edifici diroccati e un cedro altissimo e maestoso a sovrastare tutti gli alberi della selva. Quel giorno ero solo. Solo col silenzio eloquente di antichi muri. La Romita sembrava “la bella addormentata nel bosco” che si risvegliava da un lungo sonno. Confrontavo quello che era rimasto dell’enorme complesso architettonico con la descrizione dei libri antichi, l’ultimo del 1717. Del minuscolo Chiostro s’intravedeveno tra gli alberi solo resti di colonne, la Chiesa saccheggiata e spogliata di tutto. Crollati i tetti. Dal corridoio e dalle antiche celle dei Frati (se.XIV) spuntavano arbusti e alberi. Sulle macerie del vecchio refettorio cresciuto il bosco. Le pareti rimaste ancora in piedi ricoperte di edera, liane e rovi. Divelte ed asportate porte e finestre. Un mucchio di macerie. Un rudere.
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Di fronte a questo spettacolo di abbandono e di desolazione provai una grande emozione: compassione e tenerezza. La Romita era ancora viva: brace sotto la cenere. Sentivo che sotto quelle macerie ardeva ancora il fuoco della spiritualità dei miei Frati, vissuti per secoli tra queste mura nella solitudine, nella preghiera, nella meditazione, nel canto, nel lavoro e nell’accogliemza dei pellegrini. Per me fu come tornare a casa. Tutto mi era familiare. Sentii le pietre, svegliate dal ritorno di un Frate, gridare di dolore e di gioia. Di dolore perché, dopo la separazione violenta dai loro Frati che le avevano messe insieme, amate e curate, furono in seguito saccheggiate da mani avide e sacrileghe. Di gioia perché col ritorno di una Frate, innamorato di Francesco e loro amico, era giunta l’ora del riscatto, della ri-composizione, della ri-costruzione, della ri-nascita. Le pietre mi riconobbero e mi supplicarono di tornare ancora. E tornai. E sono ancora qui.
Le pietre non sono mute, insensibili, inerti. Sono molto antiche e vive. E conoscono bene la Storia: hanno assistito a tanti eventi, incontrato tante persone, visto tanta sofferenza, toccato tante mani. Raccontano il passato a chi è attento, sensibile, capace di ascoltare il loro linguaggio. La loro chiamata e la nostra risposta hanno reso possibile la ricostruzione della Romita. La mia venuta il 28 febbraio 1991 fu un incontro con il suo passato, il suo presente ed il suo futuro. Il passato lo conoscevo dai libri antichi. Il presente era sotto i miei occhi. Il futuro mi fu mostrato in visione.
Quel giorno non solo sentii le pietre gridare, chiamare e raccontare, ma le vidi anche ricomposte e rimesse al loro posto. In un attimo vidi come in una visione la Romita restaurata, così com’è oggi dopo 22 anni di presenza laboriosa e premurosa. In questa immane opera di ricostruzione siamo stati stimolati e accompagnati da Francesco, anche lui ricostruttore di Chiese piccole e abbandonate, dalla sua affascinante visione del mondo (la natura come espressione della sapienza, bontà e bellezza di Dio, la fraternità universale), dal suo stile di vita (preghiera, lavoro manuale, vita nella e con la natura), dalla sua passione per Cristo e compassione per l’uomo, dalla sua determinazione e radicalità nel vivere secondo il Vangelo.
Domenica 24 marzo festeggiamo anche il mio compleanno. Siete invitati. Se non potete venire, pazienza. E’ bello comunque comunicare agli amici la gioia di vivere e di far festa. Anche se sono trascorsi molti anni (per me 74), il compleanno è sempre una festa: è stupore per il privilegio di essere nati e di esserci ancora. Molti parlano del mistero della morte per le incognite che presenta e per gli interrogativi che pone. E così vivono nella paura o nella rimozione della fine della vita biologica. Io preferisco parlare del mistero della vita: della sua varietà, ricchezza e bellezza. Non paura della morte dobbiamo avere, ma amore per la vita. E’ più saggio e più utile per noi e per gli altri vivere il tempo che ci è dato, giorno dopo giorno, con gioia, intensità e operosità che essere nostalgici del passato, tristi per la precarietà del presente e preoccupati per l’incertezza del futuro.
Sono contento di essere nato e di esistere. A me piace vivere. Non solo ho avuto in dono la vita, ma anche la gioia di vivere. Se non fossi nato mi sarebbe dispiaciuto, perché gli anni trascorsi (74) sono stati meravigliosi. Guardando indietro vedo la mia vita come un grande dono, il dono più grande che poteva farmi l’Eterno (nella Bibbia termine per indicare Dio). Tra le infinite sue idee io sono una sua idea diventata realtà. Potevo anche non esistere. Tra le infinite possibilità di vite umane io sono un uomo vivente in carne ed ossa, vissuto in uno spazio (Puglia/Germania/Umbria) e in un tempo (1939-2013). Spazio e tempo che mi sono donati. Gratis. Per tutto il tempo.
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Vedo la mia esistenza come un miracolo vivente e continuo, come qualcosa di unico e di irrepetibile, come un mistero che non capisco, ma che mi godo tutti i giorni. Questa è del resto la condizione di ciascuno di noi, perché per tutti la vita è un dono; noi che abbiamo avuto il privilegio di nascere, siamo degli scampati al nulla. Se non fossimo nati, saremmo nel regno del nulla, che poi neppure esiste. A tutti noi vengono donati spazio e tempo da vivere. Prendere coscienza di questa nostra condizione stimola in noi stupore, gioia, gratitudine e impegno.
Dallo scorso novembre vivo in una situazione di estrema precarietà. Dopo 58 anni di permanenza nell’Ordine (mi sono fatto frate nel 1955 all’età di 16 anni), ne sono stato estromesso per reiterata e ostinata disobbedienza. Ribelle per amore della Romita. Non me ne pento. L’estromissione dall’Ordine ha significato per me l’addio definitivo alle sicurezze e comodità che l’Ordine mi garantiva, ma che io non ho mai cercato. Mi hanno tolto l’Altare, il Calice, il Messale, l’Abito, ma non la Fede: la mia dignità di persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio e di battezzato, figlio di Dio e fratello di Gesù; mi resta ancora la vocazione francescana non legata né ad un pezzo di carta né all’appartenenza giuridica ad una organizzazione. E’ stato il Signore Gesù a chiamarmi quando ero ancora adolescente, ho risposto con un “sì” gioioso e determinato. Non me ne sono mai pentito e non sono tornato indietro. Quindi mi sento e resto frate a vita e a tempo pieno.
La vocazione francescana è stato e resta il senso e il contenuto della mia vita. Ho dimostrato con i fatti di aver vissuto la mia vocazione contento, convinto e costante, al servizio di Cristo e della sua Chiesa. Mi hanno messo fuori dall’Ordine Francescano, ma mi sento dentro l’Ordine delle idee del Vangelo. Conservo la necessaria lucidità di mente che mi fa riconoscere Gesù come “La Via, la Verità e la Vita” (Gv 14,6). I mediocri burocrati che dietro una fredda scrivania appongono firme sotto documenti falsi (cioè sbagliati dal punto di vista del Vangelo) per condannare e punire i loro fratelli, sono povere creature umane, anche loro bisognose della salvezza di Cristo.
Quando mi è stato chiesto di abbandonare la Romita, non me la sono sentita di andare contro la mia coscienza, contro la mia dignità, contro la mia identità e contro la mia vocazione. Se avessi abbandonato la Romita, avrei procurato sofferenza a centinaia di persone. Chi ne avrebbe avuto un vantaggio? E la mia estromissione dall’Ordine a che serve ora? Solo all’osservanza della legge, a salvare “un principio”, quello dell’obbedienza sempre e comunque.
A distanza di mesi sono convinto di aver fatto la scelta giusta. So perché l’ho fatta e non torno indietro. Ho avuto ed ho la passione per Cristo e per il suo Vangelo, dietro le orme di Francesco. Questo provvedimento improvvido e violento non scalfisce minimamente la mia fede, anzi la rafforza e la tempra; non mina affatto il mio impegno nell’annunciare il Vangelo e nel fare il Bene; non indebolisce la mia volontà di amare Dio nel servizio ai fratelli e alle sorelle.
La scelta del nuovo Vescovo di Roma di chiamarsi “Francesco” incoraggia, conferma e stimola la mia vocazione francescana. Con “Papa Francesco” arriva a tutti noi una fresca brezza primaverile. Siamo alla viglia di grandi trasformazioni della società. Di fronte al nuovo che avanza il vecchio dovrà farsi da parte.
Anche se nella nostra vita ci sono situazioni che noi, con tutti i nostri sforzi, non possiamo cambiare, la Fede è di per sé positiva, alternativa, innovativa, creativa, propositiva, costruttiva. Il Vangelo di Gesù è affascinante, prezioso, sempre attuale e valido per la nostra vita, perché è Buona Novella, Bella Notizia, Messaggio di gioia, di speranza, di luce, di coraggio. Per chi conosce il Natale, la Pasqua e la Pentecoste ci sono sempre soluzioni, vie di sbocco, uscite di sicurezza da situazioni difficili. Ce le suggerisce la Fede. Con il Natale la Fede è poesia (Gesù Bambino, la Madre Maria, gli Angeli, i Pastori, I Re Magi...); con la Pasqua la Fede è superamento della sofferenza, è arrivo della primavera dopo l’inverno, è trionfo della vita sulla morte. Con la Pentecoste la Fede è Fuoco dello Spirito: luce nel buio, forza nella debolezza, coraggio nella paura, carezza nella tristezza, conforto nel pianto. Se conosciamo Gesù, se ci fidiamo della sua Parola, non abbiamo motivi per essere paurosi, scoraggiati, tristi, pessimisti, depressi. Al contrario abbiamo tutti i motivi per essere gioiosi e coraggiosi. La sua Parola è Energia inesauribile. Con questi pensieri positivi e costruttivi vivo sereno e in pace con tutti, anche con quelli che hanno voluto farmi del male. Li ho perdonati e prego il Signore che li perdoni anche lui.
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Mi rendo sempre più conto che tutto è Grazia e che “tutto concorre al bene di quelli che amano Dio” (Rom 8, 28). Dopo soli cinque mesi comincio ad essere addirittura grato ai miei accusatori, detrattori e giudici per quello che mi hanno fatto. Grato perché mi danno l’opportunità di fare un’esperienza spirituale intensa e profonda: spingendomi sin sotto la Croce mi hanno avvicinato ancora di più a Gesù. Sotto la Croce sono in buona compagnia e mi sento a casa mia. La Messa che prima “dicevo” sull’Altare, la “pratico” ora nella vita. Chi segue Gesù è chiamato a diventare quello che crede e dice di credere. Continuo a vivere la mia vocazione nella fiducia, nella gioia, nell’amicizia col Signore Gesù e con i fratelli e le sorelle. E non ho paura del futuro. La mia vita è nelle mani di Dio. “Nell’ora della paura, io in te confido..., non avrò timore: che cosa potrà farmi un uomo?” (Sal 56, 4-5)). “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me, Signore” (Sal 23, 4).
Ore 12 Celebrazione dell’Amore di Dio in Cristo con testi, gesti e canti
Ore 13 Pranzo
Ore 15 Concerto “Le Lodi delle Pietre”: silenzi, suoni e salmi
Chi vuole partecipare a questa prima festa (ne seguiranno altre nel corso dell’anno: il 19 maggio, Festa di Pentecoste, il 6 ottobre Festa di San Francesco), basta che si prenoti entro venerdì 22 marzo:
Tel. 0744 283006, Cell.346 410 7908,
email: frabernardino@la-romita.net
Arrivederci presto e, se non ci vediamo, Buona Pasqua!
Care amiche, cari amici della Romita!
Alla vigilia di Natale giunga a voi dal silenzio e dalla solitudine dell’Eremo sulla Montagna un messaggio di luce, di gioia e di pace. Voglio condividere con voi idee, esperienze, sogni. In breve.
1. Il Natale illumina il cammino della nostra vita. Ci ricorda che Lui è venuto in mezzo a noi per stare e restare con noi. Come Amico, Fratello, Guida, Compagno di viaggio. Il Natale: Festa piena di fascino e di poesia. Per Francesco d’Assisi la “Festa delle Feste”. Provava stupore e commozione e s’inventò il Presepio. Quel Bambino che contempliamo nel Presepio ci scalda il cuore. Ci trasmette fiducia e coraggio. Se facciamo del Presepio la nostra casa spirituale, saremo in buona Compagnia e non ci sentiremo soli.
2. La vita è Dono e Mistero. E’ un Miracolo continuo. E’ meravigliosa. Tra poco compio 80 anni. Mi sembra incredibile, ma è vero. Mi è stato detto che sono nato nel 1939. Non mi ricordo, ma c’ero. Questo è il primo ed il più grande miracolo della mia vita: che sono nato. Se non fossi nato, mi sarebbe dispiaciuto. E pensare che neppure me ne sarei accorto. Il nulla assoluto. Tutti noi siamo degli scampati al nulla. Il secondo grande miracolo della mia vita è che sono giunto a questa età e ci sono ancora. Tanti amici e compagni, anche più giovani di me, non sono più. Perché? Non ho risposta. La vita non si spiega e non si piega. Si accetta, si vive e si racconta. Vissuto in modo pericoloso e spericolato, sono scampato a molti pericoli: ho fatto (con la Vespa) incidenti (quasi) mortali, sono sopravvissuto a qualche naufragio. Sono vivo per miracolo. Qualcuno mi ha sempre protetto. Provo grande stupore per il mistero e profonda gratitudine per il Dono della Vita. Non capisco, ma è bello. Sento di poter dire al Signore della Vita: “Mi hai fatto come un prodigio. A te la mia lode senza fine” (Sal 139,14). Sono contento di vivere e mi auguro che lo siate anche voi.
3. Non solo mi stupisco e sono contento di vivere, ma mi considero fortunato e onorato della chiamata a ricostruire la Romita insieme a migliaia di giovani generosi e coraggiosi, anzi audaci. Dopo anni di immane fatica, il rudere abbandonato nei boschi, è tornato al suo antico splendore. Utopia realizzata. Miracolo vivente. Le Celle dei Frati, povere e raccolte; la Chiesa luminosa e spaziosa; il Chiostro piccolo e accogliente; il Campanile che si staglia solitario nel cielo a indicarci la direzione: fanno della Romita un gioiello di Architettura francescana del XV. Sec. (sobria, elegante, essenziale). Ma la Romita è preziosa anche per il passaggio di Francesco (1213) che vi restaurò l’antica Cappella Benedettina e compose un testo (“Exhortatio ad laudem Dei”), anticipazione del Cantico delle Creature; per la presenza laboriosa dei suoi Frati; per il maestoso Cedro del Libano che sovrasta e protegge l’Eremo; per la fertilità degli orti; per il sorprendente microclima; per la forza possente e lussureggiante dei boschi; per il Belvedere dai vasti orizzonti; per la
bellezza del paesaggio; per la posizione unica. Pur in assenza di comodità, è per me un onore poter vivere su questa Santa Montagna.
4. In questa cornice di bellezza naturale e di tradizione francescana s’inserisce il Progetto di vita della Romita. Sin dall’inizio (maggio 1991) il progetto di restauro era finalizzato al progetto di vita. Non si voleva creare un Museo da mostrare a turisti e visitatori, ma un Luogo pieno di vita, di idee e di attività. La ricostruzione degli edifici fatti di pietre era al servizio delle persone, le pietre vive del Tempio. Questo compito la Romita l’ha assolto già in parte, ma ora che la fase della ricostruzione è terminata e la struttura è funzionante e accogliente, diventerà un Centro di Spiritualità francescana vissuta. Ispirato al pensiero e allo stile di vita di Francesco. Sono profondamente convinto che il Santo di Assisi, vissuto 800 anni fa, ha molto da dire e da dare alla nostra società. E’ rimasto vivo. Il suo messaggio affascina ancora. Io che ho avuto la fortuna di conoscere Francesco già a 11 anni, di stare ad Assisi per 30 anni e di essermi occupato a lungo della sua vita (sono 64 anni che sono Frate), sento il desiderio e la responsabilità di trasmettere alle generazioni future gl’insegnamenti preziosi che ho ricevuto. Noi Frati Francescani abbiamo un patrimonio spirituale enorme da gestire. E’ la ricchezza spirituale e umana che abbiamo ereditato da Francesco.
5. Il Progetto di vita francescana vissuta è una proposta di società altra, un’alternativa alla società del consumismo sfrenato, dell’opulenza dannosa, dello spreco demenziale, dello sfruttamento incontrollato della Natura, della concorrenza spietata, della corsa affannosa verso il nulla, del profitto ad ogni costo. La proposta francescana prevede: non contrapposizione, ma collaborazione; non avidità e accaparramento, ma generosità e condivisione dei beni; non accumulazione ingombrante, ma distribuzione liberante; non profitto personale, ma ricerca del bene comune; non disprezzo e sfruttamento, ma rispetto e amore alla Natura. Lavorare e guadagnare per vivere e non vivere per lavorare e guadagnare. Vivere del lavoro e non per il lavoro. La nostra vita è troppo preziosa. A volte anche corta. E noi siamo sprecati per abbassarci a vivere per le cose materiali. Essere contenti e fare contenti altri è priorità assoluta nella vita. Chiamati ad essere “collaboratori della gioia comune” (cfr 2Cor 1,24). Ispirato da Francesco, il progetto della Romita vuole diffondere queste idee. La nostra società è diventata complicata. Sa la prendiamo troppo sul serio, ci complichiamo la vita. “Francescano” vuol dire semplificare la vita per rendere il nostro cammino più libero, leggero e spedito. Vedo la Romita come un progetto per il futuro della nostra società, per lo sviluppo spirituale, intellettuale, culturale, artistico e umano delle nuove generazioni. “Francescano” vuol dire originale, alternativo, creativo, (pro)positivo. E’ una filosofia e uno stile vita: “fraternità e sororità”, comunione e condivisione dei beni, ricerca del bene comune, ritorno alla Terra, vita nella e con la Natura, riduzione dei consumi e della Tecnologia al minimo indispensabile per lasciare spazio alla comunicazione reale, alla connessione con l’Assoluto e l’Infinito nella Preghiera, alla Contemplazione delle meraviglie del Creato, al Silenzio, alla conoscenza della Bibbia, della Storia e delle Erbe medicinali, alla Musica, al Canto
Gregoriano e alla Poesia. Formula breve dello stile di vita francescano: scalzo, selvaggio e saggio. Com’è vissuto Francesco appunto.
6. La Spiritualità francescana conosce e pratica la Cultura del Dono. Se siamo attenti alla vita, ci accorgiamo che ogni giorno riceviamo tutto gratis: la luce, il calore e l’energia del Sole, la bellezza della Luna e delle Stelle, l’aria che respiriamo, la Terra che ruota gratis alla velocità di 1.800 km per trasportaci da un punto all’altro del cosmo, le montagne, i boschi, i mari, gli oceani, i colori degli uccelli che volano e cantano, i ghiacciai, i fiumi, la neve, l’acqua, il fuoco, il vento, i fiori, gli animali...Da aggiungere, tra l’altro, il dono dell’intelligenza e della Fede; la conoscenza di Gesù e di Francesco; la Musica di Bach e di Verdi; la Poesia di Dante e di Leopardi; l’affetto delle persone care; gli occhi ed il sorriso dei bambini. Siamo già ricchi, a prescindere da quello che possediamo. Senza possedere niente, Francesco è vissuto libero e morto felice. E’ l’Economia del Dono. Non quello che “realizziamo” è in grado di farci sentire “realizzati”, ma accorgersi del Dono, apprezzarlo e goderselo. E’ uno spreco di vita non accorgersi di essere felici. La mia felicità dipende dalla felicità di altri. Avete mai visto un avaro felice? Donare e donarsi è il senso della vita, come ci ha insegnato Gesù, dandosi a noi come Pane e Vino.
Quando non vediamo e non apprezziamo le cose meravigliose che ci vengono donate gratis, diventiamo frustrati, scontenti e scontrosi. E cominciamo a pretendere. “Pre-tendere” crea tensioni e conflitti. Ci sentiamo svantaggiati, derubati e impoveriti, anche se possediamo tante cose, e allora inizia la corsa ad arraffare alla rinfusa quante più cose possiamo. L’infelicità dell’uomo dipende dalla sua cecità, avidità, ignoranza e stupidità. La felicità è dentro, non fuori di noi. Basterebbe la constatazione che ogni giorno della nostra vita è nuovo, gratis ed unico per dare luce, gioia e smalto alle nostre giornate. Se siamo svegli e attenti, abbiamo sempre motivi sufficienti per essere grati e riconoscenti. Anche quando sperimentiamo incomprensioni e umiliazioni. Se viviamo in modo consapevole, non finiremo mai di stupirci e di essere grati per le meraviglie che sono in noi e intorno a noi. “Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici” (Sal 103,2).
7. Alla Romita c’è già chi vive la cultura e l’economia del Dono: Caterina. Un Dono del Cielo per la Romita. E’ la sorpresa e la novità dell’anno. La persona giusta al momento giusto. Ha le tre C (“contenta, convinta, costante”) indispensabili per chi vuole vivere a lungo alla Romita. Ammiratrice e seguace di Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), dirigeva una Banca. A 36 anni ha lasciato tutto per mettersi in cammino, alla ricerca della sua strada. Ha fatto 3.500 km di cammino a piedi prima di trovare la Romita. Qui ha trovato il suo posto, la sua casa, la sua missione, la sua dimensione. La fatica del lungo cammino l’ha temprata e preparata alla vita della Romita. Ha mente lucida, cuore caldo, mani operose. Non va con la moda, ma con la propria testa. Donna libera, coraggiosa e determinata, sa quello che vuole, dice quello che pensa e fa quello che dice. Alla Romita si occupa dell’accoglienza dei Pellegrini, della cucina, dell’ordine, degli orti e delle erbe medicinali e aromatiche. E’ sempre presente e non pretende l’Angelo Custode visibile della Romita.
8. Pur sentendo il limite e la fragilità dell’età, sono molto fiducioso nel futuro. Con la venuta di Caterina, alla Romita sorgerà una Comunità di persone creative, coraggiose e generose. In grado di continuare e trasmettere l’economia e la cultura del Dono. Sogno anche che possano addirittura ricostruire altri ruderi e di dare vita ad altri Centri di Spiritualità francescana vissuta. Un progetto ambizioso e audace. Utopia? Mettendo a confronto l’ideale alto della Romita con la cruda realtà della nostra società, è senz’altro una follia, una ingenua illusione. Eppure sono convinto dell’attualità del “Progetto Romita”.
Viviamo un momento difficile nella storia dell’umanità. Fase di transizione o declino della nostra “civiltà”? Di agonia o di nuovo inizio? Ci sono, sì, segnali positivi di gruppi e di comunità che vivono e propongono stili di vita alternativi al trend generale. Ma si notano anche molti segnali negativi di re-gresso della nostra società del pro-gresso. Non c’è solo l’inquinamento atmosferico, ma anche l’inquinamento dei rapporti umani. Molti nella nostra società civile vivono ormai in modo incivile: degrado del linguaggio e dei comportamenti (brutali, aggressivi, violenti). Lo smog non è solo nell’aria, ma anche nelle menti e nei cuori. La confusione regna sovrana. Incalzati e bombardati dalla pubblicità, presi dalla frenesia di acquistare i prodotti proposti, occupati dalla
tecnologia sempre più pervasiva, non abbiamo più tempo di fare silenzio, di pensare e di ascoltare la nostra anima. I luoghi dove ci raduniamo in massa (discoteca, stadio, centro commerciale, maxi concerto...), il caos del traffico, il rumore dei motori, il chiasso: non ci aiutano a mettere ordine nei pensieri e nei sentimenti. Che fare in questa situazione?
9. Non arrendersi, non rassegnarsi. Continuare a credere che in ogni persona c’è la capacità di cambiare mentalità e comportamenti. Sviluppare e applicare terapie efficaci per i mali del nostro tempo: contro il chiasso e lo schiamazzo il Silenzio; contro le tante parole vane e vuote l’ascolto della Parola; contro i comportamenti scomposti e sgraziati l’Arte; contro lo stress la Meditazione; contro i rumori la Musica; contro l’ignoranza la lettura e la Cultura; contro l’overdose di tecnologia la Natura.
In questo processo di ravvedimento e di cambiamento, possono svolgere una funzione importante luoghi come la Romita. Oasi nel deserto, isole nel mare in tempesta, piccole luci nel buio. Resteranno comunque una minoranza, minuscole entità nell’immensità del deserto, del mare e del buio. L’importante è esserci. La Romita c’è. All’inizio sembrava utopia irrealizzabile, una pazzia. Ora è utopia realizzata. Quello che oggi sembra utopia, domani potrà diventare realtà. Le utopie non sono altro che verità premature. I sogni, le visioni, le utopie hanno grande potere sul nostro pensare ed agire: ci tengono svegli e attenti alla vita, ci fanno percepire i segni premonitori del futuro, ci rendono sensibili alle pulsioni della storia, stimolano la nostra fantasia e creatività, liberano in noi energie nascoste e imprevedibili. L’utopia è follia. Incendio della mente e del cuore. Non è stato forse tutto questo Francesco? Basta non farsi bloccare dalla paura e dalla pigrizia che ci tarpano le ali. A noi fatti per volare alto e liberi. Alle nostre idee e convinzioni, ai nostri sogni dobbiamo crederci. “Vivi il sogno e lascia il segno”.
Ognuno deve sapere e decidere per chi e per che cosa investire il proprio tempo e le proprie energie. Ognuno è artefice, artista e protagonista della propria vita. Fare della propria vita un’opera d’arte è un investimento intelligente. In questo processo creativo la Fede è una forza formidabile. Il Progetto dell’economia e della cultura del Dono è affascinante, coinvolgente e contagioso. E’ un Progetto per il Futuro.
Grato per il vostro contributo alla ricostruzione e manutenzione della Romita, vi auguro ogni bene.
Vostro frate Bernardino
La Romita 05100 CESI (TR)
Alla fine dello scorso anno vi ho mandato un testo lungo (Pensieri dalla Romita), ora ve ne mando uno corto (Primavera 2018). Sono considerazioni sulla brevità, precarietà, preziosità e bellezza della vita. Vi auguro una Pasqua gioiosa e luminosa. Vostro frate Bernardino
La Romita
Primavera 2018
Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore(Salmo 89, 12)
Ogni giorno della nostra vita è l’ultimo. Di quelli già vissuti. Ma anche il primo. Di quelli da vivere ancora. Quanti: non ci è dato sapere. E’ una sorpresa. Di certo sappiamo solo che viviamo oggi. Comunque ogni giorno ha tre caratteristiche interessanti. E’ nuovo: inedito, mai stato nella storia. Non è ripetizione, ma novità assoluta. Ogni giorno è gratis: non è frutto del nostro lavoro, non ricompensa per il nostro impegno. La notte dormiamo e ci riposiamo e al mattino ci viene regalato un nuovo giorno. Con la luce, la forza, il calore e lo splendore del Sole. Tutto gratis. Ogni giorno è unico: irripetibile, non torna più, diverso da ieri e da domani. Fa bene contare i nostri giorni. Perchè abbiamo i giorni contati. Ogni giorno è importante e prezioso. Ci dà l’opportunità di crescere, conoscere, amare, agire e realizzare cose belle e grandi.
Contare i nostri giorni vuol dire apprezzarli, amarli e valorizzarli. E’ una sciocca illusione rimuovere il pensiero della precarietà, brevità e fragilità della nostra esistenza. Il tempo scorre comunque inesorabile e inarrestabile. Considerare le tre caratteristiche di ogni giorno (nuovo, gratis ed unico) genera in noi il senso dello stupore, della gratitudine e della responsabilità. Ci stimola a vivere svegli, attenti e creativi. Ad essere gioiosi, coraggiosi e operosi. A diventare protagonisti, artisti e artefici della nostra vita. Chi altrimenti se non noi?
E’ saggio non rimpiangere il tempo che fu; non recriminare torti subiti; non angustiarsi per abbagli presi e sbagli fatti. Tempo perso e spreco di vita. Nessuno vive nel o per il passato. Veniamo dal passato, ma viviamo e agiamo solo nel presente. Proiettati nel futuro. Tra i tanti insegnamenti del Vangelo ce n’è uno che in modo particolare ci illumina, conforta e incoraggia: quando Gesù incontra persone con problemi, non fa pesare mai il loro passato, non ne tiene conto. Non fa domande indiscrete e imbarazzanti. Conta solo quello che la persona, che gli sta davanti, è in quel momento. A chi crede di aver sbagliato tutto e di essere un fallito, Gesù apre prospettive nuove di futuro. E’ un insegnamento grandioso: ogni giorno abbiamo l’opportunità di ricominciare daccapo, a prescindere dal nostro passato. Ogni giorno ci offre nuove opportunità perché è sorpresa e dono. Le Parole e il comportamento di Gesù liberano dai sensi di colpa e dalla paura di castighi divini, infondono coraggio, favoriscono l’autostima, trasmettono gioia di vivere e fiducia nel futuro, fanno rinascere a vita nuova, rendono leggero e spedito il cammino della vita. Pedagogia saggia e terapia efficace contro le malattie dell’anima (noia, non senso, mal di vivere, mediocrità, scoraggiamento, stanchezza, pessimismo, indifferenza, apatia, rassegnazione, depressione..).
Se ci esercitiamo nel contare i giorni e viviamo in modo consapevole la novità, la gratuità e l’unicità di ogni giorno, scopriremo quello che conta veramentve nella vita, troveremo motivi sempre nuovi per essere contenti e grati. Per le meraviglie che ci circondano, per le scoperte e le sorprese che ogni giorno ci riserva. La nostra vera ricchezza non è quello che accumuliamo con il nostro lavoro, ma la vita che ci viene donata e conservata gratis giorno dopo giorno, l’Amore Divino che tutto muove, la grandezza, la forza e la bellezza della Natura, la capacità di dare e ricevere amore. „Contare i nostri giorni per giungere alla sapienza del cuore“ è un obiettivo saggio, intelligente e utile.
Sapienzaha a che fare con sapere (conoscere) e sapore (gustare, assaporare). Sapienza del cuore è la capacità di penetrare il senso della vita e delle cose, apprezzarne la bellezza e la bontà e gioirne. Assaporare, sorseggiare, centellinare l’elisir della vita che consiste nell’Amore e nella Bellezza. Solo chi capisce e apprezza la vita, se la può veramente godere. Le cose ci vengono date non per possederle e conservarle, ma per godercele e farle godere agli altri. Se le possediamo senza godercele e condividerle, a che servono? Ci creano solo preoccupazione, ansia e paura.
La paura diffusa che le società del benessere (Europa e America del Nord) hanno degli Immigrati, è indice di grettezza di mente e di cuore. Abbiamo paura di perdere o di dover condividere con altri parte del nostro benessere. Per difenderlo siamo disposti al rifiuto e ai respingimenti di chi fugge da guerre, bombe, violenze, torture, calamità naturali, cambiamenti climatici. Disposti a far morire nel deserto o in mare milioni di fratelli e di sorelle di fame e di sete. Atteggiamento criminale/demenziale. Ci siamo costruiti la gabbia d’oro e ci siamo chiusi dentro. Riservata solo a noi di razza bianca. A noi, eredi della Civiltà, nati intelligenti e sensibili per volare alto e liberi, la gabbia però ci sta stretta, anche se dorata. E ci rende inumani, tristi e aggressivi. Urgono la sapienza del cuore, l’intelligenza emotiva, la libertà spiazzante di Francesco d’Assisi. Vivi puro e libero, non avere fretta. Nella gioia un grande amore: questo è ciò che conta. Se con fede tu saprai vivere umilmente, più felice tu sarai anche senza niente. Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore una pietra dopo l’altra alto arriverai. Pensando a come è vissuto e morto Francesco, possiamo concludere: solo chi vive libero, muore contento.
frate Bernardino La Romita 05100 Cesi (Tr) 0744 283006 346 410 7908
LA ROMITA
FESTA DELL’EPIFANIA
Piena di poesia, di luce e di movimento: la Festa dell’Epifania è affascinante come il Natale. Mossi dalla ricerca della Verità e guidati dalla misteriosa Stella, il Re Magi intraprendono un viaggio lungo, faticoso e pericoloso. Si lasciano dietro le comodità e le sicurezze del proprio paese per avventurarsi in un paese lontano e sconosciuto. Da Saggi sono consapevoli del limite del proprio sapere e con umiltà e coraggio vanno „oltre“ a cercare altrove. Hanno il senso dell’inquietudine della vita. Seguendo la voce del cuore non hanno paura del pericolo.
Il racconto del viaggio dei Re Magi, del paese lontano, della Stella che li guida, della tappa a Betlemme per informarsi, della Grotta sulla quale si ferma la Stella, dei Doni che offrono al Bambino Gesù (oro, incenso e mirra): metafora del viaggio della nostra vita. I Re Magi sono Maestri di vita. Ci insegnano che per trovare la Verità, l’Amore e la Vita dobbiamo anche noi avere l’umiltà e il coraggio di abbandonare le nostre sicurezze, comodità e abitudini. Ognuno di noi è un „Re Magio“ invitato a scoprire, guardare e seguire la propria Stella. Il nostro destino è scritto nelle Stelle. Siamo fatti per il Cielo, chiamati a guardare in „Alto“, „Oltre“ il nostro limitato orizzonte. Se guardiamo per terra non vediamo oltre la nostra ombra che, per quanto possiamo essere alti, è sempre corta e ripetitiva. I Re Magi ci invitano ad andare „oltre“ e a cercare „altro“. Sono Modelli di vita: per il coraggio di lasciare tutto e mettersi in cammino, per la fiducia nell’affrontare ostacoli, pericoli e disagi e per la costanza nel seguire la Stella. Coraggio, fiducia e costanza: è tutto un programma! Buon Cammino!
fra Bernardino
La Romita 05030 CESI (TR) frabernardino@la-romita.net
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Pensieri dalla Romita. Fine Anno 2017
INVERNO Dopo una estate piena e faticosa, ora la Romita è vuota e riposa. „Isola bianca nel verde dei boschi“, avvolta, solitaria, nel silenzio e nella bellezza del paesaggio. A me l’onore di tenerle compagnia. In estate canto prima dei pasti attorno alla mensa sotto il Cedro del Libano, a dicembre silenzio dinanzi al fuoco. Rivedo nel ricordo i gruppi di ragazzi, le famiglie con bambini, i pellegrini del cammino francescano, i visitatori, i viandanti. Il ricordo più vivo e intenso? La famiglia che si è fermata alla Romita 5 mesi (Alex, Chiara, Bianca di 5 e Tobias di 3 anni). Resta l’esperienza più bella dell’estate. La presenza di bambini alla Romita la riempie di gioia, di vitalità e di futuro. Anche quest’anno la Romita ha potuto accogliere molti, grazie a persone di buona volontà. Persone luminose e meravigliose che hanno investito tempo, energia e capacità in questo progetto, senza un tornaconto personale. Solo per il gusto e la gioia del bene. Spinte dalla forza dell’amore. Il bene c’è ed è più contagioso del male.
SOLITUDINE E SILENZIO Ore, giorni, settimane senza vedere e sentire nessuno. Come sostenere una situazione così estrema? Che fare in tanto tempo „libero“? Non è pesante e noioso? La Romita da sempre è un Eremo sulla montagna: la solitudine e il silenzio fanno parte della sua storia, identità e spiritualità. Sento di trovarmi nel posto giusto. Anzi mi sento fortunato. Chi infatti nella società del traffico, delle masse e dei rumori, ha tanto spazio e tanto tempo a disposizione sulla montagna come li ho io? Solo con me stesso, con Lui, con gli animali e con il bosco? Dopo le migliaia di persone passate nei mesi estivi, star da solo e in silenzio nei mesi invernali è un bisogno. Ritempra e prepara alla prossima primavera. La Natura stessa ci invita in autunno e in inverno a rallentare il ritmo. E’ saggio ascoltare la propria anima per sapere di che ha bisogno; avere l’umiltà di riconoscere i propri limiti e il coraggio di fare scelte radicali. Ci fa bene volerci bene, prenderci cura di noi stessi.“Ama il prossimo tuo come te stesso“. Star da soli e in silenzio (dando spazio alla preghiera, alla lettura, alla meditazione e alla contemplazione): un tempo per stare in intimità con se stessi e conoscersi. Per essere se stessi. Se non sei te stesso, non sei nessuno. Nel chiasso e nella confusione rischiamo di perderci. Ciascuno di noi è unico, irrepetibile e originale, ma rischiamo di diventare massa, ripetitivi e fotocopie. Stare da soli e in silenzio ci aiuta a conservare la nostra dignità, identità e forza interiore. Contro la massificazione, l’omologazione ed il pensiero unico. Imparare a stare da soli e in silenzio è imparare a stare bene bene con gli altri: „Sta solo come l’albero, vivi in Comunità come il bosco“. Solitudine: liberi dagli altri, rientrare in se stessi, ritrovare se stessi per tornare più liberi agli altri. Non un gioco di parole, ma un dato verificabile nella vita. Silenzio: dar peso e importanza alle parole. Le parole possono esser pane che nutre o pietre che feriscono; balsamo che consola o arma che offende. Dal silenzio le parole ricevono energia, forza ed efficacia. Il chiasso e le molte parole alimentano la superficialità e producono vuoto interiore, mentre la riflessione e il silenzio favoriscono la profondità e producono ricchezza interiore.
Solitudine e silenzio: terapia preventiva contro parole inutili e futili e contro rapporti veloci e superficiali. Le relazioni „usa e getta“ fanno male all’anima e al corpo. Logorano la mente e il cuore. La solitudine e il silenzio servono alla Comunicazione intelligente ed efficace. Gesù, il Divino che era anche Uomo, sentiva il bisogno di stare da solo: „Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù“(Mt 14, 23). Francesco di Assisi, uomo della strada e della gente, si ritirava per lunghi periodi in luoghi solitari e silenziosi: „Abbandonava la città, e, libero e sicuro, si rifugiava nel segreto della solitudine, per ascoltare, solo e nel silenzio...“ (FF 1044). Gesù e Francesco, i più grandi Comunicatori della Storia, cercavano la solitudine e il silenzio.
A molti invece la solitudine e il silenzio creano disagio e sofferenza. Come un carcere dal quale evadere. Di qui la tendenza a stare continuamente „connessi“ (Tv, Smartphone, FB, Twitter...). Ma chi cerca di evadere, è libero? Si può star bene senza sentirsi liberi? La forma più pesante di solitudine è quando non siamo capaci di stare da soli, di stare bene con noi stessi. Eppure la solitudine è la condizione vera della persona umana. Nelle decisioni importanti della vita sei tremendamente solo con te stesso e, se credi, con Lui. Gli altri potranno darti dei consigli. Ma a decidere sarai comunque sempre e solo tu. A meno che non rinunci alla tua dignità e identità, facendo decidere gli altri per te. Ma così sei alienato. I nostri tentativi di uscire dal disagio della soli/tudine sono destinati, nel migliore dei casi, ad avere un successo parziale e provvisorio. Anche la fuga dalla solitudine nella „dui/tudine“, non risolve il problema. E’ una comoda scorciatoia. A me sembra che la soluzione ottimale, quella con maggiore probabilità di riuscita, sia il dedicarsi anima e corpo alla „molti/tudine“. La felicità del singolo dipende dalla felicità di molti. E’ quello che hanno fatto e fanno in tanti (Francesco di Assisi, Giovanni Bosco, Madre Teresa, i Missionari, che si dedicano ad alleviare la miseria umana, chi si occupa dei bambini di strada...). Ma tutto ciò è sufficiente per colmare il desiderio d’Infinito insito nell’animo umano? Noi siamo parte del Tutto, fatti per il Tutto e la conquista di piccole parti non è in grado di appagarci. Senza l’approccio, il contatto, la comunicazione con l’Origine e la Fine della nostra vita, non usciamo del tutto dalla solitudine. Questa è stata la mia esperienza, questa la mia convinzione. Oggi più che mai trovo vera e attuale la constatazione di Agostino: „Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te“. Dopo tante vie tortuose percorse e tante esperienze doloros fatte, sono giunto alla conclusione che le nostre strade senza di Lui „la Via, la Verità e la Vita“ (Gv 14, 6), non portano da nessuna parte. Per onestà intellettuale devo però ammettere di aver conosciuto persone splendide, oneste, altruiste, sempre disponibili e generose, che non sono credenti, ma pensanti e impegnate nel bene comune. Hanno trovato la loro strada e sono soddisfatti. Anche da Atei e da Agnostici. Una provocazione per la mia fede. Resto perplesso, ma sono contento per loro. Le vie del Signore sono infinite!
COMUNITA’ E COMUNIONE Quand’ero ragazzo mi raccontavano che chi è battezzato è „Tempio della Santissima Trinità“. Io ci credevo perché me lo dicevano Ma, vivendo in Comunità, era per me verità teorica, non esperienza di vita. Quando poi negli anni della maturità alla Romita mi sono ritrovato d’inverno solo sulla montagna a dormire in una baracca al freddo sino a -8, ho fatto l’esperienza di quanto mi avevano insegnato. Ero sì, solo, ma sentivo che eravamo in quattro, circondato e protetto dalla Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Non mi sentivo solo Frate, ma addirittura Fra/t(r)e, un Frate al cubo. Illusione? Forse. Ma la Romita ricostruita con la consapevolezza che Qualcuno mi stava vicino, mi riscaldava il cuore, mi confortava e mi proteggeva, non è illusione. E’ realtà. Il sentirsi seguito e amato è già superamento della solitudine e sprigionamento di energia dirompente. Per me fu un’esperienza profonda e indimenticabile.
Col tempo la mia Comunità spirituale alla Romita è cresciuta. Il Centro rimane ovviamente Lui: il Cristo, il Maestro, il Pastore, la Guida, lo Psicoterapeuta, l’Amico, Senso e Contenuto della mia vita, mio Futuro. Sento e vivo profondamente la Comunione con Lui: invisibile agli occhi, ma presente, vicino e operante nella mia vita come l’aria che respiro. Ci sono poi Personaggi dell’Antico Testamento: Abramo, Giuseppe d’Egitto, i Profeti Geremia, Elia e Amos, il Re David, Giobbe; del Vangelo: Maria e Giuseppe di Nazaret, l’Angelo Gabriele, il cieco Bartimeo, Zaccheo il Pubblicano, il Buon Samaritano, la Samaritana al pozzo, Maria Maddalena, le Sorelle Marta e Maria, la Vedova di Naim, la Donna Cananea, i 4 Evangelisti; della Storia Antica/Medievale e Rinascimentale: Agostino d’Ippona, Gioacchino da Fiore, Francesco, Chiara e Agnese di Assisi, Ubertino da Casale, Jacopone da Todi, Dante Alighieri, Caterina e Bernardino da Siena, Giovanna d’Arco, Gerolamo Savonarola, Pico della Mirandola, Giordano Bruno, il Caravaggio, J.S.Bach (la Musica è importante!) e anche della Storia recente: Simone Weil, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer, Massimiliano Kolbe, Primo Mazzolari, Ernesto Buonaiuti, Mahatma Gandhi, Lorenzo Milani, Pino Puglisi, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Madre Teresa di Calcutta.
Sono solo alcuni protagonisti della Storia che sento come fratelli e sorelle, compagni di viaggio, modelli di vita cui ispirarmi. Con loro ho un feeling particolare, affinità spirituale, legame affettivo. Sono fratelli e sorelle che hanno lottato e sofferto per ideali nobili: la verità, la carità, il bene comune, il servizio, la libertà, la giustizia. Testimoni credibili. Non Burocrati pagati per quello che dicono e fanno, ma Profeti che hanno pagato sulla propria pelle, spesso con la vita e in modo drammatico (tre bruciati vivi!), per le idee in cui credevano. Con la fatica, il dolore, l’incomprensione, le umiliazioni, l’isolamento, l’emarginazione che deve sostenere chi segue con coerenza la propria vocazione. Non impiegati, ma impegnati. Vissuti inquieti, vivi e creativi sino alla fine. Morti non rassegnati e addormentati, ma da vivi. E vivono ancora negli esempi coraggiosi e luminosi che ci hanno lasciato. A loro la mia ammirazione, simpatia e gratitudine. Di loro non tengo alla Romita nè statue nè immagini (a parte quelle di Cristo, di Maria e di Francesco). Li porto scolpiti nella mente e nel cuore. E questo mi basta. Tra l’affollata Comunità della Romita annovero anche i Frati vissuti nel corso dei secoli su questo monte. Sono loro, i miei Confratelli, che hanno ideato, costruito e custodito l’Eremo. Con genialità, gusto e fatica. Lasciando tracce durature della loro presenza creativa in queste pietre. Senza di loro non sarei alla Romita. Come non lo sarei senza la formazione avuta in gioventù tra i Frati ad Assisi. Nei loro confronti e nei confronti di tutti i volontari che con entusiasmo, coraggio e generosità l’hanno ricostruita dalle sue rovine, sento profonda gratitudine e forte legame spirituale. Il legame spirituale è molto più forte e duraturo di quello che lega parenti, amici di merenda, colleghi di lavoro e soci di affari. L’appartenenza alla Comunità non è data da un legame giuridico, burocratico, cartaceo. L’appartenenza o è spirituale o non è. Sento questi Personaggi del passato, compresi i miei Frati, come la mia Comunità alla Romita. La Comunità si basa sulla Comunione. Sono Frate da una vita, mi sento Frate e resto Frate a vita non per un legame giuridico, ma perché sono stato chiamato dal Signore e perché intendo vivere da Frate in comunione con quanti hanno seguito e seguono Cristo, sulle orme di Francesco. Ai non vivi nel presente preferisco i morti del passato, ma vivi nel presente. Li sento più vicini a me di tanti vivi. Che altro significa altrimenti la frase ironica di Gesù: „Lascia che i morti seppelliscano i loro morti“ (Mt 14, 22) ?.
PERCHE’ SONO ALLA ROMITA? E’ una storia che viene da lontano. Ci potrei scrivere un romanzo. Ci sono arrivato per vie misteriose e tortuose. Un cammino che non riesco a spiegare. Posso solo descriverlo. La vita non si spiega e non si piega. Si può solo accettare, vivere e raccontare. Il cammino della vita, che si fa una volta sola in vita, lo conosciamo dopo averlo fatto. Passo dopo passo avanziamo verso l’Ignoto. Verso nuovi orizzonti e nuovi paesaggi. In fondo non siamo solo noi a fare il cammino della vita. E’ la vita stessa che ci viene incontro e ci aspetta. Cosa ci aspetta, non ci è dato saperlo in anticipo. Andiamo sempre incontro a un incontro. E’ tutta una sorpresa. Come sarebbe noiosa la vita se la conoscessimo nei minimi particolari prima di viverla. E’ l’attesa della sorpresa che rende affascinante e interessante l’avventura della vita.
Avevo 11 anni. Vivevo in campagna, in compagnia di molti animali: pecore, capre, cavalli, asini, mucche, galline, tacchini. Dai racconti della mamma e della sorella conobbi Francesco d’Assisi che mi rimase da subito simpatico perchè voleva bene agli animali e viveva anche lui nella Natura. Il racconto che più mi colpì fu il lupo di Gubbio. Nella mia fantasia di bambino sognavo di conoscere i Luoghi dov’era vissuto e di vivere anch’io come lui. E così mi ritrovai con una magia incredibile in Umbria. E dove precisamente? Proprio a Gubbio, dove Francesco aveva ammansito il lupo. A 16 anni decisi entusiasta, convinto e contento di entrare nel suo Ordine. Non avevo la sicurezza che fosse la scelta giusta. Rischiai. La vita è fatta di scelte e di rischi. E da allora sono Frate. Sono passati 62 anni. La determinazione nelle scelte è data dall’amore per una persona, per un ideale o per un luogo.
Metà della mia vita da Frate francescano l’ho trascorsa a San Damiano, fuori dalle mura di Assisi. Mi occupavo dei fiori nel chiostro, della musica nella Chiesa e dei visitatori/turisti/pellegrini che venivano a conoscere quel luogo unico ad Assisi. Avevo il compito di accompagnarli per il „Santuario“. Raccontavo loro la storia di Francesco e di Chiara. La lunga permanenza (30 anni) a San Damiano, dove Francesco ha ricostruito la Chiesa in rovina, dov’è vissuta Santa Chiara con la sorella Agnese nel silenzio, nella preghiera, nel lavoro e nella Natura, e dove alla fine della vita Francesco compose il Cantico delle Creature, fu un privilegio. Quell’esperienza riempì gli anni della mia gioventù e segnò il resto della mia vita. Sono alla Romita perché sono stato a lungo a San Damiano. E’ frutto e conseguenza di quella esperienza. Quello che raccontavo di Francesco e di Chiara, è stato realizzato alla Romita. Anche qui c’era una Casa del Signore ridotta a un cumulo di macerie. Seguendo l’invito rivolto a Francesco dal Crocifisso di San Damiano „Va e ripara la mia casa che va in rovina“, migliaia di „Franceschi“ moderni hanno reso bella, luminosa ed accogliente la Romita. In molti hanno fatto e fanno alla Romita l’esperienza di Francesco e di Chiara: cura della Casa del Signore, preghiera, silenzio, meditazione e contemplazione delle bellezze del Creato per lodare il Creatore nello scenario di una Natura incontaminata.
Pensieri dalla Romita. Fine Anno 2017 (di Frate Bernardino)
Ma c’è un altro motivo che mi lega a San Damiano. Nella genesi della vocazione di Francesco, di Chiara e della sorella Agnese, San Damiano è il Luogo dell’inizio, della novità, della difficoltà, della lotta, del contrasto tra chiamata divina e calcolo umano. Per seguire l’invito del Crocifisso a restaurare la Chiesa diruta di San Damiano, Francesco dovette affrontare l’ira del padre Pietro di Bernardone. Per paura si nascose: „Appena (il padre) venne a conoscenza che Francesco dimorava in quel luogo..., profondamente addolorato e colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio dal servo di Dio. Ma questi...si sottrasse alla loro ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo...(dove) rimase nascosto per un mese intero“ (FF 336).
Nella solitudine, nel silenzio e nella preghiera Francesco trovò la forza di affrontare, da solo, il padre, i parenti, gli amici e la gente: „Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia...,e s’incammina verso la città....Tutti quelli che lo conoscevano , vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale col passato..., cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango...(il padre) con sguardo truce e minaccioso, afferrandolo brutalmente con le mani, lo trascinò a casa. E, inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene“ (FF 37-39). Il cammino di Francesco inizia a 24 anni con un atto di ribellione alla volontà del padre. In modo conflittuale, doloroso e drammatico.
Anche Chiara (17 anni) e la sorella Agnese (16 anni) dovettero resistere alle minacce, alle lusinghe e alla forza fisica dei parenti. La storia di Chiara ha dell’incredibile: a 17 anni, di notte e di nascosto, fugge di casa per raggiungere Francesco ed i suoi Frati che l’attendono alla Porziuncola. Siamo in pieno Medioevo (anno 1211), in una cittadina piccola dell’Umbria. Un fatto inaudito che farebbe notizia anche ai giorni nostri. Facile immaginare i pettegplezzi e i commenti maliziosi della gente nei giorni successivi.
Il cronista racconta: „Raggiunti a volo dalla notizia dell’avvenimento, i parenti, col cuore straziato, condannano il proposito messo in atto da Chiara; e, riunitisi in gruppo, accorrono al luogo, nel tentativo di ottenere l’impossibile. Ricorrono a tutto: alla violenza impetunosa, a trame avvelenate, a lusinghe e promesse, pur di persuaderla a recedere da quella condizione di umiliata bassezza, che né si addice alla nobiltà del casato, né ha precedenti nella contrada...Ostacolata così per più giorni nella via del Signore e soffrendo l’opposizione dei suoi familiari al suo proposito di santità, non vacillò l’animo, non svigorì il suo fervore: anzi, tra le parole ingiuriose, ella tempra il suo spirito alla speranza, finché i parenti, sconfitti, si danno per vinti e si placano“ (FF 3173).
Chiara è stata donna dolce, ma anche forte, combattiva e determinata. E’ vissuta per 42 anni ed è morta a San Damiano. Per tutto il tempo ha resistito alle pressioni della Curia Romana, perché accettasse rendite sicure e così ottenere l’approvazione della sua Comunità da parte della Chiesa. Lei, per restare fedele all’ideale di Francesco di vivere in povertà assoluta, senza proprietà e senza sicurezze, non ha mai ceduto. Sino alla fine. Solo sul letto di morte arrivò l’approvazione della Regola, anche senza rendita fissa. Per lei fu fatta un’eccezione. Ottenne il cosiddetto „Privilegium paupertatis“, il „privilegio“cioè di essere Comunità di donne, riconosciuta dalla Chiesa, anche senza proprietà. La sua lotta tenace fu premiata.
Anche la vocazione della sorella Agnese fu ostacolata: „Venendo a sapere che Agnese si era trasferita da Chiara, il giorno seguente corrono al monastgero dodici uomini infuriati...’Perché sei venuta in questo luogo?...Sbrigati a tornare subito a casa con noi!’. Ma lei risponde di non volersi separare dalla sua sorella Chiara: allora le si scaglia addosso un cavaliere di animo crudele e, senza rimsparmiare pugni e calci, tenta di trascinarla via per i capelli, mentre gli altri la spingono e la sollevano a braccia...Mentre quei violenti predoni trascinavano lungo la china del monte la giovinetta che si dibatteva, ne laceravano le vesti e segnavano la via con i suoi capelli strappati...E all’improvviso il corpo di Agnese giacente in terra pare gravarsi di tanto peso che parecchi uomini, con tutti i loro sforzi, non riescono in alcumn modo a trasportarla...Accorrono anche altri da campi e vigne ad aiutarli: ma, per quanto facciano, non riescono a sollevare quel corpo da terra...Mentre quelli si allontanavano con amarezza per l’insuccesso dell’impresa, Agnese si rialzò lieta...“ (FF 3205-3206).
A una lettura attenta, la vicenda di Francesco, di Chiara e di Agnese non è „normale“. E’ eccezionale, inaudita, straordinaria, fantastica. E’ spiazzante. Salta tutti gli schemi del pensare 6 comune, dei „benpensanti“, delle buone maniere. E’ irrazionale e illogica. E’ „roba da matti“. Una novità assoluta per il suo tempo. Dagli effetti dirompenti. Io trovo il loro atteggiamento originale, creativo, innovativo, ribelle, eversivo, rivoluzionario. Agivano non contro ma per. Per realizzare il loro ideale, dovettero però andare comunque contro. Contro i luoghi comuni, contro i pregiudizi. Dovettero trasgredire regole e rompere tabù. Nel presentare la loro vita questo aspetto viene rimosso, sottaciuto o menzionato marginalmente. Per ovvi motivi. Eppure quella fase iniziale di disobbedienza aperta, fu determinante per il loro percorso umano/spirituale. Infatti per tutta la vita remarono „contro corrente“. Nel realizzare il loro ideale furono determinati, radicali, coerenti, „contenti, convinti e costanti“ (un motto della Romita).
Non scesero a compromessi, non si contentarono di mezze misure, non cercarono una „via di mezzo“, non agirono da mediocri. Di fronte alle minacce, ai ricatti e alle lusinghe furono irremovibili. In tanti (solo uomini!) non riuscirono a piegare le loro volontà, ad aver ragione delle loro giovani e fragili vite (24, 17 e 16 anni). Neppure con la violenza. L’imcomprensione, l’ostilità, il disprezzo degli amici, della „gente“ non li scoraggiarono. Non solo coraggiosi, ma furono addirittura audaci. Rischiarono grosso. Intanto persero le ricchezze, le sicurezze e le comodità delle famiglie benestanti. Ma rischiarono anche di finire sul rogo: Francesco come „eretico“, Chiara e Agnese come „streghe“. Per loro fortuna furono compresi, difesi e protetti da persone sagge e lungimiranti: dal Vescovo di Assisi Guido e dal Cardinale Ugolino dei Conti di Segni, divenuto in seguito Papa Gregorio IX. Una storia impressionante e appassionante quella di Francesco, di Chiara e di Agnese.
La loro storia mi ha accompagnato nel mio cammino della Romita ed ha determinato il mio atteggiamento nei confronti di chi si opponeva alla ricostrunzione. Alla chiamata si risponde: Sì. A prescindere da quello che pensano e dicono gli altri. La chiamata del Signre ha qualcosa di misterioso. E’ unica, irrepetibile, individunale. Essendo „sacra“ ha le due caratteristiche del „tremendum“ e del „fascinosum“. E’ di origine divina, viene cioè dall’Alto, da fuori ed è personale. Come lo fu quella di Mosè, di Abramo, del Re David e di tutti i Profeti. Ed è sempre un rapporto personale, intimo tra il Credatore e la creatura, tra Lui e me. E nessun estraneo ha il diritto d’intromettersi, di ficcarci il naso, di contrastarla. E’ ingerenza indebita, invasione di campo, abuso di potere, violazione del recinto sacro della dignità e della coscienza della persona. Io sono sicuro di essere stato chiamato a svolgere una missione. Non per i miei meriti e per le mie capacità, ma perché così ha voluto Lui. Devo rendere conto della mia vocazione solo a chi mi ha chiamato. Ognuno di noi è chiamato a fare le sue scelte con consapevolezza e responsabilità. Per poi essere disposto a portarne le conseguenze.
Questo hanno pensato e fatto Francesco, Chiara e Agnese. Questi tre modelli di vita, che segnano i primordi della incredibile „epopea francescana“, mi hanno sostenuto nell’immane fatica della ricostruzione. Li ho sentiti vicini, compagni di viaggio e di avventura. All’inizio mi hanno dato coraggio, durante il tragitto conforto ed ora conferma. Nell’esperienza della Romita ho vissuto un pò della poesia e della „pazzia“ della primitiva esperienza francescana. Vedo dei paralleli tra la loro e la mia lotta per la ricostruzione della Romita. Mi ci riconosco. Mi chiedo spesso: perché tanta insistenza, tanta determinazione da parte di Francesco, di Chiara e di Agnese nei confronti delle rispettive famiglie per seguire le loro „voglie“, i loro „capricci“, la loro visione del mondo, le loro „presunte“ chiamate divine? Come potevano dimostrarle? Per amore della pace familiare non era meglio starsene a casa propria, dove avevano agi, comodità e sicurezze, e desistere dai loro strani propositi? Perché provocare conflitti, portare confusione, dare „scandalo“ alla gente di Assisi, disobbedendo alla famiglia, sacra perché d’istituzione divina? Se proprio volevano dedicarsi alla vita religiosa, non era più semplice entrare in uno dei Monasteri già esistenti? Era proprio necessario per Chiara seguire a 17 anni quel „pazzo di Francesco“, per vivere secondo il Vangelo? Che urgenza c’era? Non poteva aspettare ancora qualche anno? Domande simili hanno fatto e fanno anche a me. San Damiano è il luogo della libertà, della ribellione, della lotta, della „resilienza“, della resistenza, della costanza, della tenacia. Perché sono alla Romita? 30 anni a San Damiano hanno lasciato il segno.
Resto alla Romita perchè il luogo „Tesoro nascosto“, „perla preziosa“, trovata nel 1991, è di una bellezza unica. Qui, meglio che in un Convento „normale“, posso vivere, in libertà, la vita francescana a tutto campo: accoglienza, condivisione, comunità aperta, fraternità e sororità universale, annuncio del Vangelo, preghiera nella e con la Natura, distacco dal denaro, lavoro fisico, contatto con „nostra madre terra“. Considero Francesco Maestro di Vita. Pur se cattivo discepolo, dopo 62 anni che sono Frate, sono ancora entusiasta di lui. Convinto della validità e attualità del suo messaggio. Ha avuto la passione per Cristo e la compassione per l’uomo. E’ stato Maestro di libertà, di spontaneità e di creatività. Un Genio. Un Illuminato, un Poeta della Vita e dell’Amore, un Veggente, un Profeta. Già otto secoli fa si è occupato con passione ed impegno di Islam, di Amore per la Natura, di povertà ed emarginazione dell’uomo. La mia vita resta indissolubilmentge legata al suo ideale. E’ la mia storia, la mia identità. Di fronte alla cruda realtà della nostra società, agli antipodi della concezione francescana della vita, non mi sono nè rassegnato nè arreso. Sono rimasto idealista ostinato e irriducibile. E ci resterò. E’ servito a me e a tanti altri. Mi ha mantenuto sveglio, vivo e creativo. Ne è una prova la ricostruzione della Romita.
La Romita, progetto di vita oltre che di restauro, è quindi „alternativa“ alla società della corsa al potere e al possesso, dell’idolatria del denaro, del consumismo sfrenato, del lusso ostentato, dello spreco demenziale, dell’opulenza e dell’indifferenza di fronte a chi muore di fame e di sete. Va decisamente contro corrente („Solo i pesci morti non vanno contro corrente“). Per Francesco la povertà non era condizione umiliante o limitante, ma esaltante e liberante. Era libertà dalla zavorra della vita. Per cammimnare leggeri, liberi e gioiosi. Vivere senza comodità e senza sicurezze, con fiducia totale nella Provvidenza, corrisponde allo stile di vita che Francesco voleva per sè e per i suoi Frati. Pur restando molto al di sotto della radicalità del suo ideale, la Romita vive uno stile di vita semplice, sobrio, essenziale. In solidarietà con la Vita di Cristo, che è nato, vissuto e morto povero, di Francesco e di Chiara e della prima generazione francescana. Ma anche in solidarietà con milioni di fratelli e sorelle che vivono nella povertà. Con il lavoro, il risparmio e la rinuncia a cose inutili, la Romita sostiene chi è nell’indigenza: ogni anno adotta 20 bambini a distanza. Il grido di dolore del mondo, soprattutto dei bambini che fuggono da guerre, carestie, cambiamenti climatici, giunge sin quassù. Irrompe con forza in questa bellezza della Natura, in questa atmosfera idilliaca, romantica e francescana Di fronte a questi drammi non riesco a restare indifferente. E’ una spina nel fianco. Fa male e ci convivo.
La Romita è inoltre luogo ideale per sperimentare e comprendere il Cantico delle Creature: l’energia del Sole, la bellezza della Luna e delle Stelle, la preziosità dell’aqua, la vivacità del fuoco, la forza del vento, la varietà e abbondanza dei frutti delle Terra. Luogo ideale per coniugare in modo geniale Teologia e Ecologia, Natura e Cultura, Preghiera e Lavoro, Contemplazione e Azione, Liturgia e Carità, Solitudine e Comunità, Silenzio e Covivialità, Musica e Parola, Tradizione e Innovazione. La Romita è un luogo d’incontro e di confronto tra religioni, culture, lingue e sensibilità diverse. Una opportunità di scambio e di arricchimento reciproco. E’ palestra di convivenza di mentalità e di esperienze diverse. Laboratorio di futuro. Il passaggio dei numerosi Pellegrini la mantiene viva, giovane e flessibile. L’arricchisce di nuove idee e le apre nuovi orizzonti.
Per la sua posizione geografica, per il suo clima, per il suo spazio è una scuola a cielo aperto, dove imparare a conoscere nomi e proprietà degli alberi del bosco, delle piante da frutto, degli ortaggi, delle erbe aromatiche e medicinali e dei fiori. Osservando la Natura non finiamo mai di scoprire, d’imparare e di stupirci. E’ offerta inesauribile alla nostra sete di conoscenza. Sorpresa sempre nuova di bellezza. Noi umani con tutta la nostra intelligenza, scienza e tecnologia non abbiamo niente da insegnarle. Solo da imparare. La Natura c’insegna a capire e a vivere meglio la nostra vita. Non a caso la Bibbia, il Libro della Vita, è piena di immagini prese dalla Natura: i fiori, i semi, le piante, il Cedro del Libano, l’olivo, il fico, la vite, i campi di grano, la zizzania, il lievito, il pane, il vino, le erbe medicinali e aromatiche, la montagna, il deserto, l’acqua, la neve, il vento, il fuoco, la roccia, la creta, gli uccelli, l’asino, il cavallo, il mulo, il gregge, il pastore, il lupo, il cervo, i serpenti, il latte e il miele. Tutti veniamo dalla Natura, viviamo nella Natura e torniamo alla Natura.
In mancanza di inquinamento luminoso, la Romita è Osservatorio astronomico naturale per osservare e ammirare le meraviglie della volta celeste (Stelle, Costellazioni, Galassie, Pianeti, Comete..). Se, ingabbiati nei nostri ritmi frenetici (lavoro, orari, impegni, guadagno, traffico, insegne luminose, pubblicità, centri commerciali...) e impegnati per molte ore a subire la tecnologia, non abbiamo più l’attenzione e il tempo di osservare la Natura e di guardare il cielo stellato, non sappiamo cosa ci perdiamo.
Sapendo che non resterò per sempre in questo luogo benedetto e meraviglioso, mi godo con consapevolezza, giorno dopo giorno, la sua bellezza; assorbo l’energia presente nella Cappellina (sec.XI.) restaurata da Francesco e nella Chiesa costruita dai miei Frati nel ’300; mi gusto i suoi sapori; m’inebrio dei suoi profumi; gioisco della sua architettura sobria ed elegante; ammiro l’imponente maestosità del Cedro del Libano. Sono contento e grato di essere tornato alla Terra nell’ultima fase della mia vita, in mezzo ad alberi, fiori ed animali. Come nella mia infanzia. Il pensiero che un giorno lascerò la Romita, non mi angustia.
Guardo indietro con riconoscenza, vivo l’oggi nella gioia, penso al domani con fiducia. Mi sento uno strumento della Provvidenza, un collaboratore della gioia comune. Più onòre che ònere l’immane fatica. Riandando il cammino della vita, dall’infanzia sino ad oggi, ci sono tre passaggi che restano un mistero: il trapianto a 11 anni dalla Puglia in Umbria, la venuta da San Damiano alla Romita e la sua ricostruzione, impresa titanica, „utopia realizzata“. Com’è stato possibile? Non lo so, ma ho una certezza: Qualcuno mi ha chiamato e guidato sin quassù e accompagnato per tutto il tempo. Le diverse tappe del mio percorso francescano erano finalizzate alla ricostruzione della Romita. „Ecco l’Opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi“ (Sal 117, 23). Mi sento onorato e fortunato. Provo commozione, stupore e gratitudine.
-*** continuazione nel post successivo
Pensieri dalla Romita. Fine Anno 2017 (di Frate Bernardino).
E ORA CHE FARE? Portata a termine la missione di ricostruire la Romita, dovrei ora godermi, dopo tanta fatica, il meritato riposo? E’ legittima, secondo il pensare comune, e rassicurante questa prospettiva. Ma non mi convince. Non mi rassicura affatto. Anzi mi crea disagio e mi mette paura. Pensionato da Frate? Chi sceglie di seguire Cristo, dietro l’esempio di Francesco, non va mai in pensione. Rimane protagonista, attore, artefice e artista della propria vita. Sino alla fine. Come Francesco che ha messo in scena (e non era una scenata!) addirittura la sua stessa morte, attivo e creativo sino all’ultimo respiro. Morto consapevole e presente. Ha insegnato non solo come si vive, ma anche come si muore. Messaggio forte, rimasto vivo sino ai nostri giorni.
Francesco è morto da vivo, molti vivono da morti. E’ la vita che abbiamo ricevuto gratis che ci invita a investirla tutta sino alla fine. I talenti ci vengono dati non per qualche anno, ma per tutta la vita. La vita è interessante e affascinante non solo nella giovinezza e nella maturità, ma anche nella vecchiaia. Il Signore della vita e della storia mi ha colmato di doni: la fede in Lui, la conoscenza di Francesco, la vocazione francescana, la musica, l’amore alla Natura, l’esperienza avventurosa e affascinante della Romita, l’incontro con migliaia di persone, la salute e tanto tempo da vivere. Per tutto ciò non provo solo gratitudine, ma anche responsabilità. Nei confronti del mio Creatore e Signore, della Vita e del Futuro. E’ questa responsabilità che m’impedisce di adagiarmi sui successi ottenuti.
Sono vissuto e mi considero Frate „ruspante“, non „d’allevamento“. Due parole ho sempre aborrito: l’ozio e la pigrizia. Alimentano la mediocrità, la noia e la frustrazione. Io non sono fatto per il „quieto vivere“, per la vita „comoda e sicura“. Nell’agio mi sento a disagio. Ho sempre cercato e fatto vita dura e difficile. Per vocazione. E per la gioia e l’utilità di molti fratelli e di molte sorelle. Allergico all’indifferenza, all’apatia, all’inerzia. La Fede non è mai stata per me un calmante e un sedativo. Piuttosto uno stimolante ed un eccitante. Mi ha conservato mente lucida, cuore caldo e mani operose. „Sono venuto a portare il fuoco sulla terra“ ha detto Gesù (Lc 12, 49). La Vita è Fuoco. Se non è Fuoco, è vita spenta. Mi sento chiamato a spendere la vita senza risparmio sino in fondo. Quanto ho ricevuto, voglio trasmetterlo ad altri. La Romita non è per me „casa di riposo“.
Quello che all’inizio (1991) era futuro (ricostruire la Romita, ridotta a un cumulo di macerie), è ora (2017) passato. L’obiettivo è stato raggiunto. Ma la vita continua. Che fare per il prossimo futuro? Contentarsi di gestire l’esistente? Pregare, meditare, cantare, accogliere singoli, famiglie, gruppi, pellegrini, coltivare orti e curare fiori? E’saggio, legittimo e doveroso. Ma non basta. I tempi che cambiano e il futuro che avanza esigono apertura a nuove idee e a nuovi progetti. Ognuno deve diventare progtagonista dei propri sogni. Finita la Romita, voglio continuare a sognare e ad operare. „Sogna e lascia il segno“, una frase che mi è sempre piaciuta. Un nuovo sogno mi affascina: la Romita ricostruita potrebbe diventare punto di partenza e di riferimento per il recupero di altri ruderi. Anche Francesco non si limitò al restauro della Chiesa di San Damiano. Riparò anche la Chiesa di San Pietro dentro la Città di Assisi e la Cappella della Porziuncola (FF 354-355). Giunto alla Romita nel 1213, restaurò anche qui l’antica Cappellina benedettina. La Romita mette nostalgia di futuro. La sua storia di rudere recuperato al futuro, diventa invito, stimolo, modello, segno di speranza per il futuro. Il rudere mette tristezza, dà il senso dell’abbandono e del degrado, non attira, ricorda un tempo che fu. Le macerie e le pietre raccontano frammenti di storia e fanno intravedere la forma e la bellezza originarie. L’amore alle pietre e alla storia può farle tornare all’antico splendore, com’è avvenuto con la Romita. Nel rudere abbandonato non si può abitare. Nel rudere recuperato sorge nuova vita. Che bello se sorgessero tante Romite, piccole e grandi: futuro da sognare, spazi da abitare, Natura da osservare, bellezza da ammirare, spiritualità da vivere. Ci sono ovunque macerie da rimuovere, materiale da salvare, brecce da riparare, strappi da ricucire, muri da ricostruire, tetti da ricoprire. Ce n’è per tutti e per tutta la vita. Non resta che rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera. Come fece Francesco.
I ruderi fanno sognare e sognare fa bene: tiene svegli, fa nascere idee e sprigiona nuove energie. Intorno ai ruderi ci sono terra da dissodare, orti da coltivare, alberi da potare o da piantare, fiori da curare, prati da ripopolare di animali, territorio di cui prendersi cura. Quindi il progetto di recuperare ruderi, sarebbe anche un ritorno alla Terra. Una esigenza diffusa nelle nuove generazioni. L’inquinamento atmosferico, luminoso e acustico, la vita frenetica delle grandi città spinge molti ad uscirne. Ma dove andare? Il progetto che lancio dalla solitudine e dal silenzio della montagna, potrebbe coinvolgere ed aggregare molte persone. Suscitare interesse, creare movimento e portare nuova vita. Impegnarsi nel presente a costruire futuro sulle tracce del passato, dà senso alla vita. E’ terapia contro „il mal di vivere“, la noia, la mediocrità, la frustrazione. Risveglia e mette in moto energie nascoste e imprevedibili. Possiamo realizzare noi stessi ed essere soddisfatti solo nella consapevolezza di lasciare tracce positive alle generazioni future.
Qual’è la cosa più interessante della vita? Secondo me: VIVERE. Che non vuol dire vegetare e divertirsi, bighellonare e gingillarsi, gironzolare e girandolare, ma avere nel cuore la passione per la vita, nella testa idee forti da realizzare. A che pro infatti avere la testa se non pensiamo, le spalle se non portiamo pesi, il cuore se non amiamo, gli occhi se non vediamo, gli orecchi se non ascoltiamo, le corde vocali se non cantiamo, le braccia se le teniamo conserte, le mani se non suoniamo la musica, i piedi se non camminiamo? L’indifferenza, l’apatia, l’inerzia, lo stare a guardare, il sottrarsi all’impegno e alla fatica, la critica sterile non servono a nessuno, non creano futuro, non costruiscono nulla. Sono il nulla. Ce l’immaginiamo noi Francesco che, di fronte all’invito del Crocifisso, non avesse riparato 10 chiese diroccate, ma, cedendo alle lusinghe e alle minacce del padre Pietro di Bernardone, se ne fosse tornato a „gestire“ il negozio, „l’esistente“? Non avrebbe portato scompiglio in famiglia, tra gli amici, nella città di Assisi. Sarebbe tornato a fare le feste (lui, „il re delle feste“) con gli amici, avrebbe faticato di meno e guadagnato di più. Ma che sarebbe stato della sua vita? Della vita di Chiara? Della Città di Assisi? Dell’Umbria? Della Romita? Francesco sarebbe scomparso anonimo nella storia. Noi non l’avremmo conosciuto e saremmo tutti più poveri. La pigrizia, la paura, la ricerca delle (false) sicurezze e delle comodità: tutto ciò ci blocca e c’impedisce di realizzare le cose grandi, alle quali siamo chiamati.
Penso che non sia importante nella vita chiederci quando e come moriremo e che cosa ci aspetta dopo. E’ molto più importante e produttivo vivere il tempo che ci è dato oggi con passione e impegno. Vivi e creativi e che la morte non ci trovi sfaccendati, annoiati o addormentati. La vita è già corta di suo (anche se arriviamo a 100 anni). Se poi le togliamo tempo con la critica sterile, con le lamentele, con i litigi e con l’ozio, diventa ancora più corta. Il tempo che andiamo in letargo e che non viviamo con passione e impegno, va perduto per sempre. Se hanno lasciato tracce positive alcuni Grandi della nostra storia, morti giovani (Francesco di Assisi a 44 anni, Antonio di Padova a 36, Caterina da Siena a 33, Caravaggio a 41, Mozart a 39, Schubert a 31), perché non dovremmo lasciarne noi che abbiamo tanto tempo a disposizione? L’attesa della Venuta del Signore non è attesa passiva e inerte, ma vigile e operosa. Nell’Avvento, tempo di preparazione al Natale, risuona l’invito a restare „Saldi nella fede, gioiosi nella speranza, operosi nella carità“. Da Francesco, che alla fine della vita disse: „Fratelli, incominciamo a fare qualcosa, perché sinora abbiamo fatto poco“, ho imparato anche questo: restare operativi e creativi sino alla fine. Per dormire e riposarsi ci sarà tempo nel „riposo eterno“. Dormire di qua e riposarsi di là: non è proprio il massimo!
fra Bernardino
La Romita 05100 CESI (TR) 0744 283006 346 410 7908 frabernardino@la-romita.net
LA ROMITA DOMENICA 15 MAGGIO 2016 VENTICINQUESIMO: PENTECOSTE 1991- PENTECOSTE 2016
L’Inizio
Era il giorno di Pentecoste, Festa dello Spirito. Lo Spirito è Fuoco che riscalda, illumina e purifica; Acqua che rinfresca, lava e dà vita; Vento che spira, ispira e muove. E quel giorno di Pentecoste 1991 fu la Forza dello Spirito che ci ispirò e ci spinse a salire sulla montagna. Per ricostruire l’Eremo ridotto a un rudere. Eravamo in pochi. Il meno giovane era frate Bernardino (52 anni), gli altri tutti giovani dai 20 ai 25 anni: idealisti, sognatori, visionari: poveri di mezzi e di esperienza, ma ricchi di idee e di coraggio. Alla vista dell’Eremo, abbandonato da 130 anni, saccheggiato da mani avide e sacrileghe, ridotto ad un cumulo di macerie coperte da folta vegetazione e da un groviglio di rovi, come potevamo immaginare di riportarlo all’antico splendore? Era, o almeno sembrava, un’impresa impossibile: un’utopia.
Guardando dalle foto com’era la Romita nel maggio del 1991 e vedendola ora tornata al suo antico splendore, piena di gioia, di luce e di vita, ci chiediamo: come abbiamo fatto? Com’è stato possibile? Nessuno ci credeva. Solo noi sognatori e visionari. Fu l’inizio di un’avventura dall’esito incerto. Un enorme rischio. Fummo coraggiosi, anzi audaci, addirittura temerari, se consideriamo, a distanza di anni, gli ostacoli incontrati e i pericoli scampati. „I realisti“, quelli che hanno i piedi per terra e che fanno il primo passo solo se sono sicuri al 100% di poter fare anche il secondo; quelli che calcolano vantaggi e svantaggi, entrate e uscite; i paurosi, gli scettici , i cinici ci consideravano „illusi“, „pazzi“, „fuori dalla realtà“. Eravamo „illusi“? Chi segue la voce dello Spirito non è un illuso e non resta deluso.
Sono convinto che la rinascita della Romita è stata Opera dello Spirito, sempre imprevedibile e sorprendente. Lo Spirito è Libertà Assoluta (cfr Gv 3, 8; 2Cor 3,17). Ne è una dimostrazione la storia affascinante della Romita. Non si fa imbrigliare e condizionare da Istituzioni, da cariche importanti, da titoli onorifici, da meriti personali. Soffia quando, come, dove e su chi vuole. In quel giorno di Pentecoste del 1991 soffiò su di noi, non certo per nostro merito. Solo per sua scelta.
Noi cantavamo molto, ma non contavamo niente. Dietro di noi non c’era nessuna Istituzione, nessuna persona importante (a parte l’amore per S. Francesco), nessuno sponsor, nessun mecenate. Nessuno ci aveva indicato il luogo e mandato in missione speciale. Nessuno ci obbligava. Ora, facendo memoria di quell’inizio e guardando al cammino lungo, avventuroso e faticoso della ricostruzione, abbiamo la mente ed il cuore colmi di stupore e di gratitudine. Lo Spirito infatti non solo ci ha ispirati, ma anche guidati, accompagnati e sostenuti per tutto questo tempo.
La fatica
Dopo aver celebrato la Messa di Pentecoste sul prato (la Chiesa non era agibile) ed aver chiesto luce, forza e coraggio allo Spirito Santo, il giorno dopo iniziammo. Per terminare un lavoro bisogna sempre iniziarlo. Cominciammo a liberare la Romita dalle macerie, dal groviglio di liane, edera e rovi che la rendevano invisibile.
Mancavano tetti, porte e finestre (aria fresca da tutte le parti!), pochi i muri rimasti in piedi, pericoli incombenti tra i ruderi. Solo due cose non mancavano e non sono mai mancate: i fiori e la musica.
Ci si muoveva con il casco in testa. Non c’erano nè luce elettrica nè acqua corrente. Solo dall’antico pozzo del tempo dei Frati si poteva attingere acqua „la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta“, direbbe Francesco. Quanto abbiamo apprezzato quell’acqua benedetta! La mancanza di comodità stimola molto la creatività, mentre la vita comoda e sicura la mortifica e abbassa anche il livello di vita spirituale. La vita dura tempra. I primi anni di vita alla Romita furono un salutare esercizio di sopravvivenza ed una efficace scuola di vita. Di quante cose ha veramente bisogno l’uomo per vivere bene, cioè in pace con se stesso, con il Creatore e con le creature?
Ci si alzava presto al mattino. Si lavorava tutto il giorno, sfruttando al massimo la luce del sole. I pasti venivano preceduti da momenti di preghiera e di riflessione: al Belvedere, sotto il Cedro del Libano, nel bosco, sul prato e in un secondo tempo nella Cappella Benedettina (11. sec.). Anche se brevi, erano importanti queste interruzioni del lavoro: per far riposare il corpo, la mente ed il cuore e per dare ristoro all’anima. Nel silenzio e nella quiete dell’Eremo circondato da boschi secolari, risuonavano canti e testi sacri che si univano al canto degli uccelli e alla musica del vento.
La
Parola ci teneva compagnia, ci sosteneva, c’infondeva coraggio. Dopo tanti anni mi
commuove ancora ripensare a quei testi che per noi erano musica, balsamo e pane:
„Io sono la Via, la Verità e la Vita“ (Gv 14, 6), „Nessuno ha amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici“ (Gv 15, 13), „Chi perde la propria vita, la
salverà“ (Lc 17, 33), „Dio ama chi dona con gioia“ (2Cor 9, 7), „Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date“ (Mt 10, 8), „Perché cercate il Vivente tra i
morti?“ (Lc 24, 5), „Lascia che i morti seppelliscano i loro morti“ (Mt 8, 22), „A te
si stringe l’anima mia. La forza della tua destra mi sostiene“ (Sal 62,9), „Dammi la
sapienza...Io sono tuo servo e figlio della tua ancella, uomo debole e di vita
breve...Manda la tua sapienza dai cieli santi...,perché mi assista e mi affianchi nella
mia fatica“ (Sap 9, 4-5.10)
La familiarità con la Parola ti rende forte, ti trasmette
mente lucida, cuore caldo e mani operose. Che sarebbe stato di me e della Romita,
Signore, senza la tua Parola? A te la nostra lode senza fine! „Lampada per i miei
passi è la tua Parola, Luce sul mio cammino“ (Sal 118, 105).
L’invocazione allo Spirito Santo: „Nella calura riparo, nella fatica riposo, nel pianto conforto“ (Sequenza di Pentecoste) ben si addiceva alla nostra situazione. Il Cantico delle Creature trovava nella Romita lo scenario ideale per essere cantato e rappresentato. La Canzone di San Damiano è stato il nostro Canto sin dai primi giorni e lo è ancora: „Ogni uomo semplice porta in cuore un sogno. Con amore ed umiltà potrà costruirlo...Nella vita emplice troverai la strada che la calma donerà al tuo cuore puro...Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore una pietra dopo l’altra alto arriverai“. Dopo 25 anni di immane e costante fatica posso affermare che i tempi di silenzio, di ascolto della Parola, di preghiera e di lode all’Altissimo sono stati indispensabili per la ricostruzione della Romita: le colonne portanti del progetto.
Perché tanta fatica?
Sin dal giorno della scoperta della Romita (28 febbraio 1991), nel quale sentii le pietre che mi chiamavano e mi fu mostrata in visione la Romita come sarebbe diventata e com’è realmente diventata, mi resi subito conto che questo luogo era veramente speciale, ricco di energia, di storia e di spiritualità. Ma anche pieno di opportunità e di sviluppi imprevedibili per il futuro. Ripensando a quel primo incontro con la Romita, dopo aver fatto questo lungo percorso, sono convinto che fu una chiamata. Non un capriccio, non una voglia, non uno sfizio, non protesta o ribellione contro le sicurezze e le comodità che mi offriva il Convento „normale“. Fu una chiamata autentica. La chiamata del Signore non si dimostra con argomenti e ragionamenti. Si segue e basta. A prescindere da quello che pensano e dicono altri che quella chiamata non l’hanno sentita. Alla chiamata avrei potuto anche non rispondere. Ma per fortuna risposi di sì. Ora mi rendo conto che tutte le fasi della mia vita sono state funzionali alla rinascita della Romita. Qualcuno mi ha voluto e guidato sin quassù. In modo misterioso e meraviglioso.
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La chiamata, la venuta, la permanenza, l’impegno di 25 anni per la ricostruzione sono in sintonia con la mia vocazione francescana: la conseguenza e il frutto di quello che ho imparato in gioventù nell’Ordine Francescano. Ma la chiamata e la passione della prima ora non sarebbero bastate per completare l’opera. C’erano e ci sono forti motivazioni. Ho cominciato e portato a termine la Romita:
Progetto profetico
Francesco, vissuto 800 anni fa, è stato „futuro vissuto“, il più grande e geniale Profeta della nostra storia. La sua vita è „utopia realizzata“. La Romita, onorata dal passaggio di Francesco e arriccchita dalla presenza laboriosa dei suoi Frati per secoli, s’ ispira alla sua visione del mondo e al suo stile di vita: uso e non possesso, godimento e non dominio, amore e non sfruttamento delle cose; cura e custodia della „casa comune“; fraternità e sororità, accoglienza, condivisione, solidarietà con gli abitanti della terra, perché il mondo è uno e tutto è interconnesso; comportamento consapevole, responsabile, rispettoso e nei confronti di tutte le creature. La Romita ha fatto proprio il comportamento di Francesco. L’impegno coraggioso, generoso, solidale e gratuito di migliaia di persone; lo stile di vita che si conduce alla Romita (sobrietà, essenzialità, rispetto della natura) sono la dimostrazione che con meno cose si può vivere meglio e che un altro mondo è possibile. Un mondo dove non il profitto è la priorità, ma il bene comune; non l’accaparramento, ma la condivisione; non il tenere per sè, ma il donare agli altri.
Lo stile di vita della società opulenta, distratta, sprecona, intenta allo sfruttamento
dissennato delle risosrse della terra, in corsa frenetica all’acquisto e al consumo di
cose inutili e dannose, è insano, irrazionale e demenziale. La nostra società o sarà
„francescana“ (responsabile e rispettosa della casa comune, praticando „l’ecologia
integrale“ di cui parla Papa Francesco nell’Enciclica „Laudato sì“) oppure non sarà.
L’accaparramento delle risorse della terra (l’ 1% ha in mano tanta ricchezza quanta ne
ha il 99% della popolazione mondiale, il 20% consuma quanto l’ 80%), il delirio di
una crescita illimitata, la paura di perdere i propri privilegi, il rifiuto di condividere
le risorse della terra col resto del mondo, la chiusura ad un mondo più fraterno e più
giusto: tutto ciò non garantisce futuro. L’Europa del benessere, dell’opulenza e dello
spreco, per paura di dover cambiare i propri stili di vita, si sta blindando con muri e
recinti di filo spinato. Si sta chiudendo nella „gabbia d’oro“. Che futuro potrà mai
avere? La Romita vive e propone uno stile di vita alternativo, predica sin dall’inizio la
de-crescita e pratica da sempre l’ecologia integrale.
La Romita: quale futuro?
Nel corso dei secoli, con la saggezza loro propria, i Frati hanno costruito la Romita
sulla roccia. Noi l’abbiamo ricostruita così com’era ed ora poggia su fondamenta
sicure dal punto di vista della statica. Ma anche dal punto di vista spirituale la Romita
ha stabili fondamenta, perché è fondata sulla Roccia che è Cristo stesso. Chi ascolta
e segue la sua Parola „è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla
roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su
quella casa. Ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia“ (Mt 7, 24-25).
In
questi 25 anni si sono abbattute molte tempeste sulla Romita. Non è caduta. Noi
abbiamo sperimentato la verità delle parole del Vangelo. La Parola di Gesù è garanzia
per il futuro della Romita. Essendo Francesco „utopia realizzata“, „futuro vissuto“ , la
nostra società sazia e scontenta avrà sempre più nostalgia della sua libertà e della sua
gioia. E La Romita, che si ispira alla visione del mondo e allo stile di vita di
Francesco, resterà in futuro un luogo di presenza e di vita francescana.
Sono pieno di stupore e di gratitudine per quello che il Signore della storia e della
vita ha operato nella vita della Romita. Grato per aver scoperto questo luogo alto,
magico e pieno di fascino; per aver avuto e seguito l’ispirazione di farlo rivivere; per
la passione, il coraggio, la forza e la costanza che mi sono state donate; per i fratelli e
le sorelle che ho incontrato; per i concerti strumentali e vocali che hanno inebriato di
musica la Romita; per i pellegrini che ho avuto l’onore di accogliere ed ospitare; per
la bellezza, l’affetto e la tenerezza degli animali, soprattutto dei cani; per la
molteplicità di colori, odori e sapori di „nostra Matre Terra, la quale ne sustenta et
governa et produce diversi fructi con coloriti flori et herba“ (Cantico delle Creature
FF 263). La Romita è un osservatorio privilegiato per scoprire, apprezzare e
ammirare la Natura. Un luogo ideale per elevare la mente al Creatore
dall’osservazione e dall’esperienza delle creature; per risalire all’Artista invisibile
osservando le sue opere d’arte visibili; per passare dallo stupore alla gratitudine, dalla
contemplazione silenziosa alla lode melodiosa.
Per l’immane fatica sostenuta non ho motivi per vantarmi nè mi aspetto consensi, riconoscimenti, gratificazioni da alcuno. L’Enciclica „Laudato sì“ di Papa Francesco è per la Romita consenso, conferma, riconoscimento e ricompensa sufficiente. Questo capolavoro letterario/teologico/ecologico sembra che descriva la Romita. C’è totale sintonia. Mi sento gratificato molto per aver avuto l’onore di essere chiamato a realizzare così grande opera, nonostante i miei limiti. A dispetto degli abbagli presi e degli sbagli fatti. Sono grato anche per le incomprensioni e le umiliazioni subite, perché mi hanno fatto amare di più il Signore, San Francesco, il prossimo e la Romita. Dopo tanta fatica, tante lotte e tanta sofferenza, ora sperimento tanta pace, tanta gioia e tanto amore. Il futuro mio e della Romita sono nelle mani di Dio.
Finché Lui vorrà, vado avanti con fiducia e determinazione, consapevole che sono solo uno strumento nelle sue mani. Se tra voi che leggete queste pagine c’è qualcuno che sente la chiamata a collaborare a questo progetto del futuro, salga il monte e si rimbocchi le maniche, come facemmo noi 25 anni fa. La Romita garantisce le tre P: POSTO. PASTO. PACE. Vi sembra poco?
I paurosi pensano: „La Romita è bella, ma dura“. E non vengono per impegnarsi. I coraggiosi: „La Romita è dura, ma bella“. E vengono e s’impegnano. La breve congiunzione „Ma“ determina nella vita quotidiana i nostri giudizi e i nostri comportamenti. Dipende dal punto di vista e da come vogliamo valorizzare il tempo e lo spazio che ci vengono donati. Vogliamo strisciare come serpenti o volare come aquile? Essere omologati o alternativi? Ripetitivi o creativi? La vita interessante e affascinante di Francesco ci può ispirare nel trovare risposte valide e soddisfacenti alla nostra ricerca di senso. Auguri alla Romita ed ai suoi amici.
OMELIA
Nella Messa di inizio Pontificato
-«Non dobbiamo aver paura della bontà»
Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge.
In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.
E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!
Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire! Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza.
Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.
Papa Francesco
* Avvenire, 19 marzo 2013