Il ministro illustra il programma alla Camera: allarme stipendi, sotto la media Ocse
I tre pilastri: merito, autonomia, valutazione.
Dice "basta" allo scontro politico nelle scuole
Gelmini: "Più soldi agli insegnanti
ma ora puntiamo sul merito"
Tolleranza zero per il bullismo e riforme solo se strettamente necessarie
Le 3 "I" diventano 4 con l’italiano. Nel suo discorso cita anche Gramsci *
ROMA- "Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse". E’ quanto detto dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini, illustrando in commissione Cultura alla Camera il suo programma per la scuola.
"Stipendi sotto la media Ocse". Il ministro ha comunicato i "numeri" di questa emergenza salariale: "Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. Fosse in Germania ne guadagnerebbe 20 mila in più, in Finlandia 16 mila in più. La media Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è superiore ai 40 mila euro l’anno".
Meritocrazia per scuole, studenti e professori. Il neo ministro ha poi elencato i tre pilastri del suo programma: merito, autonomia, valutazione. Autonomia significa "valorizzare la governance degli istituti, dotarla di poteri e risorse adeguate", ma anche pretendere dalle scuole "capacità gestionale e di programmazione degli interventi". Capacità che deve essere giudicata con un sistema di valutazione "che certifichi in trasparenza come e con quali risultati viene speso il denaro pubblico". Merito, invece, vuol dire che "la scuola deve premiare gli studenti migliori", ma anche che devono esistere "sistemi premianti per il corpo docente e una valutazione del loro lavoro". In questo caso, il ministro Gelmini cita il programma del Partito democratico,che parla di "una vera e propria carriera professionale degli insegnanti che valorizzi il merito e l’impegno".
"Tolleranza zero per il bullismo". Il ministro è poi intervenuta sul tema del bullismo: "Non saranno più tollerati gli atti che non rispettano i compagni di classe, gli insegnanti, le strutture, il patrimonio comune".
"Basta scontri politici". Gelmini ha anche sottolineato la necessità di abbandonare lo scontro politico nei centri di educazione. "Occorre - ha affermato il ministro - una presa di posizione lontana da inutili visioni ideologiche: il Paese ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola". Per renderlo possibile, è indispensabile "una grande alleanza" in cui tutti diano il proprio contributo "per il miglioramento della più grande infrastruttura del Paese".
"Riforme solo se necessarie". Il ministro ha inoltre detto che le riforme legislative del sistema scolastico devono essere fatte solamente se strettamente necessarie e comunque sempre e solo all’insegna della chiarezza e semplificazione. "Noi abbiamo bisogno di vero cambiamento, non di presunte riforme", ha spiegato. "Per troppi anni abbiamo investito le nostre energie sull’attività legislativa - ha continuato Gelmini - abbiamo imbullonato e sbullonato leggi e decreti, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi". Questa linea programmatica implica anche che non si debba "ripartire da zero ogni volta", secondo l’idea che è utile "preservare e mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei predecessori". Proprio per questo, Gelmini non ha voluto ritirare la circolare sui debiti di Fioroni.
Le "I" diventano quattro. Gelmini ribadisce l’importanza delle tre "I" - inglese, internet, impresa - introdotte nelle legislature precedenti da Berlusconi, ma ne aggiunge una quarta: l’italiano. "La "I" di italiano, termine con cui ricomprendo l’antico trinomio, leggere, scrivere, far di conto". Gelmini ha poi sottolineato che nelle nostre classi ci sono quote sempre più ampie di studenti extracomunitari penalizzati dalla barriera linguistica. Barriera che bisogna abbattere, secondo la titolare del dicastero dell’Istruzione.
Le parole di Gramsci. Mariastella Gelmini nell’illustrare il suo programma cita anche uno dei padri del partito comunista italiano, Antonio Gramsci: ’’Gramsci diceva che la fatica dello studio è l’unico fattore di promozione sociale. Lo studio è molto faticoso: è un percorso di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, a volte con la noia e la sofferenza’’.
"La scuola non è un malato terminale". La neo ministro si dice comunque positiva nei confronti del futuro della scuola italiana: "Non dobbiamo rassegnarci, non dobbiamo credere che la scuola italiana sia un malato terminale". Anche se "è necessario uno scatto d’orgoglio di tutti". (10 giugno 2008)
* la Repubblica, 10 giugno 2008.
La destra vuole privatizzare la scuola pubblica
di Marina Boscaino *
Come in un casalingo film horror - a volte tornano. Valentina Aprea, responsabile scuola di Forza Italia e presidente della Commissione Cultura della Camera, ha tirato fuori un disegno di legge molto simile a quello che era stato esaminato in commissione durante il precedente governo Berlusconi. In quella circostanza firmatari, assieme all’Aprea, erano stati Bondi, Bonaiuti, Adornato, Cicchitto. "Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti" è il titolo del ddl, che al momento è stato assegnato in sede referente alla VII commissione. Nel testo si concretizzano tutti i timori che una parte degli insegnanti aveva prima delle elezioni; e un’idea di scuola - e soprattutto una direzione di marcia verso una riforma della scuola - completamente opposte a quelle che avremmo auspicato. Alcune dei mutamenti più significativi: le scuole verranno trasformate in fondazioni (ma ricordiamo che la proposta era già contenuta nel decreto Bersani del 2007). Per quanto riguarda gli organi collegiali, consigli di circolo e consigli di istituto spariranno, sostituiti da consigli di amministrazione, in cui saranno presenti anche "rappresentanti dell’ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola ed esperti esterni, scelti in ambito educativo, tecnico e gestionale".
Per quanto riguarda i docenti, si configura un’ulteriore rivoluzione: saranno istituiti albi regionali; la carriera sarà articolata in tre livelli (iniziale, ordinario ed esperto); l’aumento stipendiale, oltre che dall’anzianità, sarà determinato dall’appartenenza al singolo livello e a selezioni interne. Si diventa docente ordinario con concorso per soli titoli; esperto con concorso per titoli ed esami. Ciascun istituto potrà bandire autonomamente concorsi per reclutare il personale docente: niente più maxi concorsi e graduatorie. La formazione iniziale dei docenti prevede la laurea magistrale abilitante e un anno di "inserimento formativo al lavoro" presso una scuola. Infine, spariranno le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) e per i docenti verrà istituita una specifica area contrattuale. Il silenzio di Mariastella Gelmini, probabilmente, non è sintomo di riflessività e di volontà di appropriarsi di una materia che le è del tutto sconosciuta. Il ministro è comunque intervenuto sulla questione dei debiti scolastici, con una nota ambigua, che lascia aperto il campo alle più diverse interpretazioni, che getterà le scuole in un ulteriore caos, nel caso facilmente ascrivibile, però, al ministro Fioroni, autore originario del provvedimento. Il silenzio è più ragionevolmente dovuto al fatto che nel ddl di Aprea si configurano le più rosee previsioni della proposta di legge, a firma della stessa Gelmini, del febbraio scorso. L’attacco dei "falchi" - Brunetta e Aprea - condito da una insperata, sovrabbondante dose di mercato e di liberismo d’assalto, rischia di far impallidire persino la proposta Gelmini. Che colomba non è, considerati i suoi trascorsi. Ma che attende che i colleghi panzer da sfondamento le spianino la strada per completare l’opera.
Se dovesse passare, il ddl di Valentina Aprea porterebbe una vera e propria rivoluzione nell’istruzione. In un senso che crea un esplicito e pericoloso accostamento tra scuola e azienda; in cui la concorrenza avrà una funzione fondamentale; in cui al principio della partecipazione si sostituisce quello del soddisfacimento di esigenze e bisogni individuali dell’ "utenza" (i genitori, più volte evocati); in cui la logica del profitto - sotto l’imprimatur dei termini "efficacia", "efficienza" e "modernità", buoni ormai per ogni stagione - si sostituisce alle logiche dell’art. 33 e 34 della Costituzione; in cui si sottolinea che la "sfida è quella di riallocare le risorse finanziarie destinate all’istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie, secondo i principi che le risorse seguono l’alunno ("fair founding follows the pupil"). Principio - ci ricorda l’Aprea - affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, ma che nel nostro Paese, si può starne certi, rappresenterà una risposta all’"emergenza educativa" denunciata da Benedetto XVI e alla conseguente richiesta di finanziamento delle scuole cattoliche. Attraverso l’abolizione dei concorsi pubblici, inoltre, ciascuna scuola potrà reclutare il personale, secondo criteri che violeranno principi di uguaglianza e di pari opportunità: la scuola - sotto la competenza regionale - darà carta bianca, come ampiamente previsto, ai principi secessionisti. Senza parlare del fatto che la regionalizzazione porterebbe all’assenza di docenti al Nord, a un esubero al Sud - con fondi minimali - oltre a violare il principio della libera circolazione dei lavoratori. E poi quel che il ddl inserisce sotto la dizione "stato giuridico degli insegnanti" (un problema reale, al quale pure sarà necessario mettere mano con modalità e intenti diversi) è sottoposto ad una serie di punti interrogativi, alee, arbitri. Pericolosissimi.
* l’Unità, Pubblicato il: 09.06.08, Modificato il: 09.06.08 alle ore 8.26
Stipendi bassi, scarse soddisfazioni. Dopo le promesse del ministro Gelmini gli insegnanti raccontano le loro storie
Il povero mestiere del prof a 1500 euro
dal nostro inviato JENNER MELETTI *
BRESCIA - Chissà perché, la chiamano "profe". "Non è una distinzione per sesso, "prof" i maschi e "profe" le insegnanti. No, maschi e femmine siamo tutti profe. Nella mia scuola si usa così, ormai da qualche anno". Emma Bontempi, 50 anni, insegna Lettere alla scuola media di Borgosatollo. "Sì, ho saputo della proposta del ministro Mariastella Gelmini, fra l’altro bresciana come me, e mi va bene. Ma nella scuola c’è oggi un problema più importante dei soldi: il rispetto, dentro e soprattutto fuori dall’aula". Scandisce bene le parole, la "profe", come se facesse lezione.
"Ogni volta che entro in classe, faccio un confronto col passato, quando sui banchi c’ero io. La professoressa entrava, noi ci alzavamo in piedi, e se c’era un minimo di confusione l’insegnante batteva appena la mano sulla cattedra: subito c’era il silenzio assoluto. Adesso io che non sono una novizia e ho un’esperienza di quasi trent’anni, per ottenere un minimo di silenzio impiego fra i cinque ed i dieci minuti. Immagini lei i docenti alle prime armi".
Lezioni di italiano, storia e geografia, colloqui con i genitori. "In questi incontri scopri che il rispetto è stato dimenticato anche fuori dalle aule. Solo qualche genitore, che ha una cultura e soprattutto una certa sensibilità, ti dice che un lavoro importante come quello dell’insegnante oggi è pagato una miseria. Gli altri, invece, quasi ti prendono in giro. "Voi professori fate tre mesi di vacanze, lavorate solo qualche ora e poi siete liberi tutto il santo giorno...". Il mio stipendio, dopo trent’anni e con due figli a carico, è di 1700 euro al mese. L’ultimo aumento in busta paga, con il contratto, è stato di 73 euro. E questi genitori sono gli stessi che pretendono di insegnarti il mestiere. "Ma come si permette, perché ha dato un’insufficienza a mio figlio?".
Sono quasi tutti padri e madri di figli unici, che ovviamente sono sempre bravi, buoni, intelligenti. L’altro giorno una madre mi ha contestato il risultato di una verifica. "Conti bene, gli errori sono soltanto 59 e non 60 come ha scritto lei". Insomma, io non mi permetterei mai di andare dal medico e, invece di ascoltarlo, insegnargli il mestiere. Con l’insegnante invece si può fare. Quando io ero l’alunna c’era il problema opposto: per i genitori il professore aveva sempre ragione, anche quando non era il caso. Dal rispetto assoluto si è passati alla considerazione zero. In una società dove i soldi sono tutto, in fin dei conti, non puoi meravigliarti troppo".
Ieri l’ultima riunione per gli scrutini. "Guardi, nonostante l’esperienza ancora oggi non so dirle se sia giusta una scuola media che non boccia. Un confronto però lo posso fare. Se i miei ragazzi di oggi fossero stati scrutinati con lo stesso criterio che si usava quando andavo alle medie io, uno su tre sarebbe stato bocciato. E invece sono stati tutti promossi. Si tiene conto del disagio familiare, si dice che tanto dopo la licenza l’alunno si iscriverà a un corso professionale... Bisognerebbe comunque decidere criteri più precisi. Nella mia classe tutti promossi, in un’altra cinque bocciati. E poi c’è la moltiplicazione delle competenze. Una volta facevi lezione di Lettere e basta. Adesso devi preparare il corso di educazione alla salute, quello di educazione stradale, discutere di bullismo... Tutto giusto, ma ci riconoscano competenza e professionalità. Guardi, quasi tutti noi insegnanti siamo cinquantenni, ma ci diamo ancora da fare. Ci crediamo, nella scuola pubblica. Io di assenteisti non ne ho incontrati. E quando si fanno confronti con l’Europa - sono nella Cgil scuola e ho fatto bene i confronti - spesso si raccontano bugie. In Francia, ad esempio, gli insegnanti lavorano meno di noi. E hanno stipendi ben più dignitosi".
Ernesto Chiodelli, anche lui cinquantenne, insegnante elementare a Milzano, dai suoi scolari viene ancora onorato con il titolo di sempre, Maestro. "A dire il vero qualcuno mi chiama Ernesto e poi, sottovoce, aggiunge"... spara lesto", ma sono bimbi, lo fanno per ridere. Per loro sei una figura importante. Con gli adulti è diverso. Quando va bene, siamo visti come una specie di impiegati. Io non rimpiango i tempi in cui il Signor Maestro o la Signora Maestra erano vere autorità. Ci sono passato anch’io, da quella scuola. Per fortuna ero bravo e non ho rischiato di finire alle "differenziali". Se un bambino aveva problemi finiva nel ghetto, non c’erano certo i percorsi educativi individuali che prepariamo oggi, perché ogni alunno possa percorrere il suo pezzo di strada camminando comunque assieme agli altri. Non mi sento un Signor Maestro ma nemmeno un impiegato. Lo confesso, io credo ancora nella scuola come missione. Prendi i bambini in prima elementare, li porti fino all’esame di quinta, li vedi crescere, maturare. La soddisfazione viene da qui, dal "miracolo" di una scuola che pur fra tante difficoltà continua ad essere la più importante agenzia formativa".
In ruolo dal 1982 il maestro Chiodelli si trova in busta paga 1500 euro al mese. "Ho una figlia di 19 anni che quest’anno fa la maturità. Con questo stipendio, non è facile arrivare a fine mese. E ci sono tanti che ti danno dello sfaticato, dicendo che è bello lavorare solo al mattino o al pomeriggio, andare in vacanza due o tre mesi all’anno... Non hanno idea di cosa sia il lavoro di un maestro. Io insegno in una classe a tempo pieno e le mie materie sono matematica, scienze e informatica. Un tempo l’insegnamento era più semplice. Il Signor Maestro conservava il quaderno dell’alunno più bravo e lo usava anche l’anno dopo. Lo mostrava come esempio da imitare ai nuovi scolari, gli serviva anche come traccia per le lezioni. Io, oltre a prepararmi a casa per le tre materie, devo studiare i percorsi individualizzati di ogni bambino e tutto questo in una scuola dove il 40% degli alunni arrivano dalla Romania, dalla Bulgaria, dall’India, dalla Nigeria, dall’Egitto... Un maestro deve riuscire a fare convivere tutte queste anime e la scuola è il luogo privilegiato per l’interculturalità e l’integrazione. Se non ci riusciamo noi, chi può farlo?".
Applausi all’idea del ministro Mariastella Gelmini, con una raccomandazione. "Per favore, non pensi anche lei a una riforma. Abbiamo già avuto quelle di Berlinguer, Moratti, Fioroni, basta così. L’aumento di stipendio è giusto ma altrettanto giusto è dare più risorse alla scuola. Fino a quale anno fa per 6 sezioni a tempo pieno c’erano 12 insegnanti, ora sono 9 e mezzo (il maestro dimezzato è quello che salta da una scuola all’altra, a "scavalco" sui vari plessi). Riusciamo a fare solo tre ore di compresenza alla settimana e siamo costretti a usarle per seguire i bambini non cattolici mentre gli altri seguono l’ora di religione. Una scuola più "ricca" forse sarebbe più rispettata".
Esistono ancora i professori felici. Giuseppe Magurno, 56 anni, docente di italiano e latino all’Arnaldo, l’unico liceo classico statale di Brescia, dice che "salire in cattedra, ogni mattina, dà un senso all’esistenza". "Sì, lo so che noi insegnanti, per gli architetti, gli ingegneri, gli avvocati, i piccoli e grandi imprenditori che arrivano a scuola in fuoristrada per chiedere notizie dei loro ragazzi, siamo figli di un Dio minore. La considerazione sociale è scarsa soprattutto per il docente maschio. Pensano che la tua sia stata una scelta di ripiego perché non sei riuscito a trovare una professione più redditizia. Le insegnanti donne sono invece più tollerate, in fin dei conti sono sempre donne... Ma io, quando mi metto dietro la cattedra, mi sento bene. L’ho scelto, questo lavoro. Ho di fronte ragazzi che vogliono imparare e ho il dovere di essere bravo. Gli alunni sono complicati ma sono sempre persone che aiutano a trovare l’entusiasmo".
In ruolo da 31 anni, stipendio di 1900 euro al mese. "Io insegno in un liceo particolare, forse un’isola felice. Chi si iscrive all’Arnaldo ha motivazioni superiori, è consapevole di ciò che dovrà affrontare. Molti sono bravi e questo facilita i rapporti, anche con i genitori. Ma ho insegnato anche in altre scuole, ho visto con i miei occhi quella che Pasolini ha chiamato la "mutazione antropologica". Ho fatto il liceo nella mia terra, al Pisacane di Sapri, negli anni ’60. Prima del Sessantotto noi alunni avevamo timore reverenziale e stima autentica per gli insegnanti. Anche dopo la contestazione e fino agli anni ’80 gli allievi hanno cercato di distinguere fra i professori progressisti e disponibili a cambiare la scuola e gli altri più rigidi, chiusi al nuovo, ma c’era comunque stima per chi sapeva fare il proprio mestiere. Ora tutto - e parlo della scuola in generale - è più difficile. Gli alunni sono cambiati, sono allo stesso tempo arroganti e fragili. Si ribellano quando li richiami, sembrano intolleranti e poi improvvisamente si mettono a piangere. I genitori sono iperprotettivi, si schierano sempre con i loro figli. Pensano che l’insegnante vada tenuto sotto controllo e i continui appelli contro gli statali "fannulloni" non aumentano certo la nostra considerazione sociale".
Le risorse mancano anche nelle "isole felici". "Abbiamo organizzato un convegno sul poeta Camillo Sbarbaro, ci abbiamo lavorato in 8 persone per quasi un anno e alla fine siamo stati compensati con 50 ore pagate 19 euro lorde, da dividere in otto. Con 800 alunni per corsi di recupero, progetti didattici e culturali e tutto il resto c’è un fondo di istituto di 90.000 euro. Noi "fannulloni" teniamo aperta la scuola alla sera per l’orientamento in entrata e in uscita, siamo lì al pomeriggio per accogliere gli studenti delle medie, io curo anche la biblioteca... Ma sono un insegnante che non si lagna. Se lo stipendio aumenta, bene. Debbono arrivare però più soldi anche per la scuola. Insegnare è difficile ma bellissimo. Chi non ne comprende il valore non sa che l’investimento nella scuola vale per tutta la vita. Ci sono ex alunni che vengono a trovarmi, mi dicono che gli anni del liceo sono stati decisivi. E allora ogni mattina mi metto in cattedra con impegno. So di fare una cosa importante". Non ci sono "profe", al liceo Arnaldo. "Gli alunni mi chiamano professore. E’ proprio il mestiere che volevo fare".
* la Repubblica, 12 giugno 2008.
Studio di un ricercatore della Banca d’Italia sui divari territoriali e familiari
I ragazzi di provenienza socio-economica svantaggiata sono meno bravi
Scuola, gli studenti più poveri
rendono meno, soprattutto al Sud
Le differenze si attenuerebbero alla media superiore, ma i più abbienti
sono portati a scegliere gli istituti migliori, in particolare i licei
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Svantaggiati dalla nascita. Gli studenti del Mezzogiorno provenienti da famiglie povere, o in condizioni economiche modeste, a scuola sono meno bravi. Un divario che incide su quello, più generale, tra Nord e Sud, e che si attenua solo alle scuole medie superiori. Lì a contare è soprattutto la scelta dell’istituto: sono più bravi gli studenti dei licei, meno quelli degli istituti tecnici (frequentati peraltro dal 70% degli studenti italiani). Ma anche in questo la provenienza socio-economica dello studente incide pesantemente, perché sono soprattutto i ragazzi che vengono da famiglie agiate a essere spinti dalla famiglia verso i licei. Sono le conclusioni alle quali arriva uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia, condotto da Pasqualino Montanaro, che mette a confronto le principali indagini internazionali sulla scuola, da quella dell’Ocse (Pisa) alla Timss e Invalsi.
Dall’analisi incrociata delle rilevazioni, spiega Montanaro, del Nucleo per la ricerca economica della sede di Ancona della Banca d’Italia, emerge che "il livello di proficiency nel Mezzogiorno è significativamente più basso rispetto agli standard internazionali e a quelli delle regioni settentrionali, in tutti gli ambiti di valutazione considerati (comprensione del testo, matematica, scienze, problem solving), "il grado di dispersione dei punteggi è più elevato al Sud" (cioè al Sud sono molto significative le differenze), "i divari territoriali tendono a crescere durante il percorso scolastico".
Un quadro desolante, nel quale incide pesantemente la situazione economica delle famiglie. "E’ ampiamente riconosciuto - si legge nello studio - che le differenti condizioni sociali e culturali, già a partire dall’età prescolare, influiscono in maniera decisiva sulle abilità cognitive, sulla capacità di esprimere se stessa, di percepire i colori, di comprendere spazi e forme, di rappresentare fenomeni di natura quantitativa".
Gli svantaggi nell’apprendimento dei meno abbienti sono evidenti soprattutto nei primi anni di scuola. Per quanto riguarda la matematica, per esempio, "in media il punteggio ottenuto da uno studente con lo status sociale più elevato supera del 25% circa quello ottenuto da uno studente con lo status sociale più basso". Peraltro in generale gli studenti meridionali sono meno bravi anche quando possono beneficiare delle più favorevoli condizioni sociali, ma "il divario Nord-Sud è più ampio nelle classi sociali più basse e ridotto in quelle più elevate".
Andando però più avanti negli studi, pesa invece soprattutto la scelta del tipo di scuola. Tutte le indagini dimostrano che sono più elevati i rendimenti degli studenti dei licei, anche se "non è chiaro se essere iscritti a un liceo o frequentare comunque una buona scuola effettivamente determini, in maniera diretta, una migliore performance scolastica, o se al contrario questa sia una semplice correlazione spuria, dovuta al fatto che gli studenti migliori tendono, per varie ragioni, a frequentare le scuole migliori, soprattutto se si tratta di licei".
Ma per gli studenti adolescenti la provenienza familiare pesa a quel punto nella scelta della scuola: "In base ai dati Pisa 2003, la probabilità di uno studente appartenente alla classe sociale più elevata di essere iscritto a un liceo è sette volte più alta di quella di uno studente con le più sfavorevoli condizioni familiari. Tali evidenze sono ricorrenti in tutte le aree geografiche".
In altre parole, quando uno studente proveniente da una famiglia povera potrebbe finalmente lasciarsi alle spalle lo svantaggio che gli deriva dalle condizioni sociali, scegliendo un liceo, invece viene spinto a scegliere una scuola professionale, perpetuando così il suo deficit di apprendimento.
* la Repubblica, 10 giugno 2008.