PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga
I VESCOVI E IL PAESE
l’intervista
«Il Papa ha toccato il problema cruciale, che mette in gioco l’essere uomo nella società d’oggi» Il filosofo commenta le parole di Benedetto XVI all’Assemblea della Cei: «Di fronte al nichilismo attuale, i giovani chiedono agli adulti coerenza di vita, non solo di pensiero Scoprire Gesù Cristo è incontrare una persona non un’idea»
Reale: «Emergenza educativa, una crisi che inizia dai padri»
DI EDOARDO CASTAGNA (Avvenire, 30.05.2008)
«Non è un problema. È il problema». Il filosofo Giovanni Reale apprezza senza riserve l’intervento di Benedetto XVI sull’emergenza educativa, ritenendola «il problema, in senso assoluto, che domina la situazione attuale». E ne indica immediatamente la radice: «Il relativismo pervasivo, e non di rado aggressivo, che mina alla base tutte le certezze e tutti i valori - quindi, tutti i punti di riferimento per l’educazione. Così, il problema dell’educazione è in realtà il problema dell’essere uomo nella società di oggi. Perché la questione, a mio modo di vedere, è questa: è crisi tra i giovani perché è crisi tra i padri e le madri».
È in questo senso cha va compreso l’appello agli educatori, affinché siano «testimoni credibili di quei valori su cui è possibile costruire sia l’esistenza personale sia progetti di vita comuni e condivisi»?
«Certo, è l’unica cosa da fare. Per i Greci, nostri maestri, la verità di una filosofia si misurava non nella coerenza delle idee e delle dimostrazioni che il filosofo presentava, ma nella coerenza con la sua vita: se è vero quello che dici io lo verifico nella vita che conduci. A maggior ragione questo vale oggi per i padri, le madri, gli educatori. Le chiacchiere non servono a nulla: del padre e della madre i figli colgono ciò che fanno prima di ciò che dicono, che è, se non secondario, perlomeno conseguente. Del resto, il pontefice fin dalla sua prima enciclica ha detto chiaramente che l’incontro con Cristo non è un incontro con delle idee, ma con una persona. Così Kierkegaard, alla domanda se avrebbe voluto aver visto Cristo in faccia, rispondeva: Cristo lo devi sempre vedere in faccia; essere credente significa sentire Cristo come contemporaneo. Il cristianesimo finisce nel momento in cui cessa questa contemporaneità, perché allora Cristo diventa una cosa immensamente lontana da noi».
Come è possibile far rinascere questa idea e metterla in atto? Il discorso di Benedetto XVI richiama l’idea di persona.
«Purtroppo il concetto di persona oggi è stato completamente dimenticato a favore dell’individuo, dell’individualismo. Invece il concetto di persona, che non è greco ma esclusivamente cristiano, implica un rapporto strutturale dell’io con il tu. E non solo a livello orizzontale, ma anche con il Tu maiuscolo; triangolare, quindi. Io l’ho imparato bene da Giovanni Paolo II, che diceva che la persona umana è un rispecchiamento della Trinità. Recentemente sono stato molto colpito dalla lettura de L’epoca delle passioni tristi, dove due psicoterapeuti francesi, Miguel Benasayag e Gérard Schmit, scrivono che non hanno mai avuto così tanti pazienti giovani da curare come adesso. E trovano la ragione di fondo di questa crisi dei giovani: il caos, che trovano sia in casa, sia fuori. Rieducarli è assolutamente fondamentale, e per farlo occorre superare quel relativismo - che è nichilismo - dilagante. Non con parole, ma con testimoni».
La sua lunga esperienza di insegnamento glielo conferma?
« Io, che sono nella scuola da sempre, capisco e soffro moltissimo nel vederla corrotta e decadente, nel senso che si è dato un peso determinante alla preparazione per l’utile, per ciò che concretamente è utile, scacciando tutto ciò che è ’inutile’. Per fortuna non siamo noi al vertice di questa sciagura; ha iniziato la Germania, poi in Francia hanno tolto la filosofia dai licei... che però è quello che insegna a pensare. A essere uomini».
Eppure anche nei nostri licei si sentono gli studenti dire: perché devo studiare latino, a che mi serve?
«È quello il problema! Ma chi lo dice davvero? Prima degli studenti, lo dicono i padri e le madri. Ricordo una lettera: ’A mio figlio fanno studiare Manzoni, ma a che cosa gli serve, visto che farà l’ingegnere...’. Ma scriveva il pensatore cinese Tchouang Tse: ’Tutti conoscono l’utilità dell’utile. Ma pochi conoscono l’utilità dell’inutile’. E aggiungeva: ’L’inutile produce talvolta ciò che è più utile di ciò che tu ritieni inutile’. Sono queste le cose che dovremmo far capire. Anche a qualche professore, perché molti sono ancora figli del Sessantotto e non hanno recuperato i valori che erano stati contestati».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Non avrai altro Dio. Processo al monoteismo “è sinonimo di violenza”
di Vito Mancuso (la Repubblica, 21 gennaio 2014)
La Commissione Teologia Internazionale (Cti) è un organismo di 30 teologi di ogni parte del mondo scelti dal Papa in quanto «eminenti per scienza, prudenza e fedeltà verso il Magistero della Chiesa» con l’incarico di «studiare i problemi dottrinali di grande importanza» (così gli statuti ufficiali).
Pochi giorni fa è stato pubblicato su Civiltà Cattolica l’ultimo suo lavoro, disponibile anche nel sito della Santa Sede, dal titolo: Dio Trinità, unità degli uomini . È però il sottotitolo che chiarisce l’argomento: Il monoteismo cristiano contro la violenza.
Lo scritto prende infatti spunto da una tesi sempre più diffusa in occidente secondo cui vi sarebbe «un rapporto necessario tra il monoteismo e la violenza», con la conseguenza che il monoteismo, prima considerato la forma più alta del divino, ora viene ritenuto potenzialmente violento.
Le religioni monoteistiche sono ebraismo, cristianesimo e islam, ma secondo la Cti è soprattutto il cristianesimo a essere sotto tiro da parte di ampi settori dell’intellighenzia occidentale definiti «ateismo umanistico, agnosticismo, laicismo», i quali invece risparmierebbero l’ebraismo per rispetto della shoà e perché privo di proselitismo, e legherebbero l’intolleranza islamica più a motivi politici che teologici. Il che per la Cti dimostra l’aria anticristiana che tira in occidente, ingiustificabile anche alla luce del fatto che è proprio il cristianesimo la religione che oggi cerca di più il dialogo con la cultura laica.
A favore del monoteismo la Cti propone la tesi opposta secondo cui «la purezza religiosa della fede nell’unico Dio può essere riconosciuta come principio e fonte dell’amore tra gli uomini». Ribalta quindi l’equazione: non monoteismo = violenza, bensì monoteismo (trinitario) = amore universale. Con la logica conseguenza che «l’eccitazione alla violenza in nome di Dio è la massima corruzione della religione».
Gli argomenti presentati a sostegno sono molteplici. In primo luogo si contesta l’idea secondo cui il politeismo sarebbe più tollerante, visto che la persecuzione ellenista contro gli ebrei e quella romana contro i cristiani indicano il contrario. Ma è soprattutto il cuore del cristianesimo a mostrare come dall’insegnamento e dalla vita di Gesù non può che scaturire un umanesimo non violento, per cui la rivelazione cristiana «consente di neutralizzare la giustificazione religiosa della violenza sulla base della verità cristologica e trinitaria di Dio», e per questo vi è un «irreversibile congedo del cristianesimo dalle ambiguità della violenza religiosa».
Altri punti importanti sono la distinzione del concetto di monoteismo (ritenuto in sé troppo generico per abbracciare unitariamente ebraismo, cristianesimo e islam), l’ermeneutica delle pagine bibliche colme di violenza, la discussione con l’ateismo contemporaneo, le riflessioni di teologia trinitaria.
Ma il documento della Cti è riuscito nel suo intento principale, cioè rendere convincente la connessione organica tra cristianesimo e non-violenza per quei laici che accusano il cristianesimo di intolleranza? A mio avviso no, e il motivo sta nel non aver preso adeguatamente in considerazione la parte di verità della critica laica.
Il documento infatti non indaga a sufficienza le ragioni delle accuse mosse al cristianesimo, basti considerare che fenomeni quali inquisizione, roghi di eretici e di libri, caccia alle streghe, Index librorum prohibitorum, conversioni forzate di individui e di popoli, neppure sono nominati. È vero che si afferma di «non poter ignorare considerando la storia del cristianesimo i ripetuti passaggi attraverso la violenza religiosa» e che si evoca «un atteggiamento di conversione permanente che implica anche la parresia ossia la coraggiosa franchezza) della necessaria autocritica», ma invano si cerca tra i 100 paragrafi del documento almeno un esempio di tale parresia. Al contrario l’argomentare si risolve spesso in una concatenazione di pensieri speculativi con un linguaggio non sempre limpido e perspicuo.
Oltre all’insufficienza a livello storico, in sede concettuale le lacune sono soprattutto tre: 1) la violenza nella Bibbia viene considerata solo per l’Antico Testamento senza mai menzionare il Nuovo, dove pure è presente, si pensi all’Apocalisse e ad alcuni passaggi di san Paolo, con la conseguenza di riprodurre la contrapposizione «Dio di Gesù buono - Dio dell’ebraismo cattivo» altrove condannata dalla stessa Cti; 2) non si spiega perché la Chiesa abbia preso congedo dalla violenza solo in tempi relativamente recenti; 3) vi è una problematica considerazione delle religioni non cristiane.
Tralasciando per motivi di spazio il primo punto, riguardo al secondo occorre chiedersi perché la Chiesa che per secoli praticava e giustificava la violenza ha poi mutato atteggiamento. La risposta è semplice: grazie alle battaglie del mondo laico che, togliendole potere, le hanno permesso di tornare a essere più fedele alla propria essenza.
La Cti però non spende una parola su questo, al contrario ripropone la campagna di Benedetto XVI contro il relativismo dimenticando il bene che deriva dal prendere coscienza della relatività delle proprie posizioni. Non è dal relativismo, infatti, ma è dal suo contrario, l’assolutismo, che nascono l’intolleranza e la violenza. Il che non significa che il relativismo non abbia i suoi limiti, ma occorre una saggezza disposta a riconoscere il bene e a denunciare il male ovunque siano, anche e soprattutto a casa propria insegna il Vangelo (Matteo 7,3: «perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?»), mentre tutto ciò nel documento dei teologi prescelti dal Vaticano scarseggia.
C’è poi il punto sulle religioni non cristiane. Con l’affermare più volte che «la rivelazione cristiana purifica la religione», quale immagine delle religioni non cristiane consegna la Commissione? Scrivendo che «la purezza della religione e della giustizia viene dalla fede in Gesù Cristo», quale immagine dei credenti non cristiani propone la Cti? Sembra inevitabile concludere che le religioni senza Gesù siano destinate all’ingiustizia e alla violenza, sennonché la realtà insegna che sono proprio religioni come induismo, buddhismo, giainismo a essere giunte all’ideale della non-violenza (anche a livello alimentare!) secoli prima della nascita di Gesù e millenni prima che vi arrivasse la Chiesa cattolica.
L’intento della Cti è più che lodevole, ma su temi tanto delicati la Chiesa di papa Francesco avrebbe meritato un documento diverso, più umile sul passato e più coraggioso sul presente, capace così di vero dialogo con i non cristiani e di smuovere le acque nella Chiesa, invocando al suo interno quella libertà religiosa che ieri la Chiesa negava a tutti, oggi promuove nel rapporto tra credenti e potere politico e domani dovrà giungere a riconoscere in materia teologica, etica e di pratica sacramentale ai singoli credenti se vorrà essere veramente del tutto libera dalla violenza.
Ciò che è del Padre è anche nostro
di Ermes Ronchi (Avvenire, 23/05/2013)
Santissima Trinità
Anno C
La Trinità si delinea in filigrana, nel Vangelo di oggi, non come fosse un dogma astratto ma come un accadimento di vita, una azione che ci coinvolge.
Lo Spirito mi glorificherà: prenderà del mio e ve lo annuncerà. La gloria per Gesù, ciò di cui si vanta, la pienezza della sua missione consiste in questo: che tutto ciò che è suo sia anche nostro.
Dio gode nel mettere in comune. Ciò per cui Cristo è venuto: trasmettere se stesso e far nascere in noi tutti un Cristo iniziale e incompiuto, un germe divino incamminato.
Tutto quello che il Padre possiede è mio. Il segreto della Trinità è una circolazione di doni dentro cui è preso e compreso anche l’uomo; non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa amore, verità, intelligenza fuori di sé, oltre sé. Una casa aperta a tutti gli amici di Gesù.
La gloria di Gesù diventa la nostra: noi siamo glorificati, cioè diamo gioia a Dio e ne ricaviamo per noi godimento e pienezza, quando facciamo circolare le cose belle, buone e vere, le idee, le ricchezze, i sorrisi, l’amore, la creatività, la pace...
Nel dogma della Trinità c’è un sogno per l’umanità. Se Dio è Dio solo in questa comunione di doni, allora anche l’uomo sarà uomo solo nella comunione.
E questo contrasta con i modelli del mondo, dove ci sono tante vene strozzate che ostruiscono la circolazione della vita, e vene troppo gonfie dove la vita ristagna e provoca necrosi ai tessuti. Ci sono capitali accumulati che sottraggono vita ad altre vite; intelligenze cui non è permesso di fiorire e portare il loro contributo all’evoluzione dell’umanità; linee tracciate sulle carte geografiche che sono come lacci emostatici, e sia di qua che di là, per motivi diversi, si soffre...
Tutto circola nell’universo: pianeti e astri e sangue e fiumi e vento e uccelli migratori... È l’economia della vita, che si ammala se si ferma, che si spegne se non si dona. Come nel racconto della ospitalità di Abramo, alla querce di Mambre: arriva uno sconosciuto all’accampamento e Abramo con dolce insistenza lo forza a fermarsi e a mettersi a tavola. All’inizio è uno solo, poi senza spiegazione apparente, i personaggi sono tre.
E noi vorremmo capire se è Dio o se sono solo dei viandanti. Vorremmo distinguere ciò che non va distinto. Perché quando accogli un viandante, tu accogli un angelo, l’ha detto Gesù: ero straniero e mi avete accolto.
L’ospitalità di Abramo al Dio Viandante, Uno e Tre, ha un premio: la fecondità di Sara che sarà madre. Forse qui c’è lo scintillio di un rimedio per la nostra epoca che sta appassendo come il grembo di Sara: riprendiamo anche noi il senso dell’accoglienza e ci sarà vita nella tenda, vita nella casa.
(Letture: Proverbi 8, 22-31; Salmo 8; Romani 5, 1-5; Giovanni 16, 12-15)
di Armando Torno (Corriere della Sera La Lettura, 23.12.2012)
Ogni giorno nel mondo esce un libro con opere di Agostino o con un saggio che ne analizza il pensiero. Poco meno di quattrocento titoli ogni dodici mesi dedicati al lascito di questo santo e filosofo che da un millennio e sei secoli ha riversato sull’umanità un oceano di pagine e di idee. In tale computo non sono compresi saggi, articoli e altri contributi a lui dedicati, appartenenti a quel genere che non si concretizza d’acchito in volume. Per limitarci alla lingua italiana, si può notare che sono disponibili nel nostro mercato editoriale ben più di 350 titoli cartacei riguardanti Agostino. Giuliano Vigini, che oltre ad essere un esperto di editoria, ha curato antologie e scritti di questo autore, sostiene che il prossimo anno, dedicato alla fede, i numeri saranno destinati ad aumentare.
Oggi, utilizzando le cifre care alla statistica e alle previsioni elettorali, potremmo dire che si pubblicano 1,05 opere di e su di lui ogni giorno; nel 2013 si dovrebbe arrivare a 1,09, ovvero a quattrocento titoli. Non dimentichiamoci che il Papa lo cita continuamente e ne raccomanda la lettura. La qual cosa non è una sponsorizzazione da poco. Le tabelle di Vigini offrono anche una sorta di geografia degli interessi.
Aggiungiamo che le nazioni agostiniane forti sono Francia (la Bibliothèque augustinienne prevede l’opera completa in 85 volumi), Spagna (decine di tomi già usciti nella Biblioteca de autores cristianos), Italia, Paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna). Seguono i tedeschi, che tuttavia hanno dato agli studiosi edizioni critiche indispensabili (Giovanni Reale, curatore dell’ultima traduzione e interpretazione delle Confessioni, si è basato sul testo di Martin Skutella, pubblicato da Teubner nel 1969). Che aggiungere? Semplicemente che Agostino è il crocevia dei grandi temi del pensiero occidentale e intuì l’idea portante continuamente ripresa dai sommi: cercare Dio è l’inizio di tutto.
In italiano è disponibile l’opera integralmente tradotta, con testo latino a fronte. La progettò Agostino Trapè (priore dell’ordine) per l’editrice Città Nuova e il primo volume apparve nel 1965. Ci vollero una quarantina d’anni per terminarla. Dopo la scomparsa del fondatore, il testimone passò a Remo Piccolomini e la realizzazione è stata curata da Franco Monteverde. Sono stati necessari 70 volumi. Ora è in corso la pubblicazione dell’iconografia; sono allo studio ulteriori indici e si sta lavorando alle opere attribuite. Alla fine sarà una mole di poco meno di 50 mila pagine, che ha coinvolto una ottantina di studiosi. Ma tutto questo patrimonio è anche online.
Lorenzo Boccanera, webmaster del sito www.augustinus.it (in esso si trova anche una traduzione spagnola di circa la metà del lascito agostiniano, nonché collegamenti a siti dove si possono leggere traduzioni inglesi e francesi) ricorda che viene visitato da poco meno di mille lettori distinti certificati al giorno. Con qualche punta favorita dagli eventi: il 30 gennaio e il 1° febbraio 2010, allorché la Rai trasmise lo sceneggiato su Sant’Agostino, si toccò - nota Monteverde - il picco di 18 mila utenti. E il fenomeno durò per alcuni giorni. Va anche precisato che il sito è completamente gratuito. Boccanera è un ingegnere e ama i dati. Senza nulla togliere al valore dell’opera di Agostino, sottolinea che quantitativamente lo stampato latino-italiano equivale a 350 volte il testo de I Promessi sposi, a 100 volte la Divina Commedia (con le relative chiose).
Di più: il vocabolario di Agostino è composto da 117.500 lemmi, ma se si contano declinazioni e verbi si giunge a 220 mila. Con Office un dizionario latino-agostiniano, per essere utilizzabile, si è dovuto spezzare in 7 file. La parola più citata dal santo è Deus (56.346), che con Pater arriva a 67.749; Christus è a 22.818, tuttavia se si unisce a Dominus, Verbum, Filius, Iesus, Salvator si giunge a 74.234. Peccatum, con l’inevitabile peccator, è presente 20.628 volte e batte amor, che unito a caritas e dilectio, giunge a 12.604.
Né va dimenticato che Città Nuova ha pubblicato, in calce all’opera, un indice analitico che ha richiesto 5 volumi distinti, con 700 mila frasi e 200 mila rimandi per eventuali confronti. La sola voce Agostino occupa 250 pagine stampate e più di 15 mila frasi. E vi sono 5 volumi di lettere raccolte in circa 3.500 pagine.
Ci assicurano che il sito, curato anch’esso da Monteverde con l’apporto tecnico di Boccanera, non ha fatto calare le vendite del cartaceo, anzi si stanno preparando nuove edizioni perché alcune opere si sono esaurite. Inoltre sono nate, accanto a questa impresa, altre biblioteche.
Si prenda, per esempio, il sito del fondatore www.agostinotrape.it: contiene tutti i documenti di studio digitalizzati dell’intera sua vita, anche quelli giunti da diversi pontefici, cardinali e ricercatori di ogni parte del mondo. Autore di oltre 120 titoli editoriali, è diventato anche grazie a questo sito il punto di riferimento per gli studi agostiniani.
Oltre tali considerazioni quantitative, non è possibile dimenticare l’influenza esercitata dal santo sul Cristianesimo e dal filosofo nella storia del pensiero. Quell’oceano di parole, di idee, di intuizioni ha continuamente condizionato gli uomini e la loro fede. Dal punto di vista religioso, Agostino resta attualissimo per le sue considerazioni sull’itinerario interiore testimoniato nelle Confessioni o per quanto ha lasciato nei quindici libri de La Trinità.
Per rendersi conto, basterebbe aprire la recente edizione di quest’ultima opera, curata da Giovanni Catapano e Beatrice Cillerai (edita ne «Il Pensiero occidentale» di Bompiani, pp. 1.496, 38), per accorgersi che lo scopo dell’autore fu quello di rendere ragione - partendo dalla fede e utilizzando le facoltà conoscitive a nostra disposizione - dell’unicità e identità sostanziale di Padre, Figlio e Spirito Santo.
E non vanno dimenticati i commenti biblici. Quello sui Salmi si legge nei sei tomi di oltre 5 mila pagine di Città Nuova. Ma ve ne sono a Giovanni, né mancano trattati sul Discorso della montagna, sulle questioni poste dai Vangeli o per la Lettera ai Romani; vi sono, tra l’altro, annotazioni a Giobbe e poi conviene aggiungere eccetera. Le opere polemiche - contro i Manichei, i Donatisti, Giuliano et similia - occupano sedici tomi e in essi si trova una miniera di informazioni sul cristianesimo dei primi secoli e sulle controversie che ne hanno caratterizzato la diffusione. Per lo storico delle religioni o per il teologo le opere di Agostino sono ancora un riferimento indispensabile.
E in filosofia? Anche in tal caso, temi come il tempo, il male, il libero arbitrio, la fede, solo per limitarci ad alcuni, hanno in questo autore una fonte continuamente consultata. Uno studioso quale Luigi Alici ha sottolineato che «il plesso Deum et animam» è al centro del pensiero di Tommaso d’Aquino; inoltre da Agostino partono le riflessioni di Lutero ma anche quelle opposte di Giansenio, le medesime che daranno origine al cattolicesimo di Pascal. Nemmeno il movimento di idee che caratterizza il pensiero di Cartesio può farne a meno, anzi alcuni aspetti dell’agostinismo sono stati utilizzati per difendere le prospettive di questo filosofo francese.
E agli inizi del ’900 uno studioso come Henri-Xavier Arquillière ideò la formula di «agostinismo politico»: ad esso riconduceva, tra l’altro, le tendenze teocratiche del XIII secolo. Ma dall’immenso lascito transitava anche il concetto di «guerra giusta», utilizzato ancora in tempi a noi molto vicini.
Che dire? Tali tesi vennero contestate da illustri accademici, ma La città di Dio restò un’opera letta dai grandi spiriti politici. Giuseppe Prezzolini la ritrovava, insieme ad altre intuizioni di Agostino, in Machiavelli. Mentre María Zambrano - lo ha ricordato Giovanni Reale - ha inteso le Confessioni come l’atto di nascita dell’idea di Europa. Non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Nell’elenco dei personaggi che hanno dedicato tempo ed energie ad Agostino ci sono un po’ tutti, da Bergson ad Einstein, da Petrarca a Voltaire (che cercava di criticarlo senza sconti), né mancano i teologi del Novecento. Inutile stilare un elenco di questi ultimi perché Barth, De Lubac, lo stesso Ratzinger, von Balthasar o Rahner hanno dedicato energie notevoli a codesto autore.
Cattolici, protestanti, razionalisti del Seicento francese e persino molti teorici della musica non possono non definirsi agostiniani. E anche chi legge le pagine di Heidegger relative al tempo, è tentato di tornare a quelle da lui scritte su una materia così bisbetica. Dicevamo che questo autore è un oceano. Le sue idee, del resto, hanno toccato o permeato buona parte dei ragionamenti umani.
Oggi, dopo aver meditato sul pensiero debole e su quello corto, siamo impotenti quantitativamente e qualitativamente dinanzi ad Agostino. Forse si potrebbe parlare di lui come del Platone cristiano. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. E un giorno qualcuno la racconterà.
Aurelio Agostino (Tagaste 354 - Ippona 430), uno dei Padri della Chiesa di maggior influenza in ogni epoca, studiò retorica a Cartagine e tale materia insegnò anche a Roma e a Milano. Attratto da correnti quali manicheismo, scetticismo e neoplatonismo, trovò la pace intellettuale convertendosi al cristianesimo. Fu battezzato a Milano da Ambrogio, insieme al figlio Adeodato. Ritornato in Africa, nel 395 diventò vescovo
Le opere Tra le sue innumerevoli opere vanno innanzitutto ricordate le «Confessioni» in 13 libri, che lasceranno una traccia indelebile nella cultura occidentale; quindi «La città di Dio» in 22 libri. In essa si trovano le linee di una teologia della storia, distinguendo la città degli uomini che vogliono vivere in pace secondo la carne e il benessere terreno, e quella di coloro che desiderano vivere secondo lo spirito aspirando alla beatitudine eterna. Tra le altre, fondamentale il «De Trinitate», in 15 libri, punto di arrivo della patristica sul piano della speculazione relativa alla Trinità
Il cardinale Appiah Turkson parla dell’educazione delle nuove generazioni alla pace
Gesù nelle mani dei giovani
di MARIO PONZI *
Il 2011 si è concluso così come era iniziato, segnato da una serie di manifestazioni dei giovani in quasi tutte le capitali europee e in buona parte di quelle del resto del mondo. Nelle nuove generazioni è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia. E su questo, come su altri versanti, il 2012 si annuncia altrettanto tenebroso all’orizzonte. "Le radici di questo malessere - dice il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in questa intervista rilasciata al nostro giornale - sono anzitutto culturali e antropologiche". Quello che manca, ritiene in sostanza il porporato, è un’educazione alla solidarietà intergenerazionale. E questo genera il disorientamento dei giovani di fronte a modelli che sentono come propri. Non a caso il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno ha scritto: "Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno". Sono questi i motivi "per i quali Benedetto XVI - sottolinea il cardinale - reclama la responsabilità di tutti alla formazione dei giovani, i veri protagonisti del futuro".
Effettivamente il concetto chiave della Giornata mondiale della pace 2012 sembra ruotare su due cardini indicati dal Papa: il protagonismo dei giovani e la contestualizzazione delle questioni da affrontare come sfide. Il fatto che la Chiesa punti molto sui giovani non è una novità. Cosa c’è in più in questo ulteriore richiamo di Benedetto XVI?
L’attenzione mostrata dal Papa per i giovani è profondamente coerente con quella di tutta la Chiesa nei loro confronti. Essi, infatti, sono da sempre in cima ai pensieri della Chiesa, poiché offrono un formidabile sguardo di speranza verso il futuro e, in questo senso, rappresentano la continuità della famiglia umana. Il Pontefice ha accolto il grido spesso silenzioso di tantissimi giovani e si impegna in prima persona perché essi siano resi protagonisti di un mondo nuovo e, nello stesso tempo, di una nuova evangelizzazione del sociale, di un impegno di trasfigurazione del mondo a partire dalla fede in Gesù Cristo. Quindi, come sostiene Benedetto XVI nella Caritas in veritate, fiduciosi piuttosto che rassegnati, i giovani protagonisti e costruttori di un futuro migliore, sono chiamati a riprogettare il loro cammino e a darsi nuove regole. Il messaggio del Papa, così come la sua omelia del 1° gennaio, sono fortemente calati nella realtà del mondo attuale. Un mondo gravemente segnato non solo dalla crisi economica e finanziaria, con tutte le sue molteplici drammatiche conseguenze, in primo luogo nel mondo del lavoro, ma anche dalla diffusa mentalità nichilista che nega ogni fondamento trascendentale e confina la persona in un orizzonte di solitudine, di materialismo, di egoismo, di disperazione. Il Papa ha voluto esprimere la sua profonda, concreta e accorata vicinanza alle inquietudini che oggi affliggono i giovani e le loro famiglie; ha voluto accogliere e rilanciare le loro giuste richieste di giustizia, da qualunque parte del mondo esse provengano, e certo non per farsi portavoce degli indignados, come hanno suggerito o scritto alcuni giornali.
Tra le cose che influenzano negativamente i giovani, il Papa, già nella Caritas in veritate, denunciava una "carenza di pensiero" nella società odierna. Poi ha continuato a porre l’accento su quella che egli non ha esitato a definire "emergenza educativa". Oggi torna a indicare l’educazione dei giovani come una sfida da affrontare per conquistare la pace e la giustizia nel mondo. Cosa c’è che non va nel sistema educativo a livello mondiale?
Il sistema educativo non è, per così dire, un organismo isolato, un organismo a sé stante. È piuttosto espressione di una solidarietà intergenerazionale tra passato e presente, tra presente e futuro. È intimamente intrecciato ad altri sistemi che riguardano l’esistenza umana. Soprattutto è intrecciato con la pratica quotidiana, cioè con quel mutevole stile della vita che sembra ormai incapace di sostenere il sistema educativo. Penso per esempio a tutto ciò che discende, in termini culturali e di mentalità, dal consumismo, dall’edonismo e, specialmente, da un’idea di libertà fraintesa. Nel senso che essa viene percepita solo come licenza di seguire all’infinito i propri impulsi e interessi particolari, e non come capacità di legarsi al vero bene, accettando quelle regole che lo tutelano e lo favoriscono. Tale concezione uccide, di fatto, la stessa libertà, generando quell’emergenza educativa, più volte denunciata dal Papa, che è un’emergenza di carattere antropologico ed etico. Questa può essere contrastata efficacemente mediante il serio rilancio di un nuovo pensiero critico, di una cultura aperta alla trascendenza e di un’educazione aperta al compimento umano in Dio. Lei mi domanda cosa non va nel sistema educativo. Io credo che la questione principale riguardi soprattutto la mancanza di una visione allargata, di un ampio orizzonte. Oggi, a mio parere, c’è bisogno di una educazione alla mondialità, che sia interdisciplinare, interculturale, interreligiosa, interetnica.
È stato per richiamare questa necessità di un nuova educazione che il Papa, all’omelia della messa per la Giornata mondiale della pace, ha posto quell’inquietante interrogativo: "Ha ancora un senso educare?".
Credo che il senso della domanda del Papa sia duplice. Innanzitutto credo abbia voluto focalizzare, con una provocazione, l’attenzione su una questione che ritiene fondamentale. Poi però ha voluto lanciare una sorta di "richiamo educativo" alla solidarietà intergenerazionale che consideri l’educazione come l’espressione e la trasmissione di un "manuale per la vita", nell’ottica di una rinnovata etica pubblica e di una forte coesione sociale. Il Papa, chiedendo se abbia senso educare, ha sollevato un problema oggi radicale. Riguarda l’intero contesto culturale ed è posto primariamente dalla crisi del pensiero e dell’etica. Se manca ogni fondamento, se l’idea di verità viene messa da parte, si mette da parte anche un orizzonte, un fine al quale educare. L’educazione, infatti, per sua natura proietta e propone, nel costante dialogo, una molteplicità di principi e di cognizioni. Ma se tali principi e cognizioni vengono privati del loro senso, del loro fondamento di verità, ecco che l’intero processo educativo, per così dire, crolla. In questo senso, Benedetto XVI, consapevole della profonda correlazione del sistema educativo con altri sistemi e con altre realtà private e pubbliche, ha voluto appellarsi a tutti i responsabili del processo perché insieme compiano una revisione, una decostruzione dell’assetto attuale e una conseguente ricostruzione in termini, prima di tutto, di responsabilità. I giovani, infatti, spesso si trovano a vivere in contesti e ambienti di vita diseducativi, a fare esperienze che li fanno perdere o frustrare. Tutti i responsabili chiamati in causa sono invitati ad agire. Se, per esempio, il mondo politico non si fa esemplare, non solo nell’elaborazione di politiche eque, ma anche nella condotta del personale politico, o se la politica soggiace interamente alla sola forza degli interessi economici e finanziari stabilendo, così, una sua subalternità rispetto a essi, anche la società degenera. Lo stesso si può dire di tutti gli educatori, compresi i pastori e i formatori ecclesiastici. Credo sia fondamentale richiamare il problema dell’urgente rinnovamento della democrazia partecipativa, sempre più minata da derive populiste o da istanze nazionaliste o regionaliste.
I giovani in effetti non sono entità isolate. Essi vivono in un contesto che sembra spingerli su tutt’altra via rispetto a quella indicata dal Papa. Ancora oggi, violenza, prepotenza, intolleranza si pongono come antagonisti di sentimenti peraltro naturali per le nuove generazioni aperte al dialogo, alla convivenza pacifica, alla fraternità universale. Come metterli al riparo dai non valori che li minacciano?
Attraverso un’azione responsabile e congiunta di tutti i soggetti coinvolti. In primo luogo attraverso l’opera di educatori che siano a un tempo testimoni credibili per una seria educazione e una concreta formazione. E badi bene che i giovani non sono, per così dire, entità passive. Essi sono i primi responsabili. In questo senso, il Papa ha voluto porre l’enfasi sull’ascolto delle istanze giovanili. Ma allo stesso tempo mi sembra abbia voluto incoraggiare i giovani al protagonismo, a rendersi artefici della propria vita, nella valorizzazione dei propri talenti, in libertà e solidarietà con gli altri, a scoprire il progetto che Dio ha su ciascuno di loro.
Il Papa confida molto nell’opera della Chiesa nel campo formativo. Ma i giovani sono antropologicamente molto diversi dai loro maestri. Secondo lei si parla nel modo giusto, o meglio comprensibile, per le nuove generazioni?
Non direi "antropologicamente diversi". Piuttosto, direi che i giovani sono diversi come mentalità, valori e formazione, così come avviene per ogni generazione rispetto alle precedenti. Se i giovani non vengono ascoltati, se vengono esclusi e non si permette loro di affermare i propri talenti e le proprie vocazioni, o se vengono confinati in un orizzonte di precarietà assoluta che li schiaccia sul presente eliminando qualsiasi progettualità del futuro, allora la risposta è che oggi non si parla ai giovani nel modo giusto. E non solo non si parla, ma non si agisce nel modo giusto, pensando, cioè, al futuro della società. Proclamando all’umanità la via della pace il Papa si è rivolto a tutti i giovani. È vero, essi sono culturalmente diversi. Ma come il Vangelo, così Benedetto XVI va diretto al cuore dei giovani, riesce anche a trascendere i confini nazionali, continentali, culturali, religiosi, superando i cosiddetti "spazi delle civiltà". Come pastore ghanese, posso testimoniare per esempio l’accoglienza che il messaggio per la Giornata mondiale della pace ha ricevuto dai giovani del mio Paese e di tutta l’Africa, anch’essi molto diversi fra loro. Così è avvenuto in India, in Cina, in Brasile, negli Stati Uniti, in Europa e nelle altre Nazioni del mondo.
Esistono ostacoli di comunicazione per la penetrazione del Vangelo negli ambienti culturali che connotano l’universo giovanile?
Il Vangelo è un messaggio di speranza: una speranza per tutti gli uomini. È una realtà che cambia il cuore. È la buona novella valida per tutti i contesti culturali in ogni tempo. Essa va dritta al cuore delle persone. Se, però, i giovani sono costretti in ambienti, mentalità e stili di vita contrari al bene comune, contrari al loro stesso bene, e dunque contrari al Vangelo, che è un messaggio di vita, libertà, solidarietà, fraternità, accoglienza, amicizia, allora lo sguardo viene distolto dalle cose grandi e belle che l’esistenza loro riserva. Quanto alla questione della comunicazione faccio solo un esempio: per tutto il primo gennaio sono apparsi numerosissimi "cinguettii" su twitter a proposito del messaggio per la pace. È stata una gioia vedere giovani di ogni continente "cinguettare" le parole del Papa con il linguaggio tipico della rete. Sono molto contento di questa condivisione diretta con tanti giovani nel loro linguaggio e su uno dei social network tra i più frequentati dai ragazzi di ogni parte del mondo.
Il Papa ha concluso l’omelia del 1° gennaio con un’indicazione precisa: "Gesù è una via praticabile, aperta a tutti. È la via della pace". Come il dicastero della Giustizia e della Pace cercherà di rendere visibile a tutti questa via nell’anno appena iniziato?
Innanzitutto ci dedicheremo a una diffusione capillare del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2012. Abbiamo poi in programma la celebrazione del cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Inviteremo proprio le nuove generazioni a riflettere sui suoi contenuti. C’è poi da preparare con cura la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Pacem in terris, nel 2013. Tra gli altri impegni di quest’anno segnalerei la preparazione della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che, come è noto, si svolgerà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno prossimo. Abbiamo anche in programma l’organizzazione, in collaborazione con altri organismi, di una conferenza sulla vita rurale e una serie di tavole rotonde su diversi argomenti: il traffico di esseri umani; la difesa della persona umana dal concepimento alla sua fine naturale; le strategie d’impresa per il bene comune; il rinnovamento della missione e dell’identità della formazione cattolica nel mondo degli affari; e infine le nuove sfide per i cattolici nella costruzione del bene comune. Naturalmente collaboreremo con gli altri dicasteri della Santa Sede per far comprendere che il culto di Dio è fondamentalmente un atto di giustizia, senza il quale non sono possibili gli altri atti di giustizia fra gli uomini. Cercheremo anche di rafforzare l’idea che la fede in Cristo è fondamentale per rinnovare la cultura e la società per il bene di tutti. In questo senso, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è pronto ad accogliere l’invito del Papa a intensificare gli sforzi per riaffermare la grande valenza intellettuale, spirituale e morale della fede. Il dicastero si adopererà per far comprendere a tutti che Cristo è la via per la pace, contribuendo così a esplicitare la dimensione sociale della nuova evangelizzazione, in sintonia con le prospettive del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre.
(©L’Osservatore Romano 6 gennaio 2012)
L’amore divino, estasi della carità
DI FRANCESCO TOMATIS (Avvenire, 04.07.2009).
P roseguendo le ricerche di teologia fondamentale svolte in costante confronto con la filosofia trascendentale, rosminiana in particolare, il teologo Giuseppe Lorizio, con il suo recente volume Le frontiere dell’amore, intende estendere il dialogo fra filosofia e teologia, ragione e fede, a quello fra città e Chiesa, toccando temi come quelli della testimonianza, della bellezza, della nomadicità e marginalità del pensiero credente. Attraverso la consapevolezza del carattere di frontiera del sapere, dell’umiltà della persona, della marginalità dello stesso credere, ecco che allora emerge l’orizzonte agapico, di amore trinitario in cui si staglia ogni sforzo umano, per quanto limitato, di vera benevolenza. Come indicò sant’Agostino: se vedi la carità, vedi la Trinità.
Ma ciò non perché la Trinità cristiana sia riducibile alle relazioni interpersonali umane d’amore. Resta infatti essenziale, come sottolinea Lorizio, l’asimmetria fra Dio e uomo, fra iniziativa divina e persone umane, benché in queste si trovi la traccia dell’infinito, proprio nella loro umile marginalità. Infatti è l’amore di Dio stesso a essere estatico, come affermò lo pseudo Dionigi l’Areopagita o come nell’idea paolina di kénosis divina è profondamente inteso, tanto che l’amore kenotico umano non ne è che cristiana imitazione. L’orizzonte agapico-erotico trinitario, secondo Lorizio, ispira l’elaborazione filosofica di una vera e propria metafisica della carità, che nell’analogia charitatis coglie la possibilità di comprendere la verità della marginalità del finito.
Ma sarebbe davvero impossibile, da parte di filosofie estranee alla fede cristiana, elaborare un’ontologia trinitaria, relazionale e interpersonale agapica? Lorizio stesso sostiene, seguendo Rahner e Rosmini, che la conoscenza di Dio, il cui vertice speculativo ha per proprio ambito il mistero trinitario, si compone di un aspetto trascendentale e, al tempo stesso, di uno a posteriori, a sottolineare il primato della grazia sovrannaturale rispetto, tuttavia, a un ancoraggio antropologico. Proprio l’analisi antropologica trascendentale conduce a quell’idea rosminiana dell’essere, innata all’uomo, all’idea insensibile di bianchezza, invisibile eppure lucente fonte sintetica d’ogni colore, che nell’estaticità kenotica a cui espone rivela esperienzialmente, senza positiva prensione conoscitiva, la potenzialità di una onnicorrelazionale, agapica ontologia. Come, con profonda intelligenza esteticoteologica, coglie Lorizio nel sacrificio di Isacco raffigurato da Marc Chagall: Abramo stesso sospende la propria esecuzione, leva in alto la mano nel biancore trascendente, dunque misticamente esperibile all’uomo umile, kenoticizzato, così posto fra rosso del dramma personale e azzurro della divina Shekhinah, a comprendere la immanente trama divina nella stessa finita, amorevole interpersonalità.
Giuseppe Lorizio
LE FRONTIERE DELL’AMORE
Pontificia Università Lateranense Pagine 368. Euro 25,00
Il decreto contro l’ordinazione delle donne suscita reazioni nel mondo cattolico
Traduzione di Stefania Salomone
Da Donne prete cattoliche
www.romancatholicwomenpriests.org
CONTATTO:
Bridget Mary Meehan: (703) 283-2929 (cell), 703-671-6712
sofiabmm@aol.com
La reazione della Associazione di Donne Prete Cattoliche al Decreto Vaticano di Scomunica *
L’Associazione Donne Prete Cattoliche rifiutano la scomunica comminata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che afferma "le donne prete e i vescovi che le ordinano saranno soggetti a scomunica ’latae sententiae’ ". Le Donne Prete Cattoliche sono membri fedeli della chiesa nella rigorosa tradizione profetica della disobbedienza a una norma ingiusta che discrimina le donne stesse.
Sulla scia di donne eroiche del passato nella tradizione ecclesiale come Ildegarda di Bingen, Giovanna D’Arco e S. Teodora Guerin, le quali hanno obbedito a Dio, seguendo la propria coscienza e opponendosi al dominio della gerarchia, nonostante le scomuniche, le interdizioni e la messa a morte.
In obbedienza a Gesù, disubbidiamo ad una legge ingiusta. La chiesa cattolica insegna che le norme ecclesiastiche sono autorevoli solo se ’coerenti’ con il sensus fidelium, cioè con le esigenze della comunità . Se la comunità non accetta la legge, essa non ha alcun effetto. Tutti hanno l’obbligo morale di disobbedire ad una legge ingiusta. S. Agostino ci ha insegnato che una legge ingiusta non È una legge. Dal momento che il 70% dei cattolici statunitensi è a favore dell’ordinazione delle donne e anche una sempre maggiore fetta di fedeli nel mondo lo è, noi non ’accettiamo’ la proibizione della chiesa riguardo l’ordinazione delle donne, così come rifiutiamo la costante attitudine sessista alla base della proibizione dell’ordinazione femminile.
Papa Benedetto XVI, quando era ancora Cardinale Ratzinger, ha dichiarato nella sezione di commento alla Dottrina del Vaticano II, volume V, pag. 134: "Al di sopra del papa, come rappresentante dell’autorità ecclesiastica, c’è la coscienza del singolo, alla quale bisogna obbedire in prima istanza, e se necessario anche contro le disposizioni della stessa autorità ".
Spesso le leggi della chiesa cattolica romana sono contradditorie. Infatti il canone 1024 limita gli ordini sacri agli uomini, mentre il canone 849 afferma che il battesimo È la porta di accesso a tutti i sacramenti. Il vescovo Ida Raming, dottore in teologia, sottolinea una antica convinzione della chiesa: "alcuni canonisti medievali sostenevano che fosse il battesimo e non l’appartenenza al genere maschile il requisito fondamentale per una valida ordinazione. Dopo il battesimo, chiunque può essere ordinato". (L’esclusione delle donne dal presbiterato: cause e esperienze).
Gli studiosi di oggi sostengono che nel primo millennio della storia della chiesa, molte donne furono ordinate. La prima parte della storia della chiesa ci fornisce svariati esempi dell’inclusione delle donne ai sacri ordini, che contraddice evidentemente il successivo divieto. Intendiamo reclamare questa importante tradizione al fine di riportare equilibrio, riconciliazione e rinnovamento alla chiesa che amiamo e a tutto il popolo di Dio che È stato ferito, emarginato e contrastato nel nome di Gesù Cristo che ha sempre detto, così come noi, che TUTTI SONO BENVENUTI.
"Le Donne Prete Cattoliche hanno intrapreso un percorso verso il rinnovamento della chiesa cattolica romana in cui la perfetta uguaglianza delle donne diventi realtà ", ha commentato Bridget Mary Meehan, portavoce dell’associazione statunitense. "Come Maria Maddalena, apostola fra gli apostoli, le diaconesse, le donne prete e vescovo dei primi secoli della storia, tendiamo ad un modello di presbiterato innovativo, un modello che preveda una comunità di eguali".
Il testo originale è stato tratto da: http://www.noisiamochiesa.org/
Gustavo Zagrebelsky, CONTRO L’ETICA DELLA VERITA’
L’ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky è una raccolta di scritti, in gran parte articoli apparsi negli ultimi anni sul quotidiano «la Repubblica», che hanno come minimo comune denominatore la tutela dello spirito secolare, laico della democrazia. Nella premessa viene subito spiegato che contro l’etica della verità significa contro la verità dogmatica e a favore di un’etica del dubbio proprio perché "la democrazia è il regime delle possibilità da esplorare attraverso discussione e confronto e secondo la logica del male minore o del bene maggiore nelle condizioni date". Le società democratiche sono delicate e quello che è il loro punto di forza, la libertà, è anche la loro maggiore debolezza: massificazione, conformismo, assopimento delle coscienze sono minacce sempre in agguato.
La democrazia è faticosa proprio perché "suscita stanchezza", "non promette nulla a nessuno ma richiede molto a tutti" e questa spossatezza suscita il desiderio di disporre di valori dati che ci sollevino dalla responsabilità di scegliere. In Italia il rappresentante più influente e potente di una verità assoluta è senza dubbio la Chiesa. Secondo Zagrebelsky essa, negli ultimi anni, ha operato un vero e proprio "revisionismo storico", abbandonando i principi ispiratori del Concilio Vaticano II, in cui "il mondo moderno era assunto come interlocutore positivo, portatore di moralità ed espressivo di segni meritevoli di ascolto. Diversa era la concezione del rapporto tra fede e ragione, tra fede ed attività dei cristiani nel mondo. La subordinazione al magistero della Chiesa nel campo della fede non era vista in contraddizione con la loro autonomia e responsabilità nei campi della ragione pratica". Il legame tra Stato e Chiesa, sempre forte nel nostro paese, vive oggi una ripresa in nome di una nuova alleanza stipulata non per la salvezza dell’anima bensì per la salvezza di tutta la società.
La Chiesa di Benedetto XVI si proclama "dialogante" ma per opportunismo e non per convinzione: il confronto con i non credenti è imposto da "condizioni storiche concrete [che] non consentono di fare altrimenti". Nelle recenti dichiarazioni del papa e dei più alti rappresentanti della religione cattolica (e dei cosiddetti "atei clericali" che Zagrebelsky vede come coloro che non si curano particolarmente della verità e della morale della Chiesa ma che piuttosto "tengono in gran conto il suo patrimonio di autorità, da investire politicamente") si intravede piuttosto una sorta di disprezzo: come chiamarlo altrimenti "l’amichevole" sentimento che suggerisce ai non credenti di «vivere come se Dio esistesse»? Il problema è certamente anche lo Stato, che ha la grande responsabilità di non salvaguardare con il rigore necessario le proprie prerogative e di accettare l’invadenza della Chiesa nelle cose temporali senza opporre, su molte questioni, un deciso: "Non possumus".
Per Zagrebelsky è importante ricordare e rivendicare con forza il cammino storico compiuto dalle democrazie liberali per divenire società secolarizzate, la loro lotta contro l’autorità prestabilita, quella, appunto, della Chiesa che, istituzionalizzandosi, ha privilegiato un’etica della verità basata su norme dottrinali generali e astratte e ha rigettato il principio evangelico della carità. Il cosiddetto «scisma sommerso» in tema di etica con il quale oggi la Chiesa si deve confrontare nasce proprio dal fatto che essa risponde alla domanda di carità con parole di verità e legalità: "in tema di concepimento della vita, maternità, cure terapeutiche, eutanasia, questioni di bioetica in generale, il magistero della Chiesa parla più di Vita che di viventi; in tema di sessualità più di Ordine naturale che di persone sessualmente caratterizzate; in tema di unioni tra esseri umani, più di Famiglia che non di soggetti che hanno tra loro relazioni di vita concreta. Ogni impostazione astratta dei problemi etici sacrifica necessariamente posizioni concrete, le quali, secondo la carità, dovrebbero trovare anch’esse ragione di essere riconosciute e sono invece disconosciute, spesso con grandi sofferenze personali". Gli spunti offerti da queste pagine sono molti, ma Zagrebelsky ci spinge soprattutto a raccogliere la sfida della democrazia, a rafforzarne i suoi principi, avendo come unica e preziosa garanzia la libertà medesima.
Le chiese: Dove sono dirette?
COSA sta succedendo alle chiese “cristiane”? Dalle vostre parti sono in declino o stanno prosperando? Forse avete sentito parlare di un risveglio spirituale, e di tanto in tanto da Africa, Europa orientale e Stati Uniti giungono notizie di congregazioni religiose che si espandono. Ma in altre parti del mondo, soprattutto nell’Europa occidentale, le notizie parlano di chiese che chiudono i battenti, di fedeli in diminuzione e di diffusa apatia nei confronti della religione.
Di fronte al calo delle presenze, molte chiese hanno cambiato stile. Alcune dicono di non voler giudicare o criticare il comportamento della gente, lasciando così intendere che Dio accetti qualunque tipo di condotta. Sempre più spesso anziché impartire istruzione basata sulla Parola di Dio le chiese offrono intrattenimento e attività ricreative, nonché attrazioni che nulla hanno di religioso. Anche se alcuni praticanti considerano questi cambiamenti un necessario adattamento alla realtà del mondo attuale, molte persone sincere si chiedono se le chiese non stiano deviando dalla missione affidata loro da Gesù. Esaminiamo le tendenze che hanno caratterizzato le chiese negli ultimi decenni.
Cosa sta accadendo alle chiese?
I LATINO-AMERICANI, dal Messico fino al Cile, sotto molti aspetti hanno culture simili. Quelli di età avanzata ricordano il tempo in cui c’era fondamentalmente una sola religione, il cattolicesimo. Nel XVI secolo i conquistadores spagnoli imposero questa religione con la forza delle armi. In Brasile il potere coloniale era nelle mani del Portogallo, anch’esso cattolico. Per 400 anni la Chiesa Cattolica appoggiò i governi al potere e ottenne in cambio sostegno economico e il riconoscimento quale religione ufficiale.
Negli anni ’60 del XX secolo, però, alcuni sacerdoti cattolici si resero conto che, sostenendo l’élite al potere, la Chiesa stava perdendo il consenso popolare. Intrapresero perciò una campagna in favore dei poveri, soprattutto promuovendo la cosiddetta “teologia della liberazione”. Il movimento iniziò in America Latina sotto forma di protesta contro le condizioni di miseria in cui versavano così tanti cattolici.
Eppure, nonostante il forte coinvolgimento del clero nella politica, milioni di persone hanno lasciato la fede cattolica per unirsi ad altre chiese. Sono cresciute e si sono moltiplicate le religioni in cui durante le funzioni si battono le mani e si innalzano canti appassionati, oppure si respira l’atmosfera di un concerto rock. “In America Latina”, dice Duncan Green, “il movimento evangelico si divide in un numero incalcolabile di sette, che spesso sono la manifestazione personale di un solo pastore. Quando un gruppo cresce, spesso si suddivide in nuove sette”.
L’Europa volta le spalle alle chiese
Per oltre 1.600 anni gran parte dell’Europa è stata sotto il dominio di governi che si professavano cristiani. Che dire di oggi? Mentre ci addentriamo nel XXI secolo, la religione in Europa sta forse prosperando? Nel 2002, in un suo libro sulla secolarizzazione dell’Occidente, il sociologo Steve Bruce ha scritto riguardo alla Gran Bretagna: “Nel XIX secolo quasi tutti i matrimoni venivano celebrati con rito religioso”. (God is Dead-Secularization in the West) Tuttavia, nel 1971 solo il 60 per cento dei matrimoni inglesi era religioso. Nel 2000 lo era appena il 31 per cento.
Nel commentare questa tendenza, un giornalista del Daily Telegraph che scrive in materia di religione ha detto: “Tutte le principali denominazioni, che si tratti di Chiesa d’Inghilterra o Chiesa Cattolica, oppure di Chiesa Metodista o Chiesa Riformata Unita, stanno subendo un graduale declino”. Riguardo a uno studio ha detto: “Entro il 2040 le Chiese britanniche saranno in via di estinzione con appena il due per cento della popolazione che frequenterà le funzioni domenicali”. Sono stati fatti commenti simili sulla condizione della religione nei Paesi Bassi.
“Negli ultimi decenni sembra che il nostro paese sia diventato decisamente più secolarizzato”, ha osservato l’Ufficio di Pianificazione Socio-Culturale olandese. “Si prevede che entro il 2020 il 72% della popolazione non apparterrà ad alcuna confessione religiosa”. Un quotidiano on-line tedesco dice: “Sempre più tedeschi si rivolgono alla stregoneria e all’occulto per ricevere il conforto che una volta trovavano nella chiesa, nel lavoro e nella famiglia. . . . In tutto il paese le chiese sono costrette a chiudere i battenti per la mancanza di fedeli”.
Le persone che in Europa vanno ancora in chiesa di solito non ci vanno per scoprire cosa Dio richiede da loro. Un articolo dall’Italia dice: “Gli italiani si costruiscono una religione su misura che sia adatta al loro stile di vita”. E un sociologo italiano afferma: “Dal papa prendiamo qualunque cosa ci sia congeniale”. Lo stesso si può dire dei cattolici in Spagna, dove la religiosità ha lasciato il posto al consumismo e alla ricerca di un paradiso da ottenere subito, quello economico!
Queste tendenze sono in netto contrasto con il cristianesimo insegnato e praticato da Cristo e dai suoi seguaci. Gesù non offrì una religione “self-service” o “a buffet”, in cui ognuno prende ciò che più gli aggrada e scarta quello che non è di suo gradimento. Egli disse: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda di giorno in giorno il suo palo di tortura e mi segua di continuo”. Gesù insegnò che il modo di vivere cristiano richiedeva sacrificio e sforzo a livello personale. - Luca 9:23.