Attualità locali

Domenico Barberio interviene propositivamente sul disagio a San Giovanni in Fiore, in Calabria

Quando c’era il vecchio web, 0.0
lunedì 12 dicembre 2011.
 

Del maggio 2008, rispolverato e ripubblicato.

Meritano particolare attenzione gli ultimi episodi di cronaca che hanno caratterizzato la vita della nostra comunità: i tre tentati suicidi di fine 2007 e il suicidio dell’aprile di quest’anno. In tutti e quattro i casi tragici protagonisti giovani sulla trentina. I numeri sono molto eloquenti ma è necessario andare oltre e cercare di problematizzare quello che questi numeri ci dicono.

Credo che questi fatti siano il segno evidente di un disagio individuale e sociale al contempo. Disagio sociale non più nascosto ma ormai sempre più dilagante. Ognuna di queste quattro storie racconta di lacerazioni, chiusure dentro se stessi senza ritorno.

Quei gesti così assurdi, ma anche così razionali, mostrano difficoltà irrisolte ma prospettano anche altro: una comunità in cui questi problemi si sono acuiti , esasperati, una comunità non accogliente, non solidale, dalle contraddizioni disarmanti. È un discorso difficile e delicato e un piccolo articolo non spiega niente, non legge la complessità dalle realtà e non ne risolve i problemi evidentemente.

A sviscerarla questa complessità servirebbero la psicologia sociale, la sociologia, la psichiatria, l’antropologia accanto, soprattutto, a uomini e donne di buona volontà. Diversi anni fa il dottor Salvatore Inglese, in servizio presso l’allora Cim (Centro igiene mentale) di San Giovanni in Fiore, cercò di affrontare questa complessità in un duplice modo: attraverso la cura dei suoi pazienti e la stesura di un piccolo libro dal titolo “L’inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia”.

Quello d’Inglese era sostanzialmente un lavoro tecnico, scritto per lettori specializzati, capace però di fornire anche ai “non tecnici” spunti importanti. Inglese è riuscito a far luce su lati bui, nascosti, dimenticati, fino ad allora taciuti, riguardanti la nostra intera comunità. Partendo dai cosiddetti casi clinici ha dato la possibilità di riflettere su nodi cardini della vita sangiovannese.

Oggi sarebbero utili lo spirito d’osservazione e l’impegno d’Inglese, ma forse non servirebbero. C’è bisogno d’altro perché l’urgenza del presente lo richiede. Perché quattro casi di suicidi in una piccola collettività come la nostra, in un lasso di tempo così breve e con persone di quell’età devono davvero destare l’allarme. E non è utile prendersela con i politici che amministrano,magari con il nostro assessore alle politiche sociali.

Alla fase della critica, che resta indispensabile, si deve accompagnare la fase della costruzione. Chiamati alla responsabilità e all’azione sono la scuola, la chiesa, e quelle poche associazioni presenti nel territorio oltre naturalmente gli enti che si occupano nello specifico di questi temi. Tutti quei soggetti che promuovono il confronto, la discussione e la partecipazione.

Anche in questo caso si aprono squarci poco incoraggianti e non solo perché la scuola e la chiesa, solo per citare a caso, attraversano fasi di decadenza a San Giovanni in Fiore. La crisi è generale : i modelli educativi che si impongono sono insufficienti, mentre inadeguate le persone chiamate ad attuarli.

Da qui, nonostante tutto, bisogna partire: un richiamo all’impegno, a chiederci cosa stiamo facendo e cosa ci sta capitando. Si potrebbe cominciare, per porre le basi e fare il punto della situazione, con un primo e sommario incontro pubblico.

L’importante è il dopo: interrogarsi, creare continui momenti d’incontro, per cercare,per capire, far venir fuori quel malessere recondito che sta ammorbando questa comunità e trova drammatico sfogo in ormai troppe occasioni.

GUBBIO, MAGGIO 2008

DOMENICO BARBERIO


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