La pastora Tomassone respinge l’attacco del papa alla 194
di Agenzia NEV del 13-5-2008
Per la vice presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia "collegare l’orribile violenza che mina la nostra società alla libertà di interrompere la gravidanza significa vedere nelle donne la porta d’accesso di ogni male" *
Roma, 13 maggio 2008 (NEV-CS24) - La pastora Letizia Tomassone, vice presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), respinge l’attacco di Benedetto XVI alla 194. In merito ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione:
"È esplicito questa volta, nelle parole del papa, il motivo per cui la gerarchia cattolica fa risalire alla legge sull’aborto ogni violenza e degradazione della società occidentale. Si tratta semplicemente del rifiuto che le decisioni etiche siano "affidate al giudizio del singolo". L’etica, per lui, deve stare invece nelle mani della gerarchia, la quale meglio conosce quale sia il bene di ognuno e di ognuna! A partire da questo disconoscimento della maggiore età delle cittadine e dei cittadini, ogni gesto etico della chiesa cattolica di sostegno e intervento sociale vengono quindi segnati dal paternalismo, quando non dall’imposizione. E’ così che questa chiesa non aiuta le persone a crescere e a decidere in piena libertà e responsabilità.
Eppure il pontefice, nel suo discorso al Movimento per la Vita, cita la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e parla del necessario riconoscimento della "dignità umana". Ma l’attacco a una legge che semplicemente sostiene la capacità delle donne e delle coppie di decidere sulla propria esistenza smentisce la volontà della chiesa cattolica di prendere sul serio quella dignità insieme alla libertà umana.
Collegare l’orribile violenza che mina la nostra società alla libertà di interrompere la gravidanza significa ancora una volta vedere nelle donne la porta d’accesso di ogni male ("la donna porta del diavolo"). E’ vero che assistiamo a una grande violenza sviluppata nella nostra società. Ma la sua genesi va piuttosto trovata nell’incapacità di gestire la libertà, e in un modello umano che spinge verso il consumo e la rapina pur di ottenere successo e soldi. Imparare ad affrontare i tornanti dolorosi dell’esistenza con responsabilità mi pare invece la via privilegiata per crescere e prendersi cura di sé e della convivenza sociale. La menzogna che possiamo delegare ad altri le scelte fondamentali della nostra vita ci rende incapaci di quella libertà che Dio stesso ci ha donato".
Articolo tratto da
NEV - Notizie Evangeliche
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evangeliche in Italia
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* Il Dialogo, Martedì, 13 maggio 2008
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Per un ri-orientamento teologico-politico.... Salviamo la Costituzione!!!
"Deus caritas est". Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante!!!
Assedio alla 194: dal Papa al boom dei medici obiettori
La situazione in Italia - 8 su 10 ginecologi si rifiutano di interrompere le gravidanze, gli aborti clandestini spopolano. La legge, dopo 40 anni, è sempre più ko
di Maddalena Oliva (Il Fatto, 11.10.2018)
Per il Papa sarà pure un atto non civile, pari all’ affittare “un sicario per risolvere un problema”. Che Bergoglio tuoni contro l’aborto non è una notizia, e nemmeno che lo faccia con un’espressione così forte. Lo sarebbe semmai il contrario (ma Papa Francesco, di questo periodo, ha ben altri pensieri).
Abortire, però, resta un diritto. E c’è una legge, tanto celebrata quest’anno per l’anniversario dei suoi 40 anni, che lo dovrebbe anche garantire.
Ma così succede nella realtà?
Ci sono donne costrette a “emigrare” perché nelle regioni di residenza le attese sono di settimane, per i tanti ginecologi obiettori. Altre che vengono invitate a rivolgersi ai centri privati. Altre ancora che si ritrovano in coda all’alba, in scantinati squallidi e freddi con la volontaria dell’associazione “pro vita” che ti parla di “omicidio”. Era il22 maggio 1978 quando in Italia fu promulgata lalegge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, dopo un’aspra battaglia che spaccò in due il Paese. Quarant’anni dopo, nei giorni in cui infiamma la polemica sulla “mozione per la vita” approvata dal consiglio comunale di Verona, le difficoltà segnalate da operatori, associazioni e pazienti diventano motivo di nuova mobilitazione: a partire da sabato prossimo, proprio a Verona.
Guardando i numeri, e scorrendo l’Italia regione per regione, i medici che non garantiscono di effettuare l’intervento di interruzione di gravidanza, per motivi di coscienza, sono il 70,5%, secondo l’ultimo monitoraggio nazionale presentato in Parlamento. Il record di obiettori (oltre l’80%) si registra al Sud.
In Molise, per esempio, è rimasto solo il dottor Michele Mariano - intervistato qualche giorno fa dal Mattino - a praticare gli aborti. Un ginecologo solo, per un’intera regione. “Nessuna donna chiede aiuto con piacere. Io ne seguo in media 400 all’anno che arrivano da regioni vicine”, sottolinea il dottor Mariano. “Vorrà dire che andrò all’inferno, e i miei colleghi, obiettori di coscienza, in paradiso. Ma tutti siamo a favore della vita. Qui si tratta solo di applicare una legge e fare in modo che una cosa dolorosissima sia possibile come libera scelta, mettendo da parte le ideologie. Ma vedo un rigurgito anti-abortista della politica, anche a sinistra”.
Nel Lazio, l’aborto dopo il terzo mese viene effettuato solo nella Capitale, proprio perché sono rimasti in pochissimi i medici a effettuare questo intervento. Ci sono poi strutture che accettano solo un numero limitato di richieste al giorno, quindi chi vuole abortire deve raggiungere all’alba lo sportello.
Ancora: l’aborto farmacologico, attraverso la somministrazione della pillola Ru486, è possibile di fatto solo a macchia di leopardo. In Finlandia avviene nel 98% dei casi, proprio per promuovere un intervento meno invasivo: in Italia, nel 15%. Perché spesso il farmaco non è nemmeno disponibile, nei parti degli ospedali come nelle farmacie (dove la pillola abortiva è uscita dalla lista di emergenza dei prodotti obbligatori da banco).
Silvio Viale, ginecologo pioniere della somministrazione ordinaria della Ru-486 a Torino, ha replicato su Facebook a Francesco: “Sono un medico, non un sicario. Tutti coloro, comprese le ministre, che fanno diagnosi pre-natale, lo fanno per sapere se dovranno abortire. Il 99,9% di chi ha una diagnosi prenatale infausta decide di abortire. Io rispetto questa volontà e garantisco questo diritto”.
E poi c’è l’aborto clandestino che è ancora oggi, nel 2018, una realtà. Specie per le immigrate, che acquistano nella maggior parte dei casi medicinali su internet.
A Castel Volturno, denuncia Emergency, alcuni volontari hanno accompagnato al pronto soccorso ragazze straniere al 7° mese di gravidanza con nello stomaco 50 compresse di gastroprotettore usato per abortire.
Onu e Consiglio d’Europa hanno più volte richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la “discriminazione” nei confronti del personale sanitario non obiettore. È la stessa legge 194 a imporre che “l’espletamento delle procedure” e “l’effettuazione degli interventi richiesti” debbano essere garantiti, ma nella realtà le cose vanno molto diversamente.
E in futuro? “I non obiettori hanno in media 50-60 anni”, raccontava un medico a Palermo al nostro mensile MillenniuM, mentre gli specializzandi di ginecologia hanno pochissime occasioni di fare pratica. Così “nel giro di dieci anni, la 194 potrebbe diventare inapplicabile”.
La relazione
Quarant’anni di un diritto
Così la legge 194 ha fatto crollare gli aborti in Italia
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 16.01.2018)
ROMA «Le donne hanno smesso di morire d’aborto, basterebbe questo per dire che la legge 194 ha funzionato e funziona. E io me le ricordo, quarant’anni fa, quelle donne e ragazze che arrivavano di notte in ospedale, devastate dalle emorragie dopo le famose interruzioni con il ferro da calza. Molte restavano mutilate per sempre. Con la legge 194 l’aborto ha smesso di essere una questione privata per diventare una questione sociale di cui lo Stato si è fatto carico. È stata una rivoluzione. Imperfetta, ma una rivoluzione». Carlo Flamigni ha 85 anni, è uno dei ginecologi più famosi d’Italia, pioniere della fecondazione assistita, ma anche protagonista di quella battaglia che negli anni Settanta ha cambiato nel profondo la nostra società, la famiglia, la maternità.
Approvata nel 1978, confermata dal referendum del 1981, la legge sull’aborto compie quarant’anni il 22 maggio prossimo. Un tempo abbastanza lungo per fare un bilancio, come infatti suggerisce la Relazione al Parlamento sull’attuazione della 194 presentata dalla ministra Lorenzin, dove per la prima volta si tenta una “analisi storica”. E se i numeri di quest’anno confermano la drastica riduzione degli aborti, passati dai 234.801 del 1982 (l’anno in cui le “Ivg”, interruzioni volontarie di gravidanza, raggiunsero il massimo storico) ai 84.926 del 2016, nello stesso tempo si assiste a un vero e proprio boom della contraccezione d’emergenza. In particolare dell’uso della “pillola dei cinque giorni dopo” (EllaOne) le cui vendite, dopo la caduta dell’obbligo di ricetta medica per le donne maggiorenni, è passata dalle 7mila confezioni del 2012 alle 189.589 del 2016. Se dunque abbiamo imparato a non abortire (pur potendo farlo), sul fronte dell’uso di pillola e condom siamo davvero indietro. Di fatto una contraddizione.
Ma al di là dei dati di oggi, nello sguardo sui 40 anni della legge, la Relazione afferma un principio fondamentale. «L’aborto volontario, dopo una prima fase iniziale, è costantemente diminuito e non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite».
Se pensiamo che nel 1961, come denunciò una famosa inchiesta di “Noi donne”, gli aborti clandestini superavano il numero (spaventoso) di un milione l’anno, è evidente quanto la legge del 1978 abbia segnato il passaggio da un’Italia quasi post contadina a un’ Italia moderna. Livia Turco, a lungo parlamentare del Pd, ministra delle Pari Opportunità e poi della Salute, quella stagione da giovane militante comunista se la ricorda bene. E al tema della difesa della legge 194 ha dedicato un bel libro uscito di recente: “Per non tornare nel buio”. Perché in fondo nulla è garantito. E le proposte di revisione (restrittiva) della legge si susseguono ad ogni legislatura.
«Lo scontro fu feroce e lacerante. La Destra e una parte dei Cattolici dicevano che la legalizzazione avrebbe fatto aumentare a dismisura il numero degli aborti, banalizzandone la scelta. Invece oggi si dimostra che l’autodeterminazione delle donne ha prodotto una cultura della responsabilità e soprattutto si è arginata la piaga dell’aborto clandestino. Ma è della applicazione della 194 che bisogna tornare a parlare, uscire dal cono d’ombra». Perché l’obiezione di coscienza è ormai un dramma.
Spiega Livia Turco: «Ci sono interi ospedali dove le interruzioni non vengono praticate e le donne devono migrare di regione in regione, spesso con il rischio di superare i tempi legali. E poi i dati sul ricorso alla pillola del giorno dopo dimostrano che è sulla contraccezione che bisogna investire, pensando ai giovani, rendendola gratuita. Ma credo che una maggiore diffusione della Ru486, l’aborto farmacologico, potrebbe mitigare il ricorso all’obiezione di coscienza».
Immigrate, ragazze giovani. Sono loro le donne più a rischio. (Il 30% di tutte le interruzioni riguarda le straniere). Silenzio e solitudine i loro nemici.
Racconta Carlo Flamigni: «A 40 anni dalla sconfitta delle mammane e dei cucchiai d’oro, ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di clandestinità che il ministero rifiuta di vedere. Avete presente quante pillole per abortire si possono comprare su Internet? O farmaci che comunque aumentano la contrazioni uterine? La legge 194 va protetta e pubblicizzata, la contraccezione favorita in ogni modo. Altrimenti si torna indietro».
Michele Mariano è l’unico ginecologo non obiettore del Molise. Dirige un piccolo reparto di eccellenza all’ospedale “Cardarelli” di Campobasso, dove applica la legge 194. «Ormai da me arrivano donne da tutto il centro Sud. È incredibile. Dal Lazio, dall’Abruzzo, dalla Campania, perché i centri chiudono. Fanno centinaia di chilometri ma sanno che qui saranno accolte. E poi le migranti, spesso sbarcano in Italia già incinte. Ho visto troppe donne rovinate dagli aborti clandestini prima che ci fosse la legge, per questo continuo a lavorare in trincea, praticando 400 aborti l’anno. Sono orgoglioso di quello che faccio, ma sa qual è l’amarezza? A 40 anni dalla nascita di questa legge, noi che l’abbiamo voluta, siamo anche tra gli ultimi ginecologi ad applicarla, perché ormai tutti obiettano. Cosa accadrà quando andremo in pensione?».
L’inchiesta
L’aborto diventa fai da te
Le pillole abortive in vendita on line e al mercato sotto casa
80% I medici e i ginecologi obiettori in Italia, che si rifiutano di praticare l’aborto
99% L’efficacia della contraccezione di emergenza, in Italia difficile da reperire
FACCIO DA SOLA. Le donne e le pillole antiabortive
di Marco Bucciantini ( l’Unità 17.12. 2013)
Il feto aveva sedici settimane e le acque si erano rotte. Nell’Irlanda occidentale, sulla baia di Galway, una dentista indiana di 31 anni, Savita Halappanavar, capì in fretta che non sarebbe diventata madre. Un feto così piccolo non può sopravvivere. Chiese ai dottori di praticare l’aborto terapeutico per scongiurare rischi alla propria salute. Le risposero che nel feto batteva il cuore: la legge irlandese proibisce l’interventoLa richiesta diventò una supplica. Niente. L’indomani il feto muore, ma Savita non lo sa: ha già perso conoscenza, con la setticemia nelle veneNon riuscirà più a parlare con il marito Praveen. Morirà tre giorni dopo il feto.
In Italia l’aborto è legale: tutti lo sanno. Anche le organizzazioni che inviano a domicilio l’Ru486. Sono molte, esistono, crescono, in America, in Francia, in Inghilterra (dove si spostano circa 6mila irlandesi l’anno, e dove Savita non poté andare per la salute compromessa). Un sito olandese (womenonwaves.org) fa da distributore automatico di mifepristone (con il misoprostolo uno dei principi che provoca l’interruzione di gravidanza). Se nel domicilio del richiedente viene scritto «Italia», appare una schermata perentoria: «Nel tuo paese l’aborto è legale. Un aborto legale è sempre meglio di un aborto clandestino».
Questi sono posti dove ci “porta” Lisa Canitano, presidentessa dell’associazione Vita di Donna, onlus per la tutela della salute femminile. Lei è la “guida” di questa pagina che poteva cominciare anche in modo strano, con una preghiera che si trova su Internet nella pagina di benvenuto del sito dei farmacisti cattolici. «Dio mio, Tu sei l’unica fonte della vita, della luce e della verità! (...) Fai che noi farmacisti cristiani, istituiti a servizio della Vita, non dimentichiamo mai che possediamo la vita eterna soltanto se viviamo in Te, ma che la estinguiamo se abbandoniamo Te e la Tua legge». Il presidente di questo gruppo molto influente è Piero Uroda, che è il paladino di chi rifiuta di vendere farmaci contraccettivi d’emergenza (questo è un punto fondamentale: la pillola e la spirale del giorno dopo non sono farmaci abortivi ma contraccettivi d’emergenza, tra l’altro con una efficacia superiore al 99%).
Davanti al paradosso di una farmacia di soli obiettori, Uroda reagisce così: «Perché dovrei lavorare con colleghi che non condividano il rispetto della vita?», situazione che impedisce al cliente di godere di un diritto dello Stato, ma anche questo non tormenta Uroda, che anzi si accende: «Il nostro diritto di non vendere questi farmaci è superiore a quello di chi richiede il prodotto». Superiore: una gerarchia che non esiste nella legge, ma alligna in quella preghiera.
Fra la penosa storia di Savita e questo spostamento nel trascendentale la strada è lunga solo in geografia (da via della Conciliazione fino a Galway). Fra queste posizioni limite e lo “spaccio” internet (o al mercato sotto casa, come si legge nell’intervista a fianco) la distanza è invece troppa, ma la verità non sta nel mezzo. C’è un diritto intestato dalla legge, c’è una difficoltà oggettiva a disporne
Non solo in Italia: questo dato «sovranazionale» è decisivo per capire la tendenza netta e irreversibile dell’aborto fai-da-te, tramite farmaci reperiti lontano dalle farmacie, e interventi praticati lontano dalle struttureIn America dove i rigurgiti antiabortisti affiorano ciclicamente e ammorbano anche i legislatori dei vari Stati l’Istituto di salute pubblica è arrivato a teorizzare la pratica individualeFornendo dati, e premettendo (la premessa è fondamentale), che le «donne abortiscono da tempo immemore, ma la criminalizzazione dell’aborto è invece un fenomeno più recente, grossomodo datato al XIX secolo, supportato da norme sociali patriarcali connesse al ruolo domestico femminile, oltre che da un desiderio di controllo della sessualità delle donne»
E poiché il misoprostolo (si usa per indurre contrazioni) «è sicuro ed efficace», l’uso del farmaco ha significativamente aumentato l’accesso a un aborto sicuro per migliaia di donne, specialmente povere, giovani, cronicamente poco assistiteProprio da questo spaccato (le immigrate dal Sudamerica) è emerso l’uso “improprio” del Cytomec, nome commerciale del misoprostolo, farmaco da banco venduto per curare la gastrite, con la controindicazione che poteva indurre l’abortoIl passaparola ne ha esteso l’uso. Se assunto in associazione al mifepristone, l’efficacia nell’indurre l’aborto completo arriva al 98%
Forti di questi dati, le donne negli Stati Uniti stanno prendendo in mano la questione
In Francia (womenonweb.org/fr) e in Inghilterra (bpas.org/bpaswoman) la questione dell’autodeterminazione è dibattuta e la pratica della pillola assai radicata (in Francia la metà degli aborti si fanno con la Ru486)
Nell’Italia dell’obiezione di coscienza che riguarda quasi l’80% dei medici (c’è anche chi si rifiuta di operare le gravidanze extrauterine, che è condizione mortale nella donna), nell’Italia dell’obbligo dei tre giorni di ricovero (e dell’assenza di posti letto, con i tempi d’attesa che diventano “pericolosi”), dei consultori chiusi di sabato e domenica (giorni “caldi”, quando per rimediare a un preservativo rotto potrebbe bastare la contraccezione d’emergenza), questo mercato alternativo è giocoforza destinato a crescere, anche perché l’assistenza di esperti è garantitaQualcuno, come Lisa Canitano, lo speraAltri preferirebbero un percorso comunque ospedaliero.
Intanto le donne s’informano, si rivolgono dove trovano accesso e possibilità, per le strade di un mercato, rivolgendosi alle associazioni femminili, comprando online, appoggiandosi ai dottori fuori confine (Svizzera, Grecia), che dietro un consenso informato somministrano la Ru486 e il Cytotec (per 600 euro). Semplicemente, anche le donne italiane si appropriano di un loro diritto, come possono, dove possono.
«Porta Palazzo, il farmaco a 300 euro»
di M. Buc. (l’Unità, 17.12.2013)
«Il nome no». Questa è la situazione di Porta Palazzo, la città parallela, il mercato torinese dove si vende tutto, anche l’anima. Chi si spende per “assorbire” un po’ dell’illegalità e per aiutare chi fronteggia un momento triste della vita, vuole e deve restare anonimo, perché un nome e cognome, in mano a chi comanda a Porta Palazzo, sono un volto da cercare e non certo per chiedere spiegazioni.
Porta Palazzo è il più grande mercato all’aperto d’Europa, è grossomodo in mano alle molte comunità straniere di Torino, i pochi italiani che ancora vendono la merce fanno comunque gestire le bancarelle agli stranieri. C’è chi piazza frutta e verdura, chi piazza se stesso (muratori, facchini), c’è chi vende refurtive varie e c’è chi spaccia le pillole contraccettive e quelle abortive, «con il principio attivo identico a quelle di marcaInfatti funzionano».
Dunque, a Porta Palazzo si va anche per abortire, lontano dai dottori, dagli ospedali, dagli impacci burocratici, dagli obiettori di coscienza e dalle norme minime di sicurezza personale. «Infatti noi siamo qui, a presidiare, a dare una mano, a evitare che un’emorragia si trasformi in qualcosa di irreparabile». Succede nella città del Sant’Anna, dove Silvio Viale iniziò la somministrazione della pillola Ru486. Qui, nella regione leader in Italia nella somministrazione di questo farmaco.
Chi governa il mercato abusivo delle pillole abortive?
«I cinesi, da sempre, perché in Cina si produce questo farmaco con il principio attivo identico alle Ru486 e perché loro hanno messo le mani su quest’affare, e quando i cinesi afferrano qualcosa che rende bene, non si fanno più strappare il tesoro».
Chi sono le clienti?
«Quasi sempre donne straniere, spesso arabe. Per loro l’arrivo in Italia è anche la scoperta del sesso “libero”, poi però diventa difficile giustificare una gravidanza. Non sono sposate ma sono incinte: per la loro cultura, per la loro religione, per il loro ruolo nella società, diventa una situazione drammatica».
Anche l’aborto è un dramma.
«Lo sanno. Ma hanno urgenza, vogliono fare in fretta e conoscono poco i loro diritti».
Sono molte le prostitute?
«Sì, ma non sono la maggioranza».
Vengono anche le italiane?
«Sì, non molte, ma ci sono anche loro, circa il 10% del totale. Soprattutto quelle emarginate dal “sistema” e coloro che vogliono evitarsi le lunga trafila delle strutture pubbliche».
Conosce i numeri di questo mercato?
«Sono giganteschi. Non abbiamo dati, ma vediamo ogni giorno questo spaccio, e anche pochi minuti fa è arrivata da noi una ragazza (italiana) che aveva preso la pillola. Stava male, l’abbiamo monitorata per alcune ore».
Quanto costa la pillola procurata in questo modo?
«Fra i 300 e i 400 euroPer l’aborto fai-da-te girano migliaia di euro al giorno, e sono tanti in un mercato dai prezzi bassi, dove un Pc usato e forse rubato viene venduto a 100 euro».
Che efficacia ha?
«100%».
Quante donne ha soccorso in questi anni e per quali motivi?
«Molti casi di allergia, con pruriti e gonfiori e due volte anche donne in emorragia, che ho dovuto portare all’ospedale, nonostante le resistenze: temevano di essere denunciate per il reato di clandestinità».
È accaduto?
«No».
Legge 194, la minaccia delle troppe obiezioni
di Silvia Ballestra (l’Unità, 23.10.11)
Un diritto conquistato, acquisito e in via di estinzione: il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza sancito dalla legge 194. L’allarme arriva dai ginecologi della «Laiga», (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’ Applicazione della 194) ed è chiaro e semplice: i medici che praticano l’aborto nelle strutture pubbliche italiane non sono più di 150, mentre la percentuale di obiettori supera il 70 per cento. A farla breve, tra cinque anni in Italia sarà impossibile abortire legalmente in strutture pubbliche, cioè si cancellerà un diritto e si affosserà una legge che ha dato eccellenti risultati (aborti entro la dodicesima settimana più che dimezzati dal 1982).
Perché accade questo? Possibile che tutte le obiezioni di coscienza abbiano solide radici morali o religiose. Certo che no. Con i non obiettori costretti a rispondere da soli alla domanda di interventi, infatti, accade che chi obietta abbia più possibilità di carriera, promozioni più facili, agevolazioni, promozioni più veloci, complici le gerarchie sanitarie.
Naturalmente intervenire sarebbe semplice e basterebbe qualche minimo ritocco alla legge. Per esempio continuare a garantire ai medici (e anestesisti, paramedici, ecc.) il diritto all’obiezione di coscienza, vincolandolo però ad alcune condizioni (scatti meno frequenti, minor retribuzione, limitate possibilità di carriera). Potremmo in questo modo salvaguardare un diritto che ha salvato la vita a molte donne e al tempo stesso non è un dettaglio verificare la sincerità di tante scelte «morali» che nascondono dietro le sbandierare convinzioni pro-vita le loro egoistiche aspirazioni pro-carriera.