CINEMA, STORIA, E POLITICA ...

ABRAHAM LINCOLN E GLI STATI UNITI DI AMERICA, OGGI: LA LEZIONE DI STEVEN SPIELBERG. Incontro a Roma di Natalia Aspesi con il regista e Day-Lewis, il protagonista del colossal storico - a c. di Federico La Sala

domenica 20 gennaio 2013.
 

Cinema e "Arche-e/o-Logia"!!! "La X è il punto dove scavare" (Indiana Jones e l’ultima crociaya))
-  INDIANA JONES, 4. Steven Spielberg alla regia, Harrison Ford con cappello e frusta, George Lucas al pensatoio (Indy è creatura più sua che di Steve) hanno dato il meglio di sé, e il loro «meglio» è roba buona.


-  La sfida di Spielberg e Day-Lewis:
-  "Lincoln, il sogno che ci manca"

Incontro a Roma con il regista e il protagonista del colossal storico sul presidente Usa che uscirà il 24 gennaio. "Abbiamo reso umano il monumento americano"

di NATALIA ASPESI *

ARRIVA in Italia, nel pieno di una caotica incerta campagna elettorale, un film che racconta di un caotica incerta battaglia di 158 anni fa all’interno del Congresso degli Stati Uniti, che terminò con la più epocale delle vittorie democratiche di quel grande paese. L’approvazione del 13° emendamento alla Costituzione, che dopo 250 anni aboliva per sempre e in tutti i suoi Stati, la schiavitù. Sono a Roma il regista e il protagonista di Lincoln e ne hanno parlato con i giornalisti.

Sono Steven Spielberg e Daniel Day-Lewis: il primo, americano, 67 anni, ha diretto film di massimo incasso come I predatori dell’arca perduta e E. T., ha vinto 2 Oscar con due nobili film, Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, Lincoln è candidato a 12 statuette. Ha avuto due mogli attrici, alla prima ha concesso un divorzio miliardario, la seconda si è convertita all’ebraismo, ha sette figli. Il secondo, angloirlandese, 56 anni, ha vinto 2 Oscar per Il mio piede sinistro e Il petroliere. Fuori dalla bruttezza magnetica e irsuta di Lincoln, è un bell’uomo alto e sottile, capelli grigi a spazzola e un sorriso fiammeggiante. Figlio di un grande poeta angloirlandese e di una madre ebrea lituana, ha avuto un figlio dall’attrice Isabelle Adjani e due dalla moglie Rebecca Miller, regista figlia del drammaturgo Arthur Miller.

Lincoln ha la forza e la capacità emotiva di raccontare oggi, in tempi di delusione e rifiuto della politica, come invece la stessa possa essere alta, necessaria, solenne, se a gestirla è una grande, generosa personalità, mossa solo dal dovere verso il bene comune, come fu Abraham Lincoln, repubblicano, 16° presidente degli Stati Uniti, che seppe usare ogni astuzia, ogni manovra, ogni scorrettezza, per ottenere quei 20 voti che gli erano necessari per cancellare almeno davanti alla legge, la più grande delle ingiustizie, la schiavitù dei neri. Naturalmente il calvario degli uomini di colore, anche se liberi, sarebbe continuato per decenni e decenni, con l’esodo dal Sud al Nord di 6 milioni di neri dagli anni 30 ai 60 del Novecento, raccontato da Isabel Wilkerson, nel saggio Al calore dei soli lontani (Saggiatore)

Spielberg: "Ma oggi presidente degli Stati Uniti, rieletto come fu Lincoln, è Barak Obama, che non per niente ha nel suo studio un ritratto di chi liberò i neri. Nel nostro immaginario, Lincoln era diventato una specie di santo, la testona scolpita sul monte Rushmore, la faccia stravagante stampata in verde sui biglietti da 5 dollari, una figura apolitica, di tempi antichi e fumosi, e per questo buoni e puliti. Con lo sceneggiatore Tony Kushner che si è in parte ispirato al libro Il genio politico di Lincoln di Doris Kearn Godwin, abbiamo voluto, come mai era ancora stato fatto dal cinema, restituire al monumento la sua umanità, rendere contemporanea, quindi utile oggi, nella confusione e inquietudine del mondo, la sua azione politica, dettata da astuzia, ambizione, fermezza, la convinzione che per raggiungere una meta ideale, bisogna anche sporcarsi le mani: non tanto, ma un po’, certo, sì".

È ovvio che la forza del film sta anche nell’aver scelto come protagonista Daniel Day Lewis, tra l’altro coetaneo del presidente nei giorni cruciali del Congresso, della fine della sanguinosa guerra di secessione tra nordisti e sudisti, tra l’Unione e i Confederati, durata quattro anni e costata 400 mila morti. Di se stesso giovane Lincoln aveva scritto, "ero un ragazzo strano, senza amici, senza cultura, senza soldi". I suoi contemporanei l’hanno descritto come ambizioso, senza scrupoli, malinconico eppure con l’abitudine di raccontare aneddoti scherzosi per distrarre i suoi interlocutori e incomprensibili per innervosirli. Lo avevano soprannominato il Gorilla.

Day-Lewis: "Per capire l’animale politico bisognava che studiassi l’uomo. Non bastava infatti che seguendo le descrizioni d’epoca, imparassi a camminare a fatica, un po’ curvo, coi piedi piatti, tenendo le braccia lungo i fianchi, che mi avvolgessi le spalle in una coperta, che m’imponessi una voce da tenore ma forte, e un accento americano dell’Illinois. Bisognava che capissi i meccanismi della sua volontà, delle sue convinzioni e della sua genialità politica: impararne i fastidiosi silenzi, i sorrisi irritanti, le insopportabili divagazioni, capire il senso epocale dei suoi brevi discorsi pubblici.

Come uomo mi ha commosso la sua devozione di padre in tempi in cui questo legame era abbastanza fluido, l’affetto protettivo per la moglie (nel film Sally Field, ndr), donna apprensiva e fragile che di 4 figli, ne aveva presto persi due. Come uomo politico mi ha colpito l’audacia, la freddezza, con cui ha preferito non trattare la resa dei Confederati, cioè la fine del massacro, prima di ottenere la fine costituzionale della schiavitù, che con la pace forse non sarebbe stata raggiunta".

Spielberg: "Ma anche l’intelligente, calcolata pazienza, il non volere tutto e subito, il sapere stare in mezzo, opporsi agli estremismi, oggi si dice essere moderati, con la certezza della meta da raggiungere, nei tempi giusti e senza promettere ciò che non si potrà dare. Penso che queste regole siano ancora vincenti, e la consiglierei a chi come in Italia, deve convincere il popolo a votarlo. Lui non temeva i compromessi, ma anche non aveva rancore per i suoi nemici, riuscendo poi quasi sempre a farseli amici. In Le Idi di marzo il candidato presidente democratico George Clooney e i suoi avversari giocano molto sporco. Lincoln vinse il 13° emendamento senza infrangere nessuna legge, solo con la sua sapienza degli uomini e della politica".

Il settimanale Time, di Day-Lewis, tra l’altro il solo vincitore del Golden Globe per il film che aveva 7 candidature, dice, "il più grande attore vivente interpreta il più grande dei presidenti americani". A proposito di grandezza, lei ha pensato di avere qualcosa in comune con Lincoln?

Day-Lewis: "Rifiuto la responsabilità di quell’aggettivo: ci sono tanti attori straordinari e semmai sono onorato di essere considerato uno di loro. Per questo film, perché poi noi attori possiamo essere bravi o pessimi a seconda del momento, della storia, del ruolo. Forse con l’uomo, non certo col presidente, potrei avere in comune, il bisogno di silenzio, talvolta di solitudine, forse la vocazione di padre: c’è una frase di Lincoln che mi piace: "È l’amore a creare l’anello che incatena un padre ai figli"".

Durante una infuocata giornata del Congresso, un rappresentante degli stati confederati segregazionisti, grida: se libereremo gli schiavi, poi i neri pretenderanno il voto, e arriveranno a chiederlo anche le donne. Il congresso accoglie la ferale minaccia con orrore, il pubblico in sala ride. È un episodio vero?

Spielberg: "No, ce lo siamo inventati, ma le donne di quei tempi lo immaginavano, e infatti lottarono perché i neri lo ottenessero. Solo dopo, nel 1920 è stato firmato il 13° emendamento alla costituzione che estendeva il suffragio universale anche alle donne".

* la Repubblica, 18 gennaio 2013


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

CINEMA, POLITICA, E FILOSOFIA. Un omaggio a Steven Spielberg ....
-  PAURA DELLLA GUERRA CIVILE, SCHIAVITU’, E COSTITUZIONE. Dal film "Amistad", l’arringa davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti di John Quincy Adams.


"IO HO UN SOGNO". IL DISCORSO DEL 28 AGOSTO 1963 A WASHINGTON

DI MARTIN LUTHER KING *

Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sara’ ricordata come la piu’ grande manifestazione per la liberta’ nella storia del nostro paese. Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmo’ il Proclama dell’emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattivita’.

Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri e’ ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione. Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di poverta’, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della societa’ americana, si ritrovano esuli nella propria terra.

Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un "paghero’" di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarita’. Il "paghero’" conteneva la promessa che a tutti gli uomini, si’, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: "vita, liberta’ e ricerca della felicita’".

Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che e’ tornato indietro, con la scritta "copertura insufficiente". Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunita’ di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della liberta’ e la garanzia della giustizia.

Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non e’ fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo. Adesso ’ il momento di tradurre in realta’ le promesse della democrazia. Adesso e’ il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso e’ il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternita’. Adesso e’ il momento di tradurre la giustizia in una realta’ per tutti i figli di Dio.

Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste. L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finira’ finche’ non saremo entrati nel frizzante autunno della liberta’ e dell’uguaglianza. Il 1963 non e’ una fine, e’ un principio. Se la nazione tornera’ all’ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un po’ e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa.

In America non ci sara’ ne’ riposo ne’ pace finche’ i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finche’ non spuntera’ il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’e’ qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci portera’ a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di liberta’ bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignita’ e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima.

Il nuovo e meraviglioso clima di combattivita’ di cui oggi e’ impregnata l’intera comunita’ nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perche’ molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino e’ legato al nostro. Hanno capito che la loro liberta’ si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro.

C’e’ chi domanda ai seguaci dei diritti civili: "Quando sarete soddisfatti?". Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalita’ poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle citta’, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ tutta la facolta’ di movimento dei neri restera’ limitata alla possibilita’ di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno piu’ grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identita’ e derubati della dignita’ dai cartelli su cui sta scritto "Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare. No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai soddisfatti, finche’ la giustizia non scorrera’ come l’acqua, e la rettitudine come un fiume in piena.

Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la liberta’ sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalita’ poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione.

Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre citta’ del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione puo’ cambiare e cambiera’.

Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficolta’ di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgera’ e vivra’ il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verita’ evidenti di per se’, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternita’.

Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformera’ in un’oasi di liberta’ e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalita’.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno, laggiu’ nell’Alabama, dove i razzisti sono piu’ che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio la’ nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno ogni valle sara’ innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sara’ rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme. Questa e’ la nostra speranza. Questa e’ la fede che portero’ con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza.

Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternita’.

Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la liberta’, sapendo che un giorno saremo liberi.

Quel giorno verra’, quel giorno verra’ quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo: "Patria mia, e’ di te, dolce terra di liberta’, e’ di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell’orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi liberta’". E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero.

E dunque, che la liberta’ riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire.

Che la liberta’ riecheggi dalle possenti montagne di New York.

Che la liberta’ riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.

Che la liberta’ riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.

Che la liberta’ riecheggi dai pendii sinuosi della California.

Ma non soltanto.

Che la liberta’ riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.

Che la liberta’ riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Che la liberta’ riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la liberta’.

E quando questo avverra’, quando faremo riecheggiare la liberta’, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da ogni citta’, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: "Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio onnipotente, siamo liberi finalmente".

* TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
-  Numero 3331 del 17 marzo 2019

-  Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XX)
-  Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: -centropacevt@gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/


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