Quanto sto per dire sembrerà singolare, insolito, impopolare e per alcuni assurdo, ma la tesi che sostengo è che uno dei maggiori nemici di Papa Ratzinger nella sua lotta al relativismo socio-culturale e religioso sia il figlio di Dio, Gesù Cristo.
L’assunto è alquanto semplice. Alle origini del Relativismo c’è la crisi dell’Autorità, quel senso di rapporto tra chi comanda e chi ubbidisce.
Per Relativismo si indica quel sentire generale della precarietà delle cose (valori, leggi, opinioni, credenze) che appaiono sempre più mutevoli e meno assoluti, meno eterni e meno incangiabili, sempre più adattabili ai contesti storici e geografici.
Oggi, a differenza di un paio di secoli fa, ci viene più spontaneo pensare che si è liberi di avere le opinioni più disparate intorno ad un argomento. Rispettare la credenza dell’altro è una prerogativa moderna che sottintende la pluralità di opinioni.
Questo è il Relativismo, una moderna condizione esistenziale che riguarda tutti (relativisti per partito preso oppure no), in cui tutti siamo più tolleranti, più aperti al diverso. Perlomeno è un principio basilare della civiltà occidentale quello di riconoscere l’esistenza del diverso.
Da qui i fiumi d’inchiostro e di parole attorno alla crisi dei valori assoluti (il cosiddetto nichilismo, annullamento delle certezze) a cui fa capo il valore assoluto per eccellenza, Dio.
Ma da dove proviene questa apertura al diverso? Chi ha seminato tra gli occidentali questo germe dell’ alterità? Chi ha osato dire che nell’altro troviamo noi stessi? Chi ha osato chiamare l’altro nostro fratello? Chi..., chi...? Gesù, figlio di Dio. Costui ha “corrotto” gli uomini rendendoli più malleabili e docili nel rapporto con l’altro; costui è il fautore della tolleranza e della solidarietà, valori cardini della società moderna e più ancora postmoderna.
S’indebolisce il cristianesimo istituzionale a favore di quell’umanesimo, di quella solidarietà, di quella tolleranza, di quell’amore che Cristo fece essenza della sua vita.
Alla base del relativismo troviamo il germe dell’apertura al diverso, dell’amore per il diverso, l’amore per il ladro, per l’assassino, per la prostituta, per il corrotto. Per tutti c’è sempre amore. Il Dio di Gesù non è più quello dell’ebraismo, il ferreo Legislatore, il severo Giudice e il sanguinoso Esecutore che incarna l’Autorità Suprema. Il Padre padrone del Vecchio Testamento si trasforma in Padre affettuoso e comprensivo, caritatevole e pieno d’amore. A Dio ci si rivolge per chiedere perdono se si ha sbagliato e si torna a chiedere perdono se si ha sbagliato ancora, senza restare fulminato dalla sua ira. Da Lui si torna con serenità, perché non fa paura, perché la sua Autorità si è ridimensionata a misura d’uomo, quell’uomo che può sbagliare una volta, due volte, più volte.
L’Autorità del Vecchio Testamento viene snaturata e infusa di questo immenso Amore. La crisi dei valori assoluti è legata indissolubilmente alla crisi del concetto di Autorità, cioè di quella figura indiscutibile che si fa portatrice, garante e custode eterna di quei valori. Se essi hanno conosciuto una crisi è dovuto ancor prima al ridimensionamento del valore supremo dell’Autorità. Chi ha minato questa alle basi? L’amore immenso di Gesù Cristo.
Come già a suo tempo Nietzsche osservò, Gesù fu vero esempio di umanità, vero esempio dell’essere uomo, di chi ne coglie fino in fondo le più autentiche qualità; possiamo oggi noi constatare che è l’umanità di Cristo ad aprire le porte al Relativismo e al nichilismo. Gesù fece di Dio un uomo, lo portò con i piedi sulla terra trasformando l’Autorità-Padrone in autorità-padre, primo passo verso la malleabilità e la tolleranza. L’Amore di Gesù sta alla base di tutti quei valori su cui s’impernia il relativismo: tolleranza, solidarietà e democrazia. Quest’ultima, la democrazia, è l’esito estremo della crisi dell’Autorità.
Nessun padrone, nessuno che sovrasta gli altri, tutti hanno lo stesso potere. L’Autorità torna da dove è nata, dentro di noi. Solo noi disponiamo di noi stessi. Così vale per i valori morali, di cui solo noi siamo detentori.
Può apparire come un paradosso storico ma non lo è. Già altri pensatori hanno individuato in Gesù un illuminato ante litteram, quell’Illuminismo che ha sancito ufficialmente la crisi dell’Autorità.
Cristo non è l’inizio di un’era, ne è l’epilogo. L’inizio della fine del soggiogamento millenario dell’uomo ad un senso di Autorità esterna. Da Gesù Cristo ad oggi un puntellare continuo di eventi, fatti e personaggi hanno spinto all’emancipazione dell’uomo dall’Autorità Suprema.
Questo percorso può essere letto da diversi punti di vista, storico, sociale, politico, letterario, filosofico, religioso, scientifico come anche psicologico. Tutti con il medesimo esito, la tendenza alla libertà personale, al recupero della dignità umana.
Ad esempio, uno psicanalista oggi potrebbe dire che l’elaborazione da parte di Freud della teoria del Complesso di Edipo (il conflitto di un figlio che si sente soggiogato dall’autorità del padre per cui non può muoversi liberamente in ambito familiare) è espressione della liberazione psicologica del genere umano dal senso di Autorità.
Potremmo chiederci perché questo prevalere dell’Amore, della conciliazione tra gli esseri umani? La risposta è semplice quanto non nuova, e forse per questo la più ragionevole. Come già altri studiosi hanno abbondantemente commentato, dinnanzi al rischio dell’estinzione o della distruzione dell’umanità e del suo mondo le vie più risolutive sono quelle dell’accordo e della cooperazione. Ciò richiede il sacrificio delle libere e illimitate aspirazioni del singolo individuo che deve regolare il proprio istinto di potere e di sopraffazione onde evitare lo scontro e la distruzione.
Il singolo individuo delega la perfettibilità e la realizzazione della propria Volontà di Potenza al genere umano con la speranza che in esso si perpetui nei secoli e nei millenni.
In conclusione, può sembrar curioso che il maggior paladino della guerra alla “malattia del relativismo”, Papa Ratzinger, sia affetto dal suo virus, la parola di Gesù, che lo logora dall’interno. Nei secoli la Chiesa ha governato e controllato il Verbo menandolo qua e là, oggi la parola del Cristo, portatrice sana di Amore, sfugge al controllo dell’Autorità e inonda i cuori di tutti gli uomini di buona volontà.
Giovanni Schiava
I cattolici del terzo tipo
Davanti agli interventi della Cei non si dividono solo in «obbedienti» e «adulti». Molti altri, pur conservando fede e carità, non ascoltano la voce della Chiesa in lotta
di Gianni Vattimo *
Le reazioni dei cattolici alle recenti prese di posizione della Conferenza Episcopale italiana appaiono a prima vista classificabili in due categorie: una è quella dei cattolici obbedienti, a cui bisogna aggiungere i «laici rispettosi», che hanno cominciato a moltiplicarsi da quando è diventato chiaro che la difesa della famiglia, dei «valori» della tradizione giudaico-cristiana, della civiltà europea può agevolmente esser fatta coincidere con lo spirito della lotta al «terrorismo internazionale» capeggiata dall’amministrazione Bush.
L’altra categoria è quella dei cattolici «adulti», così li ha chiamati lo stesso Prodi, i quali accettano in linea di principio la disciplina richiesta dalla Chiesa, ma rivendicano il diritto di leggere molte prescrizioni - e specialmente l’ultima là dove si impone loro, quando siano parlamentari, di non votare cosiddetti Dico - limitandone la perentorietà attraverso il richiamo di altri e più «aperti» documenti del magistero ecclesiastico. È ciò che fa per esempio uno dei più autorevoli intellettuali cattolici italiani, Giuseppe Alberigo (la Repubblica, 30 marzo) in un denso e appassionato articolo, del quale è difficile non condividere molti passaggi. Alberigo resta e vuole restare un fedele figlio della Chiesa, intesa come gerarchia ecclesiastica, «il Papa e i vescovi uniti con lui». Per questo segnala persino le «pieghe» che, nel documento della Conferenza episcopale, manifesterebbero le riserve di certi vescovi che non vogliono usare questo documento come una clava e che lo intendono solo, o quasi, come un invito ai politici cattolici «affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere». Ricorda poi momenti e personalità della storia recente d’Italia (De Gasperi, Andreatta...) che forniscono significativi esempi di un cattolicesimo liberale mai completamente tacitato.
Tuttavia: non sarà il caso di tener conto anche di un terzo possibile tipo di reazioni? Alludiamo a quelle di molti altri credenti, che si chiamano cattolici perché battezzati e che non hanno ancora aderito ai movimenti per lo «sbattezzo», del resto vani perché il battesimo «imprime il carattere», dice(va) il catechismo, non si può cancellare; ma che da tempo hanno rinunciato ad ascoltare la voce della Chiesa cosiddetta docente, pur partecipando alla vita della Chiesa militante, sforzandosi di praticare la carità e di non perdere la fede per lo scandalo che subiscono proprio dai loro pastori. La loro fede è spesso molto più sincera di quella dei tanti atei devoti che piacciono all’episcopato, e al potere. Rispetto ad Alberigo si distinguono perché prendono più chiaramente atto di una situazione in cui la Chiesa (la gerarchia), dimenticando il Concilio e Giovanni XXIII, ha scelto di essere una parte in lotta, «terribilis ut castrorum acies ordinata» secondo un’espressione della liturgia. Anche la recente ripresa del dogma dell’Inferno esprime i fondo questo spirito guerriero, echeggia Bush: chi non è con noi è contro di noi, niente più «pieghe» nascoste dei documenti papali, niente più enciclica contrapposta ad enciclica. Non sarebbe ora che i credenti rivendicassero finalmente la loro libertà di ascoltare la parola di Dio senza la mediazione di una nomenklatura che amministra i sacramenti come se fossero «cosa loro» (essere cattolici ha un prezzo, ha detto di recente un «ateo devoto»)? Non si può sbattezzarsi, certo; ma almeno convertirsi finalmente al cristianesimo.
Gianni Vattimo
* La Stampa, 4 aprile 2007
Dal libro del profeta Isaia. 53, 4-6
"Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
MEDITAZIONE
Secondo il pensiero umano, Dio non può cadere ... e invece cade. Perché? Non può essere un segno di debolezza, ma soltanto un segno d’amore: un messaggio d’amore per noi.
Cadendo sotto il peso della croce, Gesù ci ricorda che il peccato pesa, il peccato abbassa e distrugge, il peccato punisce e fa male: per questo il peccato è male!
Ma Dio ci ama e vuole il nostro bene; e l’amore lo spinge a gridare ai sordi, a noi che non vogliamo sentire: “Uscite dal peccato, perché vi fa male. Vi toglie la pace e la gioia; vi stacca dalla vita e fa seccare dentro di voi la sorgente della libertà e della dignità”.
Uscite! Uscite!
PREGHIERA
Signore, abbiamo smarrito il senso del peccato! Oggi si sta diffondendo, con subdola propaganda, una stolta apologia del male, un assurdo culto di satana, una folle voglia di trasgressione, una bugiarda e inconsistente libertà che esalta il capriccio, il vizio e l’egoismo presentandoli come conquiste di civiltà.
Signore Gesù, aprici gli occhi: fa’ che vediamo il fango e lo riconosciamo per quello che è, affinché una lacrima di pentimento ricostruisca in noi il pulito e lo spazio di una vera libertà. Aprici gli occhi, Signore Gesù!
TERZA STAZIONE, Gesù cade per la prima volta, Via Crucis 2006