Politica

Solo la mafia può sconfiggere se stessa - di Giuseppe Pasquino

Marco Militerno ripropone l’importante articolo di Pasquino pubblicato sul sito dell’associazione Gens
sabato 25 giugno 2005.
 

Nessuno ricorda il volto di Bernardo Provenzano, l’inafferrabile boss di Cosa nostra. Eppure in quella clinica francese è stato ricoverato più volte. Lo hanno amorevolmente curato sotto falso nome medici ed infermieri figli del Re Sole, oggi sotto il dominio di Chirach! Ma solo in Calabria si parla, tuttavia, di omertà. L’impresa di Vincenzo Restuccia subisce attentati a iosa e secondo l’onorevole Angela Napoli, che si richiama agli atti del processo "Dynasty", sarebbe collusa con i Mancuso. Anzi, a suo avviso sarebbero molte le imprese che passano da una protezione mafiosa ad un’altra. A Soriano, tuttavia, dopo ben dodici attentati, chiude l’impresa Varì. I titolari si sono rotti le scatole di avere coraggio. Anche la Cassarese, giovane azienda di Nardidipace, finisce in arrosto. Ma non si conosce ancora il nome del maldestro cuoco. Né, forse, lo si saprà mai. Si sprecano intanto le riunioni del Comitato per l’ordine e la sicurezza. Ma servono davvero a qualcosa? La vicepresidente della Commissione antimafia paventa inquinamenti mafiosi nell’amministrazione provinciale. Ma Pantaleone Sergi, stimato giornalista e sindaco di Limbadi, tesse le lodi del suo presidente Gaetano Bruni, che, a suo dire, avrebbe sconfitto le clientele ed il malgoverno del centrodestra, avendo meriti per la proficua e limpida azione di governo del territorio. Che non voglia proporlo a santo, saltando la nomina a beato? I suoi beneficiati del resto lo osannano già come un messia! Di mero attacco politico parla anche l’onorevole Marco Minniti. Ma chissà cosa avrebbe detto se Bruni fosse stato di destra! Gli imprenditori nel frattempo hanno paura. E, salvo poche eccezioni, senza protezione sarebbero costretti davvero a chiudere. Le imprese mafiose, invece, pur costrette a falso nome (come per Provenzano in Francia) assumono pubblici appalti. Per i lavori dell’autostrada la notizia corre lungo fiumi d’inchiostro. Ma, mi domando, dovrebbero sempre ammazzare? Talvolta capita anche che la mafiosità venga accertata in corso d’opera. Magari per un ente soltanto, mentre per altri l’impresa è casta e pura. Ma chi paga la tangente non è mafioso ed alla gara può partecipare legalmente! La disoccupazione nel contempo è un dato sempre più diffuso. E per tanti derelitti la via criminale rappresenta l’unica via di riscatto sociale. Il mafioso siede, infatti, accanto ai dottori. Chi l’avrebbe voluto se fosse rimasto in compagnia delle pecore? Il potere politico, d’altro canto, è contaminato, in modo più o meno maggiore, senza distinzione di colori. I mafiosi non solo votano ma condizionano anche una parte dell’elettorato. Le elezioni, tuttavia, sono sempre regolari, ma poi si sciolgono i consigli per mafia! Ma perché non si vieta la candidatura di chi è già colluso e non si interviene quando, al momento del voto, il condizionamento è nella fase operativa? Tutto ruota, dunque, su una logica assurda, una incoerenza di fondo, su una ipocrisia che finge di non sapere che il fenomeno tocca larga parte della società che conta, e delle istituzioni. Quanti arresti si dovrebbero eseguire se si volesse combattere la mafia sino in fondo! Ma è davvero possibile? L’unico rimedio appare, invece, il recupero sociale di chi delinque, il prosciugamento della palude che costituisce il relativo humus. Ma tale risultato può essere conseguito solo attraverso l’utilizzo di quelle risorse illecite che, peraltro, solo in parte infinitesimale finiscono per essere confiscate. Impedire il sequestro e la confisca di attività economiche che diano effettivo lavoro, purchè impiantate nelle regioni oppresse dalla mafia, potrebbe costituire un primo passo per riconvertire alla legalità chi vive nell’illecito, purchè a tale auspicabile modifica normativa si accompagni una severa attività repressiva verso i reati di criminalità organizzata, magari rendendo esecutiva la sentenza penale di primo grado, ed effettiva la pena, con una drastica limitazione delle ipotesi di appello, divieto dei riti alternativi, esclusione dei benefici carcerari. Queste ultime considerazioni, le avevo già scritte. Ma nessuno ha avuto il coraggio di affrontarle. Oggi, quindi, le ripropongo nella convinzione che solo con una rivoluzione di mentalità si può porre davvero fine ad un fenomeno altrimenti inarrestabile. Giuseppe Pasquino

Giuseppe Pasquino 23/06/2005 1.01.18


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