Ermeneutica

GADAMER. Un libro di Donatella Di Cesare e un convegno al Goethe-Institut di Roma - a cura di pfls

venerdì 16 marzo 2007.
 
[... ] Intorno al pensiero di Hans-Georg Gadamer, o meglio intorno al suo «Denkweg» (prendendo in prestito un termine usato da Heidegger come titolo di un suo celebre saggio), si articola il convegno che si tiene oggi e domani al Goethe-Institut di Roma su iniziativa dell’Istituto di studi filosofici. Alla prima sessione, questa mattina, prenderanno parte Donatella Di Cesare (con una relazione su «Un altro Gadamer. Retrospettive per una futura ermeneutica») e Karl-Heinz Lembeck e Giuseppe Girgenti, che interverranno rispettivamente su Gadamer e il neokantismo, e sui maestri del filosofo tedesco, Paul Friedländer e Paul Natorp. Fra gli altri partecipanti, il canadese Jean Grondin parlerà domani di «Gadamer e la metafisica». [...]

Il contributo di Gadamer all’esperienza della verità

Mentre si inaugura oggi a Roma un convegno dedicato al filosofo tedesco, esce dal Mulino la monografia che gli ha dedicato Donatella Di Cesare, secondo la quale tutto il pensiero di Gadamer ruota intorno a Platone in quanto maestro del dialogo

di Enrico Redaelli (il manifesto, 15.03.2007).

Tracciare la mappa dell’«ermeneutica», nella sua evoluzione storica, significa ridisegnarne continuamente i confini. Poche parole come questa hanno visto allargare così tanto il proprio raggio d’azione. Se originariamente indicava l’antica dottrina dell’interpretazione dei testi, il termine «ermeneutica» ha assunto nel secolo scorso un significato filosofico, come movimento di pensiero il cui filone maestro parte da Heidegger e trova una sistemazione nella riflessione di Gadamer, finché, a partire dagli anni Ottanta, è divenuto sinonimo di «filosofia continentale» in opposizione alla filosofia di matrice anglosassone. In questa ultima evoluzione semantica, l’ermeneutica è divenuta un contenitore molto ospitale, una sorta di etichetta culturale sotto il cui cappello si sono riconosciute diverse prospettive teoriche, il più delle volte molto distanti tra loro. In tale dispersione di senso, la specificità della proposta di Gadamer, cui si deve l’articolazione originaria dell’«ermeneutica filosofica» propriamente detta, è forse quella che ne ha più risentito.

Letto troppo spesso a partire da Heidegger, o con le lenti deformate dai dibattiti che gli sono seguiti, il pensiero di Gadamer si è trovato all’incrocio di molte vie del pensiero contemporaneo e solo negli ultimi anni il suo percorso è stato approfondito nelle peculiarità che lo contraddistinguono e che ne marcano i confini rispetto ad altri, con cui pure è entrato in dialogo.

Per orientarsi, una attenta ricostruzione del suo apporto filosofico è offerta da Donatella Di Cesare nel ritratto titolato semplicemente Gadamer (Il Mulino, pp. 319, euro 19,50). Con la consueta chiarezza espositiva e con la limpidezza di linguaggio che distingue anche i suoi precedenti saggi, l’autrice, che del filosofo di Marburgo è stata una degli allievi di ultima generazione, ne ripercorre il cammino di pensiero in tutte le sue tappe.

Il volume ha il pregio di sfatare alcuni miti che ancora aleggiano sulla ricezione di Gadamer, come la sua presunta identificazione di essere e linguaggio, che pure il filosofo rifiutò esplicitamente, e la lettura del suo pensiero nei termini di una «filosofia dell’interpretazione», tema nietzschiano (che tanto influsso ha avuto sull’ermeneutica italiana) ma per nulla gadameriano. Anziché l’interpretazione, è la comprensione il perno attorno cui si sviluppa il suo percorso filosofico.

Comprendere, come sottolinea Di Cesare, non è interpretare né sapere, perché si delinea piuttosto come una esperienza. Esperienza di verità che accomuna l’uomo e che si declina nell’arte, nella storia e nel linguaggio. Esperienza che Gadamer intende rivalutare, contro la riduzione della verità e del suo senso operata dal metodo scientifico, attraverso l’opera cardine, Verità e metodo, pubblicata nel 1960. Per il suo autore, nella comprensione è da vedersi l’articolazione stessa dell’esistenza e il carattere finito, limitato, di ogni esperienza umana.

Quella di Gadamer può perciò essere chiamata a buon diritto una «filosofia della finitezza», ma basata su una concezione positiva del limite, sempre letto come l’oltre dell’altro. In questa prospettiva, ulteriormente elaborata negli anni successivi a Verità e metodo, nulla può essere definitivo: la ricerca filosofica è sempre aperta, non può mai fissarsi, trovare sistemazione, tanto meno nei limiti di un testo scritto, rinviando perciò al dialogo orale e alla vita vissuta. Si rivela qui l’ispirazione socratica dell’ermeneutica filosofica. Articolata nel movimento di domanda e risposta, e perciò costitutivamente aperta al confronto con l’altro, la dialettica di Socrate, così come la troviamo raccontata nelle opere di Platone, è da Gadamer assunta a modello di riferimento.

Si spiega così il suo interesse per la filosofia greca. La sua lettura della dialettica antica e il ruolo decisivo che essa ha rivestito per l’ermeneutica - messi in luce solo di recente e a cui giustamente questo volume dedica ampio spazio - sono la vera e propria chiave interpretativa con cui Donatella Di Cesare legge il pensiero gadameriano. Se si guarda a tutto lo sviluppo della sua riflessione, sostiene l’autrice, si può dire che l’opera principale di Gadamer, anziché Verità e metodo, sia il libro su Platone che non ha mai scritto. Non il Platone «metafisico», che mira alla «più assoluta verità» (come leggiamo nel Sofista), né il Platone fondatore di una teoria dei principi, ma il Platone maestro del dialogo, dietro cui si nasconde Socrate e rimane vivo il suo insegnamento. Leggendo i dialoghi platonici, il filosofo di Marburgo vuole infatti mostrare come la dialettica sia essenzialmente una esperienza, piuttosto che un metodo. Una esperienza che vive della partecipazione dell’altro, come il personaggio di Socrate, messo in scena nei dialoghi, sta appunto a testimoniare.

Ma il libro di Donatella Di Cesare non si limita a una ricostruzione del pensiero di Gadamer, sottraendolo al bagliore riflesso di Heidegger per restituirgli luce propria e sottolineandone piuttosto i rapporti col pensiero greco. Vi si legge anche la proposta, già delineata nei precedenti saggi dell’autrice, di un’ermeneutica della finitezza che intende distinguersi dal pensiero debole come da ogni deriva nichilista o relativista. Infatti, dietro la contrapposizione tra assolutismo della verità e relativismo, oggi tanto dibattuta, si nasconde una più profonda complicità.

La metafisica, con la sua verità assoluta, e il nichilismo sono da vedersi come le due facce della medesima medaglia: condividono la stessa logica di fondo, cioè quella di un fondamento incrollabile, che l’ermeneutica intende invece lasciarsi alle spalle.

Sottrarsi a questa logica significa rifiutare una concezione della verità che intende irretire l’esperienza umana in un senso ultimo e conclusivo. Senza per questo abdicare alla verità, o negarla nichilisticamente, ma declinandola come dialogo, ovvero: esperienza dell’altro, evento del comprendere.


Convegni

Il percorso del filosofo tedesco al Goethe-Institut di Roma

Intorno al pensiero di Hans-Georg Gadamer, o meglio intorno al suo «Denkweg» (prendendo in prestito un termine usato da Heidegger come titolo di un suo celebre saggio), si articola il convegno che si tiene oggi e domani al Goethe-Institut di Roma su iniziativa dell’Istituto di studi filosofici. Alla prima sessione, questa mattina, prenderanno parte Donatella Di Cesare (con una relazione su «Un altro Gadamer. Retrospettive per una futura ermeneutica») e Karl-Heinz Lembeck e Giuseppe Girgenti, che interverranno rispettivamente su Gadamer e il neokantismo, e sui maestri del filosofo tedesco, Paul Friedländer e Paul Natorp. Fra gli altri partecipanti, il canadese Jean Grondin parlerà domani di «Gadamer e la metafisica».


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