Uno studio di Nature illustra il funzionamento della macchina
che risale al 65 a.C. e che serviva a seguire i movimenti di Sole e Luna
Anche i greci usavano il computer.
Svelati i misteri di Antikythera
Il raffinato meccanismo rinvenuto nel 1900 da alcuni pescatori.
Solo oggi i ricercatori sono stati in grado di spiegare a che cosa servisse. *
ROMA - Meccanismo di Antikythera. Un nome evocativo per quello che oggi gli scienziati possono con certezza affermare sia stato un computer usato dai greci intorno al 65 avanti Cristo. L’analisi della raffinata strumentazione - che serviva a seguire i movimenti del Sole e della Luna attraverso le costellazioni dello Zodiaco, predire le eclissi, tracciare il moto dei pianeti e l’orbita irregolare della Luna nel cielo - è stata pubblicata su Nature.
Secondo gli autori dello studio, un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Mike Edmunds e Tony Freeth dell’Università britannica di Cardiff, l’antenato del pc - trovato nel 1900 da alcuni pescatori di spugne nel relitto naufragato di un’antica nave, nel fondale davanti all’isola di Antikythera, fra il Peloponneso e Creta - era molto più sofisticato di quanto si ritenesse fino ad oggi. Oltre ad essere la prova dello "straordinario potenziale tecnologico dei greci, perso con l’impero romano".
Il Meccanismo di Antikythera |
Per decenni il meccanismo è stato attentamente studiato, ma solo oggi i ricercatori sono in grado di stabilirne con esattezza funzioni e pregio tecnologico. Svelando, per esempio, la questione dei due display, uno anteriore, l’altro posteriore presenti su Antikythera.
Grazie ai raggi X e ad una Tac tridimensionale si è arrivati a leggere le iscrizioni che compaiono sul meccanismo e a decifrare il funzionamento dei display.
In sostanza sul display anteriore si trovavano lancette che segnavano il passaggio del Sole e della Luna nelle costellazioni dello Zodiaco, oltre che indicazioni per le fasi lunari. Il display posteriore invece indicava il tempo in termini di cicli astronomici attraverso alcune lancette.
Inoltre, sempre secondo quanto riporta Nature lo studio del gruppo di ricerca avrebbe anche svelato gli ingranaggi che segnano le variazione sinusoidale nel movimento della Luna nel cielo. In pratica l’apparecchio rappresenta una realizzazione meccanica dei calcoli sull’irregolarità del moto lunare, modello geometrico sviluppato dall’astronomo Ipparco di Rodi nel II secolo a.C che potrebbe aver partecipato alla realizzazione dell’antesignano del pc.
* la Repubblica, 29 novembre 2006.
ROMA - Seguire i movimenti del Sole e della Luna attraverso le costellazioni dello Zodiaco, predire le eclissi, tracciare il moto dei pianeti e l’orbita irregolare della Luna nel cielo: questa, secondo una dettagliata analisi descritta su Nature (di cui pubblichiamo anche le foto tratte dal suo sito) , era la funzione del Meccanismo di Antikythera, un antichissimo macchinario greco a ingranaggi risalente al 65 a.C.
Per gli autori, un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Mike Edmunds e Tony Freeth dell’università britannica di Cardiff, lo studio rileva che il meccanismo è molto più sofisticato di quanto ritenuto finora, tanto che per l’epoca può essere definito un vero e proprio computer. Inoltre, dimostra "lo straordinario potenziale tecnologico dei greci, perso con l’impero romano". Il Meccanismo di Antikythera fu trovato nel 1900 da alcuni pescatori di spugne nel relitto naufragato di un’antica nave, nel fondale mare davanti all’isola di Antikythera, fra il Peloponneso e Creta. Fra gli oggetti a bordo vi erano i frammenti di una custodia di legno e bronzo contenente oltre 30 ingranaggi.
Per decenni l’oggetto è stato attentamente studiato, si riteneva che servisse a calcolare la posizione del Sole, della Luna, e il moto dei pianeti, ma la funzione era stata compresa solo in parte. Rimaneva insoluta la questione di due display, uno anteriore, l’altro posteriore. Per dipanare il mistero è arrivata in aiuto la tecnologia ai raggi X e grazie ad una TAC tridimensionale i ricercatori sono arrivati a leggere le iscrizioni che compaiono sul meccanismo e a decifrare il funzionamento dei display. Secondo lo studio, sul display anteriore vi erano lancette che segnavano il passaggio del Sole e della Luna nelle costellazioni dello Zodiaco, oltre che indicazioni per le fasi lunari. Il display posteriore invece indicava il tempo in termini di due cicli astronomici con lancette per calcolare il ciclo Callippico, un ciclo (76 anni, di 365 giorni e 1/4 ciascuno), messo a punto dall’astronomo Callippo nel IV secolo per correggere il ciclo Metodico (19 anni, di 365 giorni e 5/19 ciascuno). Un’altra lancetta è per il ciclo di Saros, usato per predire le eclissi lunari e solari.
Secondo un approfondimento pubblicato su Nature da Francois Charette, dell’università tedesca Ludwig Maximilians, l’importanza dello studio riguarda anche gli ingranaggi che segnano le variazione sinusoidale nel movimento della Luna nel cielo. In pratica, secondo i ricercatori, l’apparecchio rappresenta una realizzazione meccanica dei calcoli sull’irregolarità del moto lunare, modello geometrico sviluppato dall’astronomo Ipparco di Rodi nel secondo secolo a.C, tanto che gli autori non escludono che Ipparco stesso possa esse stato coinvolto nella progettazione del meccanismo. Lo studio sarà presentato domani e dopodomani ad Atene. Il passo successivo, hanno annunciato gli autori sarà ricostruire il Meccanismo di Antikythera al computer e realizzare un modello realmente funzionante.
* ANSA » 2006-11-29 14:18
USCENDO DAL CINEMA
di LUCA BANDIRALI (FataMorgana Web, 1 LUGLIO 2023)
La storia di un archeologo degli anni trenta votato all’avventura viene concepita da George Lucas nel 1973, alle prime avvisaglie di quel filone cinematografico che nel 1977 verrà definito nostalgia film da Marc Le Sueur, secondo cui la nostalgia cinematografica presenta i tratti del «deliberato arcaismo» e del «realismo di superficie». La nostalgia, in questo caso, ha come oggetto i serial cinematografici della golden age (1936-1945), una passione che Lucas riversa peraltro anche nella saga di Luke Skywalker. L’idea resta nel cassetto per otto anni, periodo in cui Lucas è intensamente impegnato nella produzione dei primi due capitoli di Guerre stellari; in un momento di pausa dopo L’impero colpisce ancora, il progetto viene sottoposto a Steven Spielberg e il resto è storia: I predatori dell’arca perduta (1981) è il primo di tre film che, alla fine degli anni ottanta, risulteranno essere fra i maggiori incassi di un decennio fondato sulla politica del blockbuster.
Il media franchise di Indiana Jones include fumetti, romanzi, videogiochi e serie televisive (Le avventure del giovane Indiana Jones, 1992-1996) e, nel nuovo secolo, si dota di due nuovi capitoli della saga cinematografica: Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008) e Indiana Jones e il quadrante del destino (2023). Quest’ultimo film è stato, in fase promozionale, presentato dalla Disney come il capitolo definitivo non solo della saga cinematografica, ma anche del media franchise. A cinquant’anni dalla sua ideazione, Indiana Jones torna dunque soltanto per i saluti, generando un effetto di nostalgia per il nostalgia film.
L’avventura parte da un flashback di 25 minuti ambientato nel 1939, in cui l’effetto speciale più perturbante è il ringiovanimento digitale di Harrison Ford, impegnato in una fuga dal patibolo e successivamente in una lotta coi nazisti su un treno, il cui momento più esaltante è l’esposizione del celeberrimo tema The Raiders March mentre il nostro eroe balza sul tetto di una carrozza in movimento.
Usciti dal flashback, che ha la funzione di introdurre l’oggetto-valore del film (il “quadrante” del titolo), si entra nel presente del 1969, spunto per nuovi sfondi storici (la parata dell’allunaggio) e per un clima complottistico-spionistico alla John Le Carré; l’azione si sposta in Marocco, per poi inabissarsi nelle pieghe del tempo, fino all’assedio di Siracusa del 212 a.C., dove Indiana Jones incontra Archimede e viene a capo dell’enigma della Macchina di Anticitera, un antico calcolatore meccanico che nella finzione cinematografica diventa un rilevatore di varchi spazio-temporali.
Il film si conclude a New York nel 1969, con un iris shot che cerchia il celebre cappello di Indiana Jones, appeso con mollette sul filo dei panni, una sorta di variazione dell’espressione “appendere i guantoni al chiodo”.
Il cinema di Indiana Jones ha rappresentato uno spettacolare riavvio della macchina narrativa del cinema hollywoodiano classico, un tentativo riuscito di intercettare una domanda di narrazione incessante. Ontologia dell’azione allo stato puro, wall-to-wall, lo schema di Spielberg-Lucas consisteva nella riproposizione di azioni già rappresentate e già viste, come sfogliando una “effervescente Enciclopedia del Cinema”, secondo un’efficace definizione di Sergio Arecco. Era uno schema che Spielberg, regista di tutti i film della saga ad eccezione di quest’ultimo, descrisse come “un film di James Bond senza l’hardware”.
Nelle mani di un altro regista, James Mangold, lo schema non cambia, né l’introduzione di un personaggio femminile giovane, volitivo e interpretato da una maestra di autoironia come Phoebe Waller-Bridge sposta davvero gli equilibri: i personaggi non si fermano mai, il mandato drammaturgico li obbliga a cercare l’oggetto, senza pause. In tal senso la figura del deuteragonista del flashback, l’amico Basil, rappresenta un monito rispetto all’introspezione e alla stasi: mentre Indiana Jones è rimasto in movimento e non si è fatto domande, Basil si è macerato tutto il tempo in casa, lambiccandosi il cervello per capire come risolvere l’enigma della Macchina di Anticitera, fino a perdere la ragione. Il cinema fondato sull’azione, al contrario, richiede che il protagonista salga sulla ruota quando la ruota gira (per Elsaesser, d’altra parte, il blockbuster somiglia alla pallina di un flipper) il tutto al servizio di uno spettatore che, come il protagonista, vuole soltanto salire sulla giostra, salire sempre, come suggerisce il tema ascendente di John Williams che tutti vogliono riascoltare.
Allora Indiana Jones e il quadrante del destino va considerato un ultimo giro vertiginoso sì, ma su una vecchia giostra per cui si prova nostalgia, rievocando un tempo in cui questo tipo di film era il grande parco giochi di una generazione; la Macchina di Anticitera diventa così una macchina del tempo che vorrebbe riportare lo spettatore in un’epoca in cui il blockbuster era una grande esperienza collettiva, ma l’esperienza di quel tempo non si riattiva davvero, la stiamo soltanto rievocando. Come ha ben notato Manohla Dargis sul “New York Times” in un articolo opportunamente intitolato Turning Back the Clock, “è chiaro che l’amore nostalgico per la vecchia Hollywood che ha definito e plasmato il film originale è stato soppiantato da una nostalgia altrettanto potente per la serie stessa”.
RECUPERATO DAI RESTI DI UN NAUFRAGIO AVVENUTO NEL PRIMO SECOLO AVANTI CRISTO
Il Meccanismo di Antikythera
di Claudia Sciarma *
Dal 23 maggio al 15 giugno 2022 è stata completata la seconda spedizione di archeologia subacquea nei pressi di Antikythera, una piccola isola fra Creta e il Peloponneso, dove più di duemila anni fa affondò una nave commerciale. La spedizione fa parte di un programma quinquennale, che si concluderà nel 2025. La ricerca è condotta dalla Scuola svizzera di archeologia in Grecia e l’obiettivo principale è comprendere in modo più chiaro quali fossero le caratteristiche della nave affondata, il suo carico e la sua rotta.
Il relitto di Antikythera è stato scoperto per caso da un gruppo di pescatori di spugne nel 1900. Dalle acque, sono stati recuperati oggetti in vetro, statue in marmo e bronzo, anfore e un misterioso oggetto in bronzo, che prende il nome di Meccanismo di Antikythera.
Il Meccanismo di Antikythera era uno strumento astronomico che permetteva di predire il moto della Luna, le eclissi e la posizione del Sole e dei cinque pianeti conosciuti all’epoca, cioè Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Attualmente, si pensa che sia stato costruito fra il terzo e il primo secolo avanti Cristo. Lo strumento era dotato di un sofisticato sistema di ingranaggi e ruote dentate e veniva azionato a mano. Il Meccanismo, probabilmente, era contenuto in una cornice in legno e complessivamente era lungo trenta centimetri, largo venti centimetri e spesso dieci centimetri.
Oggi, rimangono solo ottantadue frammenti di dimensioni diverse, che corrispondono a circa un terzo dello strumento. Quelli più grandi sono indicati con le lettere da A e G, mentre i più piccoli con i numeri da 1 a 75. I frammenti sono conservati al Museo archeologico nazionale di Atene e da più di un secolo sono oggetti di studi.
Si sono dedicati allo studio del Meccanismo di Antikythera studiosi e studiose provenienti da ambiti diversi, dall’archeologia all’orologeria, dalla storia dell’astronomia alla fisica dei raggi X. Grazie ai risultati raggiunti nel corso degli anni si è capito che il Meccanismo combinava i cicli astronomici babilonesi, con la matematica dell’Accademia di Platone e con le teorie astronomiche dell’antica Grecia. Tuttavia, molti aspetti rimangono ancora irrisolti.
Negli anni Settanta è stata effettuata la prima radiografia del Meccanismo: per la prima volta si riesce a guardare dentro i frammenti. Furono così individuati i resti di ingranaggi e ruote dentate. Successivamente, analisi più approfondite hanno permesso individuare le iscrizioni sulla superficie e maggiori dettagli all’interno dei frammenti.
Il Meccanismo di Antikythera, infatti, è coperto di iscrizioni: complessivamente si stima che ci siano circa 15mila caratteri. Le prime iscrizioni che si riuscirono a leggere a inizio Novecento fecero capire che quei misteriosi frammenti in bronzo erano legati al moto dei corpi celesti. Nel 2005, grazie alla tomografia computerizzata a raggi X sono stati individuati più di duemila caratteri.
Successivamente, nel 2016, fra le iscrizioni nella parte anteriore del Meccanismo, sono stati individuati due numeri legati ai cicli sinodici di Venere e Saturno, cioè legati al tempo necessario affinché un pianeta occupi la stessa posizione nel cielo rispetto al Sole per un osservatore sulla Terra. I cicli sinodici erano alla base delle previsioni sulla posizione dei pianeti nell’astronomia babilonese.
Nello specifico, sono stati studiati i frammenti G, 26, 29 e altri più piccoli con la tomografia computerizzata a raggi X. Le iscrizioni frontali descrivono i cicli sinodici dei pianeti e ogni pianeta ha una parte dedicata.
Il Meccanismo ha alcune caratteristiche tecniche abbastanza avanzate. Ad esempio, conteneva un sistema di ingranaggi tale da generare un moto rotatorio, dati due moti rotatori iniziali, con velocità pari alla differenza di due moti. Inoltre, è dotato di un sistema di due ruote sovrapposte che ruotano attorno a due assi diversi, che prende il nome di “pin-and-slot”. In questo complicato sistema di ingranaggi, il numero di denti delle ruote dentate non poteva essere casuale, ma dettato dalla meccanizzazione dei moti dei pianeti.
Il primo modello funzionante del Meccanismo di Antikythera è stato proposto dal fisico e storico della scienza Derek De Solla Price ed è stato poi costruito da Robert Deroski intorno agli anni Settanta. Questo modello non era corretto, ma è stato una base fondamentale per gli studi successivi. Nel 2021, il gruppo di ricerca sul Meccanismo di Antikythera dello University College London (Ucl) ha proposto un nuovo modello che soddisfa tutte le evidenze che si hanno a disposizione sul Meccanismo. Il prossimo obiettivo del gruppo è ricostruire con tecniche antiche lo strumento seguendo il nuovo modello per dimostrarne la validità.
Il gruppo dello Ucl ha usato un processo matematico sviluppato da Parmenide per spiegare i cicli di Venere e Saturno e per derivare anche i cicli degli altri pianeti su cui non si hanno informazioni a disposizione dai frammenti. Il processo di Parmenide, infatti, è un processo iterativo che permette di approssimare un numero reale con un intervallo compreso fra due numeri razionali. Ad esempio, per Venere, nell’astronomia babilonese la stima più rozza prevedeva 5 cicli sinodici in 8 anni e quella più accurata prevedeva 720 cicli in 1151 anni. Quest’ultima stima non era meccanizzabile, poiché 1151 è un numero primo e realizzare una ruota con 1151 denti non era certo un’impresa facile. L’ipotesi del gruppo è che sia stato usato proprio il processo di Parmenide per trovare un compromesso fra la stima più rozza e quella meccanizzabile più accurata.
Se per capire come funzionava il Meccanismo serve sapere quali erano le conoscenze scientifiche su cui si basava, è anche vero che capirne il funzionamento aiuta a scoprire quale fosse l’idea di cosmo diffusa all’epoca in cui è stato costruito. Nonostante i risultati raggiunti nel corso degli anni, molti aspetti del Meccanismo di Antikythera rimangono un mistero. Ad esempio, non sappiamo con precisione quando sia stato costruito e da chi sia stato realizzato.
* Fonte: Media.INAF, 29/07/2022 (ripresa parziale).
Decifrati i testi sul meccanismo di Antikythera
di Redazione (Il Fatto Storico, giugno 11, 2016 - ripresa parziale)
Un team internazionale di scienziati ha presentato l’analisi completa delle iscrizioni trovate sul famoso meccanismo di Anticitera, un piccolo oggetto considerato il primo computer meccanico al mondo. Nel corso di un evento tenutosi ad Atene lo scorso giovedì, sono stati esposti i risultati frutto di oltre 10 anni di lavoro.
Il loro studio riafferma molto di quanto sapevamo già, ma fornisce anche nuovi interessanti dettagli.
Per oltre un secolo dalla sua scoperta in un relitto, l’esatto funzionamento del meccanismo era stato un bel rompicapo. Da alcune parole decifrate sui contorti, corrosi frammenti di lamine e ingranaggi di bronzo, gli esperti avevano intuito che era uno strumento astronomico. Ma molto altro rimaneva nascosto alla vista. Ora finalmente i ricercatori sono riusciti a leggere i circa 3.500 caratteri di testo sopravvissuti sul meccanismo.
«Ora abbiamo dei testi che possiamo leggere esattamente in greco antico. Quello che avevamo prima era come ascoltare una radio piena di interferenze», dice il membro del team Alexander Jones, professore di storia della scienza antica all’Università di New York. «Sono un sacco di dettagli utili perché conosciamo molto poco dell’astronomia greca di quel periodo e essenzialmente niente della loro tecnologia, eccetto quello che vediamo qui», dice. «Perciò questi piccolissimi testi valgono molto per noi».
Prevedere le eclissi
Il meccanismo era un calendario solare e lunare: mostrava le fasi lunari, la posizione del Sole e della Luna nello zodiaco, la posizione dei pianeti, e prevedeva le eclissi. Nessun strumento del genere venne costruito per i successivi 1.000 anni.
«Non era uno strumento di ricerca, qualcosa che un astronomo userebbe per fare dei calcoli, né un astrologo lo userebbe per fare previsioni. Era qualcosa che useremmo per insegnare il cosmo e il nostro posto nel cosmo», dice Jones. «È come un manuale di astronomia per come lo intendevano all’epoca, che collegava i movimenti del cielo e dei pianeti con le vite degli antichi Greci e il loro ambiente. Lo vedrei più come un dispositivo istruttivo per i filosofi».
Le lettere - alcune alte solo 1,2 millimetri - erano incise sulle lamine dal lato interno. Delle sezioni visibili del meccanismo erano racchiuse nel legno e operavano con una manovella.
Non era esattamente un manuale, era più una lunga didascalia - come quelle nei musei che descrivono un’opera, dice un altro componente del team, Mike Edmunds, professore emerito di astrofisica presso l’Università di Cardiff. «Non ti dice come usarlo, dice ‘quello che vedi è così e così’, invece che ‘gira questa manopola e ti mostra qualcosa’», dice.
I ricercatori specificano che lo scopo primario del dispositivo era astronomico, ma una funzione astrologica non era forse da escludere. Il meccanismo riusciva inoltre a calcolare eventi sportivi quali i giochi olimpici e i giochi istmici.
Trovato in un relitto
I frammenti del meccanismo furono portati alla luce nel 1901 da un relitto di metà I secolo a.C. All’inizio non sembrò che un reperto marginale rispetto agli altri spettacolari ritrovamenti, quali statue di marmo e di bronzo, cristalleria di lusso e ceramiche.
Ma l’oggetto attrasse presto l’attenzione degli scienziati, e fu studiato da diversi team nei decenni successivi. Mentre furono avanzate ipotesi sul funzionamento degli ingranaggi e sull’uso della macchina, è stato a lungo impossibile leggere più di alcune centinaia di caratteri sul meccanismo, pieno di strati come un complesso orologio. Circa 12 anni fa, il team di Jones e Edmunds ha cominciato a usare i raggi X e immagini ad altà qualità per analizzare gli 82 frammenti superstiti.
«L’indagine originale doveva capire il funzionamento del meccanismo, ed è stato un successo», dice Edmunds. «Quello che non avevamo compreso era che le tecniche moderne che stavamo usando ci avrebbero permesso di leggere i testi, sull’interno e sull’esterno del meccanismo, molto meglio rispetto al passato».
È stato un processo minuzioso: i ricercatori hanno dovuto guardare dozzine di scansioni per leggere ognuna delle minuscole lettere.
Non un gioco
Edmunds ha detto che lo stile del testo - formale e dettagliato - implica che era molto di più che un giocattolo di un ricco collezionista. Venne probabilmente costruito in Grecia tra il 200 e il 70 a.C., sebbene non si sappia con certezza chi l’abbia prodotto.
I ricercatori hanno letto praticamente tutto il testo sui frammenti sopravvissuti. La loro più grande speranza è che gli archeologi che stanno attualmente rivisitando il relitto scopriranno dei pezzi ignorati cent’anni fa, o persino un altro meccanismo simile.
La nave commerciale era un gigante del mondo antico. Misurava almeno 40 metri di lunghezza, e si ruppe in due prima di affondare, adagiandosi su un ripido pendio sott’acqua a circa 50 metri di profondità.
La maggior parte delle iscrizioni, e almeno 20 meccanismi che lavoravano per mostrare i pianeti, sono ancora là. Dice un altro membro del team, Yanis Bitsakis: «Forse, a un certo punto, la nostra interpretazione potrebbe essere arricchita da altre parti del meccanismo recuperate nel mare».
Meccanismo di Antikythera
Il meccanismo di Antikythera (noto anche come macchina di Anticitera) è il più antico calcolatore meccanico di cui la storia abbia memoria. Si tratta di un complesso planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei 5 pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi e i giorni della settimana.
1 La scoperta
2 Le prime analisi
3 Riflessioni
4 La funzione e il funzionamento
5 Un meccanismo d’epoca
[...]
La scoperta
Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull’isoletta rocciosa di Antikythira (Andikithira o, secondo la grafia inglese, Antikythera), situata a nord-est di Creta.
Al largo dell’isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di un’enorme nave affondata, risalente all’87 a.C. e adibita al trasporto di statue in bronzo e marmo.
Le prime analisi
Il 17 maggio 1902 l’archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra aveva un ingranaggio inglobato all’interno. Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori.
Si trattava di un’intera serie di ruote dentate, ricoperte di scritte, facenti parte di un elaborato meccanismo ad orologeria.
La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell’iscrizione non è ancora stato pubblicato).
Il meccanismo è attualmente esposto nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione.
Riflessioni
Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo complesso per appartenere al relitto ed alcuni esperti dissero che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire ad un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo ma la questione rimase irrisolta.
Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati. Quell’anno infatti il professor Derek Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent’anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.
La funzione e il funzionamento
Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari).
L’estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto veniva riprodotto tramite l’utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale.
Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, in Grecia intorno all’epoca di Cristo esisteva effettivamente una tradizione di alta tecnologia.
Un meccanismo d’epoca
Il meccanismo di Antikythera, nonostante non trovi pari sino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050 d.C., rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili ad occhio nudo ed il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile.
Ad Alessandria d’Egitto infatti durante l’ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di Erone. A Siracusa inoltre già dal 213 a.C. Cicerone cita la presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l’unicità del meccanismo di Antikytera risiede nel fatto che è l’unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non rimasto nel limbo delle semplici "curiosità".
Il meccanismo di Antikythera è a volte citato tra i casi di OOPArt (Out of place artifacts), i cosiddetti manufatti "fuori dal tempo".
* Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera [ripresa parziale della voce: "Meccanismo di Antikythera", fls].
IL CIELO
Tornado su altri pianeti: Venere, Saturno, Giove
di Piero Bianucci *
La navicella europea «Venus Express» in questi giorni ci sta svelando nuovi aspetti dei giganteschi vortici atmosferici che si avvitano intorno ai poli del pianeta Venere. Intanto la sonda «Cassini» (Nasa ed Esa) ha osservato la formazione di un tornado su Saturno. E da più di un anno su Giove è comparso un nuovo vortice (non polare) simile alla «Macchia Rossa», proprio mentre questa storica tempesta gioviana in corso da circa tre secoli sta perdendo vigore.
Sono tutti fenomeni interessanti in sé, ma diventano ancora più interessanti se messi a confronto con fenomeni analoghi che avvengono sulla Terra. La «planetologia comparata» è una delle tante nuove discipline scientifiche che l’esplorazione dello spazio ha reso possibile.
L’atmosfera di Venere compie un giro intero del pianeta nell’arco di quattro giorni. La sonda della Nasa Pioneer Venus 25 anni fa scoprì il vortice polare Nord. Le immagini erano a risoluzione molto bassa, oggi Venus Express ci mostra particolari minutissimi. La cosa singolare è che questo ciclone Nord aveva due «occhi». Due tornadi in uno! Quando la sonda europea nell’aprile scorso è arrivata in vista di Venere, subito gli scienziati dell’Esa sono andati a vedere se il polo Sud di Venere avesse un ciclone simile: e in effetti ce l’ha.
Questi vortici polari, presenti anche su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, sia pure con diversa intensità, sono la chiave per capire come funzionano le atmosfere di questi pianeti. Ogni vortice risente, naturalmente, della Forza di Coriolis, una componente trasversale dovuta alla rotazione del pianeta. E poiché la velocità di rotazione varia molto da pianeta a pianeta (per esempio Giove ruota molto rapidamente e Venere molto lentamente), la Forza di Coriolis contribuisce al diverso aspetto dei vortici polari.
«Siamo però ancora lontani - dice Pierre Drossart, astronomo dell’Osservatorio di Parigi - dall’aver compreso la genesi dei vortici polari di Venere: qui la Forza di Coriolis è debolissima, e certamente ciò ha a che vedere con i due lobi in cui si suddivide il ciclone, formando i suoi due “occhi”. Il meccanismo preciso tuttavia ci sfugge.»
Le ricerche ora in corso utilizzano due strumenti di «Venus Express», uno per osservare nella luce visibile e l’altro per l’infrarosso. Queste due lunghezze d’onda permettono agli astronomi di scrutare il vortice a profondità diverse: in superficie nel visibile, e 100 chilometri più in basso nell’infrarosso. Può darsi che confrontando le immagini il meccanismo di formazione di questi vortici diventi meno misterioso.
E chissà che non si impari qualcosa che ci riguarda da vicino: la circolazione atmosferica sul polo Nord e sul polo Sud della Terra è determinante anche per il clima delle zone temperate.
* La Stampa, 28/11/2006
Caduto in Canada nel 2000, è stato studiato dai ricercatori Nasa. "Ora siamo più vicini a capire da dove veniamo"
In quel vecchio meteorite il segreto della vita sulla Terra
Si è formato quando il Sole ancora non era nato. Per gli studiosi si tratta di una vera "macchina del tempo"
di LUIGI BIGNAMI *
MILANO - E’ arrivato dallo spazio con un tesoro per la scienza. E’ il meteorite che cadde nel gennaio del 2000 sul lago ghiacciato Tagish, in Canada. Poiché venne immediatamente recuperato da un gruppo di ricercaori, fin da subito si ebbe la certezza che tutto quello che si sarebbe trovato al suo interno non sarebbe stato frutto di contaminazione terrestre. Le ricerche, ad opera di un gruppo di scienziati della Nasa, sono durate sei anni ed ora i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science.
Le scoperte più importanti sono essenzialmente due: da un lato il fatto che il meteorite contiene al suo interno piccolissime sfere di materiale organico, composto cioè, oltre che da idrogeno e azoto, anche da carbonio, che è l’elemento fondamentale su cui si è costruita la vita. Inoltre esse possiedono una struttura tale che al loro interno avrebbero permesso la concentrazione di molecole organiche ancora più complesse e che, in condizioni particolari, avrebbero potuto innescare la vita così come la conosciamo sulla Terra.
Il secondo elemento importante è il fatto che il meteorite si è formato ai confini più esterni del sistema solare, quando il Sole non era ancora nato e dunque è davvero un embrione del sistema solare stesso. Di più: una vera macchina del tempo. Spiega Keiko Nakamura, una delle ricercatrici Nasa: "All’interno del meteorite sono presenti numerose cavità submillimetriche le cui pareti sono composte da materiale organico. Simili oggetti vennero già osservati in altre meteoriti, ma si era sempre pensato che si fosse in pesenza di contaminazioni terrestri. Ora, poiché abbiamo raccolto i frammenti di meteorite subito dopo la caduta, abbiamo la certezza che essi provengono dallo spazio".
Fino ad oggi risultava difficile studiare quelle piccole sfere di materiale organico perché sono estremamente piccole, hanno infatti, un diametro inferiore ad un 250 millesimo di millimetro. Solo nel 2005, grazie a due potenti strumenti e ad un microscopio elettronico installati al Johnson Space Center fu possibile scardinare i segreti contenuti in quei microscopici oggetti. Così si scoprì che le sferule organiche possiedono inusuali concentrazioni di particolari atomi di idrogeno e azoto, un elemento che attesta inequivocabilmente l’origine extraterrestre.
Spiega Mike Zolensky, coautore della ricerca: "La composizione permette di sostenere che essi si formarono a circa 260 gradi centigradi sottozero. Per questo motivo tali globuli si devono essere formati nella fredda nube di polveri e gas che vi era prima della nascita del Sole". Il meteorite canadese, classificato come "condrite carbonacea", era estremamente fragile, tant’è che durante l’entrata nell’atmosfera e l’impatto con il lago ghiacciato canadese si è rotto in decine di frammenti.
"Se, come ipotizziamo, questo genere di meteoriti precipitò sulla Terra durante l’intero arco della storia, il nostro pianeta è stato seminato ovunque con simili sostanze organiche ed è assai probabile che la vita quaggiù si innescò proprio grazie ad essi", spiega Vincenzo Zappalà, esperto di meteoriti dell’Osservatorio astronomico di Torino.
L’origine della vita sulla Terra è uno dei problemi scientifici più importanti ancora irrisolti. Dice Nakamura: "Con la scoperta di ciò che vi è all’interno del meteorite del Lago Tagish, forse siamo più vicini a comprendere da dove sono arrivati i nostri predecessori".
* la Repubblica, 3 dicembre 2006.