Guerra, sempre assurda ...

David, colomba ferita. LO SCRITTORE YEHOSHUA DI FRONTE ALLO STRAZIO DELL’AMICO GROSSMAN

mercoledì 16 agosto 2006.
 
[...] Ieri mia moglie ed io siamo andati a casa sua, a Mevasseret Zion, all’ingresso di Gerusalemme. In questi ultimi anni abbiamo fatto visite di condoglianze per amici morti di malattia o di vecchiaia. E invece ora siamo andati a trovare dei genitori. Più giovani di noi. E già parte di una famiglia orbata. La casa era piena di gente, soprattutto giovani. Amici di Uri, seduti in mesto silenzio sulle scale di casa e in giardino, come se proprio la loro muta presenza fosse, per i genitori, figura del figlio perduto. Abbiamo abbracciato David e Mikhal, abbiamo pianto con loro. Sembravano ancora storditi. Come se non avessero ancora digerito la profondità di quel colpo. Sanno però che li aspetta una lunga strada, piena di dolore. E noi, non abbiamo potuto promettere una deludente consolazione: solo una spalla e amicizia sconfinata, per sempre.[...]

LO SCRITTORE YEHOSHUA DI FRONTE ALLO STRAZIO DELL’AMICO GROSSMAN PER LA PERDITA DEL FIGLIO URI David, colomba ferita

di Avraham B. Yehoshua (www.lastampa.it, 15.08.2006)

Ieri mattina ho telefonato a casa sua, come faccio da quando c’è la guerra, per chiedere come stava Uri, il carrista al fronte, in Libano. Mi risponde sua moglie Mikhal, con voce limpida, calma: Uri è stato ucciso, ma non diffondere la notizia perché dobbiamo dirla noi a suo fratello, è in vacanza in America del Sud, e anche ai genitori di David che si trovano in Italia. Non sia mai che debbano saperlo dai mezzi di comunicazione. Poi, con una incomprensibile presenza di spirito, alla fine mi ringrazia dell’interessamento per la sorte di Uri.

Infatti il nome del caduto viene reso pubblico solo la sera, quando ormai la notizia è stata comunicata al fratello Yonatan, già sulla via del ritorno. Però, la data del funerale non è fissata: il carroarmato in cui Uri ha trovato la morte con i suoi tre compagni non è ancora stato prelevato là dove imperversava il fuoco degli Hezbollah.

David Grossman lo conosco da molti anni: sin da quando pubblicò il suo primo libro, la raccolta di racconti intitolata «Ratz». Riconobbi subito in lui un vero talento, una eccezionale capacità espressiva, condita di sensibilità psicologica: capii che quel pulcino letterario avrebbe avuto una notevole apertura d’ali. Lo chiamai subito. Venne a trovarmi. Un pel di carota occhialuto, esile e socievole, che mi fu simpatico all’istante. E malgrado abbiamo quasi vent’anni di differenza, siamo diventati amici.

Diversamente da molti scrittori della sua generazione, David è paragonabile più a quelli della mia generazione: nutrito com’è della convinzione che lo scrittore abbia un dovere, quello cioè di assumersi una responsabilità civile e di incastonare questioni nazionali e morali nel tessuto della sua creatività letteraria. Così è diventato un nostro compagno: quando si tratta di scrivere articoli sui giornali o di partecipare a dibattiti pubblici e a iniziative. Intanto ha continuato a scrivere i suoi grandi libri, in cui si riscontra una sensibilità umana davvero speciale. Di tanto in tanto ci scambiamo un manoscritto in lavorazione, le sue notazioni sincere e dirette le ho sempre trovate significative. Appena tre mesi fa ho dato a lui e a Mikhal quattro capitoli del romanzo che sto scrivendo. Le sue parole mi hanno incoraggiato nonché fornito qualche dritta per continuare.

Il mondo letterario israeliano, così come ogni altro universo letterario o artistico, è fitto di tensioni e rivalità; ma se gli scrittori diventano amici, questa amicizia si fa ancora più forte e più solida quand’è forgiata da un’attività politica e ideologica comune. E il modo in cui le circostanze ci impongono un coordinamento delle posizioni sì da essere convincenti, anche questo gioca a favore di una reciproca considerazione. Una ragione in più che spiega questa possente amicizia che lega alcuni scrittori israeliani e stupisce gli altri.

Le grandi questioni con cui dobbiamo confrontarci - insieme - questioni legate alla vita e alla morte, alla portata morale della politica dello stato ebraico, tutto ciò ci toglie il lusso di quella meschinità che a volte caratterizza l’universo dell’arte. La settimana scorsa siamo stati in stretto contatto, causa l’appello che abbiamo pubblicato, lui, Amos Oz e io. In quell’appello giustificavamo le alternative e le decisioni ormai prese. D’altro canto, per evitare sofferenze e tormenti superflui tanto a noi stessi quanto ai nostri vicini libanesi, non potevamo fare a meno di accogliere la proposta di cessate il fuoco reciproco del Consiglio di sicurezza, invece dell’opzione di un ampliamento del conflitto. Dopo che ho scritto la prima bozza dell’appello, io e Amos Oz l’abbiamo rivista insieme e tutti e due abbiamo deciso che fosse opportuno condividere il testo con il nostro fratello più piccolo - David. L’ho chiamato a Gerusalemme. Gli ho passato il testo e lui ha cominciato ad apporre le sue notazioni. Mi ha fatto davvero le pulci: era molto importante per lui che ogni frase risultasse precisa e corretta. David, direi, è un po’ più colomba di noi, è estremamente sensibile verso ogni espressione troppo prepotente. Per tutto quel tempo abbiamo parlato anche di Uri il carrista che combatteva in Libano, ed io gli ho raccontato dei miei due figli, che sono entrambi già padri, riservisti richiamati in servizio anche loro, benché in ruoli meno pericolosi. David già sapeva dei missili anticarro di cui dispongono gli Hezbollah: era estremamente in ansia.

Alla conferenza stampa di giovedì scorso abbiamo invitato anche David, il quale aveva intenzione di partecipare a una manifestazione della sinistra contro la guerra. Ha dunque optato per la conferenza stampa, dove avrebbe potuto esprimere le sue opinioni con precisione e fermezza. Dopo che i giornalisti se ne sono andati ho fatto una battuta macabra: è bello sapere che fra dieci anni, quando io non ci sarò più, resterà qualcuno di giovane a rappresentarci, per la prossima guerra. Allora né lui né io sapevamo che la sorte del più giovane fra tutti, il ragazzo Uri, che fra tre mesi avrebbe finito il servizio militare, era ormai segnata da quel missile sparato dentro il suo carro armato, nel giorno di sabato. Ieri mia moglie ed io siamo andati a casa sua, a Mevasseret Zion, all’ingresso di Gerusalemme. In questi ultimi anni abbiamo fatto visite di condoglianze per amici morti di malattia o di vecchiaia. E invece ora siamo andati a trovare dei genitori. Più giovani di noi. E già parte di una famiglia orbata. La casa era piena di gente, soprattutto giovani. Amici di Uri, seduti in mesto silenzio sulle scale di casa e in giardino, come se proprio la loro muta presenza fosse, per i genitori, figura del figlio perduto. Abbiamo abbracciato David e Mikhal, abbiamo pianto con loro. Sembravano ancora storditi. Come se non avessero ancora digerito la profondità di quel colpo. Sanno però che li aspetta una lunga strada, piena di dolore. E noi, non abbiamo potuto promettere una deludente consolazione: solo una spalla e amicizia sconfinata, per sempre.


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