Teatro

Il copione di scena di Roccu u stortu, di Francesco Suriano, interpretato e diretto da Fulvio Cauteruccio, con le musiche del Parto delle nuvole pesanti

domenica 21 maggio 2006.
 

Il copione di scena di ROCCU U STORTU, di Francesco Suriano, interpretato e diretto da FULVIO CAUTERUCCIO, con le musiche de IL PARTO DELLE NUVOLE PESANTI

L’epopea di un contadino calabrese alla guerra

Scena 1

Nel buio una muta di cani abbaia affannosamente alternandosi con le voci concitate di un gruppo di bambini. Rocco Sprizzi, un omaccione corpulento e con un’espressione spaventata, vestito da soldato semplice di fanteria della prima guerra mondiale, pantaloni di panno, giberne in pelle, scarponi chiodati, zaino, mantellina e il fucile modello 91, entra in scena e corre come se fosse inseguito dai cani e dai bambini, con respiro affannoso si guarda alle spalle spaventato di essere raggiunto. Adesso i latrati dei cani e le urla si fanno sempre più vicini, l’uomo si raccoglie su se stesso in un angolino della scena e comincia a urlare fino a ché non si sente più nulla. Rocco si alza, si guarda attorno mostrando una spavalda, quanto inverosimile sicurezza e passeggia avanti e indietro provando dei passi di marcia. Accortosi di essere di fronte a un pubblico scatta sull’attenti producendo un fragoroso battere di scarponi.

Rocco storico

Questo spettacolo abbiamo deciso di non rappresentarlo mai il 28 di giugno. E’ una data che agli inizi del secolo portava una sfortuna spaventosa e spesso torna in questa vicenda. Ci scusiamo con chi fa il compleanno in questo giorno, ma i fatti sono i fatti. L’Italia entra in guerra come tutti noi sappiamo, prima guerra mondiale, il 24 maggio 1915, ma quindici anni prima, per l’appunto il 28 di giugno del 1900, Francesco Ferdinando d’Austria sposa la contessa Sofia Chotek. Un matrimonio concepito e partito male. Primo: tutti gli autentici monarchici d’Austria dicevano che era cattiva sorte che Francesco Ferdinando sposasse la contessa Sofia Chotek, una donna che non poteva divenire a sua volta arciduchessa né tanto meno altezza imperiale. Soprattutto, i figli nati da questa unione non potevano ritenersi come i successori imperiali. Come se non bastasse a Sofia non era concesso di sedersi accanto al suo sposo durante le cerimonie, fatta eccezione per le rassegne militari, proprio come quella che, quattordici anni dopo il loro matrimonio, Francesco Ferdinando decise di fare a Sarajevo. E quale fu il giorno scelto? Il 28 giugno, giorno di Sant’Ireneo, dal greco "dedicato alla dea della pace" e che per i cristiani divenne sinonimo di "pacifico", in pace con gli uomini e con Dio... E invece a Sarajevo un gruppo consistente di studenti, capeggiati da un certo Api e finanziati da una società segreta serba, decideva di fare un attentato all’arciduca. Questo tale Api, un attentatore che non riuscì quasi mai a portare a buon fine un solo attentato nella sua vita, quella volta, quel 28 giugno ci riuscì, seppure in modo del tutto fortuito. Adesso è come se ripetesse i movimenti dei quattro attentatori. Il gruppo era composto da quattro impacciati e goffi anarchici: il primo, quando vide arrivare l’arciduca e la contessa, provò a tirare fuori la pistola dalla tasca ma la sua mano rimase impigliata nella fodera, così restò a guardare, paralizzato dalla sua stessa incapacità. Allora fu la volta di un altro, che però rimise subito a posto la pistola, venendo colto da un terribile scrupolo: non se la sentiva di sparare a una donna e tanto meno a una donna arciduchessa, seppure la povera Sofia Chotek, nell’impero austriaco, non poté mai divenire tale. Poi toccò al terzo che estrasse una bomba e la lanciò verso la carrozza dell’arciduca, ma fu un lancio troppo espansivo, tutti osservarono la bomba, anche l’arciduca, e lei, la bomba, volava, volteggiava, e faceva capriole in aria, e finì per oltrepassare l’obiettivo, cadendo ed esplodendo distante. Ma finalmente i coniugi imperiali e la scorta si resero conto che c’era un gruppo di persone che li voleva far fuori. Così decisero di rifugiarsi nel municipio di Sarajevo e l’arciduca non voleva sentire ragioni, era incazzato e probabilmente spaventato, pensò che, prima o poi, a qualcuno, gli sarebbe riuscita l’impresa. E così salì su un’automobile con un autista che non sapeva bene quale direzione prendere e come uscire subito dalla città. Infatti sbagliò strada, decise di fare un’inversione di marcia e si trovò faccia a faccia con il quarto attentatore: Gavrilo Princip. Nella Storia e in questa storia le frustrazioni hanno un’importanza eccezionale. Infatti, il giovane Princip per una "e" finale mancante al suo cognome decise di fare fuori un vero principe, come se così riuscisse a riscattare la "e". Anche Princip rimase sorpreso di trovarsi al cospetto dell’arciduca, era come se avesse attratto l’automobile col pensiero. Balzò sul predellino e sparò a bruciapelo uccidendo Francesco Ferdinando e poi, mirando a un uomo della scorta, uccise Sofia Chotek, visto che anche lui un errore doveva pur farlo, il Princip... e...

Rocco soldato

Sprizzi Rocco 142° reggimento fanteria, 6° compagnia della Brigata Catanzaro, trent’anni, surdatu semplice, mugghieri e tri figghii, quattru e sette, novi a fimmana. Calabrisi, incensuratu, semianalfabeta... leggo ma non scrivo... Sì, leggiu ma non sacciu scrivìri, non mi cangia molto. Anzi pensu ca sugnu furtunatu, megghiu mi sacciu leggìri ca mi sacciu scrivìri e non mi sacciu leggìri. Seppure mi dissero che se uno sa scrivìre sapi puru leggìri. E dopu a cu ’nci pozzu scrivìre a me mugghieri? e lei non sapi leggere e allora siamo pari e io so leggere ma non sacciu scrivìri, lei non sa leggere e quindi non potarria canusciri le mie scritture. I cani e i bambini abbaiano e urlano di nuovo. Voci di bambini come una cantilena Roccu u stortu, Roccu u stortu, Roccu u Stortu... Rocco soldato A tutte le vostre mamme, cagne e non... Tutto u jornu chi mi currianu. Arriditi, arriditi supa a sto zufolo... Non finisce accussì, no, no... e che io mi scanto ’i loro, cani e (ridendo) figghioli. Solo ca ne prendo uno, cane o figghiolo, u pigghiu du coddhu e ’nciu tiru (imita il gesto con le mani) come a na ghaddina, fino a farlo schiattare. Vi pensate ca mi scantu di voi? Adesso hanno smesso. Veniti ca’... unu, unu a caso, va bene, puru nu cani non ha importanza... I cani e i bambini ricominciano e Rocco si allontana frettolosamente per tornare quatto quatto cercando ogni tanto di darsi del coraggio. (A bassa voce) Cani chi abbaja assai muzzica pocu... Vitti cosi chi vui mancu se riuscite a moriri, a nescìri, e a moriri e a nescìri, e a moriri e a nescìri pe’ deci voti vi potiti immaginare... veramente vi pensati ca mi scantu... ieu non sacciu chi esti a paura... non la conosco... da picciriddhu o’ paesi canusciva tri ccani, va bene, ddu cani picciuli e nu cani randi, tutt’i tri venivano da stessa figghiata. Sulu ca nu cani si fici du voti tanto rispetto e so frati. Senza esagerazione era gatu mezzo metro di cchiù. I dù caniceddhi s’indistavanu sempre per proprio conto, erano gli unici caniceddhi che ho visto in vita mia che non appartenivanu a nuddhu, l’uno era u patruni dell’atru. Mentre u cani grossu avia nu patruni uomo e stava tutto u jorno con lui ma aviva na gelusia per i ddui caniceddhi infinita, quasi che non potiva supportari la loro indipindenza dai cristiani. Ogni vota che l’incontrava ’nta strata ’nci jettava tremendi latrati e i due frati caniceddhi no carculavanu, continuavano diritti uno avanti e l’atru arretu... Nu jornu, u cani grossu, era senza patruni e quandu vitti i ddu fraticeddhi si avvicinau, bloccando la loro passiata e ’nci cominciau a jettare dei latrati che le orecchie di ddu caniceddhi si misero a svolazzare come du fogghi o ventu e pure sta vota i due caniceddhi rrestaru, pe’ quanto gli fu possibile, indifferenti. Allora u frati grossu non ci vitti cchiù, l’occhi ’nci jettaru sangu e ’nci saliu n’coddhu per sbranarli... A guerra, perché così fu chiamata in tutto u paisi, durò quattru jorna e quattru notti e nuddhu s’insonnava mi s’avvicina pe’ mmi sparti, avarria rischiatu pe’ mmi mori. Si dezzaru muzzicati cusì forti chi si sentivanu i denti urtari l’uni cu l’atri a distanza di centinaia di metri... Lentamente, a sfumare, mentre Rocco arriva alla fine della storia i cani e i bambini smettono di abbaiare e gridare. La notte du quartu jornu, i cani, oramai per le ferite, non avivanu cchiù a forza mi si sciarrianu, si misaru dui di na vanda e unu dill’atra... guardandosi in cagnesco... fino a che pe’ le lancinanti ferite moriru tutt’i tri dissanguati. Viditi, viditi, i frati che sunnu capaci i fari, puru a guerra. (Indirizzato da dove provenivano i latrati e le urla) e vui vi pensati ca mi scantu... Adesso ricominciano ad abbaiare e a urlare, quasi più forte di prima. Rocco è spaventato. E racconta velocemente. Nu jornu mentre eramu o fronti, dopo ddu jorna chi ’ndi sparavanu di tuttu, vinni nu cani d’a parti dill’austriaci. Nu cani tantu (fa il gesto con la mano). Tutti quanti pensammo ca ’ndi ll’avivanu mandatu i soldati per venirci a spiari. Giannuzzu, ’nci isse: vattene via che cani austriaci non ’ndi volimu. Tu ’ndi vidi, ’ndi senti e riporti tutto a quegli amici dei tuoi cani austriaci, cani schifosi... Insomma Giannuzzu ci convinse talmente tanto che quel cane poteva spifferare tutto ai suoi cumpari, tantu chi u pigghiammu, cu ddha fami arretrata chi avivamu... u cucinammu e ’ndu carricammu ’nta panza, nc’era carni per tutti, in abbundanza... I cani smettono immediatamente di abbaiare. Rocco soldato. Nuddhu, nuddhu o mundu cridarria ca na spaventosa guerra comu a quista potarria nascere da piccole ragioni e da coincidenze fortuite anzi malaugurate e tutti, nuddhu escluso, puru ieu, puru i figghioli, puru i cani, tutti si misero a fare supposizioni, delle più incredibili, tutti pensammu ca a guerra l’avivanu decisa in modo sotterraneo e macchinoso, ca c’era ’ncunu che aviva preparato tutto, puru l’inversione da machina dell’arciduca che va verso a morte certa. Sì, fu una guerra che non vuliva nuddhu, mancu il generale più potente, ma cu prepotenza ogni cristiano di sto mundu si mise d’impegno a scatenare nu sciarriamiento generale che non avrebbe avuto né vinti né vincitori come tutte i guerri, mi funziona sempre bonu u ciriveddhu... Cuminciamu: comu partia pa’ guerra; capita sempri pe’ ’ncuna delusione o ’ncuna speranza mal riuscita e pozzu diri ca i ddu cosi sta’ vota si miscitaru. A delusione fu po’ scassamentu di un gruppo di fimmani, pecchì pe na ragione o l’atra i fimmani quando c’esti na guerra sempre u peggiu portanu, e pe na questione di confini, non parru di quello delle trincee ma di n’atru che conoscerete. Per quello che arriguarda la speranza era di avere nu pezzu di terra al mio ritorno, cosa chi non cci fu e capirete chiù avanti pecchì. U jornu era il 28 di giugno... data che tutti oramai canuscimu bonu e che quando l’aiu a nominari è megghiu mi dicu u jornu chi tutti sapimu. Siamo in una foresta di livari, grandi comu l’abbraccio di ottu cristiani, i frondi oscurano la luce du jornu. I cicali ’ndi facivanu tremare a faccia pe u cicalecciu. Mi ’ndi stava chinato a raccogliere l’aliva. Intorno a mmia ’ndaviva natri tri raccoglitrici...

Scena 2

Adesso è chino a terra come se stesse raccogliendo delle olive. Si sente lo spaventoso frinire delle cicale. Rocco canta una canzone in falsetto delle raccoglitrici. Rocco Rosina, scusate, ma pecchì vi ostinate a pigghiari le ulive ca avevo pensatu di pigghiari ieu? U viditi? u viditi? quelle quattru grossi, mi pigghiastuvu... vi chiedo un piacere dassati’milli... Uno s’indistaci a faticari pe’ tuttu u jornu... Abbiamo deciso che ognuno avi u so arbaru, e restammo accussì. Voi aviti chistu, jeu, chistatru, quindi non aviti a sconfinari. Viditi i vostri soru, Maria staci ddhà e la beddha Caterina, che è puru bona, esti a l’atru... Adesso fa la voce di Rosina U pe mmia... Ma chi voliti? Io staju ca a spaccarmi a schina e voi vindiveniti a parrari di confini? Mettetevi vicino a Caterina se pensati che è chiù brava i mia. E doppu scusate comu fazzu a sapiri qual’è aliva che vuliti cogghiri vui, mu diciti? Rocco No, ma se viditi che comincio a raccogliere chista, facimu n’esempio, pecchì avvicinati la vostra mano e me la prendete? Dassati stari e non vi avvicinati... (indicando con il braccio) Da ccà a ccà esti pe’ vvui... e da ccà a ccà esti pe’ mmia... Adesso fa la voce di Rosina U pe mmia... u pe mmia... Ma chi voliti? Io staju ca a spaccarmi a schina e voi vindiveniti co sti cunfini. Io se vògghiu mi pigghiu chista, chiddha e chiddhatra. Rocco Ecco. Viditi? Non varregulati... Avete preso tre ulive chi sunnu du meu cunfini...

Adesso Rosina U pe mmia... Ma l’aviti proprio ’nto ciriveddhu u confini... Rocco Sini, l’aju ca... ieu mi ’ndi staju tranquillo a raccogliere, aju le ginocchia che sunnu come a ddu zzipanguli, alla tremila e novento quarantaduesima aliva e vui venite ccà via a rovinarmi u travagghiu... Adesso Rosina U pe mmia, u pe mmia... j’tivindi, j’tivindi... Rocco Mindi vaju... certo ca mindi vaju... Rocco infuriato si sposta come se andasse vicino alla bella Caterina. Adesso Rocco canticchia il motivetto della canzone Rocco Aaah, comu staju bonu cca via... No, non vogghiu arrecare disturbo... Esti ca ccà si respira n’atra aria, e puru aliva pare chiù grossa. Non vi pare Caterina? Adesso è Caterina. Ha un tono di voce da ragazza bella che sà di esserlo Siii?.. Diciti accussì?.. Pe mmia ccà o ddhà esti a stessa cosa. Rocco No, è che travagghiu da tanti uri e vostra soru non faci che sconfinari ’nto mé arburu... Voi invece siti così pulita... Adesso è Caterina Chi voliti Roccu. Non pozzu parrari. Staju faticandu e se è pe mia chi venistivu vindi potiti tornari all’arbaru vicino a Rosina, ca me patri non voli mi parru... Rocco Caterina... Vi volevo dire ca se voliti potiti prendere puru le mie olive, fate pure. Vardati vi dugnu chiste quattru. Adesso è Caterina Per piaciri... Voce di un ragazzino Sapistivu a bona nova? A sapistu? Terra, terra, terra... Rocco Era Ferdinando nu figghiolu ca curriva tutto u jorno cu nu cani. Ed è stato proprio da quello jornu, u jornu chi tutti sapimu, chi cominciai a schifari: figghioli e cani... Insomma ’ndi vinni a dire ca siccome entrammo in guerra cu vuliva partiri aviva u viaggiu gratis, da mangiari matina e sira e o soi ritorno potiva aviri una terra propria, di propria proprietà. E figuratevi..? Terra, terra, terra... chi di noi curvo pe’ dudici ori, girando attorno a arberi di aliva secolari con ginocchia tante, come doi angurie, alla tremila novecento quarantaduesima oliva, che si sciarria cu i Rosine, cercando di parrari cu i Caterini senza ca potivi aviri nuddha speranza, ora ca mi si presentava, terra, terra, terra, non la pigghiavo o volu? E si capisci! Partiva, combattiva, tornava patruni di terra e puru mi maritava...

Scena 3

Rocco storico Rocco Sprizzi parte per la guerra. 141° e 142° i rossi e i neri, i colori della Brigata Catanzaro. La Brigata di Rocco Sprizzi. "Dalle città risorte sulle rovine dei terremoti, lasciati i pittoreschi costumi dei loro monti per l’umile saio del fante, accorsero cantando nei lunghi treni infiorati"... Rocco canta una canzone di guerra. Rocco storico Partire per la guerra. Una frase che milioni di uomini hanno ripetuto alle loro donne, alle loro fidanzate, alle madri, ai padri, ai figli, agli amici. Partire per la guerra... quanti sono partiti con la speranza di un pronto ritorno e di un pezzo di terra da coltivare. Nessuno dei giovani soldati poteva immaginare l’orrore di ciò che li attendeva al fronte. Il desiderio di autodistruzione si diffondeva nei pensieri di ogni soldato, anche nell’ufficiale più convinto: talmente era alta la possibilità di morire che non c’era neanche il tempo di creare quel desiderio di vendetta nei commilitoni rimasti vivi, perché subito dopo morivano anche loro, quelli che dovevano vendicarsi. E’ gia il secondo inverno di guerra per la brigata Catanzaro, siamo nel 1917 e un maggiore, Carlo De Vecchi viene ucciso da una granata e così arriva la terza medaglia d’oro.

Rocco si mette di spalle al pubblico come se stesse facendo una conta con un gruppo di commilitoni. Rocco Da Roccu a Milo (filastrocca) eeeh, eeeh, eeeh... Deci! Uno, dui, tri, quattru, cincu, sei, sette, otto, novi e deci... jeu? Jeu sono u decimu e sempre a mmia tocca, com’è possibile ca sugnu sempri u decimo... Rocco ufficiale di brigata Siamo tutti sotto il favoloso ed eroico comando di Sua Maestà il re d’Italia. Rocco scatta sull’attenti procurando un rumore assordante Rocco ufficiale E’ lui, il re, che ci porterà a far brillare la luce dei nostri cuori e a vincere... Rocco soldato ’Ndi issi e tutti ci chiedemmo quale luce potesse brillare nei nostri cuori, l’unica era quella del rossu sangu quandu ’ndi scoppiava nte’ mani... e poi comu ci poteva far vincere nurré chi si scantava dell’ombra sua. Lui doveva pensare a difendersi dalle minacce che tutti i santi jorna ’nci arrivavanu sopra la sua scrivania.

Voce uomo Al nano belva, non troverai più in noi un esercito che ti difende ma ci uniremo al nemico per batterti annientarti e distruggerti. ricordati bene che se in questo breve periodo non concludi sapremo punirti, la tua morte sarà lenta e agonizzante da scontare tutto il dolore e il sangue versato di tante povere creature... Voce donna Egregio signore, le scrivo queste righe per dirle che se non finirà la guerra vedrà che cosa le faremo, le taglieremo il collo, le faremo tutti i dispetti che potremo, lui alla camera ed alla sua famiglia. e noi sorelle non abbiamo paura né di lui né dei carabinieri, né dei marescialli, di nessuno. riverisco Sue Livia, Argenta, Nerina siamo tutte sorelle.

Rocco ufficiale Tutti noi dobbiamo ringraziare i nostri superiori il nostro popolo che a sua volta ci ringrazia perché difendiamo la nostra e la loro patria... Rocco soldato Tutti cuminciaru a bisbigliari. Tutti si domandavano cu diavolo ’ndi stava ringraziando e chi a nostra vota stavamo ringraziando... Pecchì di ringraziamenti du paisi, sì insomma dall’Itaglia non ne arrivavano proprio, anzi c’era chi s’arrivultava a sta guerra e noi a cu ringraziavamu a nostra matri chi n’daviva messo o mundu per fare stà sorta di fine?.. Rocco ufficiale Dovete farvi forza, purtroppo in una guerra si può morire ma si può anche essere felici di essere caduti per la propria patria. Rocco soldato A stu puntu ci fu ’ncuno chi isse ca non sentiva nenti, ma era na chiara e netta provocazione e siccome l’officiale era realmente duro di comprendonio: alzò la voce... Rocco ufficiale Combattere può anche essere bello perché la guerra non è così terribile come si può credere... Rocco soldato A stu puntu puru l’atri officiali cominciarono a scalpitare. Molti mugugnavano, atri tussiavanu senza averne necessità... e invece jeu intra, intra i carni mi si formava na cancrena ca vuliva arrigettare tutto, ma u fici intra, pecchì sennò m’ammazzavanu: a mmia, propriu a mmia mi veni a cuntari della patria, a mmia mi tiri fora na tiritera sull’amuri pa propria terra. A mmia mi chiedi di arringrazziari i miei simili ca iddhi mi ringrazzianu a mmia. A mmia mi veni a diri ca esti bellu moriri... ma chi mi ’ndi futti a mmia... Ccà ora jeu sugnu ccà e tu ddhà via, ca se potiva pigghiarti ti mprascava a faccia di sputazza. Allura vitti ca u duca d’Aosta mi guardava, non ero lontano da loro. Sugnu sicuru ca vitti intra a mé panza tutto quello che stava succedendo. S’avvicinau all’officiali e ’nci fici signu (spinge con le mani in avanti come se spingesse qualcuno) ca ora toccava a iddhu. Rocco duca d’Aosta Ufficiali e soldati della Brigata Catanzaro! anche oggi il fremito di nuove gloriose lotte ci scuote, anche oggi la visione di nuove vittorie sta a noi dinanzi, più radiose anzi di quelle dell’anno passato, perché maggiore è la nostra forza. Venga dunque il momento delle prove decisive: sono certo che la brigata sarà sempre degna della fama che circonda il suo nome. Rocco soldato Mi votai du me’ vicino di fila e ’nci issi: pe mmia è questione di jorna e ci rispediscono al fronte... e u vicino mi issi: ma sei tutto matto? uno degli unici del nord-Italia e io ’nci issi: e pecchì? Allora le tue orecchie non sentinu bonu, chistu ’ndi voli dari la pillola senza farci suffriri... e lui mi issi: qui non è questione di capir o non capir, xe che il duc d’aost vol farzi sentir meglio, e io ’nci issi: megghiu? megghiu di che? cà nuddu voli mi stamu megghiu, chistu ci farà partiri. E lui mi issi: xe che voi del sud siete tutti cagon, e io ’nci issi: nui simo puro cagon ma vui non capisciti propriu nenti... (pausa) Nuddhu, nuddhu di noi voliva partiri, sì qualche veneto o toscano, ma noi meridionali eravamo stanchi, ’ndi dolivanu li carni e l’ossa...

Rocco storico E sì, perché la Brigata Catanzaro era considerata uno dei reggimenti più affidabili e più seri. Proprio per i calabresi, per i siciliani, per i pugliesi, per i meridionali che la componevano. A quell’epoca, consideravano i meridionali persone da stimare e affidabili, soldati pronti al comando, capaci di resistere al fronte a oltranza... ma non si poteva esagerare, e soprattutto non gli si dovevano fare ingiustizie. Il soldato Rocco Sprizzi aveva ragione e dopo quel discorso il 23 maggio del 1917 la brigata fu inviata nelle trincee di Lukatic e a quota 238. Rocco storico scopre una cartina geografica molto semplice. Sembra il disegno di un bambino. C’è il cielo azzurro, alcune nuvole e in mezzo i cocuzzoli di montagne frastagliate; intorno rocce e nient’altro. Poi decine di numeri e qualche nome. Con una bacchetta indica i punti che racconta: La brigata Catanzaro ha combattuto su questi punti, nel basso Isonzo, alternandosi con altre brigate come la Caltanissetta o la Salerno. Scendendo e salendo da questi monti o meglio da queste quote, sì perché la quota, in questa guerra era considerata un luogo ben preciso. Come se ogni volta si mettessero a misurare con un altimetro la quota alla quale i soldati combattevano. Battaglie brevi ma sanguinose in cui la baionetta è usata molto più dei colpi di fucile. I corpo a corpo sono tremendi, ma la brigata sembrava votata a questo tipo di guerra e "un calabrese non si arrende mai". Il 9 gennaio la brigata viene concentrata fra Redipuglia, S. Elia e Polazzo e da qui partono le compagnie per andare a combattere. Le quote e i luoghi delle battaglie in cui la brigata Catanzaro si trovava, erano sempre gli stessi: Nad Bregom, Hudi Log, Lukatic, e quote 43, 115, 130, 145, 206, 208, 219, 224, 247 (a sfumare).

Rocco cammina come se stesse marciando in alcuni camminamenti che portano al fronte. Rocco soldato Quattru jorna, trentasei uri e venticincu minuti che caminu e non si vidi a trincea. Chistu esti pacciu nettu. E se dovessimo ritirarci in fretta?.. chi ssacciu se ’ndi pigghianu bonu con venti granati e ndavimo a jiri ’i prescia, pecchì chi ssacciu, ci raggiungono e trasinu intra le nostre trincee?.. e chi ssacciu pigghiano e con le baionette ci infilzano uno a uno. Chi ssacciu, chi ssacciu... Che facimu? ’nci jettamu pa scarpata? ’Ndi sdarrupamu fino a sbattere cuntra o paisi? Forsi ci vogliono dare in bocca agli austriaci; chi ssacciu... (pausa) Ve ne fottete voi... Ma è mai possibile che nuddhu di sti santi officiali sapi quantu tempu avimu di camminu, non ci a fazzu, non ci a fazzu cchiù... m’assettu... (Rocco siede su una pietra che è in scena) E tutti s’assettaru, u tenenti della compagnia ’ndi issi, "ehi, ragazzi siete molto stanchi?" u tenenti era milanisi, tutti noi eravamo già assettati. "E sì, sembra proprio così, quindici minuti di riposo" ’ndi issi meravigghjatu che noi già avevamo eseguito prima dell’ordine. Rocco si mette a rovistare nello zaino cercando da mangiare. Nondi passaru nemmeno cincu di minuti ca tutti quanti arrestammu senza xiatu. Davanti a noi tri soldati, veramente tri di numero, ’ndi vinnaru incontro. Era nu spettacolo ca faceva arrizzari i carni. Spuntaru d’arretu na roccia, come se fossero usciti da’ rroccia. Avanzavano lentamente senza più alcuna espressione, come se avianu dietro l’intera strafexpedition. Parivanu i rre magi o contrario: invece mi portanu doni, si levavanu lorduri e sconcezze. Uno comu vestito ’ndaviva sulu la giacca e sotto non portava nenti, aviva l’arnese che svolazzava di na vanda a l’atra. N’atru sputazzava ’nterra e nta faccia di tutte le persone chi nci capitavanu a tiru. U terzu mostrava a tutti na ferita, tanta, (con le mani mostra quanto è grande) completamente infettata e china i pus. Tutti si alzarono in pedi e si ficiaru intorno ai tri, li guardavano senza dire una sola parola, qualcuno indicava; jeu restai a guardarli assettatu supa a me’ petra. Il tenente di compagnia si presentau ai tri come se fossero ancora soldati del reale esercito italiano. I tri nun sapivanu mancu a cchi compagnia e cchi grado aviano, erano cincu jorna chi vagavanu ’nté i montagni ed era a prima vota chi ’ncuntravanu ’ncunu cristianu. L’officiale della nostra compagnia ’nci issi: Ragazzi sistematevi e presentatevi giù al comando. Un’ora di cammino sostenuto e arrivate. Poi ’ndi issi a mmia e un’atru chi masticavamu: "Voi due dategli qualcosa della vostra razione!" I tri ’ndi guardaru, sembravano non sentiri nenti e non arrispundivanu, nè mentivanu i mani a conca per ricevere. Guardavanu solo ’nta faccia a tutti noi soldati come a dire: ma varrinditi conto di quale razza sarà la vostra fini? E tutti noi atri non avivamu u coraggiu di guardarli fissi ’nta ll’occhi. Allura l’officiali i Milanu, chi comu tutti l’officiali, di qualsiasi grado e qualsiasi regione d’Itaglia aviva nu solu modu di parrari e d’intendiri la vita ’ndi issi: ehi ragazzi, vi ho detto che potete mangiare, cibo, scatolette? Allora? At-ttenti! ’ndi issi... e i tri a stu puntu ’ndi guardaru a nuatri, come a dire, ma chistu vidi come nd’arriducimmu. E l’officiali ’ndi issi: uhe! suldat, allora non capite l’italiano, at-ttenti! (Imita i tre soldati) Nuddhu di noi chi assisteva a sta scena ebbe u tempu di capire che succedeva. U rre maggio con la giacca s’attaccau a schina dill’officiali e tentau d’ingropparlu. U sputazzeri ci fici nu bagnu, ca penso ca astura u milanisi, s’esti vivu, ancora se lu stavi arricurdandu, e u terzu, u terzu rre maggiu riuscimmu a fermarlo in cincu pecchì s’azziccava a mano ’nta ferita come se accussì faciva sentire u duluri puru o tenenti i Milanu. U pe mmiaaa... u pe mmiaaa... u pe mmiaaa... figghioli, oh figghioli, u pe mmiaaa... Non ci abbastau a riserva i cognac chi ’ndi levammu ’nta trincea. ’Nd’aviva abbastari per tutti pe’ deci jorna. Non ci fu sordatu che non si misi a mbivìri, fino a non riconoscere nemmeno u vicinu i trincea. Nc’era ’ncuno chi ’nta a notti nesciu fora e si misi a passiari fino ad arrivari a trincea degli austriaci. Oh, oh, figghioli! Tornau arretu senza mi ’nci capita nenti. Ma varrinditi cuntu? E che esti vita? Esti sulu dolori o esti puru vita?

SCENA 4

Rocco si mette di nuovo di spalle al pubblico come se stesse facendo una conta con un gruppo di commilitoni. Rocco Da Roccu a Milo (filastrocca) eeeh, eeeh, eeeh... Deci! Uno, dui, tri, quattru, cincu, sei, sette, otto, novi e deci... jeu? Jeu sono u decimu e sempre a mmia tocca... a mmia tocca, varrinditi contu, tocca a mmia... com’è possibile ca sugnu sempri u decimo... Adesso è dentro la trincea ed esce fuori solamente la testa. Rocco soldato Nu jornu, mentre mindistavu in pedi a pensari quantu potiva esseri storta la mia scelta d’imbarcarmi soldato, e m’arricordava a mme mamma chi si pilava "nescisti pacciu, nescisti pacciu, chi m’imbattiu, Rocco, Roccuzzu meu", mi vidia già pe mortu, insomma ddhu jorno mi trovai ad ascoltare due officiali chi parravanu di un attacco imminenti. Uno era nu tenenti e l’atru nu capitanu. U tenenti ’nci issi: scusate come facciamo a portare qui sopra quel poco di artiglieria che voi avete richiesto, non abbiamo muli e soprattutto non ci sono strade larghe per fare arrivare i pezzi. E il capitanu ’nci issi: Perché dite questo, e u tenenti ’nci issi: perché voi avete richiesto dell’artiglieria che penso che non arriverà mai. E u capitanu ’nci issi: lo so, cioè spero che in qualche modo arriverà. E u tenenti ’nci issi: ma quelli stanno tirando con i pezzi da 149... infatti arrivavanu certe botte... e dalla nostra posizione, con i fucili faremo solo buchi nell’aria. E u capitanu ’nci issi: lo so tenente, allora? lei che altro suggerisce? E u tenenti ’nci issi: mi posso permettere? E u capitanu ’nci issi: già vi siete permesso. Dite, dite. E u tenenti ’nci issi: penso che siamo degli imbecilli, che ci siamo intrappolati in questa situazione costretti ad usare solo i fucili e ricevendo in testa pezzi da 149. E u capitanu allora u fermau e ’nci issi: e pensi che dall’altra parte ci sono altrettanti imbecilli che non pensano che noi siamo armati di fucili e proviamo un assalto. Crederanno che prima di farlo tireremo anche noi con dei pezzi da 149. E u tenenti ’nci issi: ha ragione capitano non penso che in questa guerra ci siano delle menti intelligenti. E u capitanu ’nci issi: tenente dopo l’assalto si ritenga consegnato. E u tenenti ’nci issi: signorsì. Figghioli, ma ’nci pensati! Io ’nci issi a Giannuzzu che mi stava tuttu u jorno pedi pedi, Giannuzzu, chista esti a vota bona che nd’ammazzanu a tutti quanti simu. Buio. Rocco storico Le trincee al fronte erano corridoi scavati nel terreno, a volte lunghi per chilometri, con lo spazio necessario solo per reggere in piedi il proprio corpo. Qui i soldati dovevano combattere, mangiare, defecare, urinare, ogni tanto dormire, morire e spesso piangere. Dalle loro trincee lanciavano contro il nemico fantocci di paglia e stracci di orribile aspetto, come se fossero la morte che tentavano di allontanare. I soldati non avevano idea di come erano fatti i loro nemici, non conoscevano le loro uniformi o il loro modo di parlare, prima di andare al fronte indossavano la divisa, due prove di bersaglio col modello 91 e per gli alti ranghi erano pronti per fare la guerra. La brigata Catanzaro si trovava in trincea da troppo tempo.

Da lontano provengono di nuovo i latrati e le grida dei bambini che avevamo sentito all’inizio. Rocco esce fuori dalla trincea e fugge verso un angolo del palcoscenico come se fosse di nuovo inseguito dai cani e dai bambini. Rocco soldato Sta vota non mi pigghianu. E che è, vi vaci sempri bonu? Vi ’ndi voliti iri? Vi ’ndi voliti iri? (Riprende a correre) Sendi pigghiu unu, unu, unu sulu, cani o figghiolo, u fazzu comu ’ncanterra. Raccoglie da terra delle pietre e le tira dietro di sé Teni, a ttia, e a ttia e poi a ttia. ’Nta testa ti pigghiai, eh? Ah, ah, ah. Ride di gran gusto. Poi si ferma davanti una roccia e rimane come pietrificato. Davanti a sé c’è uno specchio. E’ lui riflesso. Si comincia a muovere e vede che la figura fa gli stessi suoi movimenti. Rimane perplesso e poi riprova. Ti pensi ca mi scantu i tia? Non aju paura di cani e di figghioli, figurati i tia... Chi facciazza brutta chi hai... Ti pensi ca non vitti mai uno come a ttia? E tuni? U vidisti n’itaglianu... Non arrispundi? Ti scanti, eh? Non ’nci metto nenti mi ti dugnu na baionetta ’nta panza. (Mima il gesto) Comincio di ca via e inchianu fino a cà. Comu ai maiali quannu veni l’ora loro. Tu chisto sii: nu maiali. (pausa) Non parri... Pensi che non ta rricanuscia. Puru se non parri u sacciu chi sei. Ti pensi ca non canusciu comu sunnu fatti gli austriaci. Comu a ttia. (pausa) Si, va bbono, m’assomigli, ma non sei comu a mmia. (pausa) Non esti la prima vota che ammazzo nu austriacu. Uno sicuru, m’arricordu come si fossi ancora davanti a mmia e ddui forsi. Va, vatindi, ca non sacciu chi ti pozzu fari, và, vatindi. Arresti ca via? Eh malanova mi hai... Ti pigghiu u coddhu e tu storciu tuttu... Chi ccazzu hai da guardare, eh?.. (pausa) Mi voi basari?

rrispundi, mi voi basari? (pausa) E basami, dai basami in bocca, austriacu. (Rocco da un profondo bacio alla sua immagine riflessa. Buio). Rocco soldato (Mentre urla ride) Vatindi, cosu lordu, vatindi... Figghiu i puttana... Iii malanova mi hai... botta i sangu mi ti veni... Tu e tutta a toi famigghia e tutti i toi antenati mi ponnu arrestari paralizzati. Mi ti poti ’nchianare na granata su po culo e scoppiari ’nta panza... Iii malanova mi ahi... Cosu fetusu e lordu...

Rocco storico Fra il 1916 e il 1917 la Brigata Catanzaro subì le seguenti perdite: 99 ufficiali e 5090 soldati. Il maggio del 1917 fu il momento peggiore per i reggimenti: dovettero sostenere i continui attacchi degli austriaci che tentavano di riprendersi le quote perdute. Ventitre giorni di trincea... La brigata discese a Gonars per riposare, ma dopo qualche giorno fu subito richiamata. E proprio il 4 giugno, durante i preparativi per risalire, tra le fila della fanteria vennero udite delle scariche di fucileria e grida di protesta. Quel tentativo di ammutinamento durò solo pochi minuti e venne subito sedato. Fu arrestato il soldato Michele D’Angelo, insieme ad altri che gli stavano accanto. Riconosciuto colpevole dal tribunale di guerra del XIII corpo d’armata, il soldato Michele D’Angelo fu condannato alla pena di morte... pochi giorni prima dell’esecuzione egli chiese di parlare col comandante... (Buio).

Rocco è nella trincea con il capo appoggiato a uno dei sacchetti pieni di terra come se dormisse. Rocco soldato Stavo prendendo u suli. Nu suliii... nu suliii... Bellissimo... Ccà (indica con la mano) ’nto menzu da frunti... Sapiti quandu unu rresta a fissarlo, a fissarlo cu ll’occhi stutati e pari ca ti spacca in due pezzi la fronte e u caddu ti trasi ’nta testa, dintra, dintra, fino in fondu. E ti riscalda u cozzettu dietro... e poi arritorna cca davanti e tutta una piacevole felicità provi pe ttuttu u corpu... U caddu trasi dintra ’e carni e ti scalda l’ossa... Aaah comu staju bonu, comu staju bonu... L’acuto sibilo di una granata risveglia immediatamente Rocco, che dopo l’esplosione salta in piedi trotterellando da una parte all’altra della scena. Mi pigghiaru? Mi pigghiaru? Mi pigghiaru... (pausa) No, no, non mi pigghiaru (pausa). Pe nnenti, se pigghiava u suli ca via, chi ssacciu... nu metru cchiù avanti mi pigghiava. I malanova mi hai! Prima ca pigghiati a Rrroccu, ’ndaviti a sputari focu... Si ferma di nuovo come a prendere il sole. Arriva di nuovo il sibilo e il rumore assordante di una granata. Megghiu mi levamu i tendi. E’ che uno sindi staci bonu, bonu a pigghiari u suli. Uno stavi bonu fino a chi voli n’autru. (Pausa) Saletta! Saletta, senti, ma u senti chi botti tiranu chisti. Uno non si poti pigghiari u suli in santa pace, e chi esti! (Urla verso un lato della trincea) Saletta! Saletta! Sugnu ca... (pausa) mi fai nu piaciri se ti metti cca, ddu metri cchiù vicinu, almeno m’avverti quandu arriva, eh?.. Nuova granata. ... Saletta, Saletta, apri le orecchie. Mu u fai stu piacere? devi solo avvertirmi qualche secondo prima. Eh, Saletta. Grazzi... Grazzi... (pausa) Saletta, esti consideratu nu beddhu figghiolu, solu che esti curtu assai, (misura con un gesto della mano) nu metru e trenta, quasi nu nanu, ma chistu pa guerra forse esti megghiu, almeno quandu t’hai ammuciari lo poi fari bonu... Saletta aviva u patri chi era tenenti colonello, v’arrinditi cuntu... Sibilo e granata. ... U primu casu di nu figghiu di n’officiali che faciva u sordatu comu a mmia. So’ nonnu era stato generali. U bisnonnu, certu ca stamu parrandu di tempi antichi, insomma u bisnonnu generali... generali di cavalleria... Sibilo e granata. ... in linea diretta aviva tri generazioni di officiali e lui, Saletta si ’ndi staci surdatu semplice a pigghiari ordini d’atri officiali... Sibilo e granata. ...certo, forsi esti duro di orecchie... Saletta, Saletta. Ti issi d’avvertirmi. Ma pe mmia Saletta sarà costretto ad andarsene, non poti fare vita da surdatu semplici, pecchì non si può cangiari ’nta vita. Bisogna arrispettari l’origine. Jeu figghiu di ’nu contadinu e di una raccoglitrice di aliva, cu u nonnu contadinu e u bisnonnu latruni e tutta na genia i pacci e latruni, avia a fari a guerra pe na promessa che da raccoglitori di olivi diventavo proprietario terriero? Nu simili cangiamentu, ’ntà stu paese, l’Itaglia, non potrà mai avvenire... No pecchì non si poti cangiari, semplicementi pecchì esti troppa la differenza e infatti così non avvenne, ma chistu l’avia a raccontari cchiù avanti. Parrava da differenza e da sofferenza, sì esattamente da sofferenza. I miei antenati suffrivanu come animali feriti, e jeu ora avia a pigghiari i simbianzi dei nustri patruni, persecutori e sfruttatori... forse non esti possibile. A ’ncertu puntu succedi comu a un corto circuito che m’impedisce di cangiari... Sibilo e granata ... il mio desiderio, chi esti intra, intra o’ ciriveddhu, ammucciatu che nuddhu u poti vidiri, esti u’ stessu chi avianu me patri, me nonnu eccetera, eccetera, esti quello d’ammazzare i patruni e se l’aju a diventari jeu? chi fazzu, ammazzu me stessu?.. Sibilo lungo. Iiih, non finisci chiù sta sirena... e chi esti, na fimmana che veni du mari? E chista ci pigghia di sicuru. (Urla) Saletta! Saletta! chista esti bbona. Saletta! Vola che è na meravigghia... Vi, vi... nu gabbianu pacciu pari... Eccola che scindi, no, ’nchiana di nuovo, e che ’nci stannu jettandu, ’nchiana... ’nchiana... cchiù su e ora?.. Si fermau... E non esti cosa. Si fermau... (urla) Saletta! U vì che faci?.. E’ mai possibile che na granata si ferma ’ntò cielu?.. Si allontana velocemente dalla trincea. C’è una fortissima esplosione come se fosse scoppiata una granata sul palcoscenico. Esattamente a deci metri i mia scoppiau. Contai i passi, unu, ddui, tri, quattru, cincu, sei, setti, ottu, novi e deci e sta vota non tocca a mmia... Eppoi fici nu crateri chi pariva a vucca di nu vulcanu. Pigghiau a quattru, compreso Saletta. ’Nta faccia m’arrivau nu pezzu i fangu misto a sangu. I quattru si dividiru ai quattru punti cardinali, a nord, a sud, a est e a ovest. ’Nci misimu dodici ore, in venticinque, per pulire la trincea... Sibilo e granata. Buio.

Scena 5

Rocco storico Il soldato Michele D’Angelo fece al comandante il nome di altri 9 soldati, che a suo dire erano i veri autori del tentativo di rivolta. Grazie a questo fu sospesa la sua esecuzione. Il 2 luglio 1917, il comandante del XIII corpo d’armata decise di infiltrare nel 141° e 142° reggimento alcuni militari dell’arma dei carabinieri travestiti da soldati di fanteria. Rocco soldato A D’Angelo me lo ricordo bene, era russu di capiddhi. E o me’ paisi si dici: pilu russu, malu culuri o birbanti o tradituri... e D’Angelo, va buonu ’ndi capiscimmu... U tempu passa e ’a morti s’avvicina. Rocco si mette di spalle al pubblico come se stesse facendo una conta con un gruppo di commilitoni. Da Roccu a Milo (filastrocca) eeeh, eeeh, eeeh... Deci! Uno, dui, tri, quattru, cincu, sei, sette, otto, novi e deci... jeu? Jeu sono u decimu e sempre a mia tocca, com’è possibile che sugnu sempri u decimo... Rocco storico A questo punto i soldati della brigata Catanzaro erano allo stremo delle forze, non era stata concessa loro alcuna licenza con la scusa della lontananza, ma il vero timore era che una volta andati via divenissero disertori. La brigata fu comunque mandata a riposare a Santa Maria La Longa, uno dei tanti paesi vicino al fronte, dove si potevano sfogare le truppe stanche per aver troppo combattuto o depresse perché dovevano tornare a combattere. Nel paese c’erano anche alcune case del soldato, poco frequentate a dir la verità, nelle quali venivano proiettati film o rappresentati spettacoli teatrali; ma i luoghi più affollati erano i vari postriboli e le case da gioco. I soldati si aggiravano per il paese come anime morte senza sapere che nelle loro fila c’erano dei carabinieri travestiti da fanti. Rimasero tra di loro per pochi giorni fino al 14 luglio...

Canta una canzone "Giovani, fresche bocche che baciate se di giovinezza non approfittate presto verrà quel dì che appassirete".

Rocco soldato Avia na stanchezza certi voti. Mi si stutavano l’occhi magari mintri cadivanu du cielu decine e decine di granati, non rinesciva mancu ad aprirli pe vidiri chi succediva, era nu sonnu cchiù chi pesante, comu esti u sonnu da’ morte... e m’insonnava, m’insonnava cose chi riguardavanu puru a guerra, non si ’ndi vuliva iri du ciriveddhu. Vidiva nu piscaturi chi tirava su una rete china, china di pisci e insieme all’alghi e ad atri cosi, pigghiava una buttigghia co nu fogghiu intra. Era nu piscaturi chi non sapiva leggìri e si levau il foglio a casa, viveva sulla costiera di Viesti e poi ’nci arregalau nu pisci a un suo compari e ’nciù ’ncartau ’nta littara c’avia trovatu. E u compari ’nta casa aviva na figghia, assai pulita, e anche lei si mangiau i pisci. Dopu aviva a nesciri pe andari a trovari u so’ zzitu, incartau in segreto n’atru pisci ’nta stessa littara e ’nci u levau a u zzitu soldato. A sira mangiaru e ficiru l’amure, beati loro. U sordatu fici u zainu e ’nci misi intra na buttiglieddha di cognac che a zzita ci priparau e chi nc’incartau con la stessa littara. All’alba u soldatu s’indiu supa a n’autocarro che o spidiva dirittu dirittu o fronti. Si misi ddhavia a sparari e a mbiviri u cognac regalatu da a zita. Si tinni la littara, anche se non sapiva leggiri, pensava ca fosse na littara da ’a zzita. Mbiviva e sparava, mbiviva e sparava. Ancora aviva addosso a puzza di pisci e u profumu du suli da zzita. ’Nci spararu ’nto pettu e u levaru ’nta n’ospedali i campu. L’apriru tutto e ’nci trovaru a littara. Nu medicu sa misi ’nta sacchetta. U poveru sordatu non ci a fici. A sira u stessu medicu dovette partire pe S. Maria La Longa e mu trovai al mio fianco ’nta na cantina che mbiviva, mbiviva mancu fussi na spugna sicca. S’accorgiu da littara e a tirau fora e ma dezzi. E credetemi ’nto sonnu a leggia tutta d’un fiato, senza tentennamenti comu quandu sugnu svegghiu: Soldati italiani! Sul fronte russo la terribile voce del cannone tace da alcuni giorni. I vostri compagni russi godono giorni di riposo e liete reminiscenze. Nei loro ricoveri se ne stanno essi radunati intorno ai loro fuochi e sorbendo il loro thé al rullio del samovar parlano del loro casolare, del tetto natio, della cara prole e delle loro donne, che presto rivedranno e stringeranno fra le loro braccia. Essi fanno già i loro progetti per l’avvenire. L’uno pensa al campicello deserto, l’altro alla sua botteguccia, dove assieme alla moglie ed ai figli lavorava da mane a sera. Essi ritorneranno fra breve sani e salvi alle loro case. E voi?

Rocco storico I carabinieri infiltrati se ne dovettero andare il 14 luglio perché uno di loro era stato riconosciuto da un suo compaesano. Il comandante dei carabinieri decise di trasferirli subito per evitare il peggio. Ma le notizie raccolte dagli infiltrati furono sufficienti per arrestare, nel pomeriggio del 15 luglio, i nove soldati che dovevano essere tenuti sotto controllo. Il rapporto dei carabinieri sottolineava anche la difficoltà del mantenimento della disciplina nei due reggimenti. La sera del 15 luglio alle 22:45 scoppiò una delle più sanguinose e misteriose rivolte che si siano svolte nell’esercito italiano. L’oscurità della notte non permise di valutare esattamente l’entità dei fatti, né quanti fossero i rivoltosi e se seguivano direttive precise. Forse si trattò semplicemente di uno spontaneo sommovimento di uomini sfiniti dalla stanchezza, anestetizzati dai fumi dell’alcol e storditi dagli eventi di una guerra che sembrava non avere mai fine. Furono sparati numerosi colpi di fucile ed esplosi molti razzi, alcuni ufficiali e soldati si barricarono nei ricoveri, forse perché bersaglio loro stessi della rivolta, forse per non parteciparvi o ancora perché i rivoltosi li avevano imprigionati. Le deposizioni fornite in seguito dagli ufficiali danno differenti ipotesi tutte di difficile valutazione. La VI compagnia del 142° reggimento, quella di Rocco Sprizzi, si ammutinò completamente e allontanò l’ufficiale di compagnia. Le grida di sfogo, gli spari in aria, le bombe a mano e i corpo a corpo smisero solamente quando cominciò ad albeggiare. Intervennero a questo punto l’artiglieria, i carabinieri e gli squadroni di cavalleria che circondarono le truppe in rivolta. Lentamente e senza un preciso segnale, proprio com’era cominciata, la sommossa si arrestò. Vennero registrate le seguenti perdite: 2 ufficiali morti e 2 feriti, 9 soldati semplici morti e 25 feriti. "Soffocare con tutti i mezzi i mali germi, dovunque esistano; schiacciare senza pietà propagandisti ed affiliati; colpire esemplarmente coloro che risultassero colpevoli di poca previdenza o che non si adoperassero, ai primi sintomi, ad una pronta opera di indagine e di repressione" Così recitava una circolare riservatissima stampata dai comandi dell’esercito reale italiano. Il mattino del 16 luglio i carabinieri e la cavalleria avevano ripreso in mano completamente la situazione. Sedici militari furono arrestati con le armi cariche e le canne dei fucili ancora scottanti e ne fu decisa l’immediata fucilazione. Dopodiché la VI compagnia del 142° fu messa in riga ed ebbe inizio la conta, la decimazione di altri dodici soldati: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e dieci... uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette (a sfumare)

Rocco soldato Rocco si mette di spalle al pubblico come se stesse facendo una conta con un gruppo di commilitoni. Da Roccu a Milo (filastrocca) eeeh, eeeh, eeeh... Deci! Uno, dui, tri, quattru, cincu, sei, sette, otto, novi e deci... jeu? Jeu sono u decimu e sempre a mia tocca, com’è possibile ca sugnu sempri u decimo... Pe spiegari megghiu pecchì i figghioli mi chiamanu Roccu u stortu v’aju a cuntari nu fattu chi mi capitau quandu era veramente figghiolu. Puru se mi fannu schifu i figghioli... purtroppo figghiolu sono stato. ’Nto paisi oltri o barberi, o sartu, chiamato pettu i focu pecchì aviva nu pettu gigantesco e villoso, o pasticceri chi ’nci avivanu messo u nomi sucàri, pecchì ogni vota chi parrava sembrava ca sucava da na funtaneddha, insomma oltre a tutti i rispettabilissimi signuri e signore, ’ndaviva nu numeru imprecisato i storti, proprio come a mmia. C’era Toni u stortu, chiamato anche Toni u pacciu, pecchì era pacciu nettu, assai. Melu u stortu, Carmelo, chi passiava tuttu u jorno ’nta villa mangiandu fiori e fogghi, dopu nc’era Saro u stortu chi tutti i cosi chi volivi ti faciva, ’nci domandavi di andare ’nta muntagna, lui iva e tornava u juorno dopu e ti cercava paisi paisi per comunicartelo, si girau a Calabria comu nuddhu o mundu. E ’ndavia Gianni u stortu chi pe nnui figghioli, comu jeu pe chisti che mi currianu pe tuttu u jornu, era u megghiu. Gianni u stortu avia na testa tanta, (mima il gesto) china china i cicatrici, in centro ’ndavia una comu nu bucu. Pariva ca passava a notte a spaccarsi la testa e u jornu ’nta l’ospedali a cucirsela. Jeu aviva nu particulari rapporto con Gianni u stortu. Ci raccattava pa strata muzzicuni i sigaretti, sì, pecchì Gianni u stortu ’ndi fumava cento o jornu. Aviva costruito dei grandi tubi i metallo dove ziccava sti muzzicuni e ne aspirava cinquanta a’ vota. Nu jornu, chi mi ’ndi stava supa nu muretto vicino a Madonna du Carminu, Gianni u stortu arrivau ca mi vuliva parrari. Non si capiva bonu comu parrava ma jeu u capisciva. Insomma mi issi: Roccu sai pecchì sugnu stortu? e io spaventato da cosa mi stava per raccontare ’nci fici no ca’ testa, e Gianni mi isse: A mia mi chiamano Gianni u stortu pecchì sugnu mortu deci anni fa e non aviva a moriri. Capiscisti? No, ’nci issi, Gianni non capiscia... E lui mi issi n’atra vota: Mi chiamaru Gianni u stortu pecchì m’ammazzaru nu jornu, ma jeu non ci’ntrava nenti, si sbagghiaru, non toccava a mmia, Roccu non potiva moriri, capiscisti? Insomma pe chistu aju a possibilità di restari in vita, come a tutti, sulu ca sugnu Gianni u stortu. Capiscisti ora?.. Du jornu chi mi cuntau a storia pe mmia cangiau tutto. Vidiva i storti du paesi i n’atra manera. Si sentono di nuovo le grida dei bambini e l’abbaiare dei cani. Voci di bambini come una cantilena Roccu u stortu, Roccu u stortu, Roccu u stortu... Rocco si gira verso di loro Vi pensati ca mi scantu i voi? Solo ca ’ndi pigghiu unu cani o figghiolu...

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