Laboratorio di giornalismo

di Mauro Diana - I SOLDATI DI NASSYRIA: VITTIME O EROI?

Altri soldati italiani morti a Nassyria, già teatro di una strage tempo fa. Vittime di terroristi o dello Stato?
martedì 2 maggio 2006.
 

I SOLDATI DI NASSYRIA: VITTIME O EROI?

Altri soldati italiani morti a Nassyria, già teatro di una strage tempo fa. Vittime di terroristi o dello Stato?

Sia ben chiaro: non voglio passare per menefreghista o per disfattista. Anzi, tutt’altro. Desidero solamente affermare la mia indignazione sì contro ogni sorta di terrorismo, ma anche la mia rabbia e delusione contro uno Stato che prima manda i suoi figli a morire in terra straniera, e poi ipocritamente li rimpiange. Tutte le alte cariche dello Stato hanno affermato che i soldati caduti nel vile attentato di Nassyria sono eroi: perché? Per quale motivo? Sarà una forma mentis, ma sono abituato a considerare eroe chi dà in cambio la propria vita per quella di qualcun altro. O, per lo meno, quello che, sprezzante del rischio che può incorrere la sua persona, non esita nemmeno un attimo a salvare qualcuno in difficoltà. Quello per me è un eroe. Diciamola tutta: il mondo che viviamo non è quello che vorremmo vivere. Non è quel mondo che i nostri predecessori ci hanno lasciato e che hanno sperato che fosse. In una guerra, come quella irachena, parzialmente avallata da una risoluzione internazionale, dove il pretesto era trovare armi di distruzione di massa, in realtà mai trovate, sono stati mandati quasi allo sbaraglio anche i nostri militari. Sono stati inviati lì per una missione di pace, una pace da ottenere con le armi, quindi con la violenza, in un Paese in cui la turbolenza la fa da padrone; in cui i soldati, compresi i nostri, non sono visti come liberatori, ma come oppressori e come occupatori. Che senso ha, dunque, mandare a morire dei militari in un posto dove pochi, forse, li vogliono? Perché i politici reputano questa guerra necessaria e poi, a strage avvenuta, rimpiangono i “figli della patria” additandoli come eroi? Perché ci chiedono di appendere il Tricolore alla finestra, quando molto spesso muoiono carabinieri e poliziotti travolti dalle auto durante i posti di blocco? Non sono, allora, eroi anche quelli? Perché non si appende il Tricolore anche per loro? Perché non ci sono funerali di Stato? Questa è una guerra, e come tale fa vittime. E la guerra si fa esclusivamente quando ci sono reali motivazioni economiche e politiche, mai sociali come la ricostruzione di uno Stato. Questo, infatti, è quello che ci vogliono far credere anche grazie agli influenti e, a volte, fuorvianti mezzi di comunicazione di massa. Per cui, tutti i soldati e carabinieri morti per causa di pazzi scatenati che disprezzano la vita come io disprezzo la morte, sono persone in primis e sono lavoratori poi, che hanno di sicuro messo in conto il rischio che correvano accettando di andare a lavorare in una patria di fanatici religiosi. Mansione che, forse, non avrebbero accettato se non avessero avuto bisogno di soldi, degli extra necessari per mantenere una famiglia al giorno d’oggi. Perché, ammesso e non concesso il fatto di poter trovare una stabile occupazione, il semplice stipendio di soldato non mantiene una famiglia, ma i 4.000 euro al mese di una missione all’estero sì. In fin dei conti, l’unica motivazione che possa permettere di considerarli eroi, è perché sono morti in nome del Dio denaro, quello in mano di pochi (da noi) eletti. Politici che poi, ipocritamente, li piangono dicendo che bisogna continuare con questa lotta al terrorismo, che causerà altre vittime che poi andranno piante e rimpiante. Costituzionalmente, l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa. E allora, che facciamo? Ripudiamo o “la accendiamo”?

Mauro Diana


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