Editorialazzu cu la cicoria

Tuttappostu: Pinuzzu, Maruzzu, ’a fungia e lu SÌ allu referendum

giovedì 27 ottobre 2016.
 

Sembrano lontani i tempi in cui “Tuttappostu” veniva osannato e riverito. Di allora restano memorie sbiadite, sfuocate e perfino ritorte.

Giuseppe Belcastro subentrò ad Antonio Barile alla guida del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs). L’irruenza e l’esigua capacità di mediare del secondo avevano segnato la comunità, complice la propaganda negativa degli avversari politici, che l’avevano dipinto come rovina, iattura, pericolo pubblico.

Così per Belcastro vincere le elezioni del 2014 fu semplicissimo: giocò in undici contro uno solo, cioè l’oppositore Antonio Lopez, in un tempo portiere, terzino, centrocampista e tornante alla Conti.

La gente di San Giovanni in Fiore aspettava un cambio di rotta, anche perché il governo regionale era - e resterà per poco - nelle mani di Mario Oliverio, il sovrano politico d’una vita o il babbo Natale di amici e tirapiedi.

C’era dunque entusiasmo, fibrillazione, largo desiderio di riscatto. E c’era pure la voglia diffusa di tornare al vecchio sistema, che garantiva ampi spazi di manovra e piaceri minuti quanto fatui, tra miopie d’ufficio e silenzi polari.

Barile, va detto, non ha mai avuto tempo né terreno per l’esercizio del mandato. Lo mandarono via, ricordo, con una fretta del diavolo, mentre la salute del fratello peggiorava con rapidità.

La storia, si sa, la scrivono i più forti. Grazie anche alla ripetitività e scontrosità di Barile, passò senza appello l’idea che quel primo cittadino era incontrollabile, furioso e pertanto inadeguato alla gestione del potere. In un lampo l’opinione pubblica ne cancellò i meriti politici e scordò pesanti questioni riconducibili alla controparte: il dissesto finanziario del municipio, l’utilizzo privato di beni comuni, il lassismo e il controllo pervasivo degli scagnozzi di Pallapalla, sempre pronti a spiare, riferire e poi battere cassa.

La massa fu persuasa e coinvolta. Belcastro figurò come il Carmelo Bene apparso alla Madonna, nonostante il suo risaputo tuttappostismo, col quale sperava di coprire le sublimi incapacità nell’ambito politico.

L’amore tra il nuovo sindaco e l’elettorato durò poco. Presto venne fuori l’inconcludenza politica di Belcastro, la pochezza della propria maggioranza e la loro sudditanza felice nei confronti di Oliverio, che li comanda come pezzi da circo.

I fatti non mi smentiscono. Dall’ospedale generale si è passati a una bella fungia, col mutismo strategico di alcuni sindacati e l’immobilismo di diligenze, carovane e dell’intero Far West del Pd, che a Giuseppe Scopelliti avrebbe esploso raffiche di rabbia e per Oliverio non ha che sfoghi contenuti nelle vigne locali, favoriti da ’mpagliati di vino d’aceto.

Aggiungiamoci le rassicurazioni pacco ai lavoratori della cooperativa "Città pulita", cui “Tuttappostu” aveva pronosticato un aumento di salario; mettiamoci le uscite improvvide cogli “Invisibili” ed ex “Invisibili”, che ad oggi non hanno nulla, se non la prospettiva di un precariato umiliante e offensivo. Infine completiamo il quadro con la gara per la differenziata, che è stata un capolavoro di superficialità e approssimazione, con molteplici tentativi, falliti, di coprire gli errori originari e derivati.

Insomma, “Tuttappostu” e soci non hanno fatto un bel nulla. Proprio come “Pallapalla”, che a San Giovanni in Fiore domani dirà che la rivoluzione copernicana è il «sì» al referendum del prossimo 4 dicembre, con la tranquillità del suo vitalizio, sopra i 7.500 euro al mese.

Emiliano Morrone

emilianomorrone(at)gmail.com

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