Per far chiarezza ecco chi è il padre della Moratti
Partigiano e golpista ed ecco perché è stato fischiato
di Dacia Valent (dal blog di Dacia Valent: www.ildialogo.org, Sabato, 29 aprile 2006)
"Paolo Brichetto viene indicato da Edgardo Sogno come uno dei venti componenti dei famigerati "Comitati di Resistenza Democratica", in un’intervista, mai smentita dalle persone citate, pubblicata da Panorama il 21/12/1990: "... I "magnifici 20", come li chiama, che nel maggio del 1970 fondarono i Comitati di resistenza democratica, Crd, il cui obiettivo era impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso libere elezioni. C’erano i luogotenenti della Brigata Franchi: Uberto Revelli, Angelo Magliano, Paolo Brichetto (il padre della signora Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti ndr), Stefano Porta, Adolfo e Cecilia Beria D’Argentine, Vittorio Baudi di Selve; i partigiani di altre brigate: Felice Mautino, Silvio Geuna, Aldo Geraci, Roberto Dotti, Antonio Borghesio, Ugo Colombo; i corrieri di Ferruccio Parri e del Clnai: Guglielmo Mozzoni, Agostino Bergamasco, Edoardo Visconti; e poi vecchi antifascisti di area liberal - democratica come Filippo Jacini, Giorgio Bergamasco, Napoleone Leuman, Ugo e Giancarla Mursia, Domenico Bartoli, Giovanni Sforza, Camillo Venesio e Marco Poma. [cut] ... lei sta dicendo che avrebbe sovvertito il risultato di libere elezioni ricorrendo alla lotta armata? [cut] ... Sapevamo che uno dei modi per dissuadere il Partito comunista italiano era creare il "complesso cileno": era bene che i comunisti sapessero che ci sarebbe stata una risposta. [cut] ... E noi allora avevamo preso l’impegno di colpire anche gli italiani traditori che avessero fatto un governo con i comunisti. Oggi la Dc si guarda bene dal dire queste cose, perché ha paura. Ma noi prendemmo l’impegno di sparare contro coloro che avessero fatto il governo con i comunisti. Ha detto sparare, ambasciatore, sparare? Sì, sparare".
Ora, questa vicenda è di quelle che fanno accapponare la pelle: se da una parte l’allora giudice Luciano Violante emise un mandato di cattura per Sogno ed altri indagati per il tentato "golpe bianco", dall’altra, nel 2000, l’allora Presidente del Consiglio Amato, concesse i funerali di stato ad un golpista.
E la pelle la fa accapponare perché nella corsa al revisionismo di stampo elettorale, quello che vuole accreditare la fandonia che il 25 aprile sia la giornata di "tutti gli italiani", si commette sempre lo stesso errore: stigmatizzare chi la memoria storica non la considera un optional da usare quando ci pare a noi, ma materia fondante dell’ideale e del pragmatismo politico che passa di generazione in generazione.
Io rimango convinta che la resistenza sia cominciata ben prima del 1943. La resistenza al fascismo è iniziata con il ventennio: Matteotti era un partigiano così come lo sono stati tutti coloro che si sono opposti al progressivo annientamento delle istituzioni ad opera degli italoforzuti dell’epoca.
È iniziata, quella armata, nel 1936, quando due opposti schieramenti - quelli che sostenevano il fascismo e quelli che invece si opponevano ad Hitler e Mussolini - partirono per la Spagna.
Dei compagni, quelli della Brigata Garibaldi ho scritto nel post precedente.
Oggi voglio scrivere degli altri, quelli che andarono a sostenere - al pari di Mussolini e Hitler - il Generalìsimo Francisco Franco, l’uomo che aveva rovesciato il governo democraticamente eletto in Spagna e che per più di 35 anni avrebbe mantenuto con pugno di ferro la dittatura nel paese iberico.
Mentre gli aerei di Mussolini ed Hitler bombardavano le roccaforti repubblicane, i "falangisti" come Edgardo Sogno furono la risposta fascista alla grande mobilitazione internazionale contro il fascismo.
Paolo Brichetto Arnaboldi aveva fatto parte della Brigata Franchi, comandata da Edgardo Sogno. Paolo Brichetto Arnaboldi era diventato un membro dei Comitati di Resistenza Democratica, fondati da Edgardo Sogno.
Io lo ricordo. E a quanto pare, anche altri fischiatori lo ricordavano. Magari non i più giovani, che hanno fischiato la Signora Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti per l’invereconda riforma che porta il suo nome da sposata.
Quelli più anziani non fischiavano lei. Fischiavano lui. Ed avevano ragione.
Sabato, 29 aprile 2006
LA PROPOSTA
Pdl: "Riconoscimento ex combattenti Salò
Anpi: "Negazione della Storia e della realtà"
La proposta di legge, di cui Gregorio Fontana è il primo firmatario, prevede che possano essere riconosciute dal ministero tutte le organizzazioni di ex ’’belligeranti’’, senza limitazioni di sorta, fino alla concessione di contributi pubblici. Scontro con le opposizioni. Il "no" dell’associazione dei partigiani. De Luca (Pdl): "Ci mancava pure questa" *
ROMA - Le associazioni degli ex combattenti della Repubblica sociale di Salò potrebbero avere lo stesso riconoscimento dell’Anpi e delle altre associazioni ex combattentistiche, ricevendo anche contributi statali: l’apertura è prevista da una proposta di legge del Pdl all’esame della commissione Difesa della Camera. Ma è scontro con le opposizioni.
La proposta di legge, di cui Gregorio Fontana è il primo firmatario, nasce dalla volontà di dotare le associazioni ex combattentistiche di una personalità giuridica, visto che tra l’altro ricevono dei fondi dal ministero della Difesa (tra il 2009 e il 2011 hanno ricevuto 1,5 milioni annui complessivamente). Il provvedimento stabilisce i requisiti perché queste associazioni ricevano il riconoscimento di associazioni di interesse delle Forze Armate: tra i requisiti ci deve essere la loro apoliticità e che i loro statuti rispettino i principi di democrazia interna. I problemi cominciano perché la proposta assegna al Ministero un compito di vigilanza non solo sulla legittimità dei loro statuti, ma sulle attività stesse delle associazioni. E qui il centrosinistra ha visto la volontà di sottoporre a controllo l’Anpi, cioè l’Associazione nazionale partigiani.
Ma l’elemento deflagrante è l’apertura al riconoscimento delle associazioni dei combattenti di Salò. Il testo infatti prevede che possano essere riconosciute dal ministero tutte le associazioni di ex ’’belligeranti’’, senza limitazioni di sorta.
Anpi: "Inammissibile sotto ogni profilo". Immediata la replica preoccupata dell’Anpi per bocca del presidente Carlo Smuraglia: "L’Anpi ha manifestato più volte netta e ferma opposizione a un’operazione del genere inammissibile sotto ogni profilo, storico e politico". "Continueremo ad opporci con ogni mezzo - prosegue Smuraglia - anche chiamando alla mobilitazione iscritti e cittadini contro manovre di questo tipo che negano la Storia e la realtà".
Scontro in Parlamento. Il braccio di ferro si è protratto nelle scorse sedute della Commissione Difesa, dopo che gli emendamenti delle opposizioni che correggevano questi elementi sono stati tutti bocciati. Per bloccare l’iter il Pd ha presentato oggi una propria proposta, a prima firma Antonello Giacomelli, che è stato abbinato al testo Fontana. Questa proposta di legge prevede il riconoscimento solo per le associazioni di quanti sono stati ’’legittimamente belligeranti’’, il che escluderebbe i reduci della Repubblica sociale; in secondo luogo la vigilanza del Ministero non è sulle attività, ma unicamente sullo statuto delle associazioni; infine le associazioni sono sotto l’Alto patronato della Presidenza della Repubblica, per ’’sottrarle alla maggioranza di turno’’.
’’Capisco che qualcuno possa dire che l’omissione della dicitura ’legittimamente belligeranti’ sia solo una dimenticanza - dice Giacomelli - ma ultimamente queste coincidenze si moltiplicano: solo poche settimane fa era stata presentata proprio dal Pdl una proposta che abrogava il divieto di ricostituire il Partito fascista, ed oggi si strizza l’occhiolino ai reduci di Salò. Alla vigilia del 2 giugno è meglio mettere dei punti fermi’’.
* la Repubblica, 31 maggio 2011
La Mummia televisiva
di Norma Rangeri, (il manifesto, 21.05.2011)
Non più la libreria del leader giovane che seduce gli italiani con il sogno ceronato. Al suo posto un politico lento nel parlare, lo sguardo fisso, i capelli dipinti e il volto colorato come una mummia della nomenklatura sovietica. Dopo una settimana di silenzio, colpito dal flop delle preferenze nel forziere del suo elettorato, il premier si è presentato sulle reti televisive e radiofoniche (controllate o di proprietà) per un appello al voto di quattro minuti.
Il conflitto di interessi entra nelle case degli italiani seguendo gli orari delle edizioni di sei telegiornali. Pesante e asfissiante nella normalità dei palinsesti, si ripresenta con Berlusconi che parla come capo del governo e come candidato al comune di Milano, con il simbolo del Pdl formato gigante dietro le spalle e la didascalia che lo indica come presidente del consiglio. Una manifestazione di arroganza nel mezzo di una corsa elettorale che sta perdendo, una prova di forza di un leader dimezzato nel consenso e nella presa sulla maggioranza di governo.
Il presidente-candidato si appella ai moderati con l’estremismo del linguaggio leghista, visibile ostaggio degli umori dell’alleato, appeso agli interessi delle camicie verdi che hanno impostato la musica del secondo tempo della campagna elettorale coprendo i muri di Milano con lo slogan «la zingaropoli di Pisapia». Al quale lo spot di Berlusconi aggiunge una nota sul tema («Pisapia vuole baracca libera») nella finta intervista che inonda il piccolo schermo, accompagnata dalle faccette patetiche dei caporali dei telegiornali travestiti da giornalisti.
E’ un Berlusconi imbalsamato nella parodia del berlusconismo («con noi meno tasse per tutti, toglieremo anche l’ecopass a Milano») quello che chiama i milanesi e i napoletani al voto contro la sinistra. Tenta la rincorsa del centrodestra verso i ballottaggi evocando i fantasmi della sua realtà parallela, sventolando l’immagine di Milano trasformata nella «Stalingrado d’Italia», prigioniero di un mondo che non c’è più, impantanato in un’ideologia sempre meno capace di egemonia. Conosce la manipolazione demagogica e la proclamazione dell’emergenza, il vecchio armamentario che ricicla per rivolgersi a un elettorato che sarà moderato ma ha dimostrato di non essere così sprovveduto.
Berlusconi non ha scelto il comizio di piazza o la platea di qualche palazzetto, troppo pericoloso affrontare lo scontento delle città che gli hanno voltato le spalle. Meglio mettere la faccia nel territorio protetto del feudo mediatico, dove le telecamere si muovono sotto il suo controllo, e i telespettatori non hanno diritto di replica.
Buongiorno Sig.ra Rangeri, mi ricollego al Suo post poiché anche a me il Berlusconi apparso nelle interviste "farsa" dei giorni scorsi, è apparso ormai la maschera di sé stesso. Più dei soliti slogan triti e ritriti, della "manipolazione demagogica" parlava in maniera eloquente il suo viso stanco e contratto sotto il cerone, e la sua postura, espressione di chi ormai vede la situazione sfuggirgli di mano e sia costretto ad una sorta di patologica "coazione a ripetere".
E’ stata un’impressione nettissima la mia, quasi un’illuminazione. Spero di tutto cuore che essa sia stata altrettanto evidente per la buona parte dei nostri connazionali.
Sbarazzatici che ci saremo del commediante, c’è una nazione da (ri)costruire e sarà un sentiero lungo da percorrere.
Cordialità
Ivan Sanna
Stili di vita e scelte politiche
di Virginio Colmegna (15 maggio 2011)
Rispondo con molta serenità e pacatezza alle preoccupazioni e ai giudizi espressi nell’articolo “Sacerdoti della Curia milanese firmano appello per Pisapia contro la Moratti” comparso venerdì 13 maggio su Tempi.it (http://www.tempi.it/sacerdoti-della-curia-milanese-firmano-appello-pisapiacontro-la-moratti ).
Sono convinto che ogni scelta amministrativa è soprattutto legata a problemi concreti di gestione del territorio, di sviluppo economico, dove il criterio di valutazione è certamente plurale. Ma credo comunque che uno dei criteri importanti sia anche la cura per le persone con fragilità, le persone povere, le famiglie in difficoltà, l’ospitalità a chi viene da un Paese lontano e chiede di essere accolto.
Sappiamo bene che ci sono questioni più complesse, scelte eticamente sensibili che mettono in gioco la coscienza dei credenti, il loro ascolto dell’insegnamento magisteriale e su questi valori non regalo allo schierarsi politico la mia coscienza credente. Anche se ho imparato dalla lezione conciliare, e da una seria cultura di laicità, che la politica deve avere il compito di trovare convergenze con il bene possibile e per questo confrontarsi e impegnarsi per promuovere un clima culturale, direi educativo, che favorisca scelte coerenti con il Vangelo.
Ed è su questo punto che non concordiamo. Il modo di propagandare stili di vita che irridono alla morale, sostenere identità egoistiche e chiuse che non si lasciano attrarre dalla logica evangelica dell’ospitalità, mina alla radice la motivazione più profonda che mi fa scegliere giorno per giorno di stare e condividere prossimità con chi nella città soffre, è escluso, è povero.
La propaganda che fa gioire perché non si accolgono profughi, la povertà culturale che accompagna scelte amministrative che irridono alla solidarietà e ai diritti dei più deboli, la crescita di uno stile di confronto aggressivo, rancoroso, polemico e irriguardoso mi fa scegliere di stare da una parte o, per lo meno, di non poter condividere e dichiarare il mio contrasto a quanto la amministrazione Moratti dice e propaganda.
Soprattutto in questa scadenza elettorale dove la Moratti, che pure nella tornata precedente aveva promosso una lista civica autonoma dai partiti ed ora invece si presenta con uno schieramento partitico, con un capolista che conosciamo e con un legame dichiarato con una impostazione della Lega, che non solo non posso condividere, ma che contrasta con la scelta mia di vivere solidarietà.
Mi fa specie poi che dopo aver sentito accusare di statalismo e di non sussidiarietà l’altro schieramento, si continui poi a criticare citando risorse riferite a convenzioni regolarmente sottoscritte e ispirate ad un operare nella sussidiarietà (a proposito il sostegno economico dato per i rimpatri sono risorse che riceve l’Avsi con la quale collaboriamo in modo positivo).
La sussidiarietà è un principio costituzionale che non è legato a logiche di potere e a una cultura di governance che non rispetta il pluralismo di impostazioni anche nel campo socio-assistenziale. Per questo ho deciso di indicare, come fanno del resto altri, la mia scelta che ha tutta la parzialità e il valore di una responsabilità che in questa fase sento doveroso rendere pubblica.
Non credo proprio che lo stile di vita non c’entri con una scelta e con un orientamento politico. Il degrado etico e barzellettiero che stiamo vivendo mi preoccupa a tal punto che non mi permette di stare zitto.
Questo proprio perché quegli stili di vita dis-educano e quindi dichiarare pubblicamente che non si condividono per me chiede, dal punto di vista amministrativo, di indicare un’altra opzione. Invitare a non votare la Moratti, la ritengo una scelta non dogmatica, libera e indicatrice di una coerenza che invito a considerare e a proporre anche ai cattolici, a chi frequenta e pratica, ai preti e ai religiosi.
Scelta parziale? Certamente, come lo è per tutte le scelte di politica amministrativa, ma per questo invito l’articolista a non richiamare il rapporto tra fede e vita per criticare questa indicazione perché è proprio da lì che nasce la mia responsabilità e la mia scelta di indicare di non votare la Moratti e il suo capolista.
Don Virginio Colmegna
Fonte: Finesettimana.org
La regola dell’insulto
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 12 maggio 2011)
La moderata sindaco uscente di Milano, Letizia Moratti, ha usato un’arma immoderata nel duello mediatico con il candidato Giuliano Pisapia. Ha messo da parte argomenti politici sui temi che riguardano le elezioni comunali e ha lanciato un attacco alla persona di Pisapia, con risvolti che vanno al di là della candidatura a Palazzo Marino. L’arma è quella che si chiama demolizione dell’avversario politico.
Nel caso in questione, Moratti ha accusato Pisapia di essere stato responsabile di un furto, citando una vecchia sentenza della Corte d’assise che dichiarava il reato estinto per amnistia. Non ha però detto che Pisapia non si è accontentato dell’amnistia ma ha presentato appello perché voleva essere riconosciuto innocente, come era. La strategia della mezza verità, dell’informazione non completa, ha il compito di mettere l’avversario sotto una luce opaca. Inoltre, poiché è basata sull’effettoimmediatezza del percepito, è una strategia che punta sull’efficacia della prima notizia: la precisazione verrà comunque dopo e non sarà altrettanto efficace negli effetti emotivi. Non avrà probabilmente la stessa attenzione d’ascolto e può non essere ascoltata o essere rubricata sotto la categoria umiliante dell’auto-giustificazione.
Una mezza verità è terribilmente dannosa, peggio di una maldicenza, proprio perché non può essere accusata di falsità, ma deve essere completata con l’altro pezzo di verità mancante; e spesso questa aggiunta di informazione ha un posto secondario. Negli obiettivi di chi pratica il killeraggio del carattere, l’esito delle mezze verità deve essere quello di far sì che nell’opinione della gente resti in primo luogo l’associazione immediata del nome di Pisapia con un processo penale per furto e un amnistia (non l’innocenza). Agli artefici della campagna elettorale importa questo. Importa che la notizia di quel fatto incompleto proprio per come è stata confezionata riesca a generare il dubbio nella mente degli elettori, inducendoli a pensare che se fumo c’è significa che c’è stato incendio. La notizia crea la cosa. Il dubbio crea la diffidenza. La diceria fa concludere che anche quel candidato non è, in fine dei conti, meglio del suo avversario.
Il killeraggio dell’avversario è un capitolo della propaganda. La propaganda come strategia di persuasione (la prima forma fu istituita ufficialmente dalla Chiesa nel 1622 con la Sacra Congregatio de Propaganda Fide, appunto per "propagare" nel mondo la fede cattolica) è un sistema di organizzazione della persuasione che si propone di neutralizzare la ragione per far presa sulle emozioni e sull’immaginazione. La propaganda non è un’azione isolata o eccentrica. Richiede un centro motore, un cervello organizzativo che si avvalga di varie competenze allo scopo di: escogitare tattiche, raccogliere le informazioni che servono a metterle in pratica, diffondere dicerie e "voci" su obiettivi nemici, infine e se possibile fare affidamento sul monopolio dell’attenzione mediatica. Lo scopo è di spostare l’attenzione dell’opinione da un obiettivo a un altro; di cambiare completamente il tema del discorso e dell’attenzione se necessario.
Da questo momento fino alle elezioni di domenica prossima, questo fatto giudiziario e le illazioni che ha generato avranno un’assoluta esposizione, mettendo tutto il resto in secondo piano.
Come nel caso celebre che ha coinvolto e che ancora coinvolge il presidente Obama: le cose che fa diventano irrilevanti quando un sistema ben orchestrato insiste nel dirlo non americano. In questo caso si tratta di una falsità, non di una mezza verità, ma l’effetto è non meno devastante per la credibilità di chi ne è vittima. Il presidente ha mostrato a tutti il suo certificato di nascita ma non è stato sufficiente. Visto che i certificati di nascita, dicono i fedeli del Tea Party, sono prodotti da uffici governativi, non sono un documento veritiero.
Non è del resto la menzogna il mezzo usato dalla propaganda, ma il far credere che ciò che si dice "potrebbe essere vero". Ecco quindi l’obiettivo del killeraggio del carattere: generare un senso indefinito di diffidenza che erode la fiducia e fa pensare che, in fondo, anche le certezze certificate siano un artefatto e come tale una potenziale non-verità. Non c’è scampo per chi è stato fatto oggetto di attacco diretto. Anche perché l’attacco è perpetrato perché si presume che ci sia molta gente pronta a credere, e a ignorare le "prove".
La demolizione dell’avversario presuppone un’opinione politica polarizzata; presuppone due paesi, l’uno disposto a dubitare sistematicamente dell’altro, e quindi pronto a credere ciò che dell’altro si dice, anche qualora a diffondere le notizie sia un centro di propaganda. Le democrazie mediatiche, personalistiche e spettacolari nel carattere, sono particolarmente esposte alla proliferazione di questi mezzi indecenti.
Le trasmissioni televisive dette di "approfondimento" sono un teatro collaudato. Ministri e politici che vi partecipano sono velocissimi nel trasformare una discussione sulle "cose" in un attacco diretto a un interlocutore che non dice le "cose" che piacciono. La demolizione del carattere consiste nel gettare discredito sulla persona proprio quando le proprie ragioni non sono efficaci. Lo scopo è far sì che chi ascolta smetta di prestare attenzione a quel che l’interlocutore dice e si concentri su quel che si dice di lui. Non c’è moderazione nell’uso di questa strategia proprio come non c’è nella propaganda di guerra, quando l’avversario diventa un nemico totale da demolire.
Se questa è una moderata
di Natalia Aspesi (la Repubblica” del 12 maggio 2011)
Una signora così elegante, non solo nelle borse ma anche nei modi, chi l’avrebbe mai detto? Magari noiosa ma sempre impeccabile, e infatti era del tutto impensabile che la sua nota, signorile compostezza si rifugiasse nella sola sua marmorea cotonatura, e che lei si allineasse ai metodi più che fangosi della sua parte politica. È accaduto ieri nel faccia a faccia su Sky 24 tra lei, Letizia Moratti, sindaco uscente di Milano, ricandidata dal Pdl, e Giuliano Pisapia, che ha l’immane compito di riportare il Comune di Milano al centrosinistra.
La signora è precipitata in una di quelle figuracce che da buona dama milanese educata nel famoso Collegio delle Fanciulle, era sempre riuscita ad evitare. E lo ha fatto con metodo, studiato dai suoi rustici ispiratori, adusi alle massime porcherie, aspettando la chiusura per lanciare la sua immondizia sull’avversario, sapendo che lui non aveva diritto di replica.
Lo ha accusato all’improvviso di essere stato un ladro, più o meno quarant’anni fa, o meglio «di essere stato giudicato responsabile del furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Poi è stato amnistiato». La povera signora sudava e balbettava sventolando un documento, vistosamente affranta perché, pur essendo adusa alle bugie e alle fantasie, non innocue ma neppure fatali, forse non immaginava che sarebbe stata costretta ad arrivare a tanto: a unirsi alla folla della bassa politica berlusconiana, ad usare quei dossier finti e menzogneri di cui devono essere pieni i cassetti del premier e del suo personale di servizio, a diventare lei, una Moratti nata Brichetto Arnaboldi, ricca di famiglia e di petrolio, benefattrice di San Patrignano, ex ministro sia pure mediocre dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ed ex presidente non luminoso della Rai, un Sallusti, un Feltri, un Belpietro, addirittura uno Scilipoti, una Santanché, uno dei tanti innominabili che hanno tolto ogni dignità alla politica.
Sia il moderatore, Emilio Carelli, che lo stesso Pisapia, che sino a quel momento, elegante come non capita spesso di vederlo, aveva picchiato duro sulla inquieta sindaca, sono rimasti di sale. È stato uno dei soliti momenti cui ormai siamo abituati, in cui i brandelli che restano di una democrazia si sfilacciano del tutto. Carelli non ha avuto la prontezza, dopo la carognata bugiarda, di permettere la replica all’avversario poi, chiusa la trasmissione con quel funesto, vergognoso finale, ha ricordato che da quell’inesistente reato Pisapia era stato assolto con formula piena «per non aver commesso il fatto».
Naturalmente gli informatori lo sapevano e non ne hanno tenuto conto, come fanno sempre: si poteva pensare che la Moratti non lo sapesse, ma in questo caso prima di distruggere per sempre la sua già pericolante immagine, avrebbe dovuto informarsi. O forse lo sapeva, ma non è stata in grado di opporre la sua dignità alla violenza distruttiva di chi la comanda, o peggio ancora, terrorizzata dal pensiero che le elezioni si possono anche perdere, e in questo caso non succede niente di grave, soprattutto se una è milionaria e ultrasessantenne, ha scelto di assoggettarsi a un gesto vergognoso, che le toglie per sempre il titolo di «moderata» di cui anche ieri la signora si vantava. E ha continuato a vantarsene, in conferenza stampa, sostenendo di aver usato quella notizia (e pazienza se falsa) proprio per marcare la differenza «tra la mia storia e la sua», una storia, quella morattiana, vistosamente moderata, mentre quella di Pisapia, almeno allora, sul piano politico non lo era.
Nella sua giacchina bianca, moderatissima, la sindaca ormai straparlava, non riuscendo nessuno ad afferrare il suo corrucciato ragionamento. In ogni caso, ormai si è capito che «moderato», è definitivamente diventata una brutta parola, visto che si definiscono tali persone che la signora Moratti in altri tempi non avrebbe mai invitato nel suo appartamento milanese su tre piani, e neppure nella casa Batman del figlio, e che ora sono i suoi compagni di viaggio, specialisti nel far uso di estremismo verbale, killeraggio mediatico, attacco alle istituzioni, abitanti di un nuovo mondo dove ogni vergogna è possibile.
L’incontro tra i due contendenti seduti in poltrone fin troppo lontane, come a prevenire un’eventuale scazzottata, poteva essere molto importante per i milanesi sotterrati dai manifesti della ridente fata Letizia che promette da ogni angolo nero di inquinamento della città ben 61mila posti di lavoro nuovi ogni anno e abbraccia coppie di vecchietti adoranti cui promette case gratis, e che di Pisapia conoscono soprattutto l’aspetto e i discorsi ultramoderati, mentre scarpina infaticabile in ogni angolo cittadino per raccontare la sua Milano. Il sindaco magnificava corrucciata il già fatto, preferendo comunque i verbi al futuro, faremo, costruiremo, daremo..., del tutto impermeabile al buon senso pisapiano che le rinfacciava lo stato malinconico della città, le infiltrazioni mafiose, l’Expo ancora per aria.
Era la prima volta che i milanesi sentivano parlare di Milano, il che pareva addirittura stravagante, pur trattandosi, per il 15 e il 16 maggio, di elezioni amministrative, cioè dell’elezione del sindaco. Della Moratti. Di Pisapia, non di Berlusconi. Ma poiché gli italiani non possono mai occuparsi di se stessi, dei loro problemi, della loro vita, e nel caso dei milanesi, della disoccupazione, della mancanza di case, delle strade dissestate, della sicurezza in periferia, della solitudine che attanaglia tutti, ma solo del premier, soprattutto questa volta non sono chiamati a decidere se questo sindaco ha amministrato bene, o come capita ovunque esista la democrazia, si può provare a cambiare.
Noi disgraziati cittadini siamo chiamati a votare soprattutto pro o contro la magistratura, pro o contro il premier. Ci derubano della nostra città, della nostra quotidianità, di noi stessi. Non contiamo nulla. Forse la pessima figura che ha fatto la Moratti potrà aiutare i milanesi a capire, e come dice Pisapia, a voltare pagina. A non accettare più, oltre alla pessima amministrazione, anche certi metodi politici infamanti e indegni. A sognare di nuovo che Milano torni ad essere la capitale morale del Paese.
VERSO IL VOTO
Moratti, l’attacco personale a Pisapia fa scattare la querela: "E’ killeraggio"
Confronto su Sky fra il primo cittadino di Milano e il suo sfidante. "E’ stato amnistiato per il furto di un’auto utilizzata per un pestaggio". La replica: "Risponderà di falso". La vicenda era già nota *
Il sindaco uscente di Milano, Letizia Moratti, che accusa Giuliano Pisapia di essere il responsabile del sequestro e del successivo pestaggio di un giovane. E il candidato sindaco del centrosinistra che replica puntando il dito su "un falso e una calunnia" e la querela per diffamazione aggravata. Si è concluso così, fra molte polemiche e con nessuna stretta di mano, la sfida televisiva tra i due principali protagonisti delle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio.
E’ toccato alla Moratti prendere la parola per l’ultimo intervento del confronto televisivo in onda sugli schermi di Sky e moderato dal direttore Emilio Carelli. Con il sindaco uscente che ha rivendicato di essere una "moderata" per prendere le distanze dal candidato del centrosinistra: "Continueremo con una politica moderata, la mia è una formazione professionale moderata e la mia è una famiglia moderata". Poi l’attacco verso Pisapia, "giudicato dalla Corte d’assise - ha detto la Moratti - responsabile del furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Poi è stato amnistiato". Una vicenda nota, peraltro, che era stato lo stesso Pisapia a rispolverare in campagna elettorale.
Le regole del programma hanno impedito a Pisapia di replicare. L’avvocato ha però mostrato tutta la propria indignazione nei confronti del sindaco uscente: "Questa cosa è vergognosa, è un falso e una calunnia". E così non c’è stata alcuna stretta di mano tra i due avversari in corsa per Palazzo Marino. "La Moratti ha detto il falso sapendo di dire il falso e di diffamarmi: cosi’ non si fa la campagna elettorale - ha commentato poi Pisapia fuori dagli studi di Sky - I milanesi capiranno che chi è bugiardo continuerà a esserlo come è stato in questi anni". E ancora: "Letizia Moratti ha fatto una cosa vergognosa strumentalizzando il fatto di essere l’ultima ad avere diritto di parola. Ha fatto dichiarazioni assolutamente false sul mio conto". Più tardi, in una conferenza stampa, Pisapia rincara la dose: "La Moratti ha messo in atto un killeraggio mediatico progettato a tavolino. La mia vita è trasparente e non ho mai commesso reati". E la Moratti risponde: "Io ho voluto solo indicare la diffrenza tra la mia storia personale che è quella di una persona moderata e quella di Pisapia che non ha un percorso politico moderato".
Carelli ha poi precisato di aver deciso di "inserire nel finale, per correttezza giornalistica, una mia precisazione da studio, ricordando che Pisapia è stato vittima di un errore giudiziario e la condanna in concorso morale per furto d’auto amnistiata in primo grado è diventata in appello un’assoluzione per non aver commesso il fatto". E Armando Spataro, il magistrato che nel 1977 rappresentava l’accusa nel processo contro Giuliano Pisapia, dà ragione al candidato del centrosinistra: "Trovo davvero strumentale e incredibile che si possa tirare fuori questa vicenda. Pisapia fu assolto in fase istruttoria sia dall’accusa di banda armata, sia per il furto del furgone", ha detto ai microfoni di Radio Capital.
Qualche ora dopo il confronto, l’ufficio stampa di Pisapia ha diffuso una nota. "E’ evidente che Letizia Moratti è disperata - si legge nel comunicato - Fidandosi di qualche manina sporca che fabbrica dossier ad arte è incappata in un clamoroso errore. Ha diffamato Pisapia alla fine della registrazione del confronto su Sky TG24, pensando di approfittare come in un agguato del diritto di parlare per ultima". Carte alla mano, Pisapia contesta l’accusa rivoltagli dall’avversaria: "Letizia Moratti ha accusato Pisapia di essere responsabile di un furto, citando una sentenza della Corte d’assise che dichiarava il reato estinto per amnistia. Nonostante l’amnistia Pisapia presentò appello, accolto. La terza Corte d’assise d’appello di Milano, presieduta dal dottor Luigi Maria Guicciardi, nel procedimento 76 del 1985 ha assolto Pisapia per non aver commesso il fatto".
Pisapia cita direttamente la sentenza nel passaggio: "In conclusione non vi è prova - né vi sono apprezzabili indizi - di una partecipazione del Pisapia, sia pure solo sotto il profilo di un concorso morale, al fatto per il quale è stata elevata a suo carico l’imputazione di furto, dalla quale l’appellante va pertanto assolto per non aver commesso il fatto". "Tale sentenza di assoluzione con formula piena - ha concluso - è passata in giudicato ed è quindi definitiva".
Durante il confronto la Moratti ha rinunciato a parlare di giustizia, senza chiarire se sia d’accordo con la proposta lanciata dal premier Silvio Berlusconi di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare per valutare il comportamento dei pm di Milano. "Mi occupo dei problemi milanesi, voglio stare sul mio programma", si è limitata a dire. Sull’argomento ha invece risposto il candidato del centrosinistra. "Il sindaco - ha detto Pisapia - dovrebbe capire che esiste una distinzione tra garantismo e garantire l’impunità, come vorrebbe Berlusconi, attraverso leggi ad personam e tentativi di scappare dal processo. E’ sbagliato trasformare le udienze in momenti di propaganda".
*la Repubblica, 11 maggio 2011 (ripresa parziale:
http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/05/11/news/sky_il_fango_della_moratti_su_pisapia_faccia_a_faccia_senza_stretta_di_mano-16081939/?ref=HREA-1
L’ANALISI
La prevalenza di Milano
di BARBARA SPINELLI *
In molti comuni domenica prossima si voterà, ma la città decisiva sarà indubbiamente Milano. Lungo i secoli e gli anni sono tanti i nomi che le hanno dato: capitale politica in epoca napoleonica; capitale morale ai tempi della Fiera industriale, dopo l’unità d’Italia; capitale culturale nell’800; Milano "da bere" negli anni di Craxi. Difficile trovare oggi la parola che squadri l’animo suo divenuto informe, come nella poesia di Montale. Ma qualche storta sillaba è sufficiente a descriverne la natura: almeno da quando perse l’indipendenza, all’inizio del ’500, Milano ha sempre avversato lo Stato, forestiero o nazionale che fosse. Gli ha sempre opposto un’alleanza di interessi costituiti, ecclesiastici e non, che esecravano il bene comune e la stessa politica. Ha avuto sempre la vocazione a far prevalere la società civile sulla volontà generale, senza accorgersi che la società smette d’essere civile quand’è allergica alla politica e alle sue regole. Infine, ha sempre prodotto personaggi che da qui partirono, da questa cultura riottosa e egoista, per prendere Roma.
Nel ’900, ben tre personaggi chiave della storia italiana iniziarono qui la corsa al potere: Mussolini, Craxi, e Berlusconi. Il loro decisionismo ("ghe pensi mi") è stato distruttivo più che costruttivo. È il motivo per cui l’elezione nella capitale lombarda è cruciale: l’avventura cominciata qui, qui potrebbe infrangersi. È quello che gran parte della sinistra di Beppe Grillo, e tanti cittadini tentati dall’astensione, faticano a comprendere: il duello non sarà tra il vincitore delle primarie a sinistra, l’avvocato Pisapia, e il sindaco Letizia Moratti. Sarà tra Pisapia e Berlusconi, fin dal primo turno e soprattutto al secondo, se il sindaco andrà in ballottaggio. In quell’intervallo, Mattia Calise del Movimento a 5 stelle e Manfredo Palmeri di Futuro e Libertà avranno nelle mani una carta principe: se vorranno far qualcosa di utile per l’Italia, se smetteranno di metter sullo stesso piano il regime al governo e l’opposizione, dimostreranno di aver capito l’essenziale, e cioè l’anomalia di Berlusconi.
Il loro ruolo è importantissimo, perché sono anni che i cittadini contrari al presente regime fuggono nell’astensione (4 milioni di elettori perduti!) disgustati da un centro sinistra incapace di opporsi, e il Movimento di Grillo è, con il Sel di Vendola, rifugio e speranza. Regalare la vittoria a Berlusconi sarebbe ignorare la speranza, come già avvenuto nel 2010 quando il Piemonte fu offerto al leghista Cota.
Milano che resta berlusconiana è una vittoria determinante per il Presidente del Consiglio, mentre perderla è un preludio alla sua fine. Mussolini finì la sua traiettoria a Milano dove aveva programmato la marcia su Roma, anche se nel più disumano dei modi, impiccato a Piazzale Loreto. Anche la fine di Craxi si materializzò qui, con tangentopoli che ne scoperchiò la corruzione e lo travolse. Travolse in verità tutti i partiti della prima Repubblica tranne Msi e Pci, che a quella corruttela non partecipò visto che per decenni fu finanziato da Mosca. In Mani Pulite ci fu quest’ingiustizia (e ci fu un’usurpazione del socialismo da parte del Pci) ma essa non cancella i reati denunciati e condannati.
A questa verità si può obiettare che i programmi di Pisapia sono poco chiari, che l’opposizione è troppo transigente. Chiarissime, tuttavia, sono le manchevolezze della Moratti, che per Milano capitale della cultura e della morale non ha fatto quanto doveva né quanto aveva promesso. L’ha anzi imbastardita, culturalmente ed economicamente. L’atto più vergognoso è l’irresponsabile cecità con cui il sindaco (con Formigoni) si è gettata nell’Expo 2015. Le critiche dell’urbanista Stefano Boeri sono circostanziate: mancanza di trasparenza, scomparsa dei concorsi pubblici, gare per imprese in cui i progettisti hanno ruolo irrilevante.
Esemplare è la rinuncia al più promettente e duraturo dei progetti, approvato inizialmente da destra e sinistra: la costruzione della grande Biblioteca europea multimediale. Un progetto già compiutamente predisposto - ricorda Piero Ichino sulla sua Newsletter - "che potrebbe dare splendore e prestigio alla Milano di Expo 2015, ed è invece abbandonato dall’Amministrazione municipale, solo per un motivo di faziosità". L’architetto vincitore del Progetto internazionale bandito dal Comune di Milano è Peter Wilson, dello studio Boelles-Wilson di Münster, e il Progetto è stato approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel 2009 e validato dal Politecnico di Milano. Più che faziosità, a me sembra che la minaccia al progetto venga da ignoranza, mentre è chiaro l’appetito delle lobby che vorrebbero accaparrarsi i terreni destinati alla Biblioteca. I lavori di preparazione già da tempo sono in corso - la Biblioteca digitale è quasi pronta - ma lo stanziamento per la costruzione ancora non c’è e il progetto non è tra le opere previste per l’Expo: un’omissione incomprensibile.
Negare l’esistenza di omissioni; non correggersi in tempo quando un misfatto viene alla luce; fare silenzio sulla sempre più agguerrita presenza della malavita in Lombardia: è la strategia nordista di Berlusconi e della Lega, nonostante la pretesa innocenza di quest’ultima. L’ex ministro Castelli, leghista, giunge sino a dire che c’è un solo modo per impedire l’infiltrazione della ’ndrangheta in Lombardia e Piemonte: escludere dagli appalti le imprese calabresi.
Il giudice anti-ndrangheta Nicola Gratteri ha replicato che affermazioni simili "o provengono da chi non ha capito nulla, oppure siamo veramente messi male. Se vogliamo essere seri, tutti sanno perfettamente che la ndrangheta ha uomini cerniera a Milano, Bergamo, Brescia, Lecco, a disposizione delle famiglie mafiose per partecipare agli appalti. Sono lombardi, col certificato di nascita e residenza da cinque generazioni"’.
E ancora: "È in atto una sorta di braccio di ferro, come a volere negare" l’evidenza. Pignatone, Procuratore di Reggio Calabria, rincara: "Un cono d’ombra informativo ha impedito fin qui di cogliere non solo la diffusione dell’omertà e del silenzio in tante province lombarde (...) ma, ancora e di più, la presenza della ’ndrangheta in tanti settori dell’economia dell’Italia centrale e settentrionale, luogo ideale per investire, senza destare troppo l’attenzione, le somme ingentissime di cui le cosche dispongono" (Corriere della Sera, 24-3-11).
Berlusconi è il regista della strategia negazionista. Marco Alfieri spiega bene come, tramite i "lunedì di Arcore" l’imprenditore-Premier regni sulla città fin da quando costruì le new town attorno a essa (La peste di Milano, Feltrinelli). Il cavaliere sa che Milano è stata e resta un terreno fertile per la propaganda antipolitica, non da oggi ma da secoli. Che sono sempre stati pochi e non udibili gli avversari della vocazione anti-statale, anti-istituzionale, interessati a premiare il fare da sé sul fare comune.
Forte della sua Milano, sotto lo sguardo benevolo della Lega e della rete di interessi che fa capo alla Compagnia delle opere, Berlusconi parla ormai senza remore, di quel che è pur sempre accaduto nella sua roccaforte, diciannove anni fa: il momento di riscossa, rappresentato da Mani Pulite. Nel 2008 ha detto che i magistrati milanesi "fecero scomparire nel ’92 Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli, mettendo fine a 50 anni di progresso", e che per fermarli entrò in politica (in realtà vi entrò "per non finire in galera con l’accusa di mafia", disse Confalonieri nel 2000 a Repubblica, non smentito).
Presentando la sua epocale riforma della giustizia, nel marzo scorso, disse: "Se la riforma fosse stata fatta prima, probabilmente non ci sarebbe stata l’invasione della magistratura nella politica". La riforma è temuta da Gratteri: non a causa della responsabilità civile dei magistrati ("già esiste"), ma perché la polizia giudiziaria dipenderà dal potere politico anziché dalle procure. Eppure c’è chi a Milano vuol salvare il principio della responsabilità. Della giustizia che corregge le storture, anche se non tutte.
C’è chi dice, nel movimento di Grillo, che l’opposizione è inane, ed è vero. È vero che non ha mai combattuto il conflitto d’interesse. Proprio di recente, il 28 aprile, avrebbe potuto mettere in minoranza Berlusconi sul Documento di economia e finanza, e ben 40 suoi deputati non erano in aula. Sui referendum di giugno (nucleare, acqua, legittimo impedimento, servizi pubblici locali) tende a tacere. Poco prima delle amministrative, Veltroni ha prospettato rese dei conti nel Pd: era il momento peggiore.
Ognuna di queste obiezioni ha ragione di esistere. L’opposizione ha fatto poco, contro l’anomalia berlusconiana. Ma dire che Pisapia e Berlusconi sono la stessa cosa è la più perniciosa e stupida delle banalizzazioni.
* la Repubblica, 11 maggio 2011
L’operaia MORATTI di Bruno Ugolini (www.unita.it, 06.05.2006)
I solidi stolti del centrosinistra non hanno capito Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti. L’hanno fischiata anche il primo maggio, dopo averla fischiata il 25 aprile. Non si capisce perché. Non si capisce quali segreti istinti abbiano indotto costoro a contestare la candidata del centrodestra, colei che dovrebbe riprendere lo scranno ora occupato dall’ex presidente della Federmeccanica Gabriele Albertini. Un primo cittadino che invece il Primo Maggio l’ha festeggiato a Kabul, in Afghanistan.
Qualcuno, malizioso, ha fatto notare che, del resto, nemmeno donna Letizia, nel passato, era stata presa da un sacro entusiasmo per il 25 aprile e per il Primo Maggio. Che cosa mai è successo a questa simpatica signora, a colei che è riuscita ad invertire l’esito dei sondaggi che ormai esprimevano esteso malumore circa l’operato del centrodestra al Comune di Milano? Perché Letizia ha voluto a tutti i costi mescolarsi con quella massa di donne e uomini, detti "coglioni" dal premier uscente? E’ stata un’improvvisa conversione. La candidata non ne poteva più di dover reprimere i propri istinti antifascisti e filo-operai, ha mostrato pubblicamente la propria faccia democratica. E non certo per apparire alla fine come una generosa vittima delle frange estremiste e raccogliere così preziosi consensi.
Qualcuno ha però fatto notare che la stessa candidata dopo questi impeti democratici ha stretto un’alleanza con gli ultimi epigoni del fascismo militante, ovverosia i soci d’Alessandra Mussolini. Una piccola contraddizione. È ormai chiaro che Letizia Moratti ha cambiato natura. Fra non molto chiederà di essere ammessa agli organismi dirigenti della Camera del Lavoro. Sarebbe del resto giusto introdurre una rotazione nelle cariche. Visto che due ex sindacalisti sono diventati presidenti delle Camere Parlamentari, non sarebbe male se qualche petroliere andasse a dirigere le Camere del lavoro. Anche così si costruisce la coesione sociale. È l’ora, insomma, di rimescolare le carte.
Il prossimo anno il primo maggio si potrebbe festeggiare a Portella delle Ginestre, inserendo tra gli oratori anche i nipoti di Provenzano. Mentre a Marzabotto per il 25 aprile l’oratore ufficiale potrebbe essere Gianni Alemanno, accompagnato dal redivivo maresciallo Albert Kesserling. Mentre Epifani potrebbe prendere la cattedra di Pietro Ichino all’università statale di Milano. Anche così si fa fronte alla spaccatura del Paese. Basta con i guelfi e i ghibellini, con i progressisti e i conservatori, con i laburisti e i liberali, con gli interisti e i milanisti, con i comunisti e gli anticomunisti. Staremo tutti insieme, appassionatamente.
brunougolini@mclink.it
Per documentazione sull’attività della ministra Moratti, cattolicissima esponente del governo berlusconiano, ecco altri elementi (ripreso dal sito: www.ildialogo.org) per riflettere sulla ’democraticità’ e ’costituzionalità’ di alcuni interventi (devastanti) nel mondo della scuola della Repubblica Italiana. Federico La Sala
L’ORA DI RELIGIONE .... la polemica. Fa discutere l’ordinanza del Tar del Lazio che esclude la valutazione dell’Irc dalla pagella «Il pagellino? Pura discriminazione»
CON UNA NOTA REDAZIONALE
Tosoni (Cei): «La riforma introduce a tutti gli effetti la materia nel Portfolio delle competenze individuali» Da Roma Vincenzo Grienti (Avvenire, 07.02.2006)
___
SALVIAMO LA SCUOLA ... SALVIAMO LA COSTITUZIONE: DISCRIMINAZIONE ALLA ROVESCIA E OFFESA ALLA DIGNITA’ PER MIGLIAIA E MIGLIAIA DI STUDENTI ITALIANI !!!Con l’ora di religione “obbligatoria facoltativa”, lo Stato italiano non paga solo i docenti di religione nominati dal vescovo per insegnare “religione” cattolica ai propri “iscritti” e “fedeli” ma ... addirittura e letteralmente concede gli spazi e le aule per farlo, perché semplicemente e nei fatti mette fuori dalla porta delle aule dell’intera classe - durante tale “ora” - gli alunni e le alunne che non si avvalgano di quest’insegnamento “obbligatorio facoltativo”!!! Il paradosso, che si verifica per lo più e spesso per migliaia di studenti e studentesse di tutta la scuola della Repubblica democratica, è che, mentre parte o (come talvolta e spesso succede) due o pochi fanno la loro “ora” in classe con la “propria” insegnante o il “proprio” insegnante, tutti gli altri e tutte le altre sono “costretti” e “costrette” ad uscire e a fare nella quasi totalità dei casi (sia per mancanza di fondi sia di spazi!!!) assolutamente nulla - a fare un “intervallo” altrettanto “obbligatorio facoltativo” - in balia di se stessi (in qualche angolo o spazio “alternativo”)!!! Quale “lezione” si dà e, ancor più, quale offesa viene arrecata alla dignità dei futuri cittadini e alle future cittadine della intera società italiana è arrecata con questa ora “obbligatoria facoltativa” tutti fanno finta di non vedere... e ognuno continua a far-sì i “propri affari”!!! Che dire?! Solo vergogna dal punto di vista laico (non laicista!) e solo menzogne dal punto di vista cattolico (non cristiano!) - una deriva disastrosa per tutta la società, e per la stessa Chiesa!!! “L’ideologia moderata, il moralismo borghese, il fatale connubio di tanti reverendi pastori con il potere economico e politico tornano - come ben ha scritto Ettore Masina (L’airone di Orbetello, Rubbettino editore, p.25) - ad essere gabellati per virtuose saggezze (e imposti, più o meno disciplinatamente)” [nota di Redazione]
Fa discutere l’ordinanza del Tar del Lazio secondo cui la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) non va effettuata "nell’ambito delle materie curriculari". Al centro dei riflettori la circolare ministeriale numero 84 del 10 novembre 2005 sui documenti di valutazione scolastica cui tutte le scuole dovrebbero uniformarsi. «Come è noto, la riforma prevede l’introduzione del Portfolio delle competenze individuali quale ulteriore documento di valutazione, in cui registrare la crescita dell’alunno nel corso della sua carriera scolastica, cui tutte le discipline messe in campo concorrono. E l’Irc figura tra le discipline elencate nel documento di valutazione che fa parte del Portfolio, benché in una categoria "nuova", come insegnamento "obbligatorio opzionale" - sottolinea don Giosuè Tosoni, responsabile del Servizio Irc della Cei -. Le accuse mosse da varie parti, cui (almeno per alcune) ha dato risposta il Tar del Lazio, sono essenzialmente riconducibili a tre tipi: finora la valutazione dell’Irc è stata redatta su una scheda separata; si violerebbe la legislazione sulla privacy con la pubblicazione di un dato sensibile; si ripristinerebbe una sorta di obbligatorietà dell’Irc, tradendo il dettato neoconcordatario». Il Portfolio, quindi, andrebbe oltre la delibera riportata nel Testo unico della legislazione scolastica (DLgs 297/94), che all’articolo 309 dispone così: «Per l’Irc, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne ritrae». Per Sergio Cicatelli, dirigente scolastico del liceo scientifico "Benedetto Croce" di Roma, bisognerebbe allargare la riflessione e «trovare il coraggio di una coerenza, anche con la riforma scolastica in atto. Ci si deve misurare, oltre che sul valore normativo effettivo della disposizione riposata nel Testo Unico, sul fatto che una disciplina curriculare a tutti gli effetti, (perché tale è L’Irc, facoltativo solo per coloro che non se ne avvalgono), rischi di non essere presa in considerazione per una valutazione ormai interdisciplinare. Ci può essere una sorta di discriminazione, di solito invocata per chi non si avvale dell’Irc, anche nei confronti di chi si avvale dell’Irc - prosegue Cicatelli -. Se c’è diversità fra chi si avvale e chi invece non si avvale, da rispettare, non si dovrebbe però trasformare questa diversità in alcuna forma di discriminazione. Se poi aggiungiamo un malinteso ancora diffuso, per cui la scheda separata di valutazione è una specie di difesa della privacy, considerando la scelta dell’Irc come espressione di un dato sensibile in quanto riconducibile all’appartenenza religiosa, e dunque da non divulgare, allora si crea confusione. Inoltre bisogna anche ricordare che la legislazione sulla privacy classifica come dato sensibile la sola appartenenza religiosa, insieme a quella politica, sindacale o alle condizioni di salute, e non le valutazioni scolastiche, che il garante per la privacy ha classificato come dato di interesse collettivo». La presenza dell’Irc tra le discipline curricolari, inoltre, era stata da tempo convalidata dalla Corte costituzionale ed era contemplata anche nella bozza di decreto attuativo della riforma Berlinguer-De Mauro del febbraio 2001, testo mai entrato in vigore ma che non aveva suscitato alcuna riserva al proposito. «Si tratta di assicurare che anche l’Irc, come tutti gli insegnamenti curriculari, opzionali e facoltativi, abbiano a concorrere in maniera unitaria nella valutazione degli alunni - aggiunge Cicatelli -. Perché in fondo quello che conta o dovrebbe contare è la crescita personale, culturale e professionale dei ragazzi, cui l’Irc dà un contributo per certi versi insostituibile». A questo punto, spiega Nicola Incampo, curatore del sito www.culturacattolica.it, «tenendo conto che molte scuole stanno completando gli scrutini, gli istituti scolastici nell’ambito della loro autonomia, in attesa della risoluzione definitiva del contenzioso, possono scegliere se inserire la valutazione dell’irc nell’unica pagella o riprendere il pagellino. Le scuole quindi che hanno già inserito la valutazione dell’Irc nel documento di valutazione in un’unica scheda, insieme a tutte le altre discipline non sono obbligate a compilare per gli alunni avvalentesi anche il pagellino». Martedì, 14 febbraio 2006
Prof di religione, ancora assunzioni
E il precariato continua ad aumentare
di di SALVO INTRAVAIA (www.repubblica.it , 14.04.2006)
Da settembre entreranno in ruolo altri tremila insegnanti che potranno contare su contratti retroattivi. La protesta dei sindacati
Assunzione in arrivo per altri 3.077 insegnanti di religione. Dopo il primo e cospicuo contingente di immessi in ruolo dello scorso anno e quelli di quest’anno, i tecnici del ministero dell’Istruzione hanno annunciato l’avvio della procedura formale per "l’autorizzazione del terzo e ultimo contingente". La notizia è stata data nel corso dell’ultima riunione prima delle elezioni, tenutasi pochi giorni fa con i sindacati.
I diversi passaggi - autorizzazione del ministero dell’Economia, del dicastero della Funzione pubblica e decreto del presidente della Repubblica - nella sostanza rappresentano una formalità perché per i due precedenti blocchi tutto è filato liscio. Fra qualche giorno - hanno spiegato a viale Trastevere - si saprà la ripartizione a livello regionale dei posti relativi al secondo contingente che avrà addirittura decorrenza retroattiva: il primo settembre scorso. E i prossimi neo immessi in ruolo con ogni probabilità potranno coronare il loro sogno già a partire dal prossimo mese di settembre. Tutto fatto, insomma, per i docenti di Religione.
Discorso completamente diverso per tutti gli altri precari della scuola italiana: quelli "normali", che sono in aumento e aspettano ancora una risposta. Le 20 mila assunzioni per il 2006/2007 annunciate dal ministro Moratti meno di un mese fa sono state considerate dai sindacati della scuola "un provvedimento insufficiente per combattere il precariato nella scuola". Per comprendere il significato di questa dichiarazione basta sapere che a partire dal prossimo primo settembre lasceranno la cattedra circa 28mila insegnanti: in sostanza, più di quanti ne saranno assunti. Il precariato - e i disagi per alunni, famiglie e prof - è così destinato ad aumentare.
I numeri. Con l’avvio dell’iter per l’immissione in ruolo degli "ultimi" 3.077 docenti di Religione si completa il "pacchetto" di assunzioni per cui si era impegnato la coppia Berlusconi-Moratti già dal 2001: 15.383 docenti di Religione pagati dallo Stato italiano, ma nominati nella sostanza dai singoli ordinari diocesani italiani. Il contingente più corposo ha visto tagliare il traguardo del contratto a tempo indeterminato, per la prima volta nella storia della Repubblica, a 9.229 maestre e prof che si occuperanno della "cura dell’anima" degli alunni italiani. Il primo dei restanti due contingenti (di 3.077 posti ciascuno) è stato "varato", il secondo lo sarà probabilmente fra meno di sei mesi.
Il reclutamento. Gli oltre 15 mila docenti di Religione di ruolo italiani - che costeranno allo Stato quasi 350 milioni di euro all’anno - per entrare di ruolo hanno goduto di una "corsia preferenziale": un concorso riservato a coloro che, alla data del bando, avevano insegnato per almeno quattro anni consecutivi nell’ultimo decennio, in una scuola statale o paritaria. Incarico che è stato e viene tutt’ora assegnato dal vescovo della diocesi in cui ricade la scuola. Ordinario diocesano che si occupa anche di rilasciare la certificazione di idoneità (morale) senza la quale, per effetto del Concordato, non è possibile insegnare Religione.
Il concorso, malgrado le proteste, è stata una passeggiata: in moltissime regioni italiane le selezioni hanno visto un numero di partecipanti di poco superiore ai posti a disposizione. E a giochi fatti, in Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Umbria, Veneto e Lombardia - per l’elementare e la materna - i posti a disposizione hanno superato gli idonei. Il concorso sognato da tutti: più posti che candidati. (14 aprile 2006)
Il programma di Prodi tace sulla Tav ma parla di scuola. Purtroppo
Attualmente l’itinerario scolastico medio di un nostro ragazzo è il seguente: esce dalla scuola media con un giudizio tra il "discreto" e il "sufficiente", entra in un biennio, grosso modo unitario, poi in un triennio pieno come un uovo di ore di lezione/conferenze, approda, eccetto i 300.000 che si disperdono per sempre, all’università, si iscrive a Storia, Psicologia, Scienze politiche, Sociologia, Comunicazione eccetera (pochissimi alle facoltà scientifiche: solo il 33 per cento, ma il 25 per cento abbandona dopo il primo anno). Si laurea a 27 anni. Così i dati di Alma Laurea. Giovane, ma già vecchio per il mercato del lavoro, ma ancora immaturo. Non si è mai misurato prima con il mondo del lavoro, sta prigioniero di una rete di rapporti precari e leggeri. Ormai abituato all’otium, fa fatica a trovare il negotium. Spesso ciondola per casa fino oltre i trent’anni, demotivato e sradicato, senza progetti, senza speranze. Intanto la mastodontica macchina dell’istruzione continua a macinare milioni di euro (40 nel prossimo anno), a pagare un numero abnorme di docenti e bidelli, a tenere i ragazzi a scuola per un numero di ore e materie esorbitante, il più alto in Europa.
Senza riforme, la situazione peggiora di anno in anno. Il sistema educativo nazionale è in declino, bocciato dalle indagini internazionali e, soprattutto, dai genitori, dagli studenti e dagli insegnanti. Intanto dal sud e dall’est del mondo arrivano ingegneri 22enni: parlano inglese e sanno fare il loro lavoro, sono prontamente assunti dalle imprese. I nostri arrivano dal Politecnico sul mercato mercato del lavoro a 28 anni. Che cosa propongono i nostri retori della cittadinanza, dell’inclusione, dell’eguaglianza delle opportunità? Di abolire i coraggiosi tentativi, ancorché poco efficaci, della Moratti di ridurre il numero di ore e di materie e di anni passati sui banchi e di definire un curriculum essenziale di cittadinanza.
Al contrario per l’Unione di Prodi occorre ripristinare il temposcuola precedente, abolire l’ingresso in anticipo, quinquennalizzare i percorsi superiori, compresa, si suppone, anche l’istruzione professionale di stato, sfuggita all’ondata di ritorno licealista, cui ha malamente resistito resistito la stessa Moratti, eliminare la didattica dell’alternanza scuola/lavoro. Più stai a scuola, più esci preparato per il lavoro e per la vita. L’Unione non ha il coraggio di riconoscere che il valore legale del titolo di studio non ha più fondamento. Quanto all’articolazione, tentata dalla Moratti, in sistema liceale e uno dell’istruzione e della formazione professionale, per venire incontro alle diverse tipologie di intelligenza e ai bisogni del sistema produttivo, verrebbe unificato in un solo canale licealizzato, dai 16 ai 19 anni. Tra la media e il liceo, un biennio "interrelato con la scuola media e con valenza valenza orientativa rispetto ai percorsi successivi". Insomma: il biennio già oggi operante, unitario, e quasi unico, che continua a sottoprodurre una dispersione massiccia. E’ un vecchio mito del vecchio Pci anni 70.
La Moratti ha stabilito il diritto-dovere all’istruzione fino a 18 anni. Prodi torna indietro, distinguendo tra obbligo scolastico fino a 16 anni e obbligo formativo tra i 16 e i 18. Insomma: l’istruzione è tutta scolastica, la formazione professionale, intesa come addestramento, entra in funzione a integrazione della scuola. Tutto nella scuola, tutti nella scuola. C’è bisogno di prevedere i risultati nefasti? No, accadono già oggi.
Ci si chiede: perché questa ostinazione, degna di causa migliore, di voler tornare a prima di Moratti? La risposta è semplice: la questione degli insegnanti. Il programma è scritto non dal punto di vista degli utenti (le famiglie, i ragazzi, il paese), bensì da quello dei sindacati degli addetti: insegnanti, personale tecnico-amministrativo, bidelli. No alla diminuzione di materie e di ore, perché si perdono posti. Tutto nella scuola: perché aumentino e si moltiplichino i posti, nonostante il calo demografico, ancora non compensato dagli immigrati. Torna l’ossessione degli organici funzionali e dell’assunzione a gogo dei precari. Prodi vuole portare gli stipendi dei docenti ai livelli europei? Ottimo. In attesa che ci dica dove reperirà le risorse necessarie per pagare "all’europea" un insegnante su 10 alunni (in Europa 1 su 15, nei paesi Ocse 1 su 17) dimentica di informare gli insegnanti allettati dalla promessa che nei paesi europei esiste una carriera dei docenti, differenziata per mansioni e stipendi, valutata periodicamente e con rigore.
Giovanni Cominelli, "Il Foglio" 15 febbraio 2006