Trattativa Stato-mafia: processo allo Stato

L’inchiesta sulla trattativa approda all’udienza preliminare, imputati uomini delle istituzioni insieme ai boss mafiosi
martedì 20 novembre 2012.
 

Un processo storico, è stato definito da molti, in quanto per la prima volta davanti al gup del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini si trovano a rispondere insieme uomini di primo piano delle istituzioni e capimafia. L’accusa che la procura di Palermo muove a dieci dei dodici imputati è quella di aver esercitato minaccia ad un corpo politico dello Stato, il governo italiano, allo scopo di ottenere benefici per Cosa Nostra sotto il ricatto delle bombe. Cinque uomini dello Stato e cinque boss mafiosi rispondono di tale reato: l’ex ministro Calogero Mannino, il senatore Marcello Dell’Utri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, tutti all’epoca ufficiali del ROS; insieme a loro i boss mafiosi Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Giovanni Brusca e Bernardo Provenzano, quest’ultimo accusato anche di concorso nell’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima. Tra gli imputati ci sono inoltre l’ex ministro Nicola Mancino, indicato sia da Massimo Ciancimino che poi da Giovanni Brusca come terminale politico della trattativa, che risponde del reato di falsa testimonianza, mentre l’ultimo imputato, Massimo Ciancimino, nel processo riveste la doppia veste di imputato (per concorso esterno in associazione mafiosa per il ruolo di postino tra il padre e Provenzano da lui stesso raccontato ai pm e per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro) e di teste chiave dell’accusa.

Un processo storico abbiamo detto, ma anche un processo scomodo, un processo che in molti dentro lo Stato non vorrebbero, un processo a cui si arriva significativamente con un conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale contro la procura di Palermo ancora aperto, mentre tutti abbiamo assistito al clima sempre più forte di delegittimazione contro i magistrati della procura di Palermo da una parte, anche dall’interno della stessa magistratura, e il testimone chiave Massimo Ciancimino dall’altro.

Ma nonostante tutto un primo traguardo è stato raggiunto: a Palermo si celebra l’udienza preliminare, l’inchiesta è approdata davanti a un giudice. Certo, alla verità emersa finora mancano ancora tanti tasselli e l’elenco degli imputati è ancora breve, ma essere giunti a questo punto è una grande vittoria per quella parte del Paese che vuole la verità su quegli anni. Grandi sono le speranze e le aspettative intorno a questo processo.

Durante la prima udienza che si è tenuta il 29 ottobre, si è avuta la richiesta di costituzione delle parti civili ed è stata discussa la possibilità di aprire le udienze al pubblico, ma il giudice ha poi preferito rinviare in modo da non assumere decisioni prima del pronunciamento della Corte d’Appello sulla richiesta di ricusazione avanzata dalla difesa di Giuseppe De Donno, richiesta poi rigettata: sarà Morosini il giudice che deciderà dei rinvii a giudizio del processo della trattativa.

La seconda udienza si è svolta il 15 novembre ed è durata fino a sera con un breve intervallo per il pranzo. Data l’importanza del processo e l’attenzione e l’interesse dell’opinione pubblica su di esso, sarebbe stato importante che le udienze avessero potuto svolgersi davanti alla stampa, permettendo ad ogni cittadino di essere informato compiutamente. Ricordiamo che il codice di procedura penale prevede che le udienze davanti al gup si svolgano in camera di consiglio, ma se c’è l’accordo delle parti è possibile aprirle al pubblico. Così si è nuovamente discussa la questione. Ma anche stavolta l’opposizione di uno dei legali non ha permesso lo svolgimento pubblico dell’udienza. La stampa è rimasta fuori, ad attendere qualche notizia, nonostante il temporale pomeridiano che ha messo a dura prova la resistenza dei cronisti.

L’aula in cui si è tenuta la seconda udienza è quella storica del primo maxiprocesso, l’aula bunker dell’Ucciardone. Di sicuro un buon auspicio per un processo la cui portata storica, se ci si riuscirà ad arrivarci, potrebbe essere di gran lunga superiore a quella del maxiprocesso a Cosa Nostra. Gli imputati mafiosi sono tutti presenti in videoconferenza, a parte Bernardo Provenzano la cui difesa punterebbe a sostenere l’incapacità del boss di stare in giudizio per gravi condizioni di salute che ne comprometterebbero le capacità mentali, anche se una recente perizia ha stabilito il contrario. Mancano invece quasi tutti gli imputati delle istituzioni, già assenti alla prima udienza: unico presente Nicola Mancino, che ha presentato istanza di stralcio per la propria posizione. Presente come sempre Massimo Ciancimino, l’imputato-testimone senza il quale oggi non saremmo qui, come gli fanno notare in tanti.

Per prima cosa il giudice ha deciso sulla costituzione delle parti civili, poi sull’istanza di stralcio di Mancino.

Salvatore Borsellino con il suo legale Fabio Repici aveva presentato richiesta di costituzione di parte civile sia come presidente dell’Associazione Agende Rosse che come familiare di Paolo Borsellino. In mattinata il pm Nino Di Matteo si era opposto a quest’ultima richiesta in quanto “non esistono i presupposti formali e sostanziali” ma aveva espresso parere favorevole alla costituzione di parte civile dell’Associazione Agende Rosse citando anche la giurisprudenza che legittima la costituzione di un’associazione nata in seguito ai fatti oggetto del processo se questa associazione tutela comunque degli interessi che con tali fatti sono stati danneggiati. Il gup ha sostanzialmente condiviso la posizione della procura, non ammettendo la costituzione di parte civile di Salvatore Borsellino in quanto fratello di Paolo, dei familiari degli agenti della scorta morti in via D’Amelio e di Antonio Vullo, l’agente della scorta sopravvissuto alla strage, ma ammettendo quella dell’Associazione Agende Rosse rappresentata dal suo presidente Salvatore Borsellino. Soddisfazione è stata espressa dallo stesso Borsellino: “Personalmente ritengo che sia andata bene: sono più contento di esserci come presidente del Movimento che come familiare”. “Innanzi tutto a me interessava partecipare al processo come parte attiva, e questo l’abbiamo ottenuto, in secondo luogo a me il fratello che mi hanno ammazzato non me lo ridà nessuno e a me non interessano i risarcimenti dato che ho anche rifiutato la provvisionale che mi sarebbe spettata come parte civile nei primi processi. Dallo Stato io volevo Giustizia non un impossibile risarcimento. Allora preferisco non essere presente al processo in veste di parte civile come fratello di Paolo, ma in rappresentanza di quelle persone che hanno continuato a chiedere Giustizia e Verità e senza le quali questo processo forse non si sarebbe neppure fatto.”

Vengono ammessi come parti civili anche il comune di Palermo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Partito della Rifondazione Comunista (unico partito che ne ha fatto richiesta), il sindacato di polizia Coisp, il Centro Studi Pio La Torre, mentre i familiari di Salvo Lima sono ammessi come parte civile solo contro Bernardo Provenzano relativamente al concorso in omicidio. Infine il sottosegretario Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e dei servizi segreti, si è costituito parte civile solo contro Massimo Ciancimino per l’accusa di calunnia nei suoi confronti.

Data la presenza di numerosi e diversificati capi di imputazione, la trattazione delle richieste di costituzione di parte civile è stata complessa, poiché il giudice ha dovuto stabilire l’attinenza delle richieste con i vari capi di imputazione, così ad esempio il comune di Palermo, le Agende Rosse, Rifondazione Comunista e il Coisp si sono visti rigettata la richiesta di costituzione contro Nicola Mancino, anche se al contrario invece Nino Di Matteo si era detto favorevole e aveva anzi sostenuto che il governo avrebbe dovuto costituirsi anche contro Mancino.

L’avvocato di Mori e Subranni ha voluto invece esprimere la sua personale critica a Salvatore Borsellino che aveva chiesto di costituirsi parte civile contro tutti gli imputati tranne che contro Massimo Ciancimino. Ma subito è stato interrotto da Di Matteo e da Morosini, in quanto tali considerazioni personali non sono ammissibili. Inoltre è stato ricordato come Massimo Ciancimino non sia imputato per la trattativa (come i dieci imputati per violenza a corpo politico) ma solo per il suo ruolo di postino tra il padre e Provenzano. La richiesta di Salvatore Borsellino di costituirsi anche contro Nicola Mancino, fondata sul fatto che lo stesso con la sua falsa testimonianza avrebbe cercato di occultare fatti a sua conoscenza relativi alla trattativa “anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni l’impunità” relativamente a quella vicenda, è stata invece respinta, nonostante il parere favorevole del pm.

Concluso al momento il capitolo delle costituzioni di parte civile (c’è tempo per fare richiesta fino alla prima udienza dibattimentale, attesa ad esempio l’annunciata costituzione della Regione Siciliana), in serata il giudice decide sullo stralcio di Mancino. Dopo essersi ritirato in camera di consiglio, il verdetto: la richiesta è respinta, l’ex ministro sarà processato insieme ai capimafia e ai “colleghi” delle istituzioni accusati della trattativa. I legali annunciano che presenteranno istanza per essere giudicati dal tribunale dei ministri, cosa che però secondo molti pareri ha scarse probabilità di essere accolta in quanto il reato di falsa testimonianza contestato a Mancino sarebbe stato commesso in data 24 febbraio 2012 durante la sua deposizione al processo Mori e non nel 1992 quando ricopriva la carica di ministro degli Interni.

Gli avvocati di Dell’Utri annunciano la presentazione di eccezioni di incompetenza territoriale, nel tentativo di spostare il processo a Roma o a Caltanissetta, mentre anche il difensore di Riina ha sollevato la questione della competenza territoriale, sostenendo che il processo debba essere trasferito a Caltanissetta. Siamo solo agli inizi, ma come previsto è da subito palpabile la voglia di spostare il processo in altre sedi, ritenute più favorevoli dagli imputati, che cercano in ogni modo di strappare la competenza alla procura di Palermo che ha istruito il processo portandoli sul banco degli imputati.

Si prosegue il 20 novembre.

Adriana Stazio


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