Approfondimento

Tutto il mio amore: come uscire dalla crisi, dal capitalismo, dal cancro delle mafie

Melania Fiore, autrice dello spettacolo, cita il libro "La società sparente"
mercoledì 21 marzo 2012.
 

di Emiliano Morrone

Il futuro si mostra come un buco nero che farà sparire risorse ed uomini. Il risucchio è già iniziato. Noi lo sappiamo con un’approssimazione e vaghezza che ci mantengono titubanti, indifferenti, fermi alla routine giornaliera. Il problema del domani, rinviato, eluso eppure reale, non è considerato nella sua effettiva estensione e portata. Il futuro, come ha osservato lo scrittore Alessandro Baricco, è addirittura cassato dall’immaginazione, priva di fiducia progettuale.

Gli anni a venire ci trascineranno, come in una spirale vorticosa, verso l’imperio del cancro e delle mafie. È il messaggio del monologo Tutto il mio amore, scritto e interpretato da Melania Fiore, nei giorni scorsi al teatro Stanze segrete di Roma. L’opera, carica di tensione civile e profonda, reagisce alle approssimazioni e al pensiero unico dell’età dei consumi, della paura, della schiavitù del mercato. Dell’«Essere senza tempo» tematizzato dal filosofo Diego Fusaro.

Ne parlo per due ragioni. Tutto il mio amore è uno spettacolo di rara intensità e potenza espressiva, che pone l’accento sulla sparizione della società calabrese; intesa come fuga dal (controllo criminale del) territorio, emigrazione obbligata, perdita - per familismo o subordinazione - della responsabilità etica e politica dei residenti, cui corrispondono le volgari semplificazioni e caricature del leghismo. La seconda ragione è che Tutto il mio amore rappresenta, come i libri di vera denuncia, uno strumento straordinario per smuovere la coscienza e l’intelligenza collettive, per suscitare la passione della conoscenza, il coraggio della consapevolezza, l’intervento culturale e politico dal basso.

Rispetto alla criminalità organizzata, l’attenzione pubblica è provocata dagli effetti speciali: l’immagine, che ha stupito pure cinesi e panamensi, della blindata del boss Carmine Arena squarciata dal bazooka, o del sangue sparso dalla ‘ndrangheta davanti al ristorante Da Bruno a Duisburg (Germania). Siamo abituati a guardare al dettaglio, alla curiosità, al singolo fatto quotidiano che conferma il disfacimento del sistema democratico, economico, morale. Ci manca, però, una visione d’insieme.

Melania Fiore, con una storia di paese, Panettieri (Cosenza), borgo rurale che evoca ancora la Calabria del Grand Tour, affronta il dramma dello spopolamento, di fatto procurato dalla ‘ndrangheta. La narrazione e i registri interpretativi procedono dal comico al tragico, secondo un piano che immette lo spettatore nel contesto calabrese; caratterizzato da semplicità di vita e ricchezza di affetti, care all’antropologo George Gissing, che convivono con la ferita degli adii, dell’abbandono della terra, indagata dall’etnopsichiatra Salvatore Inglese. A Panettieri, metafora di una regione, il lutto ereditato dalle partenze del Novecento s’ispessisce con le nuove emigrazioni. Lì non c’è occupazione...

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