METALMECCANICI. Sciopero generale e corteo: da piazza Esedra a piazza San Giovanni

CON LA FIOM A PIAZZA SAN GIOVANNI. TUTTI A ROMA: QUEI DIRITTI SONO DI TUTTI. Ecco perché ci saremo. Note di Claudio Sardo, Furio Colombo, Paolo F. d’Arcais - a c. di Federico La Sala

(...) un contributo alla ricostruzione di un tessuto civile e democratico. Una risposta a chi vuole la democrazia senza partiti, le relazioni industriali senza sindacati, la società senza corpi intermedi. Una risposta a chi vuole isolare i lavoratori e i cittadini per renderli impotenti davanti allo Stato e al mercato.
venerdì 9 marzo 2012.
 
[...] Una democrazia ha bisogno di un’opposizione, cessa di essere viva e vegeta se nel suo orizzonte circola solo il corrivo plauso al governo. Poiché opposizione democratica non è certo lo spurgo di pulsioni separatiste e razziste che si riconosce nei Bossi e altri Calderoli, oggi l’Italia è una democrazia dimezzata. L’opposizione esiste nella società civile, vitalissima anzi da oltre dieci anni, a partire da un indimenticabile “resistere, resistere, resistere”, nelle sue lotte e nei suoi movimenti di opinione, nella sua screziata realtà dai girotondi ai No Tav [...]

Perché ci saremo

di Claudio Sardo (l’Unità, 08.03.2012)

La filosofia che ispira la rimozione delle bacheche de l’Unità in fabbrica è la stessa che porta a limitare la rappresentanza sindacale e le libertà costituzionali dei lavoratori. La solidarietà che abbiamo dato e ricevuto in questi giorni ci ha accomunato nella battaglia sui diritti violati. Per questo domani l’Unità sarà nella piazza dei metalmeccanici.

Racconteremo lo sciopero con l’animo di chi è parte di quel popolo e non è disposto ad accettare le pulsioni autoritarie, né le ferite inferte alla Costituzione, né le discriminazioni sfacciate, come l’esclusione degli iscritti alla Fiom dalle assunzioni a Pomigliano. È spaventoso, quasi incredibile, che in un Paese occidentale si possa procedere ad oltre duemila assunzioni utilizzando come criterio selettivo (negativo) l’iscrizione ad un sindacato.

Se qualcuno lo avesse pronosticato qualche anno fa, non gli avremmo creduto. Invece lo spettro è diventato realtà in questa Italia della crisi, dove c’è chi vuole ricostruire per tornare in serie A e chi invece pensa di lucrare nella sconfitta cospicue rendite di potere.

La scelta della Fiom di far parlare sul palco della manifestazione un rappresentante dei No Tav ha creato divisione. La scelta ci pare sbagliata, perché accentua il carattere antagonista e antigovernativo dello sciopero che invece ha nel richiamo ai valori costituzionali, in fabbrica e fuori dalla fabbrica, il suo tratto più importante, e potenzialmente unificante.

Sarebbe un errore, oltre che un atto di debolezza, rispondere a una intollerabile aggressione alle libertà sindacali, come quella perpetrata dalla Fiat, configurando uno schieramento tutto politico. In Italia sono già troppi quelli che vogliono farsi un partito, e di solito aiutano ad aggravare la crisi anziché a risolverla.

Anche in Confindustria si combatte una battaglia più politica che sindacale, perché c’è una parte degli imprenditori, non a caso quella di Marchionne, che scommette sull’esito oligarchico della crisi e vuole crearsi un «partito» (non necessariamente da presentare alle elezioni) capace di pesare negli equilibri di domani. La difesa delle libertà sindacali invece deve diventare innanzitutto il terreno di una nuova unità dei lavoratori.

E, nel momento in cui vengono coinvolti i principi della Costituzione, può e deve favorire un coinvolgimento ancora più ampio del mondo delle professioni, della cultura, dei giovani. È questo lo spirito con cui saremo alla manifestazione della Fiom. Perché si possono criticare le scelte compiute, si può anche discutere se sia stato giusto o meno negare la firma dopo i referendum di Pomigliano e Mirafiori, ma non si possono chiudere gli occhi su ciò che sta avvenendo.

La Fiom, il maggiore sindacato dei metalmeccanici, è escluso d’imperio dalla rappresentanza nelle fabbriche del gruppo Fiat. Tre operai di Melfi non vengono reintegrati nel loro posto di lavoro nonostante una sentenza del giudice. L’uscita di Marchionne da Confindustria ha aperto la strada ad un contratto separato della Fiat e contiene una contestazione radicale al principio stesso del contratto nazionale di lavoro.

Qualcuno vuole far passare l’idea che la competitività del Paese si recupera comprimendo il diritto del lavoro. E qualche altro pensa che anche la dignità dei lavoratori sia una variabile dipendente. La vicenda della bacheche de l’Unità alla Magneti Marelli, in fondo, allude al tema della libertà di espressione e dell’autonomia personale in un luogo di lavoro: c’è un clima che le forze di centrosinistra devono riuscire a cambiare. È una grande battaglia sindacale, culturale, politica. Da condurre con visione unitaria.

Sono altri che hanno scommesso sulla divisione. Il governo Berlusconi-Sacconi ha fatto della divisione sindacale la propria strategia. E quel governo è stato sconfitto definitivamente proprio quando è stato firmato l’accordo del 28 giugno. Un possibile nuovo patto sociale contro gli strateghi della rottura e dell’esclusione. Ora costoro vogliono prendersi la rivincita. E il tavolo sul mercato del lavoro sarà decisivo.

Chi agita la modifica dell’articolo 18 come se fosse lo scalpo dei lavoratori da offrire sull’altare dell’ortodossia liberista, ovviamente a prescindere da ogni seria analisi nel merito, vuole esattamente questo risultato.

Ci auguriamo che tra le rappresentanze sociali ci siano forze e intelligenze sufficienti per superare l’insidia e costruire, nel tempo del governo Monti, un patto sociale come quello del ’93.

Lo sciopero di domani può essere un contributo alla ricostruzione di un tessuto civile e democratico. Una risposta a chi vuole la democrazia senza partiti, le relazioni industriali senza sindacati, la società senza corpi intermedi. Una risposta a chi vuole isolare i lavoratori e i cittadini per renderli impotenti davanti allo Stato e al mercato.

Noi siamo per la libertà sindacale e per l’autonomia dei corpi intermedi, espressione autentica dei principi solidaristici e personalistici della Costituzione.


Domani con la Fiom

Perché mi ribello al Pd

di Furio Colombo (il Fatto, 08.03.2012)

Domani parteciperò alla manifestazione di Roma della Cgil-Fiom. Ritengo si tratti della questione più importante per chi vota a sinistra e sa che il lavoro è il cuore di ogni cosa si voglia definire di sinistra. Voglio dire che domani, parteciperò alla manifestazione di Roma della Cgil-Fiom in difesa del lavoro e dei diritti di chi lavora.

Lo farò perché ritengo che si tratti della questione più importante per chi ha votato e vota a sinistra e sa che il lavoro è il senso e il cuore di qualunque cosa si voglia definire sinistra. Da deputato Pd dovrò confrontarmi con un fatto difficile da capire e difficile da spiegare.

Il Partito democratico ha annunciato che nessuno (nessuno che sia Pd o parlamentare del Pd o a nome e per conto del Pd) dovrà partecipare alla manifestazione Fiom-Cgil di venerdì 9 marzo a Roma. Ho detto "annunciato" perché è il verbo giusto quando si emanano ordini o decisioni definitive. Dunque, ti dici, ci devono essere delle ragioni gravi.

Infatti la drastica decisione ha provocato subito conseguenze importanti. Fassina, che nel Pd è il responsabile del lavoro (vuol dire sindacati, operai, contratti, politica del lavoro) aveva detto di sì e adesso sarà no. Lo stesso è accaduto per Orfini. Non andrà.

CI SONO SOLO due vie per capire. O il Pd ha ritrovato la ferrea forza disciplinare dei tempi in cui il Pci ha radiato i fondatori del manifesto. O un fatto grave si è verificato all’improvviso, qualcosa che peserebbe sulla reputazione e la credibilità degli eventuali partecipanti all’evento Fiom. Per esempio scoprire che Fiom è l’altro nome di Casa Pound. Però nulla di tutto ciò è avvenuto e bisognerà accontentarsi di interpretare la realtà con i fatti della realtà.

Il primo sembra essere una profonda irritazione verso la Fiom vista all’improvviso come un agitatore che spinge verso il passato. O peggio, come il luogo infido di una rivolta. Eppure questo Pd non è (non è ancora) il partito di Matteo Renzi, autorizzato dalla faccia tosta e dagli anni, a non sapere niente del prima.

Qui, nel Pd di adesso, c’è ancora gente che c’era quando Cgil e Fiom erano la sinistra perché la sinistra è la difesa del lavoro. Gente che assieme alla Cgil e alla Fiom si è fatta trovare parecchie volte, cercando, anzi, di essere vista bene dai giornalisti e dagli elettori.

CHE COSA è cambiato? Che io sappia è cambiato il mondo (o almeno il mondo dell’impresa e di una certa cultura prevalente fondata sulla coincidenza inventata fra benessere dell’impresa e benessere di tutti) ma non è cambiato il lavoro e non è cambiata la necessità e l’urgenza di difendere il lavoro, che vuol dire la grande maggioranza dei cittadini, occupati e disoccupati.

O perché si diffonde la tendenza a negare i diritti del cittadino che lavora, negando non tanto, non solo il regolamento di una fabbrica o il comma di un patto, ma tutto il patto (i contratti nazionali) fondato sul rispetto dei diritti umani e civili e della Costituzione.

O perché imprenditori animati da una strana ansia di provocazione si divertono, nel silenzio benevolo di governo e Parlamento, ad annunciare ogni due giorni la chiusura immotivata e insensata di una grande fabbrica italiana, arrecando anche un danno non da poco alla reputazione, già così provata, del Paese.

Dunque se il lavoro è in pericolo dentro la fabbrica dei diritti negati, e fuori dalla fabbrica del precariato e dell’abbandono, che cosa motiva il bollettino di guerra del più grande dei partiti della sinistra italiana, il Pd?

Senza intenzioni di satira o di malevolo umorismo, devo per forza riferire la ragione ufficialmente diramata che ha bloccato all’istante la partecipazione degli ultimi due dirigenti Pd: alla manifestazione della Fiom ci saranno anche i No-Tav (uno, Pd, ex sindaco e ora presidente delle Comunità montane della Valle di Susa). E avranno persino il diritto di parola. Qui sul dissenso prevale l’angoscia.

VOLETE dirmi che il nuovo valore che anima e tiene insieme il Partito democratico non è più la sinistra, non è più il lavoro, ma è l’Alta velocità? Volete dirmi che adesso ci inchiniamo all’Alta velocità eletta a valore e riferimento politico (ma, più che politico, direi religioso) come gli stravolti personaggi di una parodia di Odissea nello Spazio? Tutti a casa, e il lavoro vada al diavolo o dove vuole Marchionne, pur di non essere nella stessa piazza di uno contaminato dalla malattia degenerativa detta No-Tav? Io fingerò di non sapere le ragioni del Pd tutto assente. Anche perché, oso un piccolo azzardo, mi sento di prevedere che non sarà tutto assente.

E poi l’importante è che non si possa dire: del Pd non c’era nessuno. È la stessa ragione per cui due di noi, il giorno del trattato con la Libia e del regalo indecente di Bossi e Berlusconi a Gheddafi, hanno votato contro e impedito che si dicesse che "il voto della sinistra è stato unanime". Non lo è stato. Ora proviamo di nuovo a salvare la reputazione del maggior partito della sinistra, nel giorno di lotta per il lavoro.


Nel nome di ognuno di noi

Quei diritti sono di tutti

di Paolo F. d’Arcais (il Fatto, 08.03.2012

Domani scioperano in tutta Italia gli operai metalmeccanici. Organizzati dalla Fiom, incrociano le braccia per difendere i loro diritti, ma anche per custodire i nostri. Scendono in piazza per arginare condizioni di lavoro sempre più dure, prevaricatorie, avvilenti e precarie, ma insieme per difendere libertà e diritti costituzionali che tutelano ognuno di noi. Il diktat-Marchionne, che esilia la Fiom dalla fabbrica, cioè il sindacato dal suo paese, si è fatto legge contro la legge, nella svagata disattenzione dei più e nell’omertoso applauso di troppi.

Eppure, l’intera memoria storica ci ammonisce che la libertà è indivisibile, vive in vasi comunicanti, calpestata e avvelenata a Pomigliano è a repentaglio non solo in ogni fabbrica e luogo di lavoro, ma in ogni agorà della politica, in ogni valle, fin dentro il focolare domestico (costituito ormai dalla tv).

Scendere in piazza con la Fiom dovrebbe perciò essere un riflesso istintivo per qualsiasi cittadino che ancora non consideri carta straccia la Costituzione repubblicana che la Resistenza ci ha regalato. Di più. Una democrazia ha bisogno di un’opposizione, cessa di essere viva e vegeta se nel suo orizzonte circola solo il corrivo plauso al governo. Poiché opposizione democratica non è certo lo spurgo di pulsioni separatiste e razziste che si riconosce nei Bossi e altri Calderoli, oggi l’Italia è una democrazia dimezzata. L’opposizione esiste nella società civile, vitalissima anzi da oltre dieci anni, a partire da un indimenticabile “resistere, resistere, resistere”, nelle sue lotte e nei suoi movimenti di opinione, nella sua screziata realtà dai girotondi ai No Tav.

MA NON È rappresentata in Parlamento e nella vita politica. Anomalia che dovrebbe preoccupare ogni democratico. Anche perché lotte sacrosante inascoltate, intorno alle quali la politica sa solo innalzare il filo spinato della menzogna mediatica, rischiano di diventare permeabili alle sirene della violenza, grazie alla protervia d’establishment che come unico argomento conosce l’appetito degli appalti.

La Fiom può diventare con lo sciopero nazionale di domani il catalizzatore di tutte le lotte senza rappresentanza, l’argine contro le tentazioni del corto circuito disperazione/violenza, la “forza tranquilla” di un interesse generale alternativo a quello del governo Napolitano-Monti-Passera. Facendo rigorosamente il sindacato, offre al paese l’opposizione democratica che manca. Per questo è sperabile che domani, accanto ai cittadini metalmeccanici, le piazze si riempiano di cittadini tout court.


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