Perché ci saremo
di Claudio Sardo (l’Unità, 08.03.2012)
La filosofia che ispira la rimozione delle bacheche de l’Unità in fabbrica è la stessa che porta a limitare la rappresentanza sindacale e le libertà costituzionali dei lavoratori. La solidarietà che abbiamo dato e ricevuto in questi giorni ci ha accomunato nella battaglia sui diritti violati. Per questo domani l’Unità sarà nella piazza dei metalmeccanici.
Racconteremo lo sciopero con l’animo di chi è parte di quel popolo e non è disposto ad accettare le pulsioni autoritarie, né le ferite inferte alla Costituzione, né le discriminazioni sfacciate, come l’esclusione degli iscritti alla Fiom dalle assunzioni a Pomigliano. È spaventoso, quasi incredibile, che in un Paese occidentale si possa procedere ad oltre duemila assunzioni utilizzando come criterio selettivo (negativo) l’iscrizione ad un sindacato.
Se qualcuno lo avesse pronosticato qualche anno fa, non gli avremmo creduto. Invece lo spettro è diventato realtà in questa Italia della crisi, dove c’è chi vuole ricostruire per tornare in serie A e chi invece pensa di lucrare nella sconfitta cospicue rendite di potere.
La scelta della Fiom di far parlare sul palco della manifestazione un rappresentante dei No Tav ha creato divisione. La scelta ci pare sbagliata, perché accentua il carattere antagonista e antigovernativo dello sciopero che invece ha nel richiamo ai valori costituzionali, in fabbrica e fuori dalla fabbrica, il suo tratto più importante, e potenzialmente unificante.
Sarebbe un errore, oltre che un atto di debolezza, rispondere a una intollerabile aggressione alle libertà sindacali, come quella perpetrata dalla Fiat, configurando uno schieramento tutto politico. In Italia sono già troppi quelli che vogliono farsi un partito, e di solito aiutano ad aggravare la crisi anziché a risolverla.
Anche in Confindustria si combatte una battaglia più politica che sindacale, perché c’è una parte degli imprenditori, non a caso quella di Marchionne, che scommette sull’esito oligarchico della crisi e vuole crearsi un «partito» (non necessariamente da presentare alle elezioni) capace di pesare negli equilibri di domani. La difesa delle libertà sindacali invece deve diventare innanzitutto il terreno di una nuova unità dei lavoratori.
E, nel momento in cui vengono coinvolti i principi della Costituzione, può e deve favorire un coinvolgimento ancora più ampio del mondo delle professioni, della cultura, dei giovani. È questo lo spirito con cui saremo alla manifestazione della Fiom. Perché si possono criticare le scelte compiute, si può anche discutere se sia stato giusto o meno negare la firma dopo i referendum di Pomigliano e Mirafiori, ma non si possono chiudere gli occhi su ciò che sta avvenendo.
La Fiom, il maggiore sindacato dei metalmeccanici, è escluso d’imperio dalla rappresentanza nelle fabbriche del gruppo Fiat. Tre operai di Melfi non vengono reintegrati nel loro posto di lavoro nonostante una sentenza del giudice. L’uscita di Marchionne da Confindustria ha aperto la strada ad un contratto separato della Fiat e contiene una contestazione radicale al principio stesso del contratto nazionale di lavoro.
Qualcuno vuole far passare l’idea che la competitività del Paese si recupera comprimendo il diritto del lavoro. E qualche altro pensa che anche la dignità dei lavoratori sia una variabile dipendente. La vicenda della bacheche de l’Unità alla Magneti Marelli, in fondo, allude al tema della libertà di espressione e dell’autonomia personale in un luogo di lavoro: c’è un clima che le forze di centrosinistra devono riuscire a cambiare. È una grande battaglia sindacale, culturale, politica. Da condurre con visione unitaria.
Sono altri che hanno scommesso sulla divisione. Il governo Berlusconi-Sacconi ha fatto della divisione sindacale la propria strategia. E quel governo è stato sconfitto definitivamente proprio quando è stato firmato l’accordo del 28 giugno. Un possibile nuovo patto sociale contro gli strateghi della rottura e dell’esclusione. Ora costoro vogliono prendersi la rivincita. E il tavolo sul mercato del lavoro sarà decisivo.
Chi agita la modifica dell’articolo 18 come se fosse lo scalpo dei lavoratori da offrire sull’altare dell’ortodossia liberista, ovviamente a prescindere da ogni seria analisi nel merito, vuole esattamente questo risultato.
Ci auguriamo che tra le rappresentanze sociali ci siano forze e intelligenze sufficienti per superare l’insidia e costruire, nel tempo del governo Monti, un patto sociale come quello del ’93.
Lo sciopero di domani può essere un contributo alla ricostruzione di un tessuto civile e democratico. Una risposta a chi vuole la democrazia senza partiti, le relazioni industriali senza sindacati, la società senza corpi intermedi. Una risposta a chi vuole isolare i lavoratori e i cittadini per renderli impotenti davanti allo Stato e al mercato.
Noi siamo per la libertà sindacale e per l’autonomia dei corpi intermedi, espressione autentica dei principi solidaristici e personalistici della Costituzione.
Domani con la Fiom
Perché mi ribello al Pd
di Furio Colombo (il Fatto, 08.03.2012)
Domani parteciperò alla manifestazione di Roma della Cgil-Fiom. Ritengo si tratti della questione più importante per chi vota a sinistra e sa che il lavoro è il cuore di ogni cosa si voglia definire di sinistra. Voglio dire che domani, parteciperò alla manifestazione di Roma della Cgil-Fiom in difesa del lavoro e dei diritti di chi lavora.
Lo farò perché ritengo che si tratti della questione più importante per chi ha votato e vota a sinistra e sa che il lavoro è il senso e il cuore di qualunque cosa si voglia definire sinistra. Da deputato Pd dovrò confrontarmi con un fatto difficile da capire e difficile da spiegare.
Il Partito democratico ha annunciato che nessuno (nessuno che sia Pd o parlamentare del Pd o a nome e per conto del Pd) dovrà partecipare alla manifestazione Fiom-Cgil di venerdì 9 marzo a Roma. Ho detto "annunciato" perché è il verbo giusto quando si emanano ordini o decisioni definitive. Dunque, ti dici, ci devono essere delle ragioni gravi.
Infatti la drastica decisione ha provocato subito conseguenze importanti. Fassina, che nel Pd è il responsabile del lavoro (vuol dire sindacati, operai, contratti, politica del lavoro) aveva detto di sì e adesso sarà no. Lo stesso è accaduto per Orfini. Non andrà.
CI SONO SOLO due vie per capire. O il Pd ha ritrovato la ferrea forza disciplinare dei tempi in cui il Pci ha radiato i fondatori del manifesto. O un fatto grave si è verificato all’improvviso, qualcosa che peserebbe sulla reputazione e la credibilità degli eventuali partecipanti all’evento Fiom. Per esempio scoprire che Fiom è l’altro nome di Casa Pound. Però nulla di tutto ciò è avvenuto e bisognerà accontentarsi di interpretare la realtà con i fatti della realtà.
Il primo sembra essere una profonda irritazione verso la Fiom vista all’improvviso come un agitatore che spinge verso il passato. O peggio, come il luogo infido di una rivolta. Eppure questo Pd non è (non è ancora) il partito di Matteo Renzi, autorizzato dalla faccia tosta e dagli anni, a non sapere niente del prima.
Qui, nel Pd di adesso, c’è ancora gente che c’era quando Cgil e Fiom erano la sinistra perché la sinistra è la difesa del lavoro. Gente che assieme alla Cgil e alla Fiom si è fatta trovare parecchie volte, cercando, anzi, di essere vista bene dai giornalisti e dagli elettori.
CHE COSA è cambiato? Che io sappia è cambiato il mondo (o almeno il mondo dell’impresa e di una certa cultura prevalente fondata sulla coincidenza inventata fra benessere dell’impresa e benessere di tutti) ma non è cambiato il lavoro e non è cambiata la necessità e l’urgenza di difendere il lavoro, che vuol dire la grande maggioranza dei cittadini, occupati e disoccupati.
O perché si diffonde la tendenza a negare i diritti del cittadino che lavora, negando non tanto, non solo il regolamento di una fabbrica o il comma di un patto, ma tutto il patto (i contratti nazionali) fondato sul rispetto dei diritti umani e civili e della Costituzione.
O perché imprenditori animati da una strana ansia di provocazione si divertono, nel silenzio benevolo di governo e Parlamento, ad annunciare ogni due giorni la chiusura immotivata e insensata di una grande fabbrica italiana, arrecando anche un danno non da poco alla reputazione, già così provata, del Paese.
Dunque se il lavoro è in pericolo dentro la fabbrica dei diritti negati, e fuori dalla fabbrica del precariato e dell’abbandono, che cosa motiva il bollettino di guerra del più grande dei partiti della sinistra italiana, il Pd?
Senza intenzioni di satira o di malevolo umorismo, devo per forza riferire la ragione ufficialmente diramata che ha bloccato all’istante la partecipazione degli ultimi due dirigenti Pd: alla manifestazione della Fiom ci saranno anche i No-Tav (uno, Pd, ex sindaco e ora presidente delle Comunità montane della Valle di Susa). E avranno persino il diritto di parola. Qui sul dissenso prevale l’angoscia.
VOLETE dirmi che il nuovo valore che anima e tiene insieme il Partito democratico non è più la sinistra, non è più il lavoro, ma è l’Alta velocità? Volete dirmi che adesso ci inchiniamo all’Alta velocità eletta a valore e riferimento politico (ma, più che politico, direi religioso) come gli stravolti personaggi di una parodia di Odissea nello Spazio? Tutti a casa, e il lavoro vada al diavolo o dove vuole Marchionne, pur di non essere nella stessa piazza di uno contaminato dalla malattia degenerativa detta No-Tav? Io fingerò di non sapere le ragioni del Pd tutto assente. Anche perché, oso un piccolo azzardo, mi sento di prevedere che non sarà tutto assente.
E poi l’importante è che non si possa dire: del Pd non c’era nessuno. È la stessa ragione per cui due di noi, il giorno del trattato con la Libia e del regalo indecente di Bossi e Berlusconi a Gheddafi, hanno votato contro e impedito che si dicesse che "il voto della sinistra è stato unanime". Non lo è stato. Ora proviamo di nuovo a salvare la reputazione del maggior partito della sinistra, nel giorno di lotta per il lavoro.
Nel nome di ognuno di noi
Quei diritti sono di tutti
di Paolo F. d’Arcais (il Fatto, 08.03.2012
Domani scioperano in tutta Italia gli operai metalmeccanici. Organizzati dalla Fiom, incrociano le braccia per difendere i loro diritti, ma anche per custodire i nostri. Scendono in piazza per arginare condizioni di lavoro sempre più dure, prevaricatorie, avvilenti e precarie, ma insieme per difendere libertà e diritti costituzionali che tutelano ognuno di noi. Il diktat-Marchionne, che esilia la Fiom dalla fabbrica, cioè il sindacato dal suo paese, si è fatto legge contro la legge, nella svagata disattenzione dei più e nell’omertoso applauso di troppi.
Eppure, l’intera memoria storica ci ammonisce che la libertà è indivisibile, vive in vasi comunicanti, calpestata e avvelenata a Pomigliano è a repentaglio non solo in ogni fabbrica e luogo di lavoro, ma in ogni agorà della politica, in ogni valle, fin dentro il focolare domestico (costituito ormai dalla tv).
Scendere in piazza con la Fiom dovrebbe perciò essere un riflesso istintivo per qualsiasi cittadino che ancora non consideri carta straccia la Costituzione repubblicana che la Resistenza ci ha regalato. Di più. Una democrazia ha bisogno di un’opposizione, cessa di essere viva e vegeta se nel suo orizzonte circola solo il corrivo plauso al governo. Poiché opposizione democratica non è certo lo spurgo di pulsioni separatiste e razziste che si riconosce nei Bossi e altri Calderoli, oggi l’Italia è una democrazia dimezzata. L’opposizione esiste nella società civile, vitalissima anzi da oltre dieci anni, a partire da un indimenticabile “resistere, resistere, resistere”, nelle sue lotte e nei suoi movimenti di opinione, nella sua screziata realtà dai girotondi ai No Tav.
MA NON È rappresentata in Parlamento e nella vita politica. Anomalia che dovrebbe preoccupare ogni democratico. Anche perché lotte sacrosante inascoltate, intorno alle quali la politica sa solo innalzare il filo spinato della menzogna mediatica, rischiano di diventare permeabili alle sirene della violenza, grazie alla protervia d’establishment che come unico argomento conosce l’appetito degli appalti.
La Fiom può diventare con lo sciopero nazionale di domani il catalizzatore di tutte le lotte senza rappresentanza, l’argine contro le tentazioni del corto circuito disperazione/violenza, la “forza tranquilla” di un interesse generale alternativo a quello del governo Napolitano-Monti-Passera. Facendo rigorosamente il sindacato, offre al paese l’opposizione democratica che manca. Per questo è sperabile che domani, accanto ai cittadini metalmeccanici, le piazze si riempiano di cittadini tout court.
ART.18, MONTI CI PENSI SU
di Valentino Parlato (il manifesto, 10.02.2012)
Se Mario Monti, che ritengo persona attenta ai fatti, avesse potuto vedere di persona la grande manifestazione della Fiom a Roma, sicuramente avrebbe riconsiderato alcuni suoi attuali orientamenti. Lo penso perché la manifestazione di ieri è andata ben oltre la Fiom e i lavoratori della metalmeccanica.
Ieri a Roma c’era l’unità d’Italia. Nord e Sud insieme, capoluoghi di regione e piccoli comuni. Rilevante e importante la presenza di lavoratrici. C’era l’Italia con le sue memorie storiche e la volontà di sostenere la democrazia in questo difficile e pericoloso stato di crisi. Dalle crisi - è storia - sono facili e possibili le uscite a destra. In Italia lo sappiamo. Ebbene, la manifestazione di ieri era la testimonianza di quanto la democrazia sia essenziale al mondo del lavoro, alle persone che lavorano «sotto padrone» e che solo nella democrazia piena hanno la garanzia dei loro diritti e della dignità umana.
Una grande manifestazione di democrazia dalla quale non ci si può distaccare (come ha fatto il Pd, con il pretesto della Tav e cedendo alle esigenze della politica politicante) senza indebolire se stessi, senza far crescere il rifiuto della politica, oggi assai diffuso nel nostro paese. Il Presidente Giorgio Napolitano ha detto che la riforma del lavoro va realizzata, ma tenendo fermi il rispetto dei diritti e della dignità del lavoro, che sono - aggiungo io - il fondamento sostanziale della democrazia.
La nostra Costituzione afferma che siamo una Repubblica «fondata sul lavoro». Nell’attuale confronto sulla «riforma del lavoro», va data grande attenzione anche agli aspetti simbolici. E vengo all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sul quale siamo a uno scontro fondamentalmente ideologico, simbolico, a cui anche il Presidente Napolitano dovrebbe prestare più attenzione. Un industriale come Carlo De Benedetti ha detto che l’art. 18 non gli è mai servito nella gestione d’impresa. Cancellare l’art. 18 oggi non serve affatto agli imprenditori. Cancellarlo è solo dare uno schiaffo in faccia a chi lavora e ai sindacati tutti, dire loro che debbono piegare la schiena davanti al padrone.
La grande e democratica manifestazione di ieri dovrebbe dare uno scatto di intelligenza all’attuale governo. La sua rinuncia alla cancellazione dell’articolo 18 (ripeto, di nessuna sostanza nella gestione d’impresa) sarebbe un gesto di grande acume politico. Il governo potrebbe dire: proprio perché sono forte e ho consenso non voglio cancellare l’articolo 18.
La grande manifestazione di ieri, la sua portata nazionale e democratica, dovrebbe indurre a qualche riflessione l’attuale governo e dire chiaramente che non ne vuole più la cancellazione. Ove facesse questa scelta ne uscirebbe anche rafforzato rispetto ai ricatti e alle minacce che stanno emergendo dal mondo della politica. Monti non ha detto a caso di temere l’allargarsi dello spread tra i partiti. Si faccia raccontare bene la manifestazione di ieri e ci pensi.
Esserci oggi è un dovere civico di ogni cittadino
Scrive il lavoratore in causa con la Fiat, reintegrato dal giudice. Ma che l’azienda lascia a casa, pagandolo
Ricordatelo: se perdono i lavoratori perde il Paese
di Giovanni Barozzino, operaio (l’Unità, 09.03.2012)
Penso che sia molto importante essere a Roma oggi. Lo sciopero della Fiom serve oggi a difendere non soltanto i diritti legati al lavoro, ma la libertà di pensiero e quindi la stessa democrazia. Forse esagero, ma manifestare oggi dovrebbe essere un dovere per ogni cittadino.
Noi operai soprattutto noi ma penso ai lavoratori tutti, di ogni categoria, dalla scuola ai pensionati sappiamo di aver dato già tanto in questi anni. Soprattutto durante e a causa di questa lunga crisi. E quando pensiamo di aver pagato ad di là ogni ragionevole limite, ci rendiamo conto come, ogni giorno che passa, nostro malgrado, assistiamo progressivamente e inesorabilmente un’altra volta e un’altra volta ancora alla riduzione di diritti e di spazi di democrazia. Oggi tra mille problemi vive il nostro Paese con migliaia di posti di lavoro e di licenziamenti individuali e collettivi. Ogni giorno chiusure e difficoltà delle imprese che chiudono e l’ultima offensiva ideologica: il tentativo della cancellazione del famoso art 18 dello statuto dei lavoratori.
L’art 18 è in verità una norma di civiltà e di libertà ma vorrei aggiungere e ricordare al Presidente della Repubblica che molto si è speso su questi temi nella sua prima parte del settennato l’art.18 è una norma e un principio di sicurezza.
Sì, non sembri esagerato, dico proprio di sicurezza. Infatti, cancellando questo articolo, si renderà ancora più debole e precaria la condizione del lavoratore che sarà così più ricattabile. Quello che sta accadendo alla Fiat di Melfi ad esempio rende evidente quali possano essere i comportamenti di cui può rimanere vittima un lavoratore.
Renderlo ulteriormente debole lo esporrà indubitabilmente ad eventuali soprusi che senza l’articolo 18 difficilmente potranno emergere. Il perché è di facile intuizione.
Ma dicevo essere oggi in piazza è un dovere perché si stanno restringendo sempre più gli spazi di democrazia. Quello che stà succedendo in Italia al mondo del lavoro è sotto gli occhi di tutti. Ma quello che accade al Paese più in generale, vedi legge elettorale tradimento dei risultati dei referendum quello sull’acqua e non solo mi preoccupa e non poco. A noi lavoratori metalmeccanici accade invece che nelle fabbriche viene negata la possibilità di potersi scegliere liberamente da chi farsi rappresentare. A noi lavoratori metalmeccanici viene praticamente impedito di essere partecipi del nostro futuro. A noi lavoratori metalmeccanici viene impedito di poterci definire cittadini.
Tutto ciò accade in un silenzio spaventoso di gran parte della politica. A tutti vorrei ricordare che da sempre ad un riduzione dei diritti dei lavoratori è corrisposto un arretramento della società tutta. Per questo e necessario oggi essere a Roma.
9 marzo: FLC CGIL, "saremo in piazza con la Fiom"
È necessario garantire ai lavoratori il diritto di pensare e di decidere. Comunicato della segreteria nazionale.
La FLC CGIL impegna tutte le proprie strutture a garantire una forte partecipazione dei lavoratori della conoscenza alla manifestazione nazionale del 9 marzo indetta dalla Fiom-Cgil. *
Occorre reagire al tentativo di espellere i diritti costituzionali dai posti di lavoro. Non si può accettare che il più rappresentativo sindacato metalmeccanico italiano venga espulso dalle fabbriche della Fiat, che alla Marelli si impedisca di poter mettere nelle bacheche l’Unità e che vengano discriminati gli iscritti alla Fiom. Si calpesta la dignità, l’autonomia e la libertà dei lavoratori e la chiamano modernità! Dopo aver cancellato il contratto nazionale di lavoro ora Marchionne e la Confindustria pretendono di stravolgere l’art. 18 che è una norma di civiltà senza la quale ci sarebbero solo discriminazioni e ricatti.
A fronte delle enormi disuguaglianze e della disperazione delle nuove generazioni, le politiche liberiste del governo Monti peggiorano le condizioni di vita delle persone, non affermano alcuna politica di redistribuzione della ricchezza, determinano maggiore precarietà, indeboliscono ulteriormente i diritti nel lavoro e devastano lo stato sociale.
La riforma delle pensioni è iniqua e ingestibile perché allunga, senza alcuna gradualità, l’età pensionabile, riduce nel tempo i rendimenti e penalizza fortemente le nuove generazioni. Aumenta la pressione fiscale sui salari e nei settori pubblici i contratti sono bloccati, la contrattazione decentrata viene ostacolata dalla legge Brunetta e non sono garantiti nemmeno gli scatti di anzianità.
Non c’è alcuna equità nei provvedimenti del Governo perché colpiscono pesantemente i lavoratori, i pensionati, i disoccupati e i precari. È inaccettabile che si continui a disinvestire nei settori della conoscenza pubblica a partire dal diritto allo studio. L’Italia e l’Europa usciranno dalla crisi solo ripensando il proprio modello di sviluppo e superando le disuguaglianze sociali. Per questa ragione bisogna difendere i beni comuni senza dei quali non esistono diritti di cittadinanza. È necessario elevare i livelli d’istruzione ed investire in ricerca per garantire migliore qualità competitiva e una più alta coesione sociale. La vera ricchezza si costruisce con più saperi e non attraverso la mercificazione del lavoro. Senza democrazia non può esserci futuro. Le ricette liberiste del FMI, della BCE e dell’Unione europea sono imposte annullando la sovranità dei popoli e delle istituzioni democratiche. Il processo di regressione democratica coinvolge i luoghi di lavoro attraverso forme di comando autoritarie e gerarchiche che annullano l’identità dei lavoratori.
Le elezioni delle RSU nel pubblico impiego del 5, 6 e 7 marzo intendono affermare un modello alternativo consentendo ad ogni lavoratrice e lavoratore la possibilità di potere eleggere i propri rappresentanti. Con il voto bisogna stabilire il grado di rappresentanza delle organizzazioni sindacali affermando il principio che su tutte le piattaforme e gli accordi i lavoratori devono poter esprimersi.
Chiediamo ai lavoratori della conoscenza di andare in massa a votare le liste della FLC CGIL testimoniando anche così la solidarietà attiva ai lavoratori della Fiat. Saremo in piazza con la Fiom perché non vogliamo che si ritorni indietro e perché ai lavoratori deve essere garantito il diritto di pensare e di decidere.
* http://www.flcgil.it/attualita/sindacato/9-marzo-flc-cgil-saremo-in-piazza-con-la-fiom.flc, 01/03/2012
Lavoratori atipici
Educazione con insegnanti “usa e getta”
di Marina Boscaino
Provate a inserire la parola “precariato” su Google, e vi renderete conto che - nonostante si tratti di un problema di carattere generale - l’intera prima pagina di occorrenze riguarda la scuola. Un termine che nella lingua italiana designa una condizione che riguarda molte categorie - quasi tutte oggi - di lavoratori; ma che indicativamente, viene individuata dal motore di ricerca come specifica o prioritariamente riferibile al mondo della scuola, al pari di POF, competenza, collegio.
I supplenti sono oltre 116 mila
Il precario per antonomasia è, insomma, il precario della scuola. Vorrà pur dire qualcosa. L’ultima Commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento italiano ad aver aperto un’indagine conoscitiva sul fenomeno risale alla XV legislatura, anni 2006-7. Gli ultimi dati pubblicati dal MIUR in proposito sono quelli del 2009-10, che evidenziano come il precariato rappresenti tra i docenti l’unico dato di certezza in un panorama caotico, che negli anni è diventato sempre più complesso, grazie anche ai restyling improvvisati e pedestri di Mariastella Gelmini. E che individuano una progressiva tendenza alla scuola usa-e-getta, a cominciare dal trattamento riservato alle donne e agli uomini che in essa gravitano, docenti e ATA. Un trattamento che si ripercuote - oltrechesuldirittoallavoro-suldirittoallo studio degli studenti, troppo sovente sottoposti a una discontinuità didattica che ne compromette gli apprendimenti.
A fronte di un corpo docente scolastico italiano pari a circa 800 mila unità, coloro che vengono assunti per supplenze annuali (circa 20 mila) o fino al termine dell’anno scolastico sono passati dai 64.000 del 1998/99 ai 116.973 del 2009/10: la maggior parte delle supplenze ‘lunghe’ assegnate riguardano la secondaria superiore (circa 40 mila contratti), seguono le medie, la primaria e i maestri della scuola dell’infanzia.
Dati che, com’è evidente, non tengono conto di quanti vengono chiamati per frazioni di tempo inferiori all’anno scolastico: quelli che rimpiazzano assenze brevi o lunghe, ma che non vedono garantita e riconosciuta la conclusione; altre 50 mila persone (dato stimato Flc). A questi vanno aggiunti gli Ata (personale tecnico e ausiliario), con 5 mila precari “stabili” e altrettanti saltuari. Nel 1998 vi era solo un docente precario ogni 12 diruolo, oggi uno ogni 7. L’aumento più significativo di precarietà dell’ultimo decennio si è registrato nella scuola primaria (quasi il 7%) e nella scuola media (11.7%).
Ecco, sinteticamente, i frutti di una programmazione di posti di lavoro allegra, demagogica e irresponsabile, che negli anni ha investito sul mercato del lavoro - in nome di una flessibilità ante litteram - migliaia di donne e uomini che hanno prestato la propria opera senza garanzie definitive, spesso iniziando a lavorare a ottobre e concludendo il giorno dello scrutinio estivo: ferie non pagate, sedi svantaggiate, mancanza di continuità didattica, discontinuità nell’anzianità di servizio. Diritti a metà, lavoratori dimezzati. Merce di scarto del mercato del lavoro.
Il fenomeno è talmente endemico che, per definirli e distinguerli dalle “new entry”, è stato necessario “inventare” una vera e propria formula, quella di “precari storici”: laureati, a volte plurilaureati, che si sono sottoposti a prove concorsuali diversificate, che hanno subito letteralmente regole e condizioni imposte dallo Stato. Ma non sono ancora riusciti ad entrare in ruolo. Hanno la stessa età che avevano i nostri genitori quando noi eravamo alla fine della scuola superiore o all’università. Vivono uno stato di pseudo-adolescenza coatta: troppo adulti per cambiare strada, riciclarsi, inventarsi un mestiere “da grandi”, troppo giovani per metterci una pietra sopra. Sono quelli che Renato Brunetta ha chiamato “L’Italia peggiore”, quelli cui si è rivolto dicendo: “Voi non lavorate, siete dei poveracci”. Quelli che si rivolsero al non compianto ministro con cassette piene di titoli di studio, qualifiche e contratti indecenti. E dei quali non si riesce ad immaginare cosa direbbe il supersponsorizzato Michel Martone, che - dall’alto del suo rispettabilissimo e rispettatissimo pedigree - ha apostrofato “sfigati” quelli che non si laureano entro i 28 anni. I messaggi contraddittori del governo Monti
Indubbiamente Francesco Profumo si è trovato davanti una situazione di non semplice risoluzione. Ma i suoi primi passi nel caos del precariato hanno destato non poche perplessità. Il ministro è tornato a più riprese sul tema di un imminente concorso, che dovrebbe essere bandito entro il 2012. Inizialmente la sua previsione di affluenza fu di 300mila docenti, corretti qualche giorno dopo a 200 mila. Un numero comunque enorme, che mal si concilia con il fatto che - dal 2009 al 2011 - sono stati tagliati 87 mila posti di docente; e che - contemporaneamente a questa iniezione di gioventù di cui la scuola italiana avrebbe bisogno - il governo ha alzato notevolmente l’età pensionabile. Messaggi contraddittori, che non trovano per il momento conferma.
È durata infine solo qualche ora l’illusione dell’assunzione di 10 mila docenti nella scuola per sostenere tempo pieno e bisogni speciali degli alunni: governo e commissioni parlamentari sono infatti orientati a mantenere fisso l’organico del comparto scuola, bloccandolo a quello in vigore nell’anno scolastico 2011/2012, evitando il trascinamento dei tagli previsti dalla legge 133/08; eventuali sforamenti - non quantificati a priori - saranno coperti con un fondo già in possesso del Miur, quello sul merito, e verrà introdotto nel decreto Semplificazioni un comma di salvaguardia: se necessario il ministero dell’Economia, attraverso i Monopoli di Stato, potrà variare il prelievo sui giochi già esistenti per raccogliere i fondi per le assunzioni. Commenta ironicamente un gruppo di insegnanti di sostegno precari dell’IIS Beccari di Torino: “Quanti gratta-e-vinci e quante schedine del SuperEnalotto dovrebbero comperare i cittadini italiani per dare qualità e certezze alla scuola pubblica? ”.
Sciopero generale e corteo domani mattina: da piazza Esedra a piazza San Giovanni
Alla vigilia della manifestazione una lettera di operai di Pomigliano: basta attaccare il Lingotto
La Fiom a Roma «Per i diritti di tutti anche dentro la Fiat»
Alla vigilia della manifestazione della Fiom di Roma, alcuni operai di Pomigliano scrivono una lettera sorprendente: basta parlare male della Fiat, così le macchine non si vendono e chiudiamo davvero.
di Marco Tedeschi (l’Unità, 08.03.2012)
Al centro dello sciopero generale indetto per domani a Roma dai metalmeccanici Fiom, c’è il tentativo di «non lasciare soli i lavoratori della Fiat e di impedire che quel modello si estenda», come ha spiegato Maurizio Landini. Il Lingotto insomma è al centro della chiamata alla mobilitazione, insieme alla riconquista del contratto nazionale, del lavoro, ai giovani e alla richiesta al governo di politiche più equilibrate, che si discostino dall’intervento sulle pensioni o dalla strada che si sta intraprendendo sull’articolo 18.
TUTE BLU NELLA CAPITALE
Le tute blu Cgil saranno in sciopero e in corteo a Roma. Si troveranno domani alle 9,30 in piazza della Repubblica per sfilare fino a piazza San Giovanni, dove dopo gli interventi dei lavoratori e degli esponenti dei movimenti, tra i quali i No-Tav, chiuderà Maurizio Landini. Sono attesi almeno 600 pullman da tutta Italia, anche da Bologna, dove ieri i metalmeccanici Cgil denunciavano che alla Magneti Marelli l’azienda avrebbe minacciato provvedimenti nei confronti di chi parteciperà allo sciopero. Ma alla vigilia dello sciopero Fiom arriva una lettera che sembra ispirata dai sindacati che hanno firmato l’accordo, e non avrà fatto certamente piacere ai metalmeccanici di Maurizio Landini, da tempo in conflitto aperto con il Lingotto, ma sempre dalla parte dei lavoratori, anche quelli che non sono iscritti al suo sindacato..
Ufficialmente l’hanno firmata cassintegrati e dipendenti del Vico di Pomigliano D’Arco, lo stabilimento del napoletano che per primo, con il referendum voluto dalla casa torinese, ha accettato le condizioni imposte da Marchionne per garantire gli investimenti nelle fabbriche del Paese. Scrivono a Monti e alla stampa gli operai, chiedono una maggiore «imparzialità da parte di molti rappresentanti della stampa e dei media», perché la «vicenda Pomigliano è strumentalizzata in ogni dove, creando divisioni nell’intera classe operaia». «Vogliamo ricordare sostengono i firmatari della lettera che parlare male della Fiat significa far odiare il prodotto, e se l’opinione pubblica odia la Fiat non compra auto prodotte in Italia, e ciò comporterà la reale chiusura di fabbriche e di conseguenza la reale possibilità di perdita di posti di lavoro».
LE ULTIME INDISCREZIONI
Il riferimento è ovviamente alle ultime indiscrezioni, smentite poi dallo stesso Marchionne, secondo cui il Lingotto avrebbe previsto la chiusura di due stabilimenti italiani se le condizioni di mercato lo avessero reso necessario. Nella lettera, che sta circolando in rete e nello stabilimento per una raccolta firme (sarebbero già un centinaio), gli operai criticano il lavoro di alcune trasmissioni televisive e di alcuni giornali, che avrebbero descritto l’accordo sottoposto a referendum nello stabilimento campano come un’intesa che «straccia la Costituzione, toglie i diritti, e che ci vede passare come uomini e donne privi di ogni dignità e coraggio».
E invece, dice all’Ansa uno di loro, «vorremmo precisare che la malattia ci è consentita, la mensa è sempre aperta, i 10 minuti di sosta in meno vengono pagati, i 18 turni esistevano anche nel vecchio contratto nazionale del lavoro, e possiamo scioperare quando vogliamo».
Domani corteo Fiom, bus deviati dalle 12 chiusa metro San Giovanni
Previste 50mila persone alla manifestazione dei metalmeccanici che partirà alle 9.30 da piazza della repubblica per arrivare a San Giovanni. Appello del sindaco al questore: "Attenzione all’ordine pubblico e mobilità" *
Seicento pullman da tutta Italia, due treni da Reggio Emilia, per difendere la democrazia e il lavoro. Domani, venerdì 9 marzo, i metalmeccanici torneranno a far sentire la propria voce con uno sciopero generale di categoria, indetto dalla Fiom, e che culminerà in una manifestazione a Roma. L’appuntamento è alle 9.30 a piazza Esedra, con il corteo che si dirigerà poi a San Giovanni. Sono previste circa 50mila persone. Questo l’itinerario: piazza della Repubblica, via delle Terme di Diocleziano, via Giovanni Amendola, via Cavour, piazza dell’Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, viale Manzoni, via Emanuele Filiberto. Durante il corteo, saranno deviate o limitate nei loro percorsi, 31 linee di trasporto pubblico (H, 3, 5, 8, 14, 16, 36, 40, 53, 60, 64, 70, 71, 75, 81, 84, 85, 87, 105, 170, 175, 186, 360, 590, 649, 650, 665, 673, 714, 810, 910). Il questore di Roma, Francesco Tagliente, ha disposto anche la chiusura della stazione metro di san Giovanni dalle 12 di domani, e fino a cessate esigenze, per motivi di ordine pubblico.
Per quanto riguarda la viabilità privata la Questura, inoltre, ha disposto anche che da domani alle ore 7 vengano sgomberati tutti i veicoli in sosta e i contenitori per i rifiuti in piazza della Repubblica, piazza San Giovanni, e lungo tutto il percorso del corteo: via delle Terme di Diocleziano, via Giovanni Amendola (tra largo Perretti e via Cavour), via Cavour (tra piazza dei Cinquecento e via Liberiana), piazza Esquilino, via Liberiana, via Merulana (tra piazza Santa Maria Maggiore e via Labicana/viale Manzoni), viale Manzoni (tra via Merulana e via Emanuele Filiberto), via Emanuele Filiberto (tra viale Manzoni e piazza di Porta San Giovanni).
A piazza San Giovanni interverranno tra gli altri dal palco: i lavoratori metalmeccanici di FIAT, Finmeccanica, Fincantieri che porteranno le loro testimonianze; il presidente della Comunità montana della Val di Susa e un esponente del Movimento per l’acqua pubblica, il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere e il segretario generale della Fiom Cgil, Maurizio Landini.
Per la giornata di mobilitazione nazionale sono attesi a Roma 600 pullman da tutta Italia e due treni da Reggio Emilia. Quanto alle adesioni, la Fiom Cgil ha ricevuto già quelle di Anpi, Arci, Emergency, Libera e poi di numerosi personaggi pubblici come Dario Fò, Franca Rame, Margherita Hack, Andrea Camilleri.
Al corteo delle tute blu della CGIL si unirà anche quello degli studenti che partiranno dall’Università La Sapienza.
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ha rivolto il suo appello al questore Tagliente "affinchè ci sia grande attenzione non solo all’ordine pubblico ma anche alla mobilità’’. E sulla regolamentazione delle manifestazioni in città, Alemanno ha ribadito che ’’non doveva accadere che ci fossero più cortei nello stesso giorno, e soprattutto bisognava fare in modo che si svolgessero di sabato: questo era l’intendimento della mia ordinanza ma il Tar ha deciso che deve essere il questore a decidere. Quindi, a nome di tutti i romani, mi appello a lui - ha concluso - e dico anche ai manifestanti di non creare disagi’’.
Da piazzale Aldo Moro si muoverà anche lo spezzone di universitari, movimenti e centri sociali romani, lo stesso blocco che è sceso in piazza sabato scorso per manifestare contro l’alta velocità in Val di Susa. I No Tav saranno presenti in corteo e parleranno dal palco di piazza San Giovanni
Al fianco della Fiom scenderà anche Sinistra Ecologia e Libertà del Lazio "insieme a tanti altri movimenti e soggetti sociali che aderiscono allo sciopero, per molte ragioni a cominciare dalla questione ineludibile della democrazia e del lavoro", dichiara Guglielmo Abbondati coordinatore regionale di Sel. "C’è un rapporto diretto tra lavoro e democrazia, un rapporto storico e reciproco talmente forte che ne rende inevitabilmente paralleli i destini. Quando si pensa di ridurre democrazia e rappresentanza nei luoghi di lavoro, operando una discriminazione insopportabile nei confronti degli iscritti alla Fiom o di rimettere in discussione i diritti dei lavoratori a partire dall’abrogazione dell’articolo 18, viene messa a rischio più in generale la cittadinanza democratica di un paese - aggiunge Abbondati - Per questo lo sciopero di domani diventa la risposta di un largo fronte democratico, civico e popolare del quale ci sentiamo parte".
* la Repubblica/Roma, 08 marzo 2012)