Assalto israeliano a flotta pro Palestina, 15 morti
Hamas denuncia: è terrorismo di Stato. Portavoce militare di Tel Aviv: fuoco contro noi *
GAZA - Almeno quindici persone della flotta internazionale formata da sei imbarcazioni di attivisti pro-palestinesi che si dirigeva verso Gaza sono rimasti uccisi durante l’assalto di un commando israeliano. Lo ha annunciato la catena televisiva privata israeliana ’10’. La radio pubblica ha riferito che alcuni militari israeliani sono stati feriti. La Cnn turca, invece, parla di due morti e di 30 feriti.
La ’flottiglia’ organizzata da diverse Ong internazionali per portare aiuti umanitari nella striscia di Gaza, sfidando l’embargo imposto da Israele, era partita ieri pomeriggio da Cipro. A bordo delle sei navi con circa 700 attivisti, secondo gli organizzatori, ci sono 10.000 tonnellate di aiuti, tra cui 100 case prefabbricate e attrezzature mediche.
Alcune navi della flottiglia battono bandiera turca e una Ong turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell’intera operazione di invio di una flottiglia di aiuti a Gaza sotto assedio. Israele, che nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare a Gaza ma si era offerto di far pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Per Israele, perciò, l’intera operazione è una "provocazione" studiata con l’intento di diffamare la sua immagine agli occhi del mondo.
"Le immagini non sono certo piacevoli. Posso solo esprimere rammarico per tutte le vittime" ha detto il ministro israeliano per il Commercio e l’Industria, Binyamin Ben-Eliezer, alla radio dell’esercito.
ISRAELE CONFERMA MORTI, FUOCO CONTRO DI NOI - Un portavoce militare israeliano ha confermato stamane che un numero non precisato di passeggeri della navi di attivisti filo-palestinesi sono stati uccisi e che altri sono stati feriti nel corso dell’ operazione di abbordaggio delle navi. Ha detto che viaggiatori hanno fatto uso di armi da fuoco e da taglio e opposto resistenza violenta ai soldati. Più di quattro militari sono stati feriti, alcuni in modo grave.
CONVOCATO AMBASCIATORE ISRAELE IN TURCHIA - L’ambasciatore israeliano in Turchia, Gabi Levi, è stato convocato d’urgenza stamani al ministero degli Esteri turco per riferire dell’arrembaggio alla flottiglia di aiuti umanitari e di attivisti filo-palestinesi da parte della marina israeliana. Lo ha annunciato l’emittente privata Ntv dando la notizia di almeno 10 attivisti morti nell’operazione. Intanto, come riferisce la stessa Ntv, decine di persone inferocite si sono già radunate stamani davanti alla residenza dell’ambasciatore israeliano ad Ankara e davanti all’edificio che ospita il consolato di Israele a Istanbul.
FLOTTIGLIA, PER HAMAS ARREMBAGGIO E’ TERRORISMO DI STATO - Hamas ha denunciato stamane a Gaza l’arrembaggio della flottiglia di aiuti umanitari e di attivisti filopalestinesi da parte della marina israeliana, affermando che si tratta di "terrorismo organizzato di stato".
Hamas ha invocato oggi "una intifada (rivolta) dinanzi alle ambasciate israeliane. A parlarne è stato Ahmad Yusef, uno degli esponenti della fazione islamico radicale palestinese a Gaza. Altri portavoce del movimento hanno definito l’accaduto "un crimine internazionale", invitando l’Onu e la comunità mondiale a reagire e ad avviare una inchiesta affinché "i colpevoli siano puniti". A Gaza City, intanto, la gente si sta radunando in strada per una dimostrazione di protesta convocata sia da Hamas sia da altri gruppi radicali come la Jihad Islamica. Fonti locali non escludono un’immediata recrudescenza di attacchi o lanci di razzi verso Israele.
GRECIA ATTIVA UNITA’ DI CRISI - Il ministero degli Esteri greco ha attivato l’Unità di crisi in seguito all’assalto israeliano contro la ’Flottiglia per Gaza’, della quale facevano parte due unità battenti bandiera ellenica, il cargo ’Liberta’ del Mediterraneò e la passeggeri ’Sfendoni’, a bordo delle quali si trovavano cittadini greci e palestinesi. Atene ha indicato di non avere finora notizie ufficiali su quanto accaduto e sulla sorte dei propri concittadini. Secondo attivisti greci a bordo delle unità, citati dalla radio Skai, gli israeliani avrebbero dato l’arrembaggio con elicotteri e gommoni ed avrebbero fatto uso di "proiettili veri". Atene, riferiscono fonti del ministero degli Esteri, ha chiesto al governo israeliano chiarimenti e spiegazioni sull’assalto alla ’Flottiglia’, attraverso l’ambasciata greca. Il ministero degli Esteri ha inoltre contattato l’ambasciatore israeliano ad Atene per chiedergli informazioni dettagliate e assicurazioni sulla salute e la sicurezza dei cittadini greci che si trovavano a bordo della ’Flottiglia’.
TENSIONE FRA ARABI IN ISRAELE - La polizia israeliana ha elevato lo stato di allerta nelle zona del Wadi Ara (60 chilometri a nord di Tel Aviv), dopo che nella città di Um el-Fahem si è sparsa la voce - finora non confermata - che nell’attacco della marina israeliana alla flotta di attivisti filo-palestinesi diretti a Gaza sia stato ferito dai militari lo sceicco Raed Sallah, leader del Movimento islamico nel Nord di Israele, che vive a Um el-Fahem. La radio militare aggiunge che i vertici della polizia israeliana hanno condotto stamane una seduta di emergenza e che continuano a seguire da vicino l’evolversi della situazione nella popolazione araba.
La polizia israeliana ha deciso di chiudere al traffico, per motivi prudenziali, alcune arterie in Israele che passano attraverso zone popolate da arabi, fra cui nel Wadi Ara. In questa zona la tensione è molto elevata dopo che si è diffusa la notizia che un leader islamico locale, sceicco Raed Sallah, sarebbe rimasto ferito in modo grave negli incidenti verificatisi nella ’Flottiglia Ong’. La polizia israeliana ha inoltre deciso di isolare la zona della Spianata delle Moschee a Gerusalemme.
ISRAELE E PALESTINA. "Lo stato ebraico" (Theodor Herzl, 1896). "Il nuovo ghetto": "Fuori dal ghetto"(Theodor Herzl, 1894)!!!
La psicosi dell’accerchiamento, il sentirsi perennemente in trincea, sta portando Israele ad un passo dal baratro, trasformandolo in un ghetto atomico in guerra contro tutto e tutti. Alla fine, anche contro se stesso.
LA "NAVE DEGLI EBREI" (JEWISH BOAT) PER GAZA PARTIRÀ PRESTO
07/06/2010
In un porto del mediterraneo (e non diciamo per ora quale) un piccolo vascello aspetta una missione speciale: partirà per Gaza. Per evitare sabotaggi, data e nome esatto del porto di partenza verranno annunciati solo poco prima della partenza.
"Il nostro obiettivo è chiedere la fine dell’assedio di Gaza, di questa illegale punizione collettiva della intera popolazione civile. La nostra barca è piccola, per questo quello che portiamo può solo essere simbolico: portiamo borse per la scuola, piene di regali degli studenti delle scuole in Germania, strumenti musicali e materiali artistici. Per i servizi medici portiamo medicine essenziali e piccole attrezzature mediche e per i pescatori portiamo reti e attrezzature. Siamo in collegamento con i servizi medici, educativi e mentali a Gaza."
’’Attaccando la flotta della libertà Israele ha dimostrato, ancora una volta, a tutto il mondo la sua odiosa brutalità. Ma io so che ci sono moltissimi israeliani impegnati nella campagna per una pace giusta con passione e coraggio. Dal momento che sulla nostra barca ci saranno importanti giornalisti dei canali radiotelevisivi, Israele avrà una grande occasione per mostrare al mondo che c’è un’altra strada, una strada di coraggio e non di paura, una strada di speranza e non di odio’’,dice Edith Lutz, una degli organizzatori e passeggeri della “nave degli ebrei”.
La ’’Jüdische Stimme’’ (Voce ebraica per una pace giusta in medio oriente), insieme ai suoi amici della rete “Ebrei europei per una pace giusta in Medio oriente” e “Ebrei per la giustizia per i palestinesi (UK)” inviano un appello ai leaders del mondo perché aiutino Israele a tornare alla ragione, al senso di umanità, alla vita senza paura.
Le “voci ebraiche” si aspettano che i leader di Israele e del mondo garantiscano un passaggio sicuro verso Gaza per la piccola nave e in tal modo aiutino a realizzare un ponte verso la pace.
Edith Lutz, Ejjp-Germany
Kate Leiterer, Ejjp-Germany
Glyn Secker, Jews for Justice For Palestinians (UK)
* Il Dialogo, Martedì 08 Giugno, 2010 Ore: 17:20
* La Stampa, 5/6/2010 (12:5)
LE FORZE ARMATE SONO SALITE A BORDO DELL’IMBARCAZIONE
Catturata la nave "Rachel Corrie"
Israele la trascina al porto di Ashdod
Il battello, individuato in mare,
è stato bloccato senza violenze *
TEL AVIV È finita come previsto - con l’abbordaggio delle forze israeliane e l’interruzione forzata del viaggio verso la Striscia di Gaza, ma stavolta senza scontri o violenza - la traversata della Rachel Corrie: la piccola nave irlandese salpata per cercare di rompere il blocco imposto dallo Stato ebraico all’enclave palestinese controllata dagli integralisti di Hamas.
L’epilogo è arrivato in tarda mattinata, dopo diverse ore di incertezza e di stallo. Ma in un contesto di autocontrollo generale che ha evitato anche solo la parvenza di un bis di quanto accaduto lunedì scorso: quando un’altra flottiglia di attivisti filo-palestinesi di dimensioni ben superiori, guidata dalla nave turca Mavi Marmara e con a bordo anche esponenti di un’organizzazione islamica militante (la IHH), era stata assaltata dalle forze speciali israeliane in un’operazione culminata in un bagno di sangue (9 morti e decine di feriti) condannato da numerosi governi e istituzioni internazionali.
Con la Rachel Corrie tutto si è risolto invece in un abbordaggio soft. Intercettata di prima mattina da tre unità della Marina israeliana, l’imbarcazione irlandese (battente bandiera cambogiana) si è limitata a opporre una resistenza passiva ai ripetuti inviti dei militari di cambiare rotta verso il porto di Ashdod (sud di Israele) e di non violare il blocco (blocco che peraltro i pacifisti non riconoscono come legittimo e di cui molti attori della comunità internazionale chiedono la revoca). Un atteggiamento che ha indotto le forze israeliane dapprima a reiterare l’avvertimento e poi a passare all’azione. L’abbordaggio, in ogni caso, si è svolto solo dal mare (nessun elicottero) e senza violenza, come hanno confermato sia i portavoce dello Stato maggiore, sia quelli di "Free Gaza", il movimento che sponosorizzava il viaggio della Rachel Corrie dopo aver partecipato anche a quello della flottiglia bloccata lunedì.
L’imbarcazione è stata scortata al porto di Ashdod dove il suo carico (carta, equipaggiamenti medici e giocattoli, ma anche cemento, in genere razionato dal blocco israeliano a causa del suo asserito possibile uso per scopi militari) sarà ispezionato prima del promesso trasporto via terra a Gaza. La nave «è passata sotto il controllo» delle forze israeliane «senza scontri, nè incidenti», ha detto all’agenzia Ansa con tono apertamente sollevato il capitano Aryi Shalicar, dell’ufficio del portavoce militare israeliano. «Sulla Rachel Corrie non c’erano militanti islamici - ha aggiunto - e i membri dell’equipaggio, come le altre persone a bordo, sono state persino cortesi, al di là di qualche civile protesta verbale, nel collaborare per evitare qualsiasi problema». L’equipaggio della "Corrie" - che ha in totale a bordo 19 persone fra pacifisti e reporter occidentali e malaisiani, inclusa la premio Nobel per la pace irlandese Mairead Maguire - aveva d’altronde annunciato in anticipo di non voler compiere alcun atto di resistenza attiva, pur rifiutando le offerte d’un accordo con Israele per un dirottamento volontario del carico. Dirottamento che, secondo gli attivisti, li avrebbe di fatto coinvolti in una legittimazione dell’embargo contro Gaza.
* La Stampa, 5/6/2010 (12:5)
LA SENTENZA
La morte di Corrie "uno spiacevole incidente"
per corte di Haifa avrebbe ignorato il pericolo
L’attivista Usa, travolta da un bulldozer militare nel 2003 a Gaza, è stata uccisa mentre protestava in forma non violenta contro la demolizione di alcune abitazioni palestinesi. Lo Stato, ha detto il giudice, non può considerarsi responsabile per alcun "danno causato" in situazioni di combattimento *
ROMA - Finisce con una sconfitta la battaglia legale avviata in Israele dai genitori di Rachel Corrie, l’attivista americana di 23 anni schiacciata da un bulldozer dello Stato ebraico mentre faceva da scudo umano contro la demolizione di alcune case palestinesi.
La morte della ragazza è infatta stata definita in ultima analisi "uno spiacevole incidente". Per la corte di Haifa, l’uccisione di Rachel è stato niente altro che un deplorevole evento che la vittima avrebbe potuto evitare, perché consapevole dei rischi cui andava incontro.
Il tribunale distrettuale di Rafah ha così respinto la richiesta di indennizzo dei genitori, che avevano avviato un causa civile contro lo Stato israeliano, accusandolo di essere responsabile dell’uccisione della figlia e di non aver condotto un’indagine credibile.
Il giudice Oded Gershon ha sottolineato che Israele non può considerarsi responsabile per alcun danno provocato in situazioni di combattimento, ha ricordato l’attacco subìto dai militari dello stato ebraico, nella stessa zona, nelle ore immediatamente precedenti la morte di Corrie, e ha infine spiegato di non aver riscontrato alcuna negligenza da parte dell’esercito israeliano e che l’inchiesta della polizia militare è stata condotta nel modo opportuno.
"Non vi è alcun fondamento per richiedere un indennizzo allo Stato", ha concluso, sottolineando che Rachel "si mise da sola e volontariamente in pericolo. Fu un incidente da lei stessa provocato". Una formula che ha lasciato Cindy Corrie, madre della vittima, "profondamente rattristata e dispiaciuta".
"Anche se non sorprendente, questo verdetto è un esempio ulteriore della vittoria dell’impunità sulla responsabilità e sulla onestà ", ha commentato l’avvocato Hussein Abu Hussein, legale della famiglia Corrie, dopo aver appreso della decisione del tribunale.
Attivista dell’International Solidarity Movement - lo stesso in cui militava Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza l’anno scorso - Rachel era originaria di Olympia, nello Stato di Washington. Il 16 marzo 2003, assieme ad altri compagni, stava cercando di ostacolare le operazioni di demolizione israeliane a Rafah, nel sud della Striscia, al confine col Sinai. Era di fronte alla casa di un medico palestinese, un amico, quando fu investita da una ruspa. Gli israeliani stavano portando avanti una campagna di demolizioni delle abitazioni arabe e l’obiettivo, secondo le autorità di Tel Aviv, era fermare gli attacchi contro l’esercito e i coloni ebrei a sud della Striscia, lungo il confine con l’Egitto.
La comunità internazionale condannò la pratica, che secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, lasciò senza la casa oltre 17mila persone tra il 2000 e il 2004. Per gli attivisti filopalestinesi Corrie è diventata il simbolo delle repressioni da parte delle autorità israeliane nei confronti del movimento nonviolento di protesta.
"Questa corte - ha aggiunto l’avvocato - in questo modo ha avvallato pratiche illegali, fra cui l’aver trascurato la protezione di vite umane. E questo verdetto biasima in definitiva la vittima, sulla base di fatti presentati al giudice in forma distorta".
Da parte sua, la rappresentante della pubblica accusa ha sostenuto che nel dibattito processuale è stato dimostrato oltre ogni dubbio che il conduttore del bulldozer militare non poteva in alcun modo vedere, dalla propria cabina, la figura di Rachel Corrie, che si era venuta a trovare a brevissima distanza dal veicolo.
* la Repubblica, 28 agosto 2012
La «banalità del male»
di Giorgio Forti (il Manifesto, 2.06 2010)
Le forze armate israeliane hanno attaccato «vittoriosamente» la flottiglia dei volontari disarmati che, partiti da molti Paesi, volevano raggiungere Gaza, portando 10mila tonnellate di cibo, cemento per ricostruire, libri e quaderni per le scuole, medicinali ed altri generi di prima necessità. Tutte cose per sopravvivere meno miserabilmente a Gaza: ma è proprio questo che Israele non vuole, che Gaza diventi un posto vivibile. Perché i palestinesi arabi se ne debbono andare, con le buone o con le cattive. Quella terra, come Gerusalemme e tutta la Cisgiordania, nei progetti sionisti sono la Terra di Israele, promessa da Dio al popolo di Israele, la Nazione Ebraica.
L’ideologia nazionalista ha conquistato la maggioranza degli ebrei in Israele e nella diaspora, distruggendo la cultura internazionalista a cui tanto avevano contribuito, in Europa ed in America, dal 17esimo secolo in poi. La Nazione è l’idolo più sanguinario che l’umanità abbia mai adorato e richiede la completa dedizione dei suoi figli, per la vita e la morte, senza distinzione tra figli e figliastri al servizio dei figli. L’infedeltà alla Nazione ed al suo feticcio, la bandiera, è punito con la massima severità: è tradimento.
Il governo israeliano ha in questi mesi ribadito questi concetti, e su questa base sta riducendo lo spazio della libertà di esprimersi, a voce e per iscritto. È già stato preannunziato che chi non giura fedeltà allo Stato ebraico può esser privato della cittadinanza, e quindi espulso, così stabilendo di diritto (di fatto lo era già da tempo) che Israele è la Stato degli Ebrei, fondato sull’etnia e ... sulla religione, anche se solo una minoranza la pratica. La Nazione è il vero ente unificante: ad essa hanno ubbidito i soldati che hanno assassinato in mare un certo numero di persone, ubbidendo agli ordini dei loro ufficiali, i quali hanno ubbidito al governo di Israele.
Ricordate «la banalità del male» di Hannah Arendt, che aveva seguito come corrispondente il processo Eichmann? L’assassino di Auschwitz, alla domanda del giudice se si riconoscesse colpevole, ha risposto: «No, nel senso dell’accusa», perché non ha fatto che ubbidire al suo capo. Anche i soldati che hanno ucciso più persone (sapremo presto il numero esatto) hanno ubbidito agli ordini ed hanno ucciso per «banale» ubbidienza, magari con convinzione.
Eppure, proprio in Israele è stata teorizzata e messa in pratica dai Refusenicks la disubbidienza agli ordini ingiusti, perché il primato spetta alla coscienza personale. Esistono dunque due volti di Israele: quello violento della nazione razzista, maggioritario, e quello per ora ultraminoritario delle donne e uomini che resistono al primo, e considerano i loro coabitanti palestinesi come uguali in umanità, diritti e doveri. Il resto del mondo, soprattutto Europa e Stati Uniti, hanno una precisa responsabilità nel promuovere questo secondo Israele, che diventi quello del futuro. Ma per questo dovrebbero loro stessi liberarsi della idolatria nazionale, il che non sembra imminente.
Fuga di morte
di Giorgio Agamben (il manifesto, 2 giugno 2010)
Molti ricordano i versi della poesia «Fuga di morte» in cui Paul Celan evocava nel 1952 lo sterminio degli ebrei: «La morte è un maestro dalla Germania / ti colpisce con palle di piombo e ti colpisce preciso». È triste per chi, come me, è legato alla cultura ebraica, dover dire che oggi «La morte è un maestro da Israele». Ed è tanto più triste, perché i soldati che hanno attaccato le navi dei pacifisti non soltanto hanno agito come pirati in acque internazionali, ma soprattutto hanno agito come guardiani del Lager in cui Israele ha trasformato la Palestina.
TENSIONE IN MEDIORIENTE
Gaza, liberati gli attivisti italiani
I sei connazionali lasciano Israele
Arriveranno in Turchia in aereo
Frattini: «Ora sforzi per la pace»
GERUSALEMME Gli italiani detenuti nel carcere israeliano di Beersheva sono stati liberati. I sei nostri connazionali stanno per essere trasferiti su un pullmann all’aeroporto Ben Gurion di Tel Avivi da dove saranno imbarcati su un aereo diretto verso la Turchia. La conferma arriva dal sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi che si trova in Giordania e dal ministro degli Esteri Franco Frattini Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha ringraziato il governo israeliano per la «rapida liberazione» degli italiani fermati dopo il blitz alla flotta umanitaria. «Sono particolarmente grato al governo israeliano - ha detto il capo della diplomazia italiana - per la collaborazione offerta e alla nostra ambasciata a Tel Aviv per l’impegno con cui ha sin dall’inizio seguito la vicenda adoperandosi per la rapida liberazione dei nostri connazionali e affinchè i loro diritti fossero tutelati al massimo».
«Ora gli sforzi per la pace sono ora la parola d’ordine», ha sottolineato il ministro degli Esteri commentando la liberazione degli attivisti italiani. «Questa vicenda non si deve ripercuotere sul processo di pace», ha aggiunto il capo della diplomazia italiana ai microfoni di Skytg24 spiegando che un «rallentamento sarebbe l’effetto più dannoso» di questa vicenda.
I sei italiani - Giuseppe Fallisi, Angela Lano, Marcello Faraggi, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin - facevano parte della spedizione che, a bordo della "Flottiglia della libertà" cercavano di raggiungere le coste di Gaza per consegnare aiuti umanitari. Altri Paesi europei hanno chiesto a Israele l’immediato rilascio dei propri cittadini trattenuti ancora in Israele.
* La Stampa, 2/6/2010 (11:22)
Ora possiamo solo ritirarci, per sempre
di Manuela Dviri scrittrice e pacifista italo-israeliana (il Fatto, 02.06.2010)
Sono stanca. Stanchissima. Stanca di pensare e ripensare perché. Stanca di parlare dell’orrore di questi giorni , stanca di sognarmelo la notte, ogni notte in modo diverso e sempre orribile. Dicono che il nostro ministro della Difesa, Ehud Barak, sia un genio, che sappia smontare un orologio in pochi secondi. Può essere. Ma di certo, poi, non sa come rimontarlo. E no, la carneficina non è stata creata a tavolino, nonostante da lontano sembri forse altrimenti... e i soldati mandati allo sbaraglio sono vittime dei nostri politici esattamente come lo siamo noi civili. Troppi anni (43) di occupazione ci hanno ridotto così: semplicemente stupidi, militarmente stupidi, politicamente stupidi e adesso anche attoniti e spaventati davanti al disastro, isolati nel mondo e davanti al mondo.
È difficile per me, in questi giorni, essere israeliana, anche se questa è la terra che amo e amerò sempre, la terra in cui ho scelto di vivere tanti anni fa, la terra che mi ha portato via un figlio, proprio dodici anni fa, la terra che non potrò mai lasciare, in cui sono nati e vivono i miei figli e i miei nipoti. Che ne sarà del loro futuro?
In queste ore c’è sciopero generale dei palestinesi israeliani; davanti ai consolati e alle ambasciate israeliane del mondo intero, dimostrazioni di protesta. I rapporti con la Turchia, un tempo preziosa alleata, sono tesissimi. Il mondo ci tratta da appestati. La flottiglia era chiaramente una provocazione e molti di quelli che erano a bordo non erano dei santi, ma non era una flotta di navi di pirati e Gaza non è la Somalia.
Se proprio la si voleva allontanare perché attaccarla nelle acque internazionali? Che fretta c’era? Le domande sarebbero tante... sul come e il perchè. Adesso è iniziato il solito balletto delle giustificazioni e dello scambio d’accuse più o meno velate tra l’esercito e i politici, accompagnato dal coro degli esperti, tutti naturalmente ex politici ed ex generali. Dicono, adesso, che la nave era troppo grossa, che non la si poteva fermare in altro modo. Che a bordo c’erano terroristi, che i nostri soldati erano in pericolo di vita.
E se si chiedessero cosa sarebbe successo se quel folle attacco non fosse semplicemente avvenuto? Se in un atto di vera politica, di intelligenza, lungimiranza, creatività e di normale buon senso, li si fosse semplicemente fatti entrare, gli attivisti, con un uno di quei grandiosi gesti inaspettati che poi passano alla storia, per rompere, insieme, l’assedio, l’inutile e terribile assedio che ha tenuto per questi anni un milione e mezzo di abitanti di Gaza chiusi ermeticamente in una prigione a cielo aperto, senza dare a noi, che siamo dall’altra parte, alcun vantaggio?
Dopo tutto, quell’assedio, figlio dell’ossessione militare e politica al Dio della sicurezza, ci costringe a vivere, noi stessi, in un infinito stato d’assedio, chiusi in un invisibile fortino, isolati e condannati dai popoli. Adesso dicono che bisogna spiegare al mondo le nostre ragioni... Non c’è nulla da spiegare. C’è solo da fare. C’è da ritirarsi finalmente, e per sempre, dai territori. E da Gaza.
Israele, espulsi 250 pacifisti. Craxi: per i 6 italiani questione di ore
Mentre cresce lo sdegno internazionale per il raid che Israele ha compiuto contro un convoglio umanitario diretto a Gaza, lo Stato ebraico ha annunciato che espellerà tutti gli attivisti che erano a bordo delle navi, e che nessuno verrà incriminato. Israele aveva detto che avrebbe espulso i 682 attivisti, provenienti da 35 Paesi, sequestrati durante l’assalto in cui nove di loro hanno perso la vita a bordo di un’imbarcazione turca, ma il ministero della Polizia aveva precisato che alcuni avrebbero potuto essere incriminati per aver attaccato i marines israeliani.
Un portavoce del premier Benjamin Netanyahu ha successivamente spiegato che tutti gli attivisti «saranno espulsi immediatamente», e le autorità israeliane che sperano di completare l’operazione entro due giorni. Tra i 700 attivisti detenuti ci sono turchi, arabi, americani, asiatici ed europei. Tra loro anche sei cittadini italiani: si tratta di Giuseppe ’Joè Fallisi, Angela Lano, Marcello Faracci - che ha doppio passaporto italiano e tedesco, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Muhim Qaqer, che ha doppia cittadinanza, italiana e giordana.
«Il governo è in attività per seguire la sorte dei nostri connazionali, per i quali abbiamo già chiesto un immediato ritorno a casa», ha detto ieri sera in una nota il premier Silvio Berlusconi. Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini ne ha chiesto oggi il rapido rilascio in una telefonata con il collega israeliano Avigdor Lieberman, e in serata ha detto ai telegiornali che stanno bene e torneranno presto.
Mentre monta la collera per l’azione, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha chiesto un’indagine imparziale sull’episodio, e il premier turco l’immediata fine del «disumano» blocco che Israele ha imposto alla Striscia di Gaza. Anche Berlusconi si è unito alla richiesta di un’indagine imparziale. «La dinamica dei fatti dovrà essere oggetto di un’inchiesta completa ed imparziale, come già richiesto dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite», ha detto il premier nella nota. «Auspichiamo che venga evitata ogni azione suscettibile di innalzare ulteriormente la tensione e compromettere il dialogo, ed invitiamo Israele a dare un deciso segnale per la soluzione della situazione umanitaria a Gaza».
Israele è nella bufera, sul fronte internazionale, ma anche su quello interno - dopo il cruento blitz di ieri contro la flottiglia di attivisti filo-palestinesi in navigazione verso la Striscia di Gaza, costato la vita ad almeno 9 militanti, perlopiù turchi. Un’azione sulla quale il Consiglio di sicurezza dell’Onu - al termine di una riunione fiume non priva di schermaglie fra Turchia e Usa - ha intimato «un’indagine rapida, imparziale, autorevole e trasparente», condannando la perdita di vite umane.
Israele ha definito «ipocrita» la condanna del Consiglio di sicurezza dell’Onu alle azioni che hanno portato alla strage sulle navi degli attivisti filo-palestinesi diretti a Gaza. Per il portavoce del ministero degli Esteri, Yigal Palmor, la dichiarazione è stata «precipitosa e non ha lasciato un tempo i riflessione eptr considerare tutti i fatti». Per il portavoce israeliano si è trattato di «un riflesso condizionato basato unicamente su certe immagini televisive e su una certa dose di ipocrisia, non sulla conoscenza dei fatti».
I sei attivisti italiani detenuti nel carcere israeliano di Bersheeva «stanno tutti bene, anche se l’unica donna tra loro, la giornalista Angela Lano, è la più provata». Lo ha riferito ai giornalisti il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi che si trova a Gerusalemme e ha parlato con il console a Tel Aviv Gloria Bellelli che li ha appena incontrati.
Il bilancio finale di parte israeliana dà conto di 9 morti e almeno 45 feriti fra gli attivisti della ’Mavi Marmarà - la nave turca che era alla testa del convoglio di aiuti e che è stata teatro del bagno di sangue - oltre a sette militari. I reduci, dirottati ieri nel porto di Ashdod (a sud di Tel Aviv), sono stati separati fra loro, in regime di isolamento. I feriti sono piantonati negli ospedali, mentre gli altri sono stati avviati all’espulsione: 48 hanno accettato di firmare il provvedimento amministrativo per un immediato rimpatrio di autorità, mentre altri 480 si sono rifiutati di farlo per protesta e sono ora in stato d’arresto in attesa di sentenze di espulsione dei tribunali previste nel giro di circa 72 ore. Gli italiani sono sei - Giuseppe Fallisi, Angela Lano, Marcello Faracci, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin (di ascendenze arabe) - e risultano tutti detenuti ora a Ber Sheeva (regione del Neghev), dove soltanto oggi hanno potuto incontrare i nostri rappresentanti consolari.
Da Tel Aviv, sede del dicastero della Difesa, il viceministro Matan Vilnai ha intanto avvertito che Israele non intende recedere dalle restrizioni imposte alla Striscia di Gaza fin dall’avvento al potere degli islamico-radicali di Hamas (nel 2007) e non consentirà neppure in futuro il passaggio di navi straniere cariche di aiuti o materiale. A dispetto delle critiche e delle accuse di queste ore, che non s’interrompono. Come conferma la risoluzione del Consiglio di Sicurezza (con annessa richiesta di rilascio immediato degli attivisti e di riconsegna dei cadaveri degli uccisi): imbarazzante per lo Stato ebraico, sebbene resa più sfumata nella versione finale dall’intervento americano. O ancora il coro di denunce che sale dall’Europa, oltre che dai Paesi musulmani, dai palestinesi e dagli arabo-israeliani chiamati oggi a una giornata di sciopero generale carica di tensione. Il leader iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha colto a sua volta l’occasione per addossare a Israele l’intenzione di una nuova offensiva massiccia contro la Striscia di Gaza, dove frattanto, stamane, due palestinesi sono stati uccisi in un’ennesima sparatoria di confine.
La stampa israeliana, dal canto suo, non manca di mettere oggi il governo di Benyamin Netanyahu e i vertici militari sul banco degli imputati. Molti giornali, come Yediot Ahronot, si concentrano sui presunti errori tecnici del blitz. Ma sulle colonne del progressista Haaretz compaiono anche dure condanne politiche, contenute in un editoriale che chiede apertamente un ripensamento del blocco di Gaza e in numerosi commenti al vetriolo: da quello dello scrittore e attivista di sinistra Yossi Sarid, che giunge a definire «sette idioti» i membri del gabinetto di sicurezza ristretto israeliano guidato da Netanyahu; a quello del più moderato Ari Shavit, di solito filo-governativo, che questa volta non solo punta l’indice contro i due ministri-ex capi di Stato maggiore Ehud Barak e Moshe Yaalon, ma avanza persino un mezzo paragone fra la strage della ’Mavi Marmarà e lo storico episodio della nave ’Exodus’, carica di profughi ebrei, respinta senza pietà dalla marina inglese nel 1947 in quello che oggi è ricordato come l’inizio della fine del mandato britannico sulla Palestina.
* l’Unità, 02 giugno 2010
intervista a Shulamit Aloni
«È un crimine israeliani ribelliamoci»
a cura di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 01.06.2010)
«Ciò che è avvenuto può definirsi con una sola parola: massacro. Da israeliana mi ribello contro questo atto sanguinario che non può avere alcuna giustificazione. Ciò che è avvenuto è il frutto di una campagna di demonizzazione orchestrata da chi oggi governa Israele. Chi ha dato l’ordine di fermare con ogni mezzo le navi della pace dirette a Gaza ha armato la mano dei nostri soldati. Per questo andrebbe perseguito dalla Giustizia internazionale». A sostenerlo è Shulamit Aloni, fondatrice di «Peace Now», figura storica del movimento per la pace israeliano, più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres.
«Quelle navi - sottolinea Aloni - non trasportavano armi ma aiuti umanitari per una popolazione, quella di Gaza, sottoposta da anni ad una punizione collettiva contraria alle norme del diritto internazionale e di quello umanitario. Con questo massacro, il mio Paese, quello per cui ho combattuto, ha mostrato di sé il volto peggiore: il volto dell’arroganza, dell’uso spropositato della forza. È una macchia che resterà nel tempo. E per cancellarla non sarà sufficiente la condanna internazionale. Occorre che dall’interno della società israeliana si levino immediatamente le voci di protesta. Occorre una rivolta morale contro chi sta attentando non solo alla pace in Medio Oriente, ma sta minando le basi stesse della nostra democrazia. Perché un Paese che giustifica massacri come questo, è un Paese che condanna se stesso a una brutta fine».
Il vice ministro degli Esteri israeliano, Dany Ayalon, e successivamente il ministro della Difesa, Ehud Barak, e in ultimo il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno affermato che lo scopo degli organizzatori della flottiglia non era di portare aiuti umanitari a Gaza ma di attuare una «deliberata provocazione» ai danni di Israele.
«Sono parole di una gravità inaudita, di chi prova a difendere l’indifendibile. E comportandosi in questo modo non fa che alimentare la rabbia e l’indignazione nel mondo per il massacro che è stato perpetrato. Niente può giustificare l’aver trasformato il ponte di una nave in un campo di battaglia. Chi ha deciso quello spiegamento di forze, chi ha orchestrato una campagna di demonizzazione contro quei pacifisti, voleva impartire una “lezione”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: quel sangue versato è una macchia indelebile, una pagina terribile nella storia del mio Paese».
Insisto: le autorità israeliano hanno ha spiegato che sulla nave abbordata sono state trovate due pistole...
«E per due pistole si consuma un massacro? Qui siamo di fronte a qualcosa di ben più grave di un eccesso di difesa. Siamo di fronte a un crimine. E le responsabilità sono di coloro che hanno impartito l’ordine di fermare con ogni mezzo quelle navi. E ogni mezzo è stato usato. La flotta è stata peraltro intercettata e attaccata in acque internazionali. E’ come se si fosse voluto riaffermare che Israele è al di sopra della legalità internazionale, con una indiscutibile e indiscussa libertà di manovra. Ma chi pensa di godere di una impunità assoluta è un pericolo per tutti».
In Turchia è esplosa la rabbia contro Israele...
«Non solo in Turchia. Questo massacro alimenterà l’odio verso Israele, rafforzando i gruppi integralisti e indebolendo quanti nel mondo arabo e tra i palestinesi continuano a credere nel dialogo e a battersi per una pace giusta, tra pari. Ma i falchi che oggi governano Israele stanno facendo di tutto per chiudere ogni spiraglio di dialogo. Il massacro di oggi (ieri, ndr) va in questa direzione».
I riflettori sono tornati ad accendersi su Gaza. Israele giustifica il blocco della Striscia come difesa da Hamas...
«Il blocco non ha indebolito Hamas, come non l’hanno indebolita le uccisioni di molti dei suoi leader. Il blocco ha accresciuto la sofferenza della popolazione della Striscia, trasformando Gaza in una enorme prigione a cielo aperto. Chi assalta le navi, chi opprime un altro popolo, chi persegue la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, coltiva l’illusione che la sicurezza d’Israele possa reggersi sulla forza delle armi. Ma questa è una illusione che sta producendo disastri e altri ne provocherà ancora se il mondo non farà sentire la sua voce di protesta. A cui deve unirsi l’Israele che non accetta di essere complice di questo crimine. È il momento di ribellarsi. Se non ora, quando?».
Oltre che nei Territori palestinesi la rabbia sta infiammando anche la comunità araba israeliana...
«Stiamo parlando di un milione di israeliani, che quel razzista di Lieberman (il ministro degli Esteri israeliano, ndr) considera feccia, che se fosse per lui trasferirebbe forzatamente nei Territori. Costoro hanno in mano il futuro d’Israele e della pace...C’è da esserne terrorizzati».
Sale la tensione tra l’Onu e Israele
Documento delle Nazioni Unite:
inchiesta e rilascio degli attivisti.
Tel Aviv: una mossa precipitosa *
GERUSALEMME Israele è nella bufera - sul fronte internazionale, ma anche su quello interno - dopo il cruento blitz di ieri contro la flottiglia di attivisti filo-palestinesi in navigazione verso la Striscia di Gaza, costato la vita ad almeno 9 militanti, perlopiù turchi.
Un’azione sulla quale il Consiglio di sicurezza dell’Onu - al termine di una riunione fiume non priva di schermaglie fra Turchia e Usa - ha intimato «un’indagine rapida, imparziale, autorevole e trasparente», condannando la perdita di vite umane. Il bilancio finale di parte israeliana dà conto di 9 morti e almeno 45 feriti fra gli attivisti della "Mavi Marmara" - la nave turca che era alla testa del convoglio di aiuti e che è stata teatro del bagno di sangue - oltre a sette militari. I reduci, dirottati ieri nel porto di Ashdod (a sud di Tel Aviv), sono stati separati fra loro, in regime di isolamento.
I feriti sono piantonati negli ospedali, mentre gli altri sono stati avviati all’espulsione: 48 hanno accettato di firmare il provvedimento amministrativo per un immediato rimpatrio di autorità, mentre altri 480 si sono rifiutati di farlo per protesta e sono ora in stato d’arresto in attesa di sentenze di espulsione dei tribunali previste nel giro di circa 72 ore. Gli italiani sono sei - Giuseppe Fallisi, Angela Lano, Marcello Faracci, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin (di ascendenze arabe) - e risultano tutti detenuti ora a Ber Sheeva (regione del Neghev), dove soltanto oggi hanno potuto incontrare i nostri rappresentanti consolari.
La Turchia intanto alza il tiro e chiede ad Obama di condannare formalmente il raid di Israele. «Devo essere franco, non sono molto contento della dichiarazione di Washington ieri: ci aspettiamo una condanna chiara», ha detto oggi il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu prima di incontrare il segretario di Stato americano Hillary Clinton. Ieri la Casa Bianca si era laconicamente rammaricata della «perdita di vite umane» nella «tragedia», indicando di voler lavorare per «chiarire le circostanze dell’incidente». Ankara ha spiegato poi che il blitz israeliano avrà un impatto a lungo termine sul processo di pace. «Come possiamo fidarci di avere una reale controparte che vuole la pace quando non rispettano i cittadini di un paese amico? - ha detto il ministro Davutoglu - Se non agiscono in modo positivo, come possiamo convincere la Siria o altri paesi nella regione che vogliono la pace?».
Da Tel Aviv, sede del dicastero della Difesa, il viceministro Matan Vilnai ha intanto avvertito che Israele non intende recedere dalle restrizioni imposte alla Striscia di Gaza fin dall’avvento al potere degli islamico-radicali di Hamas (nel 2007) e non consentirà neppure in futuro il passaggio di navi straniere cariche di aiuti o materiale. A dispetto delle critiche e delle accuse di queste ore, che non s’interrompono. Come conferma la risoluzione del Consiglio di Sicurezza (con annessa richiesta di rilascio immediato degli attivisti e di riconsegna dei cadaveri degli uccisi): imbarazzante per lo Stato ebraico, sebbene resa più sfumata nella versione finale dall’intervento americano. O ancora il coro di denunce che sale dall’Europa, oltre che dai Paesi musulmani, dai palestinesi e dagli arabo-israeliani chiamati oggi a una giornata di sciopero generale carica di tensione.
Intanto si muove la diplomazia dei paesi arabi. Il presidente egiziano Mubarak ha ordinato la riapertura del valico di Rafah con la Striscia di Gaza per permettere i passaggio degli aiuti umanitari. «La decisione - afferma l’agenzia si stampa Mena - è stata presa per alleviare la sofferenza dei palestinesi nella striscia di Gaza». Secondo quanto riportano le forze di sicurezza il valico ha riaperto alle ore 12.30 e non è stata data nessuna data per la chiusura. Fino a oggi il Cairo permetteva l’apertura del valico due giorni a settimana. Il valico di Rafah è l’unico punto di passaggio della Striscia di Gaza non controllato da Israele. La decisione del governo egiziano sarà operativa a partire dal pomeriggio. Nel 2007 l’attraversamento era stato chiuso dopo l’acquisizione di Hamas della Striscia di Gaza.
Il leader iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha colto a sua volta l’occasione per addossare a Israele l’intenzione di una nuova offensiva massiccia contro la Striscia di Gaza, dove frattanto, stamane, due palestinesi sono stati uccisi in un’ennesima sparatoria di confine. La stampa israeliana, dal canto suo, non manca di mettere oggi il governo di Benyamin Netanyahu e i vertici militari sul banco degli imputati. Molti giornali, come Yediot Ahronot, si concentrano sui presunti errori tecnici del blitz. Ma sulle colonne del progressista Haaretz compaiono anche dure condanne politiche, contenute in un editoriale che chiede apertamente un ripensamento del blocco di Gaza e in numerosi commenti al vetriolo: da quello dello scrittore e attivista di sinistra Yossi Sarid, che giunge a definire «sette idioti» i membri del gabinetto di sicurezza ristretto israeliano guidato da Netanyahu; a quello del più moderato Ari Shavit, di solito filo-governativo, che questa volta non solo punta l’indice contro i due ministri-ex capi di Stato maggiore Ehud Barak e Moshe Yaalon, ma avanza persino un mezzo paragone fra la strage della "Mavi Marmara" e lo storico episodio della nave "Exodus", carica di profughi ebrei, respinta senza pietà dalla marina inglese nel 19 47 in quello che oggi è ricordato come l’inizio della fine del mandato britannico sulla Palestina.
* La Stampa, 01.06.2010.
La condanna della marionetta
di David Grossman (la Repubblica, 01. 06. 2010)
Nessuna spiegazione può giustificare o mascherare il crimine commesso da Israele e nessun pretesto può motivare l’idiozia del suo governo e del suo esercito. Israele non ha inviato i suoi soldati a uccidere civili a sangue freddo, in pratica era l’ultima cosa che voleva che accadesse, eppure una piccola organizzazione turca, dall’ideologia fanatica e religiosa, ostile a Israele, ha arruolato alcune centinaia di pacifisti ed è riuscita a fare cadere lo Stato ebraico in una trappola proprio perché sapeva come avrebbe reagito e fino a che punto era condannato, come una marionetta, a fare ciò che ha fatto.
Quanto deve sentirsi insicura, confusa e spaventata una nazione per comportarsi come ha fatto Israele! Ricorrendo a un uso esagerato della forza (malgrado aspirasse a limitare la portata della reazione dei presenti sulla nave) ha ucciso e ferito civili al di fuori delle proprie acque territoriali comportandosi come una masnada di pirati. È chiaro che queste mie parole non esprimono assolutamente consenso alle motivazioni, nascoste o evidenti - e talvolta malvagie - di alcuni dei partecipanti al convoglio diretto a Gaza. Non tutti sono pacifisti animati da intenzioni umanitarie e le dichiarazioni di alcuni di loro riguardanti la distruzione dello stato di Israele sono infami. Ma tutto questo ora è irrilevante: queste opinioni non prevedono, per quanto si sappia, la pena di morte.
L’azione compiuta da Israele ieri sera non è che la continuazione del prolungato e ignobile blocco alla striscia di Gaza, il quale, a sua volta, non è che il prosieguo naturale dell’approccio aggressivo e arrogante del governo israeliano, pronto a rendere impossibile la vita di un milione e mezzo di innocenti nella striscia di Gaza pur di ottenere la liberazione di un unico soldato tenuto prigioniero, per quanto caro e amato. Il blocco è anche la continuazione naturale di una linea politica fossilizzata e goffa che a ogni bivio decisionale e ogni qualvolta servono cervello, sensibilità e creatività, ricorre a una forza enorme, esagerata, come se questa fosse l’unica scelta possibile.
E in qualche modo tutte queste stoltezze - compresa l’operazione assurda e letale di ieri notte - sembrano far parte di un processo di corruzione che si fa sempre più diffuso in Israele. Si ha la sensazione che le strutture governative siano unte, guaste. Che forse, a causa dell’ansia provocata dalle loro azioni, dai loro errori negli ultimi decenni, dalla disperazione di sciogliere un nodo sempre più intricato, queste strutture divengano sempre più fossilizzate, sempre più refrattarie alle sfide di una realtà complessa e delicata, che perdano la freschezza, l’originalità e la creatività che un tempo le caratterizzavano, che caratterizzavano tutto Israele.
Il blocco della striscia di Gaza è fallito. È fallito già da quattro anni. Non solo tale blocco è immorale, non è nemmeno efficace, non fa che peggiorare la situazione, come abbiamo potuto constatare in queste ore, e danneggia gravemente anche Israele. I crimini dei leader di Hamas che tengono in ostaggio Gilad Shalit da quattro anni a questa parte senza che abbia ricevuto nemmeno una visita dai rappresentanti della Croce Rossa, che hanno lanciato migliaia di razzi verso i centri abitati israeliani, vanno affrontati per vie legali, con ogni mezzo giuridico a disposizione di uno stato. Il prolungato isolamento di una popolazione civile non è uno di questi mezzi. Vorrei poter credere che il trauma per la sconsiderata azione di ieri ci porti a riesaminare tutta questa idea del blocco e a liberare finalmente i palestinesi dalla loro sofferenza e Israele da questa macchia. Ma la nostra esperienza in questa regione sciagurata ci insegna che accadrà invece il contrario: che i meccanismi della violenza, della rappresaglia e il cerchio della vendetta e dell’odio ieri hanno ricominciato a girare e ancora non possiamo immaginare con quale forza.
Ma più di ogni altra cosa questa folle operazione rivela fino a che punto è arrivato Israele. Non vale la pena di sprecare parole. Chi ha occhi per vedere capisce e sente. Non c’è dubbio che entro poche ore ci sarà chi si affretterà a trasformare il senso di colpa (naturale e giustificato) di molti israeliani, in vocianti accuse a tutto il mondo. Con la vergogna, comunque, faremo un po’ più fatica a venire a patti.
Traduzione dall’ebraico di A. Shomroni
Verso la catastrofe
di Moni Ovadia *
Era inevitabile che accadesse. L’insensato atto di pirateria militare israeliano contro il convoglio navale umanitario con la sua tragica messe di morti e di feriti non è un fatale incidente, è figlio di una cecità psicopatologica, della illogica assenza di iniziativa politica di un governo reazionario che sa solo peggiorare con accanimento l’iniquo devastante status quo. Di cosa parliamo? Dell’asfissia economica di Gaza e della ultraquarantennale occupazione militare delle terre palestinesi, segnata da una colonizzazione perversa ed espansiva che mira a sottrarre spazi esistenziali ad un popolo intero.
Dopo la stagione di Oslo, il sacrificio della vita di Rabin, non c’è più stata da parte israeliana nessuna vera volontà di raggiungere una pace duratura basata sul riconoscimento del diritti del popolo palestinese sulla base della soluzione due popoli due stati. Le varie Camp David, Wye Plantation, Road Map sono state caratterizzate da velleitarismo, tattiche dilatorie e propaganda allo scopo di fare fallire ogni accordo autentico. Anche il ritiro da Gaza non è stato un passo verso la pace ma un piano ben riuscito per spezzare il fronte politico palestinese e rendere inattuabili trattative efficaci. Abu Mazen l’interlocutore credibile che i governanti israeliani stessi dicevano di attendere con speranza è stato umiliato con tutti i mezzi, la sua autorità completamente delegittimata.
L’Autorità Nazionale Palestinese è stata la foglia di fico dietro alla quale sottoporre i palestinesi reali e soprattutto donne, vecchi e bambini ad una interminabile vessazione nella prigione a cielo aperto della Cisgiordania e nella gabbia di Gaza resa tale da un atto di belligeranza che si chiama assedio. Ma soprattutto l’attuale classe politica israeliana brilla per assenza di qualsiasi progettualità che non sia la propria autoperpetuazione.
È riuscita nell’intento di annullare l’idea stessa di opposizione grazie anche ad utili idioti come l’ambiziosissimo “laburista” Ehud Barak che per una poltrona siede fianco a fianco del razzista Avigdor Lieberman. Questi politici tengono sotto ricatto la comunità internazionale contrabbandando la menzogna grottesca che ciò che è fatto contro la popolazione civile palestinese garantisca la sicurezza agli Israeliani e a loro volta sono tenuti sotto ricatto dal nazionalismo religioso di stampo fascista delle frange più fanatiche del movimento dei coloni, una vera bomba ad orologeria per il futuro dello stato di Israele.
La maggioranza dell’opinione pubblica sembra narcotizzata al punto da non vedere più i vicini palestinesi come esseri umani, ma come fastidioso problema, nella speranza che prima o poi si risolva da solo con una “autosparizione” provocata da una vita miserrima e senza sbocco. Le voci coraggiose dei giusti non trovano ascolto e anche i più ragionevoli appelli interni ed esterni come quello di Jcall, vengono bollati dai falchi dentro e fuori i confini con l’infame epiteto di antisemiti o antiisraeliani. Se questo stato di cose si prolunga ancora il suo esito non può essere che una catastrofe.
* l’Unità, 01 giugno 2010
Medio oriente
Spariti Pacifisti Italiani
ultima ora fonte www.Infopal.it
I cittadini italiani a bordo della Freedom Flotilla, attaccata dalla Marina israeliana, sono "spariti a tutti gli effetti": a denunciarlo sono i familiari di Angela Lano in una nota lanciata da Infopal, l’agenzia di stampa online diretta dalla giornalista torinese. "La famiglia di Angela Lano - si legge - informa che la Farnesina e l’ambasciata d’Italia in Israele non sono in possesso di informazioni al riguardo".
* Il Dialogo, Lunedì 31 Maggio,2010 Ore: 22:54
Anche una giornalista di Torino su una delle navi assaltate da Israele
La giornalista Angela Lano, specializzata nelle discipline arabo-islamiche
Angela Lano stava andando a Gaza insieme ai volontari delle Ong internazionali. La sua agenzia seguiva da vicino la situazione palestinese
Torino. C’è anche una giornalista di Torino su una nave del convoglio umanitario, diretto a Gaza, assaltato questa notte dalla marina militare israeliana. Angela Lano, 47 anni, era a bordo della «8000 - Freedom for prisoners. Freedom for Gaza» insieme ad alcuni colleghi.
«Di lei - dicono adesso alla Infopal, l’agenzia di stampa on line di cui è direttore - non abbiamo notizie. L’ultima telefonata ci è giunta alle 2 della notte scorsa: diceva "gli israeliani ci stanno intercettando". Poi, il nulla».
Angela Lano è un’orientalista e una studiosa del mondo arabo e islamico. Laureata nel 1990 in lingua e letteratura araba con una tesi sulla questione palestinese, ha scritto saggi sulla condizione femminile, sulla guerra in Iraq, sull’islam in Italia. Nel 1996-97 ha aggiornato il «Grande dizionario enciclopedico» della Utet per le voci «letteratura araba» e «letteratura persiana», uscito nel 2003 anche nell«’Enciclopedia di Repubblica». Tra il 1997 e il 1999 ha svolto una ricerca sul fenomeno delle conversioni all’islam e sulla presenza dell’islam in Italia pubblicata a puntate sulla rivista «Missioni Consolata», organo dell’omonimo istituto missionario.
Infopal, l’agenzia che dirige, è nata nel 2006. Registrata al tribunale di Genova, ha la redazione in provincia di Torino. Conta una decina di collaboratori, una folta squadra di consulenti fra studiosi, giuristi e giornalisti, e alcuni corrispondenti da Gaza. Fornisce news, resoconti e reportage sulla situazione in Palestina e, in particolare, sulla striscia di Gaza.
La giornalista aveva mandato, nei giorni scorsi, alcune corrispondenze dalla nave. «L’atmosfera è positiva - ha scritto il 27 maggio durante il terzo giorno di navigazione - anche se da agenzie e siti stranieri apprendiamo che lo stato sionista ha già trovato un nome per la sua operazione di pirateria e attacco illegale contro la nostra flotta: skywind, vento dal cielo. Sarà l’ennesima dimostrazione della barbarie e inciviltà che caratterizzano il Paese, nato da azioni di terrorismo e di forza».
Il 28 maggio i giornalisti presenti sulla «8000» (cechi, bulgari, greci e una troupe di Al-Jazira) avevano diramato un comunicato: «Noi considereremo ogni aggressione israeliana contro di noi una grave violazione della libertà di stampa, sancita da numerose convenzioni internazionali. Ribadiamo che noi siamo qui per svolgere il nostro dovere professionale al seguito della missione umanitaria della Freedom Flotilla».
Nei reportage, Lano spiegava che le navi cargo erano cariche di carrozzelle a motore per gli invalidi («le tantissime vittime delle bombe non convenzionali israeliane»), medicinali, cemento, mattoni, legno da costruzione, generatori per corrente elettrica, desalinizzatori e potabilizzatori, tendoni per sfollati, cento case prefabbricate, alimenti per bambini, giocattoli, vestiario «per un totale di oltre 15 milioni di euro».
Cinque gli italiani a bordo, ecco i nomi *
La Farnesina ha reso noti i nomi degli italiani a bordo: si tratterebbe della giornalista torinese del portale informativo "infopal", Angela Lano, insieme al cantante Joe Fallisi, al regista e reporter Manolo Luppichini, e al fotografo e video-operatore freelance Manuel Zani, che risulta essere romagnolo. A bordo sarebbero presenti anche Tamim Abdel Jaber e Munim Qaraqedue, cittadini palestinesi residenti nel nostro paese e membri della onlus "Abspp".
È invece confermato che non sono sulle navi l’ex senatore comunista Fernando Rossi e Monia Benini, del movimento politico "Per il bene comune", bloccati venerdì scorso dalle autorità greco-cipriote. Non è chiaro se tra gli italiani vi fosse anche Angelo Stefanini, medico ricercatore dell’università di Bologna (in igiene generale e comparata) con una lunga esperienza in paesi in via di sviluppo (ha ricoperto anche il ruolo di responsabile dell’Organizzazione mondiale della sanità per la Palestina) e che lavora a Gerusalemme.
Le navi si stanno dirigendo verso i porti israeliani di Haifa e Ashdod, dove attivisti israeliani intendono organizzare una manifestazione di protesta contro l’attacco. L’Ue chiede di fare luce sull’attacco mentre sono in corso proteste davanti all’ambasciata israeliana in Turchia. Hamas ha fatto appello ai cittadini arabi per mobilitazioni in tutto il mondo e si teme lo scoppio di una nuova violenta Intifada. Tra i morti ci sarebbe, secondo la stampa araba, anche un leader del movimento islamico, lo sceicco Raed Salah, ma la notizia non è ancora confermata.
* l’Unità, 31 maggio 2010
Un massacro inaudito
Un atto di pirateria e di terrorismo internazionale
Comunicato di Pax Christi Italia
Un atto di pirateria e di terrorismo internazionale. Un crimine che stavolta risulta impossibile nascondere nell’abituale impunità a cui Israele ci ha tristemente abituati. Già in queste prime ore il mondo si accorge non di un crimine, ma di una storia di crimini ripetuti e giustificati che squarcia il silenzio dei media sull’assedio di Gaza ed ora sul massacro di internazionali che questo assedio volevano semplicemente ricordare al mondo.
Anche Pax Christi Italia segue con sconcerto gli aggiornamenti delle notizie che mai avremmo voluto commentare, ma su cui la comunità internazionale dovrà al più presto misurarsi, mentre raccogliamo le scarne notizie degli amici italiani e continuamente aggiorniamo il numero dei morti, insieme alla denuncia della violenza terroristica degli assalitori israeliani sugli internazionali.
Freedom Flottilla: 700 pacifisti, giornalisti, personalità religiose e politiche provenienti da tutto il mondo. Pacifisti appartenenti a organizzazioni non governative, al mondo del volontariato e della solidarietà, che hanno rotto l’assedio e l’embargo sulla popolazione di Gaza e chiedevano di portare aiuto a queste vittime che ora esigeranno una precisa risposta delle Nazioni Unite.
Chiediamo l’immediata liberazione dei pacifisti arrestati, rottura immediata dell’embargo cominciando dagli aiuti che le navi portavano da ogni parte del mondo. E poi sanzioni economiche e un’inchiesta internazionale per "un crimine che poteva e doveva essere evitato, anche perchè il blocco degli alimenti è totale" -come ci ha detto stamattina il parroco di Gaza padre Jorghe che con la comunità palestinese ci chiede non solo solidarietà, ma giustizia e coraggio nella denuncia.
Vogliamo soprattutto sentir riportare dai nostri media la realtà di un crimine che nessun Paese vorrebbe riconoscere come sua responsabilità. Diecimila tonnellate di aiuti per un milione e mezzo di persone che vivono da anni sotto embargo totale, dopo aver subito e ancora non curato l’orrore e le ferite inferti da operazione Piombo fuso, un anno e mezzo fa.
Mentre gli abitanti di Gaza si preparavano ad accogliere gli internazionali in festa, all’alba di oggi i militari israeliani assaltavano tutte le imbarcazioni del convoglio, a 75 miglia dalla costa israeliana, in acque internazionali, uccidendo e ferendo decine di persone nella nave turca ’Mavi Marmara’. Nelle prossime ore non indugeremo nel convocarci per una pubblica manifestazione a Roma, a Torino e in ogni nostra città. Perchè non ci lasceremo offendere da chi è pronto a stravolgere la verità del massacro parlando di "scontri", mentre assistiamo da anni al colpevole boicottaggio all’esistenza di un intero popolo.
Non taceremo insieme a chi spera che il mondo non si accorga della punizione collettiva di cui è responsabile Israele e anche i nostri Paesi. Quale commentatore si chiederà perchè Israele si può permettere ogni violazione del diritto internazionale, anche la pirateria, anche la licenza di uccidere. C’è chi tace e acconsente: gli Usa, l’Europa e gli Stati arabi. Chi permette soprusi e ingiustizie, e li tace, e li giustifica, è ancora più responsabile e colpevole di chi le ingiustizie e le violenze commette.
Pax Christi Italia
31 maggio 2010
* Il Dialogo,Lunedì 31 Maggio,2010 Ore: 17:37
ISRAELE ATTACCA NAVI UMANITARIE - LE REAZIONI
La comunità internazionale condanna
l’assalto di Israele alla flotta pacifista *
TEL AVIV. È finito in un bagno di sangue, con almeno 19 morti, l’assalto condotto stanotte dalle forze israeliane contro la flottiglia multinazionale di attivisti filo-palestinesi in navigazione verso la Striscia di Gaza con un carico di aiuti umanitari.
Dura e immediata la protesta del governo turco che ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele, mentre dalle capitali europee è stato espresso lo choc dei governi per la strage. Gli attivisti, guidati dalla ong Free Gaza, volevano forzare il blocco imposto attorno alla Striscia dall’avvento al potere degli islamici di Hamas, nel 2007. Lo scontro è avvenuto sulla nave di una ong turca che guidava la spedizione di sei imbarcazioni, in acque internazionali, a qualche decina di miglia dalla costa. I commando israeliani saliti a bordo da imbarcazioni ed elicotteri, hanno aperto a un certo punto il fuoco, uccidendo 19 persone, secondo l’ultimo bilancio della tv di Israele Canale 10. Per un portavoce militare dello Stato ebraico, a innescare il caos sarebbe stato il tentativo di alcuni attivisti di resistere all’abbordaggio con bastoni, coltelli e almeno un’arma da fuoco, sottratta - pare - a un soldato. Ventisei attivisti sono rimasti feriti (uno è in fin di vita). Fra questi, anche un leader radicale degli arabi di Israele, lo sceicco Raed Sallah. Feriti anche dieci soldati israeliani, due in modo grave. Il portavoce ha accusato i promotori della flottiglia di aver organizzato una «provocazione violenta». La prima delle navi è gia giunta al porto di Ashdod (sud di Israele), chiuso ai media. Nessuna conseguenza è segnalata per i cinque attivisti italiani chi si trovavano a bordo, fra i quali la giornalista torinese Angela Lano, 47 anni, direttrice dell’agenzia di stampa Infopal, che si occupa di Palestina. Israele ha elevato il livello di allerta sul fronte nord (con il Libano) e su quello sud (con la Striscia di Gaza).
Il presidente palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha denunciato l’accaduto come «un massacro», dichiarando tre giorni di lutto nazionale. Da Gaza i dirigenti di Hamas hanno parlato di «crimine» commesso da Israele. Un esponente islamico, Ahmed Yusef, ha invocato «un’intifada» di popolo dinanzi alle ambasciate d’Israele nel mondo. Gli arabi israeliani hanno indetto per domani uno sciopero generale.
L’alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Navi Pillay, si è detta «scioccata» per l’assalto. La Lega araba ha convocato per domani al Cairo una riunione urgente dei suoi ministri degli Esteri. Turchia, Grecia, Spagna, Svezia, Danimarca e Irlanda hanno convocato i rispettivi ambasciatori di Israele, l’Unione europea ha chiesto allo stato ebraico di aprire un’inchiesta. Pesanti critiche sono venute dai governi di Francia e Germania e il ministro degli esteri italiano Franco Frattini parlando di un «fatto assolutamente grave», ha «deplorato» l’uccisione di civili.
Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, in visita in Canada, è stato sollecitato a rientrare in patria. La tensione è salita alle stelle con la Turchia, già alleato strategico di Gerusalemme, ultimamente molto critico con lo stato ebraico. Ankara ha richiamato l’ambasciatore a Gerusalemme, ha parlato di un rischio di «conseguenze irreparabili» nelle relazioni bilaterali e ha chiesto la convocazione del consiglio di sicurezza dell’Onu. Centinaia di persone hanno manifestato a Istanbul e nella capitale. Israele ha invitato i suoi cittadini a non andare in Turchia.
* La Stampa, 31/5/2010 (12:48)
Israele, assalto alla nave dei pacifisti. Morti 19 attivisti
di Umberto De Giovannangeli *
L’assalto (VIDEO) si è trasformato in un bagno di sangue. Sangue destinato a pesare non solo e non tanto sul già traballante scenario politico-diplomatico mediorientale, ma soprattutto sull’immagine, sull’idea stessa di Israele nel mondo. Di fronte alle immagini dei commandos israeliani che aprono il fuoco sul ponte della nave della Freedom Flotilla, è impossibile, anche per il più strenuo difensore dello Stato ebraico, parlare di diritto di difesa, di pericolo immanente.
Quelle navi portavano aiuti umanitari, non armi. E l’eventuale resistenza opposto dagli assaliti non può giustificare la reazione assolutamente spropositata dei soldati di Tsahal. E tutto questo in acque internazionali. Per Israele è un’onta destinata a durare nel tempo. Per la comunità internazionale, è un banco di prova. L’ennesimo. Quelle immagini di sangue hanno già fatto il giro del mondo. In particolare del mondo arabo e musulmano. Sono destinate a infiammare gli animi, a divenire una straordinaria arma di propaganda per i gruppi della nebulosa qaedista che propugnano il Jihad globalizzato contro il “Nemico sionista” e i suoi alleati. Una reazione inadeguata alla enormità del fatto, alimenterebbe la convinzione che nel tormentato Medio Oriente, l’Occidente, gli Usa in primis, continuino ad adottare la politica dei “due pesi, due misure”, dove la misura adottata verso Israele è quella della sostanziale impunità.
Chiedere, come ha fatto l’Unione Europea, che sia fatta “piena luce” sull’accaduto è una premessa e non il centro di una presa di posizione che non può, non deve tardare. Ma questa tragedia annunciata è anche un banco di prova per Israele, per la sua democrazia: giustificare l’attacco, o pensare di risolvere il tutto con parole di rincrescimento, sarebbe una ulteriore prova di arroganza. E di debolezza. Perché aprire il fuoco su quelle navi non è un segno di forza, ma di debolezza, di vuoto politico. La psicosi dell’accerchiamento, il sentirsi perennemente in trincea, sta portando Israele ad un passo dal baratro, trasformandolo in un ghetto atomico in guerra contro tutto e tutti. Alla fine, anche contro se stesso.
* l’Unità, 31 maggio 2010
proteste in turchia, attacco al consolato di tel aviv a istanbul
Israele attacca flottiglia di navi Ong diretta a Gaza, almeno 16 morti e 30 feriti
Le imbarcazioni volevano forzare il blocco nella zona: assalto per impossessarsi dei natanti finito nel sangue *
MILANO - Assalto israeliano contro una flottiglia di navi appartenenti ad organizzazioni non governative in rotta verso Gaza nel tentativo di forzare il blocco imposto da Tel Aviv nella zona. Secondo alcuni canali televisivi israeliani, almeno 16 attivisti filo-palestinesi che erano a bordo sono morti, mentre diversi altri, almeno una trentina, sarebbero rimasti feriti. Secondo i media israeliani le forze armate di Tel Aviv avrebbero cercato di impossessarsi delle navi, ma l’assalto è finito nel sangue.
L’ASSALTO - Poco prima delle immagini mostrate dalla tv israeliana, il canale televisivo del movimento islamico Hamas aveva parlato di diversi feriti e aveva mostrato le immagini di membri di un commando scesi da un elicottero e di persone sdraiate sul ponte della nave. Una portavoce di Free Gaza Movement, una delle organizzazioni che ha organizzato il convoglio umanitario, ha detto che almeno due persone a bordo della nave turca sono state uccise, e una trentina ferite. Il pronto soccorso israeliano, Zaka, ha riferito che sette persone sono state ricoverate in un ospedale ad Haifa, la principale base navale israeliana, e una è in serie condizioni. Secondo l’esercito israeliano i militari di Tel Aviv sarebbero stati oggetto di un attacco da parte di armi da fuoco dalle persone presenti sulle navi. Negli scontri secondo l’esercito israeliano più di 10 attivisti sarebbero morti, mentre almeno 4 militari sarebbero rimasti feriti.
FARNESINA - La Farnesina sta verificando se, nell’assalto israeliano siano stati coinvolti anche gli italiani che erano sul convoglio di navi. Lo si apprende da fonti diplomatiche che hanno sottolineato che l’ambasciata e il consolato italiani sono in stretto contatto con le autorità israeliane.
CHI C’ERA A BORDO - Le navi di Freedom Flotilla portavano più di 700 passeggeri di 40 nazionalità diverse (tra cui almeno 5 italiani) e volevano consegnare 10mila tonnellate di aiuti umanitari, tra cui cemento, medicine, generi alimentari, e altri beni fondamentali per la popolazione di Gaza. A bordo anche case prefabbricate, 500 sedie a rotelle elettriche e cinque parlamentari (di Irlanda, Italia, Svezia, Norvegia e Bulgaria) oltre a esponenti di ong, associazioni e semplici cittadini filo-palestinesi intenzionati a forzare il blocco di aiuti umanitari a Gaza. L’obiettivo della spedizione, salpata giovedì dalla Turchia, era rompere l’assedio a Gaza e introdurre materiale. Le autorità israeliane avevano minacciato di utilizzare la forza se i militanti avessero tentato di avvicinarsi alle coste della Striscia di Gaza.
PROTESTE IN TURCHIA - Alcune delle navi attaccate battevano bandiera turca. L’attacco israeliano ha così generato una protesta ad Istanbul dove manifestanti hanno lanciato pietre contro il consolato tentando di fare irruzione.
RAMMARICO DEL GOVERNO - Un ministro israeliano ha espresso il proprio «rammarico per tutte le vittime» dell’assalto della marina alla flotta di attivisti pro-palestinesi diretti a Gaza.
TENSIONE IN ISRAELE - Intanto la polizia israeliana ha elevato lo stato di allerta nelle zona del Wadi Ara (60 chilometri a nord di Tel Aviv), dopo che nella città di Um el-Fahem si era sparsa la voce - finora non confermata - che nell’attacco della marina israeliana alla flotta di attivisti filo-palestinesi diretti a Gaza sia stato ferito dai militari lo sceicco Raed Sallah, leader del Movimento islamico nel Nord di Israele, che vive a Um el-Fahem. La radio militare aggiunge che i vertici della polizia israeliana hanno condotto stamane una seduta di emergenza e che continuano a seguire da vicino l’evolversi della situazione nella popolazione araba.
GRECIA - Il ministero degli Esteri greco ha attivato l’Unità di crisi. Della flottiglia per Gaza, facevano parte due unità battenti bandiera ellenica, il cargo «Libertà del Mediterraneo» e la passeggeri «Sfendoni», a bordo delle quali si trovavano cittadini greci e palestinesi. Atene ha indicato di non avere finora notizie ufficiali su quanto accaduto e sulla sorte dei propri concittadini. Secondo attivisti greci a bordo delle unità, citati dalla radio Skai, gli israeliani avrebbero dato l’arrembaggio con elicotteri e gommoni ed avrebbero fatto uso di «proiettili veri».
Redazione online
* Corriere della Sera, 31 maggio 2010
Israele, assalto alla nave dei pacifisti. Morti 16 attivisti
Assalto israeliano contro la flotta umanitaria in rotta verso Gaza. Secondo il canale televisivo israeliano «10», almeno 10 attivisti filo-palestinesi che erano a bordo sono morti. Poco prima il canale televisivo del movimento islamico Hamas aveva annunciato di diversi feriti e aveva mostrato le immagini di membri di un commando scesi da un elicottero e di persone sdraiate sul ponte della nave. Una portavoce di Free Gaza Movement, una delle organizzazioni che ha organizzato il convoglio umanitario, ha detto che almeno due persone a bordo della nave turca sono state uccise, e una trentina ferite. Il pronto soccorso israeliano, Zaka, ha riferito che sette persone sono state ricoverate in un ospedale ad Haifa, la principale base navale israeliana, e una è in serie condizioni. Il ministro dell’Industria e del Commercio israeliano, Binyamin Ben Eliezer, ha espresso il «proprio rincrescimento per le vittime».
È di 20 morti, invece, il bilancio degli scontri secondo un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri. Quest’informazione, fornita in una intervista in tv, non ha per ora altra conferma. Hamas ha invocato oggi «una intifada (rivolta) dinanzi alle ambasciate israeliane nel mondo» per protestare contro l’arrembaggio. A parlarne è stato Ahmad Yusef, uno degli esponenti della fazione islamico radicale palestinese a Gaza. Altri portavoce del movimento hanno definito l’accaduto «un crimine internazionale», invitando l’Onu e la comunità mondiale a reagire e ad avviare una inchiesta affinch‚ «i colpevoli siano puniti».
A Gaza City, intanto, la gente si sta radunando in strada per una dimostrazione di protesta convocata sia da Hamas sia da altri gruppi radicali come la Jihad Islamica. Fonti locali non escludono un’immediata recrudescenza di attacchi o lanci di razzi verso Israele. La polizia israeliana ha alzato il livello di allerta in Israele per far fronte a «eventuali disordini» da parte di arabi israeliani.
La Turchia ha definito «inaccettabile» l’attacco israeliano contro la flotta umanitaria a Gaza e ha messo in guardia da «irreparabili conseguenze». Il vice premier Bulent Arinc ha convocato questa mattina una riunione d’urgenza con alti responsabili turchi, fra cui il ministro dell’Interno, il capo della Marina militare e il capo delle operazioni militari. Arinc sostituisce il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, attualmente in visita in Cile. La polizia ha rafforzato le misure di sicurezza dinanzi alla residenza dell’ambasciatore israeliano ad Ankara, dove molte decine di dimostranti stanno protestando, questa mattina, contro l’assalto israeliano a una nave turca della «Freedom Flotilla», la missione di alcune ong internazionali con aiuti umanitari per i palestinesi di Gaza.
Un gruppo di manifestanti, inoltre, ha provato questa mattina a fare irruzione al consolato israeliano a Istanbul. C’è stata una sassaiola e i contestatori sono venuti a contatto con la polizia. Ankara ha inoltre convocato l’ambasciatore israeliano in Turchia, Gabby Levy per chiedere spiegazioni urgenti sull’assalto alla nave con attivisti turchi.
* l’Unità, 31 maggio 2010