PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI ...
di Federico La Sala
Materiali per ricordare.
Ogni articolo rimanda a molteplici approfondimenti.
Buona esplorazione *
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
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Federico La Sala (30.12.2011)
"L’Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa" *
"Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese, per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell’Italia unita e i suoi 150 anni di vita". Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha aperto il tradizionale messaggio televisivo, a reti unificate, di fine anno.
"Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell’Italia. Che fa tutt’uno con fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità: spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un’economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un’eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute. Non mi nascondo, certo, che nell’animo di molti, la fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. La radice di questi stati d’animo, anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l’Italia si dibatte. Ora, è un fatto che l’emergenza resta grave: è faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno".
Per il Presidente della Repubblica "lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato nell’ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa dal Parlamento, deve essere portato avanti con rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l’economia riprenderà a crescere : il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale. Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all’impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell’Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive".
Per il Capo dello Stato è necessario impegnarsi "a fondo per colpire corruzione ed evasione fiscale. E’ un’opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità: ed è quanto si richiede egualmente per un impegno di riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina, di intervento incisivo su posizioni di rendita e di privilegio. Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello perché si agisca in queste direzioni, è necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative".
Quindi, "per procedere con equità si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi. Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall’esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro. Senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro".
Il Presidente ha ricordato i tanti incontri con le maestranze delle fabbriche: "Comprendo, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell’Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale".
Il Paese ha davanti grandi prove. "L’Italia può e deve farcela - ha detto il Presidente - la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa. Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all’investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito. E’ a queste misure che ha annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento. Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i giovani e per le donne".
Per il Capo dello Stato "i sacrifici sono inevitabili per tutti: ma la preoccupazione maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare un futuro ai figli, ai giovani. E’ questo obbiettivo che può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo l’impegno cui non possiamo sottrarci. Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più coerente sforzo congiunto al livello europeo. E’ comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi insoddisfazione per il quadro che presenta l’Europa unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso l’integrazione europea: solo uniti potremo ancora progredire e contare come europei in un quadro mondiale radicalmente cambiato. All’Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali. Abbiamo solo da procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio sentire, in seno alle istituzioni europee - in condizioni di parità - il nostro contributo a nuove, meditate decisioni ed evoluzioni dell’Unione".
"E’ importante ora che l’Italia possa contare su una fase di stabilità e di serenità politica", ha sottolineato il Presidente Napolitano. "Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c’è futuro per l’Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all’altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l’emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare. Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti".
Occorre "una nuova ’forza motivante’ perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto ’con speranza fondata verso il futuro’", ha detto il Presidente Napolitano riprendendo "alte voci spirituali" levatesi nei giorni natalizi. E ha concluso: "La fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia. E allora apriamoci così al nuovo anno: facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l’Italia".
* SITO: Presidenza della Repubblica, http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Notizia&key=22530
di Maurizio Viroli (il Fatto, 30.12.2011)
Nel 2012 Berlusconi tornerà probabilmente al potere come Primo ministro, o capo effettivo di un governo presieduto da uno dei suoi cortigiani. Non fate gestacci, non imprecate, non svenite: le previsioni politiche sono sempre state e sempre saranno incerte e la mia è condizionata dal mio pessimismo. Ma in Italia i pessimisti hanno rare volte avuto torto, e le ragioni che sostengono la mia ipotesi sono, purtroppo, solide. Consideriamo in primo luogo l’uomo. Silvio Berlusconi detesta perdere ed è convinto di essere molto più vulnerabile nei confronti dei maligni magistrati che da anni lo perseguitano, se non controlla il governo e il Parlamento. Un governo e un Parlamento a lui ostile potrebbero addirittura abrogare le leggi che lo proteggono e introdurne altre che lo porterebbero dritto agli arresti domiciliari, visto che per l’età non può andare in carcere. Logico che pensi a uno spettacolare ritorno, anche perché non c’è nulla (tranne forse i soldi e le grazie femminili) che ami più degli eventi spettacolari che lo vedono protagonista. Tutta la stampa mondiale ne parlerebbe; i suoi nemici sarebbero confusi e umiliati; i cortigiani traditori tornerebbero da lui supplichevoli, come resistere?
IN SECONDO luogo, non dimentichiamo che Berlusconi non è stato sconfitto dal voto popolare o da un voto di sfiducia del Parlamento. Chi ha parlato di sconfitta di Berlusconi o di crollo di un regime ha esagerato. La sua è stata piuttosto una ritirata ben concepita e ben attuata al fine di evitare una disastrosa sconfitta e di prepararsi nel modo migliore a dare battaglia in condizioni più favorevoli per riguadagnare il terreno concesso agli avversari, e conquistarne dell’altro. Di fronte all’imminente pericolo di una bancarotta dell’Italia che avrebbe travolto lui e i suoi servi senza possibilità di rivincita, Berlusconi ha scelto di compiere il tanto celebrato “passo indietro” o “passo di lato” per lasciare a Mario Monti l’onore e l’onere di imporre le misure impopolari necessarie per affrontare la crisi economica.
La parola chiave per capire la vicenda politica italiana è “popolare”. Quando Berlusconi percepirà che il governo Monti è sufficientemente impopolare, apparirà di nuovo sulla scena proclamandosi vero e unico rappresentate e difensore dei concreti interessi popolari offesi dai tecnici. Il suo biglietto da visita saranno gli interessi immediati e il risentimento contro gli onesti intelligenti e privilegiati. Alle prossime elezioni (nella primavera del 2012?) Berlusconi si presenterà inoltre come il redentore della democrazia Italiana. Ripeterà migliaia di volte che la maggioranza degli italiani aveva votato per lui affinché egli potesse governarli e che il Presidente della Repubblica, un ex comunista non eletto dal popolo, lo ha costretto a dimettersi; che ha lasciato Palazzo Chigi per senso di responsabilità verso il bene comune della patria anche a costo di sacrificare i propri interessi e il proprio potere; che ha deciso di ricandidarsi soltanto perché sente il dovere di intervenire per rimediare ai danni dei tecnici saputelli e sobri sostenuti dalla sinistra.
Con una retorica politica di questo tipo Berlusconi ha già vinto in passato. Perché non dovrebbe vincere ancora? Gli italiani non sono cambiati dagli inizi di novembre ed è poco probabile che cambino modo di ragionare da oggi a marzo o aprile, quando, si dice, saranno chiamati alle urne. Quali argomenti potrebbero opporgli i suoi avversari? La dissennata gestione dell’economia che ha portato ai limiti della bancarotta? Sanno tutti che gli elettori hanno memoria corta. Quando si voterà, gli italiani ricorderanno le dure misure di Monti, non la benevola comprensione di Berlusconi nei confronti dei privilegi, delle illegalità e della corruzione.
La decisione - dettata dal più alto senso dello Stato e dal ragionevole timore di una bancarotta immediata - di chiamare Monti alla guida del governo anziché indire subito le elezioni è una tipica via di mezzo fra la resa e la lotta aperta. Ma le vie di mezzo, ammoniva Machiavelli, sono quasi sempre le peggiori. Le elezioni avrebbero permesso di additare Berlusconi e i suoi quali responsabili del disastro economico e di infliggergli una sconfitta dalla quale non si sarebbe più ripreso.
UN GOVERNO nato dal tracollo elettorale di Berlusconi e dei suoi alleati avrebbe avuto molta maggiore autorevolezza, a confronto del governo Monti, per affrontare la crisi economica. Tanto più gravi sono i problemi da affrontare, tanto maggiore deve essere l’autorevolezza di chi governa. Volenti o nolenti, l’autorevolezza massima in una repubblica democratica è quella che viene dalle elezioni. Temo che non aver scelto le elezioni possa rivelarsi un regalo prezioso a Berlusconi. Se questo è il caso non mancherà di approfittarne, senza neppure ringraziare. Mi auguro, ripeto, di sbagliare, ma riflettere seriamente sul pericolo di un ritorno di Berlusconi servirà almeno da antidoto alle massicce dosi di ottimismo, buoni sentimenti, appelli alle risorse morali degli italiani, elogi alla ritrovata concordia e al più sereno clima politico che da settimane ci vengono propinati. Chi ama davvero la patria guarda in faccia ai pericoli e prepara per tempo i rimedi. Le facilonerie le lascia ai patrioti della domenica.
IL COMIZIO
Bossi insulta Napolitano: "Terùn"
"Ci siamo rotti, la Padania ci sarà"
Alla "Berghem Frecc" dure contestazioni al Presidente della Repubblica e al premier Monti. La folla grida "secessione". Il Senatur: "Chiamiamola indipendenza, ma con le buone o le cattive la Padania ci sarà" *
ALBINO (Bergamo) - Insulti, fischi e grevi ironie. Alla "Berghem Frecc" va in scena il peggio della Lega non più di governo che cerca di rinverdire agli occhi dei militanti l’immagine della "Lega di lotta". Obiettivi dello stato maggiore del Carroccio il premier Mario Monti ma soprattutto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colpevole di aver fatto nascere il governo dei professori e di aver spinto sulle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
A dare il "la" agli attacchi è stato in prima persona il leader leghista, Umberto Bossi, che ha chiesto ai militanti che gremivano il palazzetto di Albino di "mandare un saluto al presidente della Repubblica": è partita una lunga serie di fischi, proseguita con un gruppo di leghisti che dal fondo ha scandito all’indirizzo del presidente del Consiglio lo slogan ’Monti vaffa...’: "Magari gli piace", ha osservato ridendo l’ex ministro delle Riforme dal palco.
"Il presidente della Repubblica - ha detto il Senatur dal palco - è venuto a riempirci di tricolori, sapendo che non piacciono alla gente del nord". Secondo Bossi, che ha fatto riferimento alle guerre per l’unità nazionale "tutti i giovani morti stavolta sparerebbero dall’altra parte". Quanto al governo di Mario Monti, il Senatur ha tenuto a sottolineare che "è stato voluto e messo lì dal presidente della Repubblica, non ce ne dimenticheremo". Da chi gli stava vicino sul palco è arrivata anche una voce che indicava le origini partenopee di Napolitano: "Non sapevo che l’era un terun", ha chiosato il leader del Carroccio.
Bossi ne ha avuto anche per l’ex premier Silvio Berlusconi, definito "fedele alleato" di Monti nel realizzare "quello che dice la sinistra". Una bacchettata anche per l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, indicato da più parti come in rotta con il Pdl e sempre più vicino al Carroccio. Secondo Bossi, Tremonti avrebbe sbagliato a introdurre l’8 per mille per la Chiesa, "perchè poi ci si dimentica la vera missione dei preti. Roma è piena di furbacchioni - ha aggiunto - non solo la politica ma anche il Vaticano".
Quindi un nuovo riferimento alla secessione, anche se Bossi ora preferisce chiamarla "indipendenza": "Noi dobbiamo andare a Milano a confermare che con le buone o le meno buone che Padania sarà: adesso ci siamo rotti le balle". ha detto il Senatur riferendosi alla manifestazione contro il governo indetta dal Carroccio per il 22 gennaio nel capoluogo lombardo. "Ci sono momenti in cui la battaglia è decisiva: liberi o schiavi".
* la Repubblica, 29 dicembre 2011