Fridtjof Nansen, eroe della banchisa e scienziato e benefattore dell’umanità
di Sauro Turroni *
Si è conclusa il 27 novembre a Milano, al Museo della scienza, la mostra, promossa dalla Ambasciata di Norvegia, sulla straordinaria figura di Fridtjof Nansen, scienziato, esploratore polare, diplomatico e statista, commissario per i rifugiati della Società delle Nazioni, insignito del Premio Nobel per la Pace. La sua dedizione alle questioni umanitarie salvò la vita a migliaia di persone dopo la Prima Guerra Mondiale e a innumerevoli altre restituì identità con un certificato che portava il suo nome .
Fridtjof Nansen nacque in Norvegia il 10 ottobre del 1861 a Store Fr”on, vicino ad Oslo. Quest’anno è dunque il 150° anniversario della sua nascita, il centesimo della scoperta del Polo Sud.
In gioventù si dedicò agli studi delle Scienze Naturali, poi alla zoologia e con l’obiettivo di studiare la vita degli animali polari nel loro ambiente nel 1882 si imbarcò sul motoveliero Viking, compiendo osservazioni sulla deriva dei ghiacci, sulle temperature lungo la colonna d’acqua, rielaborando le teorie sulle correnti artiche osservando che il ghiaccio si formava in superficie e che le acque più calde della corrente del Golfo passavano sotto le acque più fredde superficiali. Compì osservazioni sulla vita delle foche , delle balene e di altre forme di vita animale nell’Artide.
Al ritorno, iniziò un lungo periodo di studi presso il Museo Zoologico di Bergen di cui fu nominato curatore Nel 1886, grazie ad un premio conferitogli dal Museo per una pubblicazione, si recò a Napoli alla Stazione Zoologica, dove per alcuni mesi, compì ricerche, pubblicandone i risultati.
A Napoli maturò l’idea che anche in Norvegia dovesse essere realizzata una stazione analoga a quella che prende il nome da Anton Dohrn e in seguito promosse la fondazione di 2 laboratori di biologia marina a Bergen e a Trondhejm.
Al ritorno in patria pubblicò le sue ricerche sul sistema nervoso e conseguì il titolo di dottore in scienze naturali.
Ancora molto giovane Nansen, all’età di soli 26 anni, decise di intraprendere una spedizione per attraversare da costa a costa la calotta glaciale della Groenlandia, ancora inesplorata, elaborando un piano dettagliatissimo e meticolosamente studiato, e questo metodo sarà una costante di tutte le sue future attività. Partì nel 1888 con 5 compagni sulla baleniera Jason, la futura Stella Polare della spedizione artica del duca degli Abruzzi, alla volta della inaccessibile costa orientale della Groenlandia con l’intenzione di tagliare dietro di sé tutti i ponti, altra costante di ogni sua azione, in modo da essere obbligato a raggiungere la costa occidentale, data l’impossibilità di venire soccorsi nella inaccessibile costa orientale.
La baleniera venne stretta dai ghiacci e Nansen riuscì a raggiungere la costa con una scialuppa dopo un mese di tentativi, affrontando un ambiente del tutto ostile, dopo essersi lasciato alle spalle la sicurezza rappresentata dall’imbarcazione principale. La spedizione dopo un viaggio lungo e faticoso attraverso la calotta glaciale raggiunse a settembre la costa occidentale della Groenlandia. Durante questo percorso massacrante Nansen e i suoi uomini raccolsero scrupolosamente dati di carattere scientifico, annotandoli puntualmente.
Compiuta la traversata dell’isola, nel maggio dell’anno dopo, il 1889, poterono tornare in patria accolti come trionfatori.
Iniziò per Nansen una intensa attività di conferenziere in diversi paesi europei e venne anche nominato curatore del museo di Oslo. Maturando le osservazioni fatte anni prima sulle correnti polari e convintosi del fatto che una forte corrente est-ovest doveva scorrere dalla Siberia verso il Polo Nord, mise a punto un nuovo e più impegnativo progetto, quello di raggiungere il Polo utilizzando le correnti artiche. Deciso a dimostrare la validità della sua teoria, Nansen stilò le caratteristiche di cui doveva essere dotata un’imbarcazione per resistere alla pressione del ghiaccio.
Il suo piano era quello di navigare verso est lungo il Passaggio a Nord-Est fino alle Isole della Nuova Siberia per rimanere poi congelati nel ghiaccio. L’equipaggio sarebbe rimasto a bordo della nave mentre essa veniva spinta insieme ai ghiacci a ovest verso il Polo Nord e gli stretti tra le Svalbard e la Groenlandia.
La spedizione lasciò Christiania (l’attuale Oslo) nel giugno 1893 con provvigioni sufficienti per cinque anni e combustibile per otto. Il “Fram” navigò a est lungo la costa settentrionale della Siberia. A circa 100 miglia dalle Isole della Nuova Siberia Nansen cambiò rotta puntando verso nord. Il 20 settembre, a una latitudine di 79 gradi, il “Fram” si trovò imprigionato nei banchi di ghiaccio. Nansen e i suoi uomini si prepararono a lasciarsi trasportare dalla corrente a ovest in direzione della Groenlandia.
Il “Fram” non venne spinto così vicino al Polo Nord come aveva sperato e così Nansen decise di raggiungere il Polo, portando con sé uno dei suoi uomini, Hjalmar Johansen. Sbarcarono sul ghiaccio il 14 marzo del 1895, circa due anni dopo la partenza da Oslo. Il loro tentativo non ebbe successo. Le condizioni atmosferiche erano peggiori del previsto: la strada era spesso sbarrata da dorsali di ghiaccio e da tratti di acqua libere dal ghiaccio che furono causa di notevoli ritardi. Alla fine, a 86° gradi e 14’ nord, decisero di tornare indietro e di dirigersi verso la Terra di Francesco Giuseppe.
Nansen e Johansen non avevano raggiunto il Polo, ma ci erano andati più vicino di qualsiasi altro esploratore prima di loro. Riuscirono a ritornare e finalmente giunsero nel giugno del 1896 a contatto di una spedizione inglese nell’arcipelago di Francesco Giuseppe. Ad agosto poterono tornare in Norvegia, oltre tre anni dopo la partenza.
Anche il Fram dopo 3 anni si era nel frattempo liberato dalla morsa dei ghiacci e navigava alla volta della Norvegia.
Le teorie di Nansen si erano dimostrate esatte perché il Fram aveva seguito la corrente di cui egli aveva postulato l’esistenza. Inoltre la spedizione aveva raccolto preziosissime informazioni sulla corrente, i venti e le temperature, dimostrando inoltre in modo inconfutabile che non esisteva terraferma vicino al Polo sul lato eurasiatico, ma un oceano profondo e coperto di ghiacci. Per la nuova scienza chiamata oceanografia, il viaggio del “Fram” fu di grandissima importanza. Per Nansen esso significò un punto di svolta: da quel momento fu proprio l’oceanografia a diventare il centro delle sue ricerche.
Il ritorno in patria fu trionfale, Nansen divenne ospite di Corti e capi di Governo di tutti i principali paesi, ottenne onorificenze, lauree ad honorem, divenne professore di Zoologia all’università di Oslo, pubblicò in sei volumi le ricerche fatte durante la spedizione col Fram e si impegnò a realizzare in Norvegia di un grande centro per lo studio della oceanografia. Fu in contatto con Scott e con tutti gli altri esploratori polari dell’epoca e aiutò Amundsen a pubblicare i risultati della sua spedizione attraverso il passaggio Nord Ovest con il Gjoa.
La fama e la stima conquistata fecero di Nansen un uomo pubblico a cui vennero affidati compiti di natura politica, soprattutto in campo internazionale, fino ad essere nominato ministro di Norvegia a Londra, dove negoziò trattati che garantivano al suo paese l’integrità territoriale.
Il Fram continuò ad essere utilizzato per spedizioni artiche e in seguito venne utilizzato da Amundsen per la spedizione del 1911 in Antartide dove riuscì a raggiungere il Polo Sud.
I grandi viaggi da esploratore di Nansen ebbero termine, ma egli continuò a compiere ricerche fornendo dati accuratissimi sia sul Mare di Norvegia sia sulla circolazione delle acque nel nord Atlantico, compiendo nel 1911 e 1912 missioni sulla Frithjof della marina militare norvegese e sullo yacht inglese Veslemy nelle acque delle Svalbard.
In seguito nel 1913 a bordo del Correct della Compagnia Siberiana compì una missione lungo le coste artiche della Siberia, conoscendo le popolazioni indigene delle coste artiche siberiane e il popolo russo, spingendosi fino a Vladivostok attraverso la transiberiana, pubblicando poi le osservazioni effettuate durante il lungo viaggio.
Nel 1914, mentre si avvicinava la prima guerra mondiale, Nansen compì una nuova crociera oceanografica nell’Atlantico Nord Orientale sulla nave Armauer Hansen, che si concluse a luglio, poche settimane prima dello scoppio della guerra.
Nel 1917, essendo la neutrale Norvegia stretta nella morsa della fame, Nansen venne inviato negli Stati Uniti come Ministro plenipotenziario, dove negoziò difficili accordi volti a non condurre il suo paese in guerra, assumendone addirittura la personale responsabilità nelle more di decisioni che il Governo in patria non riusciva a prendere.
Al termine della guerra , nel 1919, Nansen , nominato Presidente della Lega Norvegese della Società delle Nazioni fu inviato a Londra per allacciare rapporti con la corrispondente società inglese.
Nel frattempo, consapevole del dramma che stavano vivendo centinaia di migliaia di uomini travolti dalla guerra e dalla rivoluzione sovietica, decise di rivolgersi direttamente ai capi dei paesi vincitori, chiedendo loro di creare una Commissione avente lo scopo di inviare viveri e medicinali in Russia.
La proposta, benché accolta, fallì per i conflitti fra le fazioni russe che si fronteggiavano e per l’ostruzionismo degli emigrati russi e ciò provocò sofferenza e morte per centinaia di migliaia di persone, con grande dolore di Nansen che scrisse parole molto amare nel suo libro “ La Russia e la Pace” sull’inumano comportamento di numerosi responsabili politici.
Nel 1920 Nansen partecipò come rappresentante della Norvegia alla prima riunione a Ginevra della Lega delle Nazioni e fu incaricato di presentare un dettagliato piano per il rimpatrio dei prigionieri di guerra che a centinaia di migliaia erano ammassati in condizioni disumane in campi di concentramento in Russia, Siberia, Caucaso, Turkestan. Solo in Germania e in Francia 200 mila russi erano rinchiusi in campi di concentramento. La Croce Rossa non era in grado di affrontare un problema di tali dimensioni e Nansen presentò un progetto con il quale individuava le modalità per rimpatriare via mare i prigionieri.
Il piano venne approvato e Nansen fu nominato alto commissario per il rimpatri dei prigionieri e grazie alle sue grandi doti di organizzatore nel 1921 aveva già rimpatriato 350 mila persone e alla successiva assemblea della Lega delle nazioni egli potè annunciare di averne riportati a casa 427.886, spendendo una cifra di molte volte inferiore a quella preventivata.
Purtroppo altri immani problemi umanitari erano esplosi, provocati dalla guerra e dalle rivoluzioni: solo i profughi russi erano circa 2 milioni e a Nansen venne assegnato il nuovo compito di occuparsi di questa grave emergenza alla quale si aggiunse quella ancor più grave dei bambini per i quali lanciò un appello a tutto il mondo attraverso l’Unione internazionale per la salvezza dei bambini, che però fu raccolto positivamente solo da 15 paesi. Purtroppo per crudeli ragioni politiche per l’avversione nei confronti della rivoluzione bolscevica moltissimi bambini perirono per la fame e gli stenti.
Moltissimi profughi non avrebbero più potuto tornare nei paesi dai quali erano fuggiti ed avevano perso cittadinanza e documenti ed erano dunque apolidi, privi di uno stato giuridico: Nansen propose di dotarli di un certificato , che prese il nome di “certificato Nansen” che consentì di ridare personalità giuridica a milioni di apolidi.
Quasi tutti i governi riconobbero il valore del certificato, che non portava in testa lo stemma di nessun paese bensì il nome di Nansen e che rimase in vigore fino al 1953.
Numerose furono le crisi che Nansen dovette affrontare per conto della Lega delle nazioni, nelle cui assemblee prese più volte la parola parlando in favore del disarmo, contro il colonialismo, per la riparazione dei danni di guerra. Una crisi riguardò Corfù dopo l’uccisione di alcuni ufficiali italiani.
Cercò di fare ammettere la Germania nella lega delle Nazioni e diede un notevole apporto alla Convenzione sulla Schiavitù e all’Atto per la pacifica risoluzione delle controversie internazionali e si occupò del popolo armeno, massacrato dai turchi nell’indifferenza degli altri paesi.
Fu a capo della commissione nominata dalla Lega delle Nazioni con il compito di aiutare gli Armeni, che avevano costituito una federazione con le altre repubbliche transcaucasiche, Georgia e Azerbajan, dopo le stragi compiute dai turchi di Kemal , a ricostituire la propria economia. L’aiuto fornito fu grandissimo e prezioso, consentendo l’ammodernamento dell’agricoltura, il rifacimento degli impianti idrici, la ricostruzione delle strade e la riconquista di una condizione di maggiore tranquillità.
Nel frattempo continuava incredibilmente anche la sua produzione scientifica, puntualmente pubblicata. Nel 1923 gli fu conferito il premio Nobel per la Pace , nel 1925 fu nominato Rettore della università di Sant’Andrea.
Si spense nel 1930, non riuscendo a partecipare alle spedizioni di sorvolo dell’Artico con i dirigibili della società Aeroartic di cui era stato nominato presidente. Straordinariamente significativo l’omaggio che gli rese nell’intervento commemorativo alla assemblea della Lega delle Nazioni, Lord Robert Cecil che ne ricordò il servizio reso alla pace e ai deboli e ai sofferenti, “senza riguardo per i suoi interessi, e per la sua salute , lavoro che portò immensi benefici ai più diseredati degli uomini”.
Mi piace ricordare , a conclusione di questo sommaria descrizione della vita e dell’opera di uno straordinario scienziato e benefattore dell’umanità , quello che scrisse di lui un esploratore polare forlivese, Silvio Zavatti, di cui ho ritrovato recentissimamente un dattiloscritto originale nella biblioteca del Museo nazionale dell’Antartide a Siena sulla vita di Nansen nel quale è scritto : “quando morì si disse che Nansen aveva rappresentato l’uomo nel senso più vero e alto della parola per le straordinarie imprese che lo portarono a confortare ed aiutare centinaia di migliaia di uomini travolti dalle guerre”.
* L’autore è membro della Commissione Scientifica per la Ricerca in Antartide
La nuova corsa all’Artico
di Lara Ricci (Il Sole-24 ore, 29 gennaio 2012)
Una nuova corsa all’Artico è partita. Cento anni dopo la conquista del polo Nord al posto degli esploratori gareggiano compagnie petrolifere e armatori. Il traguardo non è la gloria, ma il profitto. Non li fermano le immense distanze, l’oscurità, il gelo, gli iceberg vaganti, le onde che si congelano sulle superfici galleggianti rendendole scivolose, fragili, mutandone il baricentro e ribaltandole. Senza troppi proclami, per il più remoto oceano della terra è già iniziata una nuova era, quella dello sfruttamento. È evidente a chi si è recato nei giorni scorsi a Tromsø, un’isola incastonata tra i fiordi settentrionali della Norvegia dove sotto un’eccezionale susseguirsi di aurore boreali si è tenuta la più importante conferenza per discutere del prossimo futuro dell’Artico: «Arctic frontiers».
L’antica base di partenza di celebri spedizioni polari, tra cui quella che vide Roald Amundsen morire nel tentativo di salvare Umberto Nobile, è diventato il luogo di appassionato confronto tra scienziati, manager, politici e rappresentanti delle popolazioni indigene e delle organizzazioni ambientaliste di Russia, Canada, Stati Uniti, Danimarca, Svezia, Norvegia. Questa cittadina dell’estremo nord, dove solo 150 anni fa terminò la spedizione della Fram che permise a Fridtjorf Nansen di dedurre che sotto la calotta di ghiaccio non vi era terra, ma acqua, è ora la porta d’accesso al business dell’Artico.
«Negli ultimi due anni c’è stato un crescente interesse per le risorse del grande Nord - spiega Salve Dahle, ideatore del convegno - interesse rafforzato dal fatto che il prezzo dei combustibili fossili è salito e che il ghiaccio si sta sciogliendo molto più velocemente del previsto». «Alle estreme latitudini il riscaldamento climatico è doppio, sparendo la neve viene riflessa solo il 5% dell’energia solare, invece dell’85-95%» osserva Lars Otto Reiersen, uno dei responsabili dell’«Artic monitor assessment program». Così la calotta di ghiaccio si sta squagliando rapidamente, rendendo più accessibili le immense ricchezze seppellite sul fondo all’oceano. L’United States Geological Survey ha stimato che qui siano conservate il 30% delle rimanenti risorse globali di gas e il 13% di quelle di petrolio.
Non solo. La Cina è oggi molto più vicina all’Europa e all’America: i leggendari e proibitivi passaggi a Nord Est e a Nord Ovest sono ormai transitabili e, seppure scortate da potenti rompighiaccio, le prime spedizioni commerciali sono già partite. Se Canada e Russia vogliono rivendicare queste rotte settentrionali come acque territoriali interne, c’è chi già pensa di passare ancora più a Nord, tagliando verso il Polo. Pechino ha avviato la costruzione del suo primo rompighiaccio e Mosca sta raddoppiando la sua flotta a propulsione nucleare. Mentre la Groenlandia, dove quest’anno si è sciolta una superficie di ghiaccio equivalente a quella che, spessa due metri, ricoprirebbe tutta l’Australia, scommette sull’effetto serra per avere presto accesso alle preziose riserve di minerali sepolte sotto i ghiacci perenni e per potersi così permettere l’indipendenza. Il riscaldamento climatico per alcuni sta diventando un affare. Ed è possibile che altri governi nordici abbiano deciso che i vantaggi nel breve termine siano più appetitosi dei disastri che seguiranno.
La nuova corsa all’Artico non implica tuttavia lo spartirsi nuovi territori, ma ancora una volta il dover affrontare l’ambiente più ostile del pianeta. Tutto infatti è già stato deciso dalla Convenzione Onu sul diritto del mare, entrata in vigore nel 1994. Un trattato che permette agli stati costieri di rivendicare in base a criteri scientifici ampie porzioni di crosta continentale sommersa.
Oslo ha già chiesto e ottenuto dalla commissione valutatrice preposta vasti territori nel ricco mare di Barents, di Norvegia e nel bacino occidentale di Nansen (e dato diverse licenze di esplorazione, anche all’Eni); il Canada si appresta a formulare la sua domanda e la Russia ha sottoposto unarichiesta che comprende circa metà dell’Artico. Costruire piattaforme petrolifere nell’oceano glaciale è una grande sfida per le società di ingegneria: devono poter schivare gli iceberg, resistere alla deriva dei ghiacci, permettere agli uomini di lavorare per lunghi mesi d’oscurità a temperature estreme. Si può fare, dicono, ma ritengono più sicuri, anche se più futuribili, impianti posizionati direttamente sul fondo dell’oceano capaci di comprimere il gas e avviarlo al continente tramite gasdotti sottomarini.
I ricercatori osservano che rischi di un disastro ambientale in questi luoghi estremi sono molto più alti, i tempi per un’operazione di salvataggio più lunghi, soprattutto se si deve operare sotto il mare gelato (non si può né bruciare il petrolio né contenerlo ed estrarlo con metodi meccanici, non resta che aspettare primavera), senza considerare che il ritmo a cui il petrolio viene degradato a basse temperature è lentissimo.
I Paesi dell’Artico si sono riuniti per stabilire linee guida per lo sfruttamento "sostenibile" delle risorse off-shore, che loro stessi definiscono molto stringenti. Ma ciò che preoccupa gli ambientalisti, russi soprattutto, è che non sia previsto un organismo di controllo internazionale per verificare periodicamente che le norme siano applicate e rispettate. Eppure il possibile danno all’ecosistema non è la conseguenza più temuta: «L’ecosistema artico fragile è quello terrestre, con pochissime specie che vivono al limite della sopravvivenza, quello marino è più resistente, perché al polo c’è molto nutrimento e grande biodiversità», spiega Dahle, che è anche direttore dell’High North research centre for climate and the environment (Fram Centre) di Tromsø.