Il grido di Giovanni Bollea: "Non distruggete la mia casa per i bambini". L’ultimo appello del maestro della neuropsichiatria infantile, oggi gravemente malato, perché non venga smantellato il suo Istituto

L’INFANZIA SORRIDENTE, LA SOCIETA’ DI "ERODE", E L’ULTIMO APPELLO DI GIOVANNI BOLLEA. Un suo testo su "come nasce il sorriso" e una nota di Leonetta Bentivoglio - a c. di Federico La Sala

«Grazie al lavoro di Bollea, l’Italia conta su numerosi centri di Neuropsichiatria Infantile. Sarebbe terribile togliere autonomia al cuore di questa mappa, cioè all’istituto romano che porta il suo nome»
domenica 23 gennaio 2011.
 


-  Giovanni Bollea
-  "Non distruggete la mia casa per i bambini"

L’ultimo appello del maestro della neuropsichiatria infantile, oggi gravemente malato, perché non venga smantellato il suo Istituto

di Leonetta Bentivoglio (la Repubblica, 19.01.11)

Narrava qualche tempo fa il padre della Neuropsichiatria Infantile italiana Giovanni Bollea: «Ho incontrato un albero grande e grosso. Ci siamo guardati e lui mi ha detto: siamo entrambi alla fine». Ora che sul bilico della fine c’è davvero, Bollea, 97 anni compiuti in dicembre, sfida la morte con un’energia miracolosa. E dalla sua agonia lancia un appello per la salvaguardia e l’indipendenza dell’Istituto neuropsichiatrico romano da lui fondato: è questa la sua ultima, importante battaglia.

Colpito da un’ischemia cerebrale, l’autore di Le madri non sbagliano mai, libro-bibbia della "nuova educazione" (è appena stato tradotto e pubblicato in Spagna, dove lo stanno celebrando recensioni entusiastiche), scivolò il 12 agosto in un coma di quaranta giorni. Poi, prodigiosamente, riemerse in settembre, e da allora è ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, dimostrando una resistenza «che ha sconvolto tutte le previsioni e le statistiche dei medici», riferisce la moglie Marika.

Trascorre muto questi giorni estremi, nutrito artificialmente e catturato spesso da uno stato soporifero. Però vuole comprendere e reagire. A volte si commuove per l’abbraccio di un parente. A tratti replica ai visitatori con piccole pressioni sulla mano, di volta in volta traducibili in un sì o in un no. E anche così, invaso dalle cannule e col volto pallido e scavato, ha una luce speciale.

Una folta famiglia lo circonda. Con Marika ci sono i sei figli: Ernesto, Mariarosa e Daniele, avuti da Bollea nel primo matrimonio con Renata Jesi; e Barbara, Arturo e Marco, nati da Marika e dal suo primo marito, ma cresciuti con Bollea. Lo psichiatra che ha salvato dal disagio tanti bambini («a queste guarigioni devo i miei giorni più felici») ha oggi sette nipoti e tredici bisnipoti.

Ciò che più lo angustiava, prima di slittare nella condizione attuale, era il destino della Facoltà di Neuropsichiatria Infantile dell’Università "La Sapienza", col relativo Istituto di Via dei Sabelli a lui intitolato. «Giovanni ha diffuso in modo profondo e capillare una neuropsichiatria specifica per bambini e adolescenti: prima erano i pediatri a occuparsi dei problemi neuropsichici infantili», spiega la signora Bollea. «Creò una cattedra all’Università di Roma ed è a lui che si deve la nascita dell’Istituto che ha curato la più alta percentuale al mondo di bambini e ragazzi Down e neurolesi».

Si è parlato di una possibile annessione dell’Istituto "Bollea" a Pediatria: un clamoroso passo indietro. Per questo, già un anno fa, Giovanni scrisse a Frati, Rettore della Sapienza, una lettera in cui gli chiedeva di proteggere la struttura da un accorpamento.

«Grazie al lavoro di Bollea, l’Italia conta su numerosi centri di Neuropsichiatria Infantile. Sarebbe terribile togliere autonomia al cuore di questa mappa, cioè all’istituto romano che porta il suo nome», protesta Marika. Incombono nel frattempo i tagli della Regione Lazio che potrebbero comprometterne il funzionamento: il piano regionale, per l’Istituto di Via dei Sabelli, prevede una drastica riduzione di posti letto.


-  Vi racconto
-  Come nasce il sorriso

Pubblichiamo un testo inedito di scritto l’anno scorso e dedicato al sorriso dei bambini

di Giovanni Bollea (la Repubblica, 19.01.2011)

È vero che il sorriso è una capacità innata dei bambini? Sì, dopo il primo pianto, appena uscito dall’utero, vediamo il sorriso del bambino legato a quello della madre che lo guarda a sua volta negli occhi. E, subito dopo, il piccolo afferra teneramente la mammella della madre, seguito dal sorriso felice di quando lei la lascia.

Il sorriso che nasce non dalla vista del volto della madre, ma dal suo profumo, rimarrà nella sua memoria per sempre. E così al primo dentino, al primo passo, all’entrata della Scuola Materna.

In questo modo il sorriso dei primi anni si prolunga anche durante le esperienze iniziali all’interno delle difficoltà scolastiche, che si manifestano già nell’asilo nido, dove i primi collegamenti con l’altro da sé sono ritmati dagli episodi di pianto, che è il loro modo di colloquiare. Ma il dramma nasce quando il bambino non è ascoltato né seguito, o quando la madre ritarda nel riprendere il bambino alla Scuola materna. Al loro incontro, perciò, ci sarà di nuovo "quel" sorriso d’intesa. Quel famoso sorriso del dopo scuola che non sarà mai più lo stesso durante tutto il suo cammino di adulto.

Ricordiamoci che anche nella gioia di aiutare la mamma nei piccoli lavori di casa il bambino manifesterà la preferenza della madre nei suoi confronti, che così lo fa sentire sempre più importante.

Il sorriso è lo stare con la madre, il ridere è la manifestazione dell’orgoglio e della soddisfazione di eseguire e conquistare qualcosa insegnatogli da lei, dalla quale gli giunge un segno di allegra approvazione. Il sorriso è quindi amore, il ridere è. .. "obbedire". Nelle persone adulte c’è sempre un ricordo perenne della prima infanzia fino ai 10 anni per le tante cose fatte insieme: regali dei genitori, gioco e bicicletta col padre. Se poi c’è l’amore della madre con i nonni anche la loro gentilezza ha una sua funzione rassicurante.

Coinvolgerli in modo positivo nelle realtà quotidiane: ecco che l’elemento formativo darà felicità al bambino, se non lo avrete mai fatto sentire come un ordine. Il significato di comando non deve mai essere trasmesso infatti come un invito obbligatorio prima dei 4-5 anni. Sembrerà semplicistico e forse ovvio ma pochissimi invece capiscono l’importanza di farsi accompagnare e far partecipare il bambino alle commissioni, commentando a voce alta le cose che vedono. Questo sia con i genitori che con i nonni. L’infanzia sorridente in questo periodo storico non è purtroppo la normalità ma l’amore, lo slancio impegnato e caricato di generosa attenzione quotidiana formerà un adulto più o meno maturo.


Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

UNA PREMESSA ... DI CIVILTA’. LA LEZIONE DEI MILITARI ITALIANI INTERNATI NEL LAGER DI WIETZENDORF, 1944.

SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ “UNO”


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