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"Creda a me: la peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo"

Tratto da “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” di Piero Calamandrei. La prima edizione del libro è del 1935. Il brano che riportiamo qui è tratto dall’edizione di Ponte alle Grazie del 1990
domenica 18 aprile 2010.
 

di Piero Calamandrei

Da un vecchio magistrato a riposo, che in cinquanta anni ha percorso con onore tutti i gradi della magistratura dai più umili fino a quello supremo, ho ascoltato queste parole di saggezza:

«Ciò che può costituire un pericolo per i magistrati non è la corruzione: di casi di corruzione per denaro, in cinquant’anni di esperienza, ne ho visti tanti che si contano sulle dita di una sola mano; e sempre li ho visti scoperti e colpiti con esemplari punizioni.

E neanche son da considerarsi minacce molto gravi per la indipendenza dei magistrati le inframmettenze politiche: sono frequenti, ma non irresistibili. Il magistrato di schiena dritta non le prende sul serio, ed è rarissimo che gli venga qualche danno da questa sua inflessibilità.

Il vero pericolo non viene dal difuori: è un lento esaurimento interno delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate: una crescente pigrizia morale, che sempre più preferisce alla soluzione giusta quella accomodante, perchè non turba il quieto vivere e perché la intransigenza costa troppa fatica.

Nella mia lunga carriera non mi sono mai incontrato a faccia a faccia con giudici corruttibili, ma ho conosciuto non di rado giudici indolenti, disattenti, svogliati: pronti a fermarsi alla superficie, pur di sfuggire al duro lavoro di scavo, che deve affrontare chi vuole scoprire la verità.

Spesso questa superficialità mi è sembrata un portato inevitabile, e scusabile, dell’eccessiva mole di lavoro che gravava su certi magistrati; ma ne ho conosciuti alcuni (i migliori) che, anche sovraccarichi così, riuscivano, rubando le ore al sonno, a studiare con scrupolosa diligenza tutte le cause ad essi affidate e a riferirne in camera di consiglio senza dimenticare la virgola di un documento.

La pigrizia porta a adagiarsi nell’abitudine, che vuoi dire intorpidimento della curiosità critica e sclerosi della umana sensibilità: al posto della pungente pietà che obbliga lo spirito a vegliare in permanenza, subentra cogli anni la comoda indifferenza del burocrate, che gli consente di vivere dolcemente in dormiveglia.

Anche le raccomandazioni, che non hanno presa sui magistrati desti, possono apparire a questi burocrati sonnacchiosi come una forma non sgradevole di collaborazione, che permette ad essi di adottare bell’e fatta una opinione altrui (quella dell’amico che raccomanda) senza dover faticare a fare una scelta propria: ascoltare le voci che corrono, raccogliere la frase di un amico al caffè, costa meno sforzo che leggere con attenzione cinquanta fascicoli di un’istruttoria».

Il vecchio magistrato stette qualche istante in silenzio e poi concluse così:

«Creda a me: la peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo.

È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza; una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, ma le previene; che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo».


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