— ***(Per il testo completo del messaggio di fine anno, vedi oltre)
Emergenza disoccupazione e povertà. Ecco su cosa punterà
il capo dello Stato nel suo quarto discorso di fine anno
"Allarme sociale" e dialogo
le parole d’ordine di Napolitano
Gli studi di Banca d’Italia e Istat preoccupano il presidente della Repubblica
di GIORGIO BATTISTINI *
ROMA - Saranno quindici minuti dedicati all’Italia che soffre, al Paese in credito di solidarietà, a un passo dall’allarme sociale. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno intende concentrare l’attenzione sulle emergenze che stanno catturando l’Italia dopo la violenta crisi economica. Sull’ "allarme sociale": la disoccupazione, il precariato, il lavoro. Questioni da sempre sottolineate dal capo dello Stato e che ora rappresentano il cuore della sua azione.
Napolitano, insomma, vuole rivolgersi al "Paese reale", e non più soltanto al Paese legale. "Mentre nel messaggio alle alte cariche della Repubblica mi sono concentrato sui temi istituzionali - ha annunciato la settimana scorsa visitando la comunità di Sant’Egidio - nel discorso di capodanno mi occuperò dei problemi della gente comune". Sul Colle, del resto, da giorni sono messi in bella vista i rapporti della banca d’Italia sulla disoccupazione e sul precariato. Sulla percentuale di giovani che vivono con rapporti di lavoro a termine. "La vostra missione - rivelò ancora ai rappresentati della comunità fondata da Andrea Riccardi - che si può riassumere nelle parole "sofferenza e solidarietà", mi ispirerà nel messaggio di fine anno".
Napolitano considera questo il fronte principale su il governo e il Parlamento dovranno impegnarsi nei prossimi mesi. Gli studi di tutti enti "tecnici", infatti, puntano l’attenzione sui problemi "concreti" vissuti negli ultimi anni dai cittadini. Sul Colle, è ben presente anche una delle ultime ricerche statistiche dell’Istat che denuncia ampliamento della quota di italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Nel breve discorso di Napolitano in tv la sera di san Silvestro il presidente intende quindi rivolgersi all’Italia più fragile, colpita dalla crisi richiamando i compiti del "welfare state". A chi si sforzava di prevedere nei giorni scorsi gli argomenti del suo messaggio il presidente s’è limitato a dire: "non una parola in pubblico fino al 31".
E l’indicazione era rivolta soprattutto ai suoi consiglieri, con i quali metterà a punto, nei prossimi giorni, il testo definitivo. Ma qualcosa è trapelato. In queste ore il presidente lavora da solo, nel suo studio al Quirinale, per mettere a fuoco gli snodi fondamentali del discorso. Un pensiero che assilla il presidente, pensando alle difficoltà degli immigrati, dei senza lavoro, dei terremotati, delle fasce sociali senza protezione. Sarà questo il cuore del messaggio che il presidente della Repubblica dedicherà sintetizzerà in un quarto d’ora, secondo la tradizionale formula del messaggio televisivo a reti unificate.
Non mancherà, poi, un richiamo alle riforme istituzionali. Le indicazioni più esplicite sono state fornite negli auguri alle "alte magistrature" della Repubblica. Sollecitando ancora una volta interventi rapidi e soprattutto avvicinamenti nelle posizioni di maggioranza e opposizione. E certo non mancheranno i riconoscimenti all’unità del Paese. Il senso finale del messaggio è trasparente: "possiamo ancora farcela, se vogliamo".
© la Repubblica, 30 dicembre 2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL TESTO INTEGRALE *
Messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Roma, 31 dicembre 2009
Buona sera a voi che siete in ascolto.
Nel rivolgervi, mentre sta per concludersi il 2009, il più cordiale e affettuoso augurio, vorrei provarmi a condividere con voi qualche riflessione sul difficile periodo che abbiamo vissuto e su quel che ci attende.
Un anno fa, molto forte era la nostra preoccupazione per la crisi finanziaria ed economica da cui tutto il mondo era stato investito. La questione non riguardava solo l’Italia, ma avevamo motivi particolari di inquietudine per il nostro paese.
Oggi, a un anno di distanza, possiamo dire che un grande sforzo è stato compiuto e che risultati importanti sono stati raggiunti al livello mondiale : non era mai accaduto nel passato, in situazioni simili, che i rappresentanti degli Stati più importanti, di tutti i continenti, si incontrassero così di frequente, discutessero e lavorassero insieme per cercare delle vie d’uscita nel comune interesse, e per concordare le decisioni necessarie.
Proprio questo è invece accaduto nel corso dell’ultimo anno. L’Italia - sempre restando ancorata all’Europa - ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo.
Dico questo, vedete, guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro paese. Perché, lo so bene, abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità, da parte delle imprese, delle famiglie, del mondo del lavoro.
Perciò guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno.
Non posso tuttavia fare a meno di parlare del prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente in termini sociali e umani.
C’è stata una pesante caduta della produzione e dei consumi; ce ne stiamo sollevando; si è confermata la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia; ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie imprese, che hanno subìto colpi non lievi; e a rischio, nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere al lavoro forze preziose anche nelle aziende in difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono rimaste deboli o inesistenti; e indubbia è oggi la tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.
Vengono così in primo piano antiche contraddizioni, caratteristiche dell’economia e della società italiana. Dissi da questi schermi un anno fa: affrontiamo la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo - dalla crisi deve e può uscire un’Italia più giusta. Ebbene, questo è il discorso che resta ancora interamente aperto, questo è l’impegno di fondo che dobbiamo assumere insieme noi italiani.
Ma come riuscirvi? Guardando con coraggio alla realtà nei suoi aspetti più critici, ponendo mano a quelle riforme e a quelle scelte che non possono più essere rinviate, e facendoci guidare da grandi valori: solidarietà umana, coesione sociale, unità nazionale.
Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale, elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi "atipici", comunque temporanei.
Le condizioni più critiche si riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani. Sono queste le questioni che richiedono di essere poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e quindi dell’azione pubblica. L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale. E perché cresca in modo più sostenuto l’Italia, deve crescere il Mezzogiorno, molto più fortemente il Mezzogiorno. Solo così, crescendo tutta insieme l’Italia, si può dare una risposta ai giovani che s’interrogano sul loro futuro.
C’è una cosa che non ci possiamo permettere: correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel nostro paese. Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche di energia, di talento, di volontà: ci credo non retoricamente, ma perché ho visto di persona come si manifestino in concreto quando se ne creino le condizioni.
Ho visto la motivazione, ho visto la passione di giovani, tra i quali molte donne, che quest’anno mi è accaduto di incontrare nei laboratori di ricerca; la motivazione e l’orgoglio dei giovani specializzati che sono il punto di forza di aziende di alta tecnologia; la passione e l’impegno che si esprimono nelle giovani orchestre concepite e guidate da generosi maestri. E penso alla motivazione e alla qualità dei giovani che si preparano alle selezioni più difficili per entrare in carriere pubbliche come la magistratura.
Certo, sono queste le energie giovanili che hanno potuto prendere le strade migliori; e tante sono purtroppo quelle che ancora si dibattono in una ricerca vana. Ma ho fiducia nell’insieme delle nuove generazioni che stanno crescendo; a tutti i giovani la società e i poteri pubblici debbono dare delle occasioni, e in primo luogo debbono garantire l’opportunità decisiva di formarsi grazie a un sistema di istruzione più moderno ed efficiente, capace di far emergere i talenti e di premiare il merito.
Più crescita, più sviluppo nel Mezzogiorno, più futuro per i giovani, più equità sociale. Sappiamo che a tal fine ci sono riforme e scelte da non rinviare: proprio negli scorsi giorni il governo ne ha annunciato due su temi molto impegnativi, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale. La prima è chiamata in particolare a dare finalmente risposte di sicurezza e tutela a coloro che lavorano in condizioni di estrema flessibilità e precarietà.
La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con "rattoppi", vanno presentate e dibattute un’analisi e una proposta d’insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. Intanto, il Parlamento si è impegnato a riordinare la finanza pubblica con la legge sul federalismo fiscale e a regolarla con un nuovo sistema di leggi e procedure di bilancio. Due riforme già votate, su cui il Parlamento è stato largamente unito.
E vengo alle riforme istituzionali, e alla riforma della giustizia, delle quali tanto si parla. Ho detto più volte quale sia il mio pensiero; sulla base di valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho sostenuto che anche queste riforme non possono essere ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese. Esse dunque non sono seconde alle riforme economiche e sociali e non possono essere bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche, e da opposte pregiudiziali.
La Costituzione può essere rivista - come d’altronde si propone da diverse sponde politiche - nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che - in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base del nostro stare insieme come nazione - siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione.
Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile, come ha di recente e concordemente suggerito anche il Senato. Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni.
Il nuovo slancio di cui ha bisogno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi. Valori di solidarietà: e il paese, in effetti, se ne è mostrato ricco in quest’anno segnato da eventi tragici e dolorosi, da ultimo sconvolgenti alluvioni. Se ne è mostrato ricco stringendosi con animo fraterno alle popolazioni dell’Aquila e dell’Abruzzo colpite dal terremoto, o raccogliendosi commosso attorno alle famiglie dei caduti in Afganistan, e come sempre impegnandosi generosamente in molte buone cause, quelle del volontariato, della fattiva e affettuosa vicinanza ai portatori di handicap, ai più poveri, agli anziani soli, e del sostegno alla lotta contro le malattie più insidiose di cui soffrono anche tanti bambini.
E’ necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari: penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca. Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia, nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni: le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità, non possono far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia, non possono essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana.
Qualità civile, qualità della vita: aspetti, questi, da considerare essenziali per valutare la condizione di una società, il benessere e il progresso umano. Contano sempre di più fattori non solo di ordine materiale ma di ordine morale, che danno senso alla vita delle persone e della collettività e ne costituiscono il tessuto connettivo.
E’ necessario che si riscoprano e si riaffermino valori troppo largamente ignorati e negati negli ultimi tempi. Più rispetto dei propri doveri verso la comunità, più sobrietà negli stili di vita, più attenzione e fraternità nei rapporti con gli altri, rifiuto intransigente della violenza e di ogni altra suggestione fatale che si insinua tra i giovani.
Considero importante il fatto che nel richiamo alla solidarietà e ai valori morali incontriamo la voce e l’impegno di religiosi e di laici, della Chiesa e del mondo cattolico. Così come nel discorso su una nuova concezione dello sviluppo - che tenga conto delle lezioni della crisi recente e dell’allarme per il clima e per l’ambiente - ritroviamo l’ispirazione e il pensiero del Pontefice. Vedo egualmente sentita da quel mondo l’esigenza dell’unità della nazione italiana.
In realtà, non è vero che il nostro paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica. Tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. E’ uno sforzo che mi auguro possa dare dei frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al Presidente del Consiglio: si dovrebbero ormai, da parte di tutti, contenere anche nel linguaggio pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico. Io posso assicurarvi che sono deciso a perseverare nel mio impegno per una maggiore unità della nazione : un impegno che richiede ancora tempo e pazienza, ma da cui non desisterò.
Anche perché nulla è per me come Presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi. Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto - dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale - che lui e i suoi "ragazzi" traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione.
Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia, e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale, o le forze dell’ordine che combattono con crescente successo le organizzazioni criminali.
E a questo bisogno debbono corrispondere tutti coloro che hanno responsabilità elevate nella politica e nella società.
Serenità e speranza sento di potervi trasmettere oggi. Speranza guardando all’Italia che ha mostrato di volere e saper reagire alle difficoltà. Speranza guardando al mondo, per quanto turbato e sconvolto da conflitti e minacce, tra le quali si rinnova, sempre inquietante, quella del terrorismo. Speranza perché nuove luci per il nostro comune futuro sono venute dall’America e dal suo giovane Presidente, sono venute da tutti i paesi che si sono impegnati in un grande processo di cooperazione e riconciliazione, sono venute dalla nostra Europa, che ha scelto di rafforzare, con nuove istituzioni, la sua unità e rilanciare il suo ruolo, offrendo l’esempio della nostra pace nella libertà.
Questo è il mio messaggio e il mio augurio per il 2010, a voi italiane e italiani di ogni generazione e provenienza che salutate il nuovo anno con coloro che vi sono cari o lo salutate lontano dall’Italia ma con l’Italia nel cuore.
Ancora buon anno a tutti.
Subito dopo il discorso di fine anno il premier telefona al Quirinale per esprimere
il suo apprezzamento. E fa sapere che il 10 gennaio tornerà nella capitale
Berlusconi elogia Napolitano
"E ora subito le riforme"
Ieri la prima uscita pubblica del premier in un centro commerciale *
ROMA - Subito dopo il messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi ha telefonato al capo dallo Stato, per esprimere il suo apprezzamento. Il premier, prima del cenone di San Silvestro con alcuni dei figli e gli amici più vicini, ha dunque voluto far sapere all’inquilino del Quirinale quanto avesse gradito le sue parole.
FOTO: LA PRIMA USCITA PUBBLICA DEL PREMIER
Ora Berlusconi dice di voler incardinare subito in Parlamento le riforme, chieste appunto da Napolitano. Il Capodanno è stato una giornata di relax a Villa San Martino, con ancora molte telefonate di auguri. "Il discorso di Napolitano gli è piaciuto davvero molto", dice chi ha parlato con il premier.
Oltre all’appello alla riforme, Berlusconi ha molto gradito del messaggio presidenziale il riferimento all’"episodio grave" dell’aggressione di Piazza Duomo, con l’invito a "contenere, anche nel linguaggio, pericolose esasperazioni polemiche". Così come si è sentito gratificato dal riconoscimento di quanto il governo ha fatto per arginare la crisi (a partire dal G8) e per il terremoto in Abruzzo. Nè il premier avrebbe colto particolari accenti polemici nell’accenno fatto dal capo dello Stato all’equilibrio che dovrà sempre regolare i rapporti tra governo, parlamento ed istituzioni di garanzia e al fatto che le riforme andranno fatte avendo l’interesse generale come stella polare.
Il Cavaliere si prepara perciò a tornare in campo dopo la lunga convalescenza. Sarà a Roma dopo il 10 gennaio, con i segni dell’aggressione subita ancora visibili in volto. Ma già ieri, a sorpresa, Berlusconi è apparso in pubblico in un centro commerciale vicinissimo a Villa San Martino, dove ha stretto mani e firmato autografi per quasi due ore ed è stato anche fotografato. E’ la sua prima uscita dopo l’aggressione subita da Massimo Tartaglia.
* la Repubblica, 1 gennaio 2010 (ripresa parziale)
Il ministro per le Riforme traccia così il programma della lega per l’anno che
è appena cominciato: "siamo geneticamente contrari a chi parla parla e non fa nulla"
Bossi: "Basta melassa buonista e chiacchiere
dal 2010 ci aspettiamo soltanto le riforme" *
MILANO - "Cosa ci aspettiamo dal 2010? Le riforme. Ma non vogliamo sentir parlare di chiacchiere, siamo geneticamente contrari alla melassa buonista e a quelli che parlano, parlano e poi non fanno un bel nulla": Umberto Bossi, interpellato dall’ANSA, traccia così il programma della Lega per il nuovo anno.
Il fondatore della Lega Nord, che ha trascorso il Capodanno a Ponte di Legno (Brescia), spiega al cronista di non voler fare commenti sul discorso di fine anno del del Presidente Napolitano. Ma accetta di parlare dei programmi della Lega per l’anno nuovo: "Cosa ci aspettiamo per l’anno nuovo? Per il 2010 ci aspettiamo le riforme, che è poi quello che chiede la gente".
* la Repubblica, 1 gennaio 2010
Salvaguardare l’arbitro sarebbe interesse di tutti
di MARCELLO SORGI (La Stampa, 31.12.2009)
È senz’altro una scommessa, la decisione di Napolitano di porre anche su Internet, su «You tube», il suo tradizionale messaggio di Capodanno, che come tutti gli anni viene trasmesso stasera in tv. Mentre infatti in televisione il Presidente viene mandato in onda a reti unificate, nella larghissima platea di una particolare prima serata, in cui tutti o quasi tengono il televisore acceso anche come indicatore del tempo che manca al brindisi di mezzanotte, il Capo dello Stato, on line, si sottoporrà ad un particolare indice di gradimento: sarà interessante vedere quanti saranno i cliccatori e a che ritmo cresceranno.
Non è un mistero che, nel tempo, il messaggio abbia visto cambiare la sua funzione. Quando i Presidenti «regnavano» in una condizione di quasi assoluto riserbo, l’apparizione dell’inquilino del Quirinale, nel suo studio, alla sua scrivania, intento a cercare un dialogo con i cittadini e con le famiglie, riunite in un momento di serenità, aveva la forza di un evento eccezionale. Di qui l’attenta esegesi e le accurate interpretazioni che se ne facevano sui media, e le reazioni generalmente di consenso che lo accompagnavano.
Da quando invece il Paese è impantanato nella sua transizione infinita, quello del Presidente è diventato un mestiere infernale. Anche se i suoi poteri formali sono molto limitati, il Capo dello Stato è chiamato quasi tutti i giorni ad arbitrare e a cercare di moderare il livello di scontri politici ormai divenuti intollerabili e che spesso degenerano in veri e propri duelli istituzionali, tra governo e Parlamento, tra governo e magistratura o tra giudici e politici a prescindere dalla loro collocazione partitica.
Napolitano cerca di farlo con misura, tentando di indirizzare, nel contempo, le forze politiche a un confronto in positivo, che non si riduca solo a uno scambio continuo di veti o di insulti. Ma va detto che è un’opera assai ardua. Negli ultimi tempi è anche venuto meno quella sorta di rispetto istituzionale che tendeva a tenere fuori il Presidente dai giudizi contingenti dei partiti. Napolitano, in questi suoi tre anni e mezzo di presidenza, è stato attaccato da destra e da sinistra, senza remore. Dovrebbe essere interesse di tutti salvaguardare l’arbitro, specie in un periodo in cui lo scontro si fa sempre più duro. Se invece non lo si fa, vuol dire che la situazione è davvero oltre il livello di guardia.
Il Quirinale arriva su Youtube Online il messaggio di fine anno
Anche Napolitano sbarca su Youtube. Domani 31 dicembre 2009, infatti, con il consueto messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica agli italiani, il Quirinale lancerà il suo canale ufficiale sulla celebre piattaforma di videosharing.
Il canale - che sarà accessibile all’indirizzo www.youtube.com/presidenzarepubblica e raccoglierà i filmati degli interventi più significativi dell’attività del Capo dello Stato - sarà aperto da un messaggio di benvenuto del presidente Napolitano: «Apriamo le porte del Quirinale ai tanti utenti dei nuovi media non solo per ampliare e rendere sempre più efficienti e moderni gli strumenti della nostra comunicazione ma anche per promuovere e favorire un rapporto sempre più stretto e trasparente con i cittadini. Le nuove tecnologie non conoscono né barriere né frontiere. Ci incontreremo in questo spazio per costruire, insieme, occasioni di partecipazione alla vita democratica».
Non si è fatta attendere la reazione entusiasta di Chad Hurley, fondatore di YouTube. «YouTube - afferma Hurley - rappresenta un eccezionale strumento per promuovere democrazia e dialogo tra cittadini e istituzioni. Sempre più figure istituzionali nel mondo si sono affidate a YouTube come strumento di comunicazione, dal Vaticano alla Regina Rania di Giordania alla Regina d’Inghilterra. Oggi per noi è un grande passo in avanti poter aggiungere a questa lista il presidente Napolitano».
A partire dalla nascita di YouTube, nel febbraio 2005, numerosi leader mondiali, esponenti del mondo politico e istituzioni hanno scelto YouTube per comunicare con il mondo intero. Il canale della presidenza della Repubblica si aggiunge ad altri esempi in Italia e nel mondo.
In Italia, in particolare, esistono già il canale della Camera dei Deputati, quello del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, quello del Vaticano. Nel mondo, poi, alcuni tra i canali istituzionali più noti appartengono alla presidenza di Israele, al governo iracheno, alla Regina Elisabetta II e al governo britannico, alla regina Rania di Giordania, all’Unione Europea, alla Casa Bianca, alla Camera dei Rappresentanti e al Senato degli Stati Uniti d’America.
* l’Unità, 30 dicembre 2009 (ripresa parziale).
Le riforme e la fermezza del Quirinale
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 30.12.2009)
Massima apertura e massima fermezza. Questa potrebbe essere la sintesi della linea adottata dal presidente della Repubblica nella materia, delicatissima, non solo e non tanto delle riforme istituzionali, ma del contesto costituzionale all’interno del quale deve sempre muoversi la politica. In questo senso, il discorso tenuto davanti ai rappresentanti delle istituzioni è molto esplicito e, più che essere considerato una novità, deve essere letto come un forte chiarimento di una linea da lungo tempo perseguita.
Grande è la confusione sotto il cielo d’’Italia ma, a differenza della conclusione di uno dei "pensieri" del presidente Mao, la situazione è pessima. Più che venir considerata oggetto della attenzione riformatrice, la Costituzione sembra essere evaporata, scomparsa, lasciando una pagina bianca sulla quale esercitarsi liberamente. Proprio contro questo modo di vedere, che si è venuto diffondendo e rafforzando nell’ultimo anno, si leva il monito di Giorgio Napolitano. La sua analisi del funzionamento delle istituzioni è spietatamente realistica, ma in essa non si coglie nessuna tentazione di presentarsi come unico "custode della Costituzione", luogo dove si determina una progressiva concentrazione di poteri secondo la versione di quella formula data da Carl Schmitt.
Vi è, invece, un imperioso richiamo alla responsabilità costituzionale di tutte le istituzioni, e al suo obbligo di vegliare perché non sia stravolta la forma di Stato, perché sia garantito l’equilibrio tra i poteri. Esattamente l’opposto della concentrazione di poteri intorno all’esecutivo divenuta la caratteristica istituzionale di questa legislatura, che il presidente della Repubblica critica nella sua portata e nelle sue conseguenze e che, invece, sembra costituire l’ispirazione di troppi "riformatori". Si apre così una questione capitale: disponiamo di una cultura capace di sostenere una impresa tanto impegnativa quale è sempre una riforma costituzionale?
Affrontando questo tema si devono tener presenti tre punti sottolineati da Napolitano: l’abuso del riferimento alla "costituzione materiale"; la nascita di sistemi "paralleli" rispetto a quelli disegnati dalla Costituzione; la necessità di concentrarsi solo «su alcune, essenziali e ben mirate proposte di riforma». E, in tempi di strumentali esorcismi della violenza, è bene non dimenticare che il presidente della Repubblica giustamente definì "violento" dal punto di vista istituzionale il contenuto del discorso tenuto a Bonn dal presidente del Consiglio.
Parlar di "costituzione materiale" ha sempre avuto una forte ambiguità. Vi è una sua versione descrittiva di prassi più o meno diverse o integrative rispetto a quelle definite dalla costituzione formale. Vi è la sottolineatura della opportunità di razionalizzare il funzionamento di alcune istituzioni sulla base dell’esperienza. E vi è la pretesa di legittimare una "contro costituzione", emergente nella realtà grazie alla nuda forza della politica. Questi slittamenti progressivi spingono verso l’appiattimento della costituzione sulle esigenze del sistema politico, sì che la nozione stessa di Costituzione viene travolta dall’uso tutto congiunturale che se ne fa. Non a caso Napolitano ha citato Leopoldo Elia, che metteva in guardia contro l’«illusione ottica di scambiare per mutamento costituzionale ogni modificazione del sistema politico», aggiungendo però «o del sistema elettorale».
Questa integrazione è assai significativa, perché nell’ultimo periodo si è insistito assai sul fatto che ormai proprio le norme elettorali, prevedendo ad esempio l’indicazione sulla scheda del leader della coalizione, avrebbero dato un segnale inequivocabile nel senso del rafforzamento della posizione del presidente del Consiglio, la cui investitura diretta da parte dei cittadini avrebbe sostanzialmente privato di vero significato sia l’incarico conferito dal presidente della Repubblica, sia la stessa fiducia parlamentare. Ai futuri riformatori della Costituzione, quindi, spetterebbe soltanto il compito di registrare questo dato materiale, trasformando l’Italia da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Napolitano ci ricorda che non è così, che il rapporto tra governo e Parlamento rimane il «cardine dell’equilibrio costituzionale».
Questa linea è rafforzata dalle considerazioni riguardanti la compressione del ruolo del Parlamento. Uso fluviale dei decreti legge, maxiemendamenti sui quali viene posta la questione di fiducia hanno determinato «evidenti distorsioni negli equilibri istituzionali e nelle possibilità di ordinato funzionamento dello Stato», privando il Parlamento della libertà di discutere e della stessa libertà di voto. La denuncia di questa perversa costituzione materiale, di cui Napolitano ricorda la lunga incubazione, si traduce così nella indicazione di un preciso limite alla eventuale revisione della Costituzione (e pure dei regolamenti parlamentari) che, inoltre, non potrebbe legittimare il "sistema parallelo" di produzione normativa tutto centrato sul governo, che ha finito con il «gravare negativamente sul livello qualitativo dell’attività legislativa e sull’equilibrio del sistema delle fonti».
Il punto è chiaro. La controcultura che ha via via definito la Costituzione come "ferrovecchio", "minestra riscaldata", residuo "sovietico", retaggio d’un passato ormai cancellato è in manifesto contrasto con il «risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948», già richiamato da Napolitano nel suo messaggio di insediamento. Questo non vuol dire che la Costituzione sia intoccabile: significa che la sua revisione non può determinare un cambiamento di regime. Emerge così un punto oscurato dalla discussione di questi tempi. Non è vero che si siano confrontati in passato e si confrontino oggi innovatori lungimiranti e chiusi conservatori. Il confronto è stato e rimane tra chi sostiene la "buona manutenzione della Costituzione", che ne rispetta fondamenti e principi, e chi vuole imboccare una strada che è legittimo definire "eversiva" perché proprio da quei fondamenti e principi vuole prendere congedo.
Non è un caso, ancora una volta, che Napolitano parli di «essenziali» e «ben mirate proposte di riforma» e che ricordi il referendum con il quale, nel 2006, sedici milioni di cittadini (il 61,32% dei votanti) bocciarono la riforma costituzionale approvata dal centrodestra. Di questo è bene avere memoria. In tempi in cui il consenso popolare viene impugnato da Pdl e Lega come una clava per screditare le istituzioni, per promuovere campagne contro ogni forma di garanzia, è almeno singolare che questi stessi soggetti dimentichino che la loro linea venne clamorosamente sconfessata proprio da un voto popolare. E in questa apparente contraddizione si coglie un altro tratto della "costituzione materiale" che si vorrebbe proiettare nel futuro.
Un assetto costituzionale "escludente", dove hanno voce e legittimità solo coloro i quali si riconoscono nella logica personalistica, autoritaria, e che accettano una deriva populista che li priva di autonomia critica e li accetta solo se pronti a tributare un applauso al leader. Vera riforma istituzionale è quella che può liberarci da questi rischi, già sperimentati, e che, rifiutando la riduzione del governo a logica aziendalistica, restituisca alle istituzioni quella dignità che possono riguadagnare solo se tornano ad essere davvero interlocutori affidabili e continui dei cittadini.