SPIEGEL, TROVATI VERI RESTI DI ROSA LUXEMBURG *
BERLINO - Il direttore del dipartimento di medicina legale dell’ospedale berlinese Charité, Michael Tsokos, potrebbe avere scoperto i veri resti di Rosa Luxemburg, figura storica del socialismo tedesco assassinata 90 anni fa nella capitale insieme a Karl Liebknecht. Lo riporta oggi lo Spiegel online. Secondo Tsokos, quindi, nella tomba della Luxemburg, nel cimitero di Friedrichsfelde, non ci sarebbe il vero cadavere della donna, che invece potrebbe essere quello ritrovato nello stesso Charité.
Nell’ospedale il medico legale ha scoperto il corpo di una donna - morta decine di anni fa - privo di testa, mani e piedi. Tuttavia, il cadavere mostra "forti somiglianze" con quello che dovrebbe essere dell’ex leader socialista, secondo Tsokos. Infatti, il cadavere ritrovato appartiene a una donna fra 40 e 50 anni di età - la Luxemburg ne aveva 47 quando venne assassinata - che soffriva di artrosi ed aveva una gamba più corta dell’altra. La rivoluzionaria, da parte sua, soffriva di una malformazione genetica all’anca e per questo neanche le sue gambe erano della stessa lunghezza.
Fondazione Luxemburg sconvolta: «Il governo faccia luce»
di Roberto Arduini *
I responsabili della «Fondazione Rosa Luxemburg» si dicono sconvolti dalla notizia, rivelata con uno scoop dal settimanale Der Spiegel. «Siamo sconvolti», è scritto in un comunicato emesso dalla Fondazione, «per il fatto che il 13 giugno 1919 sia stata sepolta una sconosciuta al posto di Rosa Luxemburg».
«Ciò è potuto avvenire», prosegue il testo, «per una perfida collaborazione tra il Reichswehr (l’esercito tedesco dell’epoca, ndr), l’istituto di medicina legale e la procura, anche se a tirare i fili fu il ministro della Difesa, Gustav Noske (appartenente al partito socialdemocratico, ndr). Dopo l’assassinio di Rosa Luxemburg su commissione dello Stato, c’è stata anche la farsa ripugnante dello Stato con il cadavere della defunta».
«Siamo ancora più sconvolti», recita il comunicato, «per il fatto che fino ad oggi i resti mortali di Rosa Luxemburg siano rimasti in uno scantinato del Museo di Storia della Medicina dell’ospedale Charitè di Berlino».
La Fondazione Luxemburg e la Linke di Oskar Lafontaine chiedono al governo tedesco, «nella sua qualità di successore dei governi del Reich», di «fare il possibile per identificare i resti del cadavere di donna rinvenuto alla Charitè e darle finalmente l’estrema sepoltura».
Charité - Universitätsmedizin Berlin is the medical school for both the Humboldt University and the Free University of Berlin. After the merger with their fourth campus in 2003, the Charité claimed to be the largest university hospital in Europe (Wikipedia)
La storia dell’ospedale "Charité" inizia nel 1710 con la costruzione di una casa di quarantena durante l’epidemia di peste. Nel 1800 i termini "Charité" e Facoltà di medicina diventano sinonimi.
L’ospedale "Charité" di Berlino, dislocato in quattro sedi, ha 3.300 letti, 14.000 persone nell’organico, 8.000 studenti, oltre 60 sale operatorie ed un fatturato annuo che supera il miliardo di euro. Oggi è il più grande ospedale universitario d’Europa. Proseguendo l’ormai consolidata tradizione di ricerca, alla cui origine stanno famosi eruditi come Virchow e Koch, l’ospedale "Charité" viene considerato alla stregua di Harvard (USA) e Oxford (UK).
Dopo 90 anni, scoperto il vero corpo di Rosa Luxemburg
di Roberto Arduini *
Nel cimitero berlinese di Friedrichsfelde c’è la tomba di Rosa Luxemburg, ma forse in quella bara il corpo della figura storica del socialismo tedesco non c’è mai stato: un patologo di Berlino potrebbe avere trovato i veri resti della Luxemburg, “dimenticati” nell’ospedale Charitè della capitale. La notizia è dello Spiegel online, che definisce «storico» il ritrovamento, oltre 90 anni dopo l’uccisione della leader comunista.
Il direttore del dipartimento di medicina legale dello Charitè, Michael Tsokos, ha scoperto - in un obitorio dell’ospedale - il corpo di una donna deceduta decine di anni fa. Analisi approfondite determineranno se la tesi del patologo è esatta, ma il solo dubbio che nella tomba di Friedrichsfelde non riposa la Luxemburg sarebbe scioccante per generazioni di simpatizzanti di sinistra e femministe in tutto il mondo, che ogni anno - a decine di migliaia - visitano il cimitero della per rendere omaggio alla rivoluzionaria tedesca.
Le analisi mediche
La pressione su Tsokos per accertare l’identità del cadavere trovato allo Charitè, quindi, è forte. Per il momento, sul corpo - scoperto nell’obitorio del Museo di storia medica dell’ospedale - è stata eseguita una tomografia, che secondo il patologo mostra «forti somiglianze» con quello che dovrebbe essere dell’ex leader comunista.
Tsokos ha ordinato la tomografia poiché i risultati dell’autopsia eseguita nel 1919 non lo convincevano. I nuovi risultati sono stati sorprendenti. Il corpo della donna - che giaceva in quella cantina da decenni - è privo di testa, mani e piedi. Tuttavia, le analisi hanno dimostrato che appartiene a una donna fra 40 e 50 anni di età - la Luxemburg ne aveva 47 quando venne assassinata - che soffriva di artrosi ed aveva una gamba più corta dell’altra.
La rivoluzionaria, da parte sua, soffriva di una malformazione genetica all’anca e per questo neanche le sue gambe erano della stessa lunghezza. Sono stati poi eseguiti altri test, presso un laboratorio di Kiel (Nord), che hanno confermato il periodo della morte della donna. La mancanza della testa, delle mani e dei piedi, farebbe pensare inoltre a un tentativo di eliminare i segni delle torture che la Luxemburg subì - nell’Hotel Eden della capitale - prima di morire. Fatto sta, che il cadavere della rivoluzionaria comunista venne gettato in un canale e recuperato solo circa cinque mesi dopo. Solo allora, venne trasportato allo Charitè per l’autopsia. Dall’ospedale, la salma sarebbe stata poi interrata al cimitero di Friedrichsfelde insieme a quella di Liebknecht. Ma forse venne subito fatta a pezzi e semplicemente dimenticata.
Vedi anche: Una vita tra politica e carcere
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CHARITÉ: SOCIALISMO O BARBARIE ....
Riccardo Cristiano. Bergoglio o barbarie *
Riccardo Cristiano racconta il suo saggio Bergoglio o barbarie, pubblicato da Castelvecchi nel 2020. L’idea di scrivere questo libro è venuta a Cristiano dopo l’incontro con un teologo che lo invitava ad andare negli Stati Uniti d’America per verificare di persona che l’alternativa a Bergoglio è la barbarie. Un’alternativa che ricordava quella famosa di Rosa Luxemburg tra socialismo o barbarie. Sostituire l’ideologia socialista con una persona come Bergoglio ha mostrato che il problema non era l’idea ma la realtà, perché la realtà è più importante delle nostre idee e il sole è quello che brilla oggi non quello dell’avvenire.
I suoi atti pontificali principali sono stati, secondo Cristiano, il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza, che è l’antefatto dell’enciclica Fratelli tutti, l’accordo provvisorio con la Cina e il Sinodo per l’Amazzonia che è un po’ la sintesi del suo pontificato:
Riccardo Cristiano, particolarmente attento al dialogo interreligioso, a lungo coordinatore dell’informazione religiosa di Radio Rai, è fondatore dell’Associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio e collabora come vaticanista con «Reset» e «La Stampa». Ha pubblicato con Castelvecchi Medio Oriente senza cristiani? (2014), Bergoglio, sfida globale (2015), Siria. L’ultimo genocidio (2017) e ha curato il volume Solo l’inquietudine dà pace. Così Bergoglio rilancia il vivere insieme (2018).
* FONTE: RAI CULTURA/FILOSOFIA
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
VICO E MARX CONTRO LA PRASSI (ATEA E DEVOTA) DELLA CARITÀ POMPOSA.
FLS
ROSA LUXEMBURG
Berlino, murales con una sua frase: «La libertà è sempre soltanto libertà di chi pensa diversamente»
La strage degli spartachisti e l’ombra della guerra civile su Weimar
La Rosa rossa 1919-2019. Cento anni fa, colpendo Liebknecht e la Luxemburg i controrivoluzionari tedeschi non colpivano solo le figure fisiche di due prestigiosi capi rivoluzionari, ma il patrimonio ideale e politico che in essi si era incarnato
di Enzo Collotti (il manifesto, 15.01.2019)
A cento anni dall’uccisione di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg ad opera di soldati controrivoluzionari con la connivenza di una parte della socialdemocrazia tedesca, non è spenta la memoria della guerra civile che dilaniò con il movimento operaio tedesco il movimento operaio internazionale. L’ombra di questa guerra civile si allungò sulla repubblica di Weimar fino alle soglie del potere nazista.
Colpendo Liebknecht e la Luxemburg i controrivoluzionari tedeschi non colpivano solo le figure fisiche di due prestigiosi capi rivoluzionari, ma il patrimonio ideale e politico che in essi si era incarnato. Con essi moriva la Seconda Internazionale che era naufragata con la sua impotenza dinnanzi all’esplosione della Prima guerra mondiale, lasciando senza guida e senza orientamento milioni di uomini e donne che negli ideali dell’antimperialismo, dell’antimilitarismo e della solidarietà internazionale avevano dato vita tra la fine dell’Ottocento e la prima decade del Novecento ai grandi movimenti di massa per il suffragio universale e l’affermazione dei diritti socialii.
Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg rappresentavano con la Lega Spartachista il tentativo di resuscitare un movimento rivoluzionario tra le rovine della guerra e le prospettive aperte dalla rivoluzione russa di ottobre. La lunga solitaria battaglia condotta da Liebknecht contro il voto ai crediti di guerra della socialdemocrazia tedesca ne fece il leader naturale dell’opposizione alla guerra e di un’alternativa alla politica della socialdemocrazia.
Liebknecht continuò ad essere un uomo solo anche nei mesi finali della guerra quando il malcontento serpeggiava tra grandi masse popolari, al fronte e dietro il fronte. Ma le grandi masse in rivolta non volevano la rivoluzione, volevano più semplicemente la fine della guerra che aveva isolato la Germania e ne aveva costretto alla fame e all’indigenza la popolazione.
Prima ancora che la loro uccisione ne facesse martiri e simboli della rivoluzione tradita, Liebknecht e la Luxemburg furono incessanti promotori della critica alla subalternità della socialdemocrazia alla politica di classe della borghesia prussiana e delle forme di repressione esercitate contro le minoranze di opposizione. Soprattutto la Luxemburg fu sensibile agli stimoli che provenivano dalla rivoluzione russa del 1917, della quale percepì precocemente la natura di prodromo della rivoluzione mondiale e il germe di una nuova Internazionale.
Fu proprio l’esplosione della rivoluzione in Russia che sollecitò Liebknecht e la Luxemburg ad accelerare la spinta rivoluzionaria in Germania nella duplice ottica di sottolineare la solidarietà con il movimento in Russia ed inserire la Germania in un processo rivoluzionario continentale. In realtà la storia ha dimostrato che mancavano le premesse per un processo di questo tipo; non solo in Germania ma anche altrove in Europa il movimento operaio si mosse in direzioni diverse. Liebknecht, grande agitatore politico e tenace combattente contro la guerra, e Rosa Luxemburg, tra gli ultimi teorici del marxismo, furono travolti dal loro estremo tentativo di porre la minoranza spartachista alla testa della rivoluzione in Germania.
Karl Liebknecht non fu solo uno straordinario tribuno popolare, era, come la Luxemburg, un grande intellettuale, un grande protagonista del binomio tra lotte parlamentari e lotte di massa, bersaglio preferito per questo dei conservatori prussiani quanto amato e quasi venerato nei ceti popolari, che lo consideravano lo scudo dei loro interessi. Prima ancora che come il fondatore del Partito Comunista tedesco Liebknecht, fu vissuto nella memoria popolare come il vindice delle ingiustizie e dei soprusi.
A cento anni dall’uccisione di queste due straordinarie figure dalla loro eredità discende un patrimonio di idee e un metodo di ricerca che il tempo non ha cancellato e che costituiscono tuttora un obiettivo a cui guardare nella lotta per il raggiungimento di una società più giusta.
Una vita intensa e troppo breve
La Rosa rossa 1919-2019. «Socialismo o barbarie», contro il militarismo e i nazionalismi. La biografia di Rosa Luxemburg
di Aldo Garzia (il manifesto, 15.01.2019)
Vita breve, intensa, quella di Rosa Luxemburg.
Con alcune intuizioni teoriche che forniscono una lettura particolare del marxismo e delle conseguenze della rivoluzione russa del 1917. Infatti, prese posizione contro il revisionismo teorico di Eduard Bernstein ma fu anche critica rispetto al modello leninista di organizzazione del partito (troppo elitario, troppo per «quadri» d’avanguardia). Il che non impedì che al Congresso dell’Internazionale di Stuttgart del 1907 fu proprio Lenin a volerla fra i delegati cedendole un posto nella delegazione del Partito bolscevico.
Per Rosa Luxemburg, come per Gramsci, la rivoluzione doveva essere un processo di continua conquista di «casematte», di maturazione collettiva attraverso la strategia consiliare che avrebbe dovuto garantirne la democraticità. Ecco perché Lelio Basso, che studiò a lungo i suoi scritti, la definì esponente di un originale «socialismo libertario».
Rosa nasce a Zamość, Polonia russa, il 5 marzo 1871 da genitori ebrei. Il padre era un commerciante di legname. Quando ha appena due anni, la famiglia va a vivere a Varsavia. Una malattia all’anca la rende claudicante per tutta la vita. Al liceo entra in contatto con il gruppo clandestino Proletariat, di cui diventa militante. Nel 1889 espatria in Svizzera, perché ricercata dalla polizia. Si iscrive alla facoltà di Filosofia di Zurigo per poi passare a quella di Diritto e Scienze politiche. Si laurea nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della Polonia, redatta in un soggiorno a Parigi.
Entra in contatto con gli ambienti dei rifugiati politici russi e polacchi. Conosce Leo Jogiches che diventa suo compagno di lotta e poi di vita per un periodo. Gli anni di Zurigo sono quelli della formazione teorica e dell’impegno politico finalizzato soprattutto alla costruzione del Partito socialdemocratico polacco, successivamente trasformatosi in Partito socialdemocratico di Polonia e Lituania. Nel 1898 abbandona la Svizzera e va a vivere in Germania.
Lo stesso anno ottiene la cittadinanza tedesca. Milita da subito nell’ala sinistra della socialdemocrazia guidata da August Bebel, Si reca a Varsavia nel 1905, dove viene arrestata per la sua attività rivoluzionaria insieme a Jogiches. Riesce a tornare in Germania, dove partecipa a tutti i più importanti dibattiti nella Spd (il partito socialdemocratico), in particolare contro il militarismo e il nazionalsciovinismo che portano alla votazione in Parlamento dei crediti di guerra da parte dei deputati socialdemocratici con l’assenza di un’opposizione alla prima guerra mondiale.
Dal 1907 al 1914 insegna economia politica alla scuola di partito di Berlino. Durante la guerra, nonostante lunghi periodi di prigionia, non interruppe gli studi e la stesura dei suoi scritti. Nel 1916 è con Karl Liebknecht tra i fondatori dello Spartakusbund, il movimento spartachista che prendeva il nome dal gladiatore che aveva guidato la ribellione degli schiavi nell’impero romano. Da quel momento, con la fine di fatto della Seconda internazionale e la trasformazione assai moderata della socialdemocrazia tedesca, Luxemburg si impegna per la ricostituzione di una forza marxista rivoluzionaria che vedrà la luce proprio con la fondazione dello Spartakusbund che poi si scioglierà nel Kpd, il Partito comunista tedesco, nel 1918.
Quando scoppia la Rivoluzione russa del 1917, Rosa è convintamente al fianco dei bolscevichi. Ciò non le impedisce di avvertire i pericoli del sistema a partito unico e dall’abbandono della strategia consiliare dei soviet. Critica anche lo scioglimento dell’Assemblea costituente e la firma del trattato di Brest-Litovsk con cui la Russia esce dalla prima guerra mondiale. Lo fa nell’estate del 1918, dal carcere, dove trascorre la maggior parte del periodo tra il 1915 e il 1918. Nel pieno del tentativo della rivoluzione tedesca, viene assassinata il 15 gennaio del 1919 insieme a Karl Liebknecht (Leo Jogiches sarà assassinato nel marzo successivo) dai Freikorps, reparti militari agli ordini del governo di cui facevano parte pure i socialdemocratici: una tragedia. Rosa Luxembug aveva appena 48 anni.
La sua opera fondamentale è considerata L’accumulazione del capitale, apparsa nel 1913, prezioso contributo allo studio della politica imperialistica e coloniale dell’epoca. Il filosofo ungherese György Lukács considerava questo testo insieme a Stato e Rivoluzione di Lenin «le due opere fondamentali con le quali rinasce storicamente il marxismo moderno».
«Nel 1986 i riflettori dei cinema si accendono su Rosa Luxemburg con il rigoroso film di Margarethe von Trotta, interpretato da Barbara Sukowa e presentato a Cannes, ora visibile nella versione italiana su youtube, mentre verrà riproposto a Roma alla Casa del cinema il 21 gennaio, presente von Trotta. Dieci anni prima, nel 1976, in Italia veniva rappresentata la monografia teatrale «Rosa Luxemburg» di Luigi Squarzina e Vico Faggi.
Ricca è la reperibilità di testi di Rosa Luxemburg: “L’accumulazione del capitale, edizioni Pgreco, 2010 (è il testo più famoso, un’analisi del colonialismo e del moderno capitalismo); “La rivoluzione russa. Un esame critico”, Massari editore, 2004; “Un po’ di compassione”, Adelphi, 2007 (la descrizione delle disumane condizioni carcerarie nel penitenziario di Breslavia); “Socialismo, democrazia, rivoluzione”, Editori Riuniti University press, 2018 ; “Riforma sociale o rivoluzione?” , Editore Prospettiva, 2009; “Lettere 1915-1918”, edizioni Pgreco, 2017; “Lettere di lotta e disperato amore”, Feltrinelli, 2019 (le missive dal carcere); “Scritti politici” (due volumi prefati e curati da Lelio Basso), Editori Riuniti Internazionali, 2012; “La lega spartachista” (il programma del gruppo neocomunista, a cura di Gilbert Badia), Pgrego, 2016. Di Lelio Basso, il socialista italiano che più di altri ha studiato la comunista polacco/tedesca: “Per conoscere Rosa Luxemburg”, Mondadori, 1970. (a. ga.)
Il dilemma di Rosa Luxemburg
Il suo sì al putsch cambiò la storia della sinistra
di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 13.01.2019)
Il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg veniva assassinata, insieme con Karl Liebknecht, a Berlino da un gruppo di militari schierati con il governo della neonata repubblica tedesca. Era la conclusione della repressione feroce di quella che fu chiamata «la rivolta di Spartaco». Ma l’assassinio di Rosa fu compiuto a freddo e il suo corpo fatto sparire. L’obiettivo era quello di eliminare una personalità politica fuori dal comune, una studiosa marxista originale, una indomita pacifista. Donna sensibile ed emancipata, grande oratrice, sapeva affascinare la gente comune e intrattenersi polemicamente con eminenti intellettuali professionali. Tenace ma leale critica di Lenin - anche se soltanto nella agiografia successiva sarebbe stata stilizzata come la sua controfigura storica.
La sua grande personalità tuttavia non ci impedisce di porci interrogativi sulle giustezza politica della sua scelta finale. Ma sono interrogativi senza risposta. Soltanto un’audace e inverificabile ipotesi controfattuale può affermare che se Rosa Luxemburg fosse sopravvissuta e avesse valutato più realisticamente la situazione tedesca avrebbe potuto salvare il partito comunista tedesco dalla micidiale subordinazione al leninismo-stalinismo vincente. L’ipotesi però non è del tutto stravagante perché alcuni marxisti di ispirazione luxemburghiana avrebbero tentato invano questa strada. Si sarebbe evitata la smisurata ostilità (reciproca) verso la socialdemocrazia e la sua conseguenza fatale. La divisione tra i due partiti operai infatti è stata una delle ragioni decisive della paralisi della democrazia weimariana e dell’affermazione del nazionalsocialismo.
Invece l’assassinio di Rosa Luxemburg ha fossilizzato per decenni la memoria storica dell’antagonismo, morale prima ancora che politico, tra comunisti e socialdemocratici. Per i comunisti quel delitto era senz’altro il segno tangibile del tradimento della socialdemocrazia, messasi al servizio del capitalismo e decisa ad usare a questo scopo le forze armate «regolari» e quelle «volontarie» ostili alla stessa repubblica.
In realtà il governo socialdemocratico, consapevole dello scarso consenso della borghesia e del potenziale eversivo delle forze reazionarie ostili alla repubblica, puntava tutto sulla rapida costituzione di un sistema democratico con forti garanzie sociali.
La repubblica (di Weimar - come si chiamerà) sarà il primo esempio di una democrazia politica strutturalmente saldata con gli istituti dello stato sociale. Specularmente però la socialdemocrazia condannava assolutamente l’esperimento sovietico leninista di cui erano evidenti gli aspetti totalitari, violenti e il caos economico. E quindi respingeva le sue imitazioni tedesche.
Nel giro di poche settimane dalla proclamazione della repubblica (9 novembre 1918) il movimento operaio, protagonista della rivoluzione, si era disarticolato in due partiti socialdemocratici (maggioritario e indipendente) con forti tensioni interne e in altri raggruppamenti minori. La formazione più significativa era lo Spartakusbund guidato da Karl Liebknecht. Quest’ultimo già nel pomeriggio del 9 novembre aveva proclamato la «libera repubblica socialista di Germania» esigendo che tutto il potere esecutivo, legislativo e giudiziario fosse affidato ai Consigli degli operai e dei soldati. Era appunto il modello dei «soviet» nettamente contrapposto al modello costituzionale proposto dal governo socialdemocratico.
Ma il contrasto politico diventa guerra civile quando per affermarsi le parti in conflitto ricorrono alle minacce delle armi o al loro uso effettivo, anche su questioni che si potrebbero affrontare diversamente. È quanto accade in grave misura in dicembre, culminante nel cosiddetto «Natale di sangue». Il Paese pullula di formazioni armate, alcune sotto il diretto controllo del governo, altre gestite dai vertici militari che godono o «contrattano» con il governo una ambigua autonomia, politicamente disposta a combattere esclusivamente i rivoluzionari comunisti.
Di questa complicata vicenda meritano di essere messe a fuoco due questioni cruciali, che qui mi limito a segnalare. (1) Il conflitto tra spartachisti (poi comunisti) e socialdemocratici ha il suo punto politico discriminante nella elezione della Assemblea costituente (se, come e quando convocarla). (2) Rosa Luxemburg non solo disapprova la Costituente, ma si fa coinvolgere in un tentativo di colpo di Stato comunista (5-10 gennaio), che non ha prospettive.
Per noi oggi è scontato che dopo una serie di fatti rivoluzionari si debba costituire e formalizzare un nuovo ordine politico e sociale. In termini istituzionali si tratta di eleggere un ’Assemblea costituente. È esattamente quanto decide il Congresso nazionale dei Consigli tra il 16 e il 21 dicembre a Berlino, respingendo a larga maggioranza (344 voti contro 98) la proposta dei sostenitori di un «puro sistema consiliare» (o dei soviet) di trasferire immediatamente il potere legislativo, esecutivo e giudiziario ai consigli operai esistenti - esattamente come sta accadendo nella Russia di Lenin. Per tragica ironia l’elezione per la Costituente è fissata per il 19 gennaio quando a Mosca per ordine di Lenin è dissolta la Costituente a favore esclusivo dei soviet esistenti dominati dai bolscevichi.
Siamo così alla seconda questione. Rosa Luxemburg aveva scritto nel Programma che «lo Spartakusbund non prenderà mai il potere di governo se non attraverso la chiara e inequivocabile volontà della grande maggioranza della massa proletaria della Germania» . Di fatto però aderisce (non senza qualche iniziale perplessità) alla sollevazione comunista di gennaio, che era un tentativo mal organizzato e mal diretto di putsch contro il governo da parte di una esigua minoranza radicale. Nulla di simile a quanto stava accadendo in Russia. Lenin non aveva davanti forze politiche storicamente forti, popolari e organizzate come la socialdemocrazia tedesca, che al momento poteva disporre - sia pure pericolosamente - di un «legittimo sostegno militare».
Le storiografie di ieri e di oggi danno varie spiegazioni di quanto è accaduto. Arthur Rosenberg, egli stesso membro del partito comunista sino al 1927, nella sua classica Storia della repubblica tedesca (1935) parla di un’azione dettata da «spirito di un fanatico utopismo». Intanto rimane il mito, ormai oggi sottilmente depoliticizzato, di Rosa Luxemburg.
Coldcase
Dopo 100 anni tutta la verità sul delitto Luxemburg
di Tonia Mastrobuoni (la Repubblica, 07.01.2019)
Poco prima di mezzanotte del 15 gennaio 1919 un gruppo di Freikorps, di miliziani di destra al soldo del ministro della Difesa Gustav Noske (Spd), assalta l’auto che sta portando Rosa Luxemburg al carcere di Moabit. Un uomo salta sul predellino e le spara in testa. Il corpo della leader spartachista viene poi gettato in un canale. Mezz’ora prima Karl Liebknecht subisce un destino simile: viene fucilato alle spalle in un’imboscata. La versione ufficiale è che il capo dei rivoluzionari sia morto durante un tentativo di fuga; su Luxemburg si sparge la voce che sia stata linciata dalla folla. Mentre ci si avvia al centenario di quell’atroce assassinio, la domanda che continua a impegnare gli storici è quella della responsabilità della Spd.
Che ci fosse l’ombra dei socialdemocratici e in particolare di Noske sulla duplice esecuzione, è noto. Lo ha ricordato persino di recente Andrea Nahles. Ma che, ansiosi di stroncare sul nascere la rivoluzione, i vertici della Spd fossero direttamente responsabili della doppia imboscata, sembra emergere da documenti inediti citati dalla Faz. Che gettano una luce inquietante anche sull’uomo che da lì a qualche settimana sarebbe diventato il presidente della neonata Repubblica di Weimar, Friedrich Ebert.
Poteva non sapere? Per la Faz ormai non ci sono dubbi: è stato un socialdemocratico a organizzare materialmente le due esecuzioni, il capitano dell’esercito guglielmino Waldemar Pabst. Molti anni dopo, nel 1961, Pabst viene registrato durante un incontro con ex commilitoni. L’articolo cita l’inedito discorso: «Con quella giusta punizione», cioè l’assassinio di Luxemburg e Liebknecht, «spezzammo la schiena alle persone» che sostenevano la rivoluzione socialista, racconta.
Aggiungendo di aver sentito di persona i comizi di Luxemburg: «Adolf Hitler non era neanche lontanamente così bravo. La gente era pazza di lei». L’ex militante Spd diventata rivoluzionaria e il suo compagno di strada andavano insomma eliminati. Nei giorni di Natale del 1918, Pabst e il ministro della Difesa della Spd Noske organizzano dunque la riconquista di Berlino con le milizie dei Freikorps. Quando catturano «i due alti traditori» Luxemburg e Liebknecht, come li chiama Pabst nelle sue memorie, lui contatta il ministro Noske. «Eravamo d’accordo sul "cosa", ma quando gli chiesi il "come", Noske mi disse: "Non è affar mio! Spaccherebbe il partito».
Nell’olimpo della Spd - lo ha ricordato anche Nahles di recente - continua a brillare la stella di Rosa Luxemburg. Ma alla luce di queste rivelazioni, sulla sua morte andrebbe alzato ogni velo.
Tutte in piazza in difesa delle donne il 26 novembre a Roma
IL PANE E LE ROSE - «Io ci sarò e spero di incontrarvi tutte e tutti per la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne indetta da #nonunadimeno» di Serena Dandini (Corriere della Sera, IOdonna, 12.11.2016)
Il 26 novembre a Roma io ci sarò e spero di incontrarvi tutte e tutti per la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne indetta da #nonunadimeno. Ve lo ricordo in anticipo, così non prendete impegni. Oggi come non mai è importante stare insieme, guardarsi in faccia, riconoscersi e condividere questa giornata necessaria. Siamo davanti a una strage che teoricamente tutti dicono di voler combattere ma che, in pratica, siamo ancora ben lontani dall’affrontare nella sua complessità. I numeri continuano a parlare chiaro: «Un terzo delle donne italiane, straniere e migranti, subisce violenza fisica, psicologica, sessuale, spesso fra le mura domestiche e davanti ai figli».
Pur guardando in positivo a tutte le risoluzioni già messe in atto, è evidente che ancora manca una visione globale in grado di unire le varie iniziative pubbliche e, soprattutto, gli sforzi volontari e coraggiosi delle donne ogni giorno attive nei centri antiviolenza e negli spazi impegnati a combattere questa piaga sociale, troppo spesso senza essere riconosciute e sovvenzionate. Il femminicidio, e anche la violenza fisica o psicologica sulle donne, non è un’emergenza da risolvere solo con l’intervento dell’ordine pubblico: è la conseguenza di una cultura che, indisturbata, continua a perpetrare atteggiamenti e stereotipi duri a morire. A volte arrivando addirittura a giustificarli come un effetto collaterale, quasi “naturale”, della nostra società. Ecco perché risultano sempre più insopportabili i programmi tv pietitistici e consolatori o, peggio, le inchieste para-giornalistiche che scavano nei dettagli morbosi dei casi di cronaca, solo per portare a casa qualche punto di share in più.
Siamo stufe anche delle ricorrenze simboliche dedicate al problema. Lo dicono per prime le animatrici della giornata del 26 novembre che individuano nel corteo solo un momento di un lavoro più ampio, portato avanti da mesi. La manifestazione nazionale è la tappa di un percorso che vuole mobilitare le donne di tutta Italia e magari anche gli uomini, perché no? Per proporre alla politica un piano programmatico.
Prima urgenza: l’inserimento nelle scuole di una materia oggi considerata un tabù come “l’educazione alle differenze”. Ogni volta che nel nostro Paese si accenna alla necessità di cominciare ad aprire il discorso proprio dai bambini, purtroppo già intrisi da una cultura sessista, si grida allo scandalo. Eppure è proprio lì il centro del ciclone: una diseducazione che porta come emanazioni dirette l’intolleranza, l’omofobia, il bullismo e ogni genere di violenza. Effetti indesiderati di cui ci accorgiamo solo troppo tardi.
Se volete saperne di più sul prezioso lavoro di queste associazioni, potete consultare il blog nonunadimeno.wordpress.com. E vi ricordo che nel corteo non saranno accettate bandiere, slogan e striscioni di organizzazioni di partito o sindacali. Almeno una volta le strumentalizzazioni sul corpo delle donne sono sospese a data da destinarsi.
FIORE CONSIGLIATO: Rosa rampicante Spirit of Freedom. Profumata e rifiorente, con numerosi petali color malva.
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht
risponde Luigi Cancrini (l’Unità, 24.01.12)
RISPOSTA La storia del mondo sarebbe stata un’altra se un po’ di rispetto in più vi fosse stato per chi, come Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, predicava la fratellanza, la solidarietà e l’uguaglianza fra gli esseri umani basandosi sulle idee di Marx e di Engels. Del comunismo si ricordano oggi solo le degenerazioni staliniste perché molto piace (fa comodo) a chi parla di storia senza averla studiata, identificare il comunismo con il totalitarismo sovietico e perché assai scomodo sarebbe parlare dei comunisti che sono morti per un ideale di libertà.
Nati dall’odio verso questi uomini e queste donne e dalla paura delle loro idee, nazismo e fascismo in tutto hanno fallito, forse, tranne che nel tentativo di sporcarne la memoria e il compito di chi in un’idea comunista ha creduto diversa da quella paranoica di Stalin e dei gulag, è quello di restituire ai giovani di oggi il senso di quello che è stato ed è davvero il ruolo delle idee di Marx e di Rosa Luxemburg nella storia del nostro tempo. Senza nulla nascondere delle atrocità compiute in nome loro ma senza aver paura, neppure, di recuperarne e difenderne il discorso originario.
In un convegno organizzato dalla Società Dante Alighieri a confronto Zagrebelsky e Carofiglio.
"Molti termini di uso corrente sono diventati oggetti contundenti"
di MANUEL MASSIMO *
Tempo di bilanci per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Anche sulla lingua: uno degli elementi più importanti e "aggreganti" di un’identità nazionale sembra essere entrato in crisi, soprattutto a causa dell’appropriazione "indebita" di alcune parole da parte della politica, fenomeno oggi più che mai attuale. Uno spunto di riflessione arriva dal convegno organizzato a Roma dalla Società Dante Alighieri, nell’ambito del progetto "Pagine Aperte", per conversare con gli autori di due recenti scritti sul linguaggio della politica: "Sulla lingua del tempo presente" del presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky - ordinario all’Università di Torino e presidente onorario dell’Associazione Libertà e Giustizia - e "La manomissione delle parole" dello scrittore - ex magistrato oggi senatore del Pd - Gianrico Carofiglio.
Scendere in campo. "Il lessico del berlusconismo è il prodotto di un ambiente". Il professor Zagrebelsky si sofferma sull’espressione con cui Silvio Berlusconi irruppe sulla scena politica il 26 gennaio 1994: "Scendere in campo: una metafora calcistica che rappresenta l’esatto contrario di quello che dovrebbe accadere in una democrazia". Un discorso in cui si sosteneva che ci fosse bisogno di un "deus ex machina", di un salvatore per uscire da una situazione difficile. Uno schema mentale - sostiene Zagrebelsky - che negli anni ha fatto scuola e influenzato profondamente il nostro modo di pensare: "Quando dall’altra parte (leggi: Partito Democratico, ndr) si attende l’arrivo di un ’papa stranierò non si sta forse ricalcando lo stesso modello?".
Innocenti evasioni. Secondo Zagrebelsky c’è un’altra espressione ormai entrata nel lessico comune - "mettere le mani nelle tasche degli italiani" - che trascina con sé l’idea che pagare le tasse non sia ciò che dice la Costituzione (cioè un dovere di cittadinanza) ma venga considerato come un borseggio. Quindi in pratica un via libera all’evasione fiscale "giustificata" attraverso il semplice uso di una formula: "Le metafore possono essere pericolosissime: sono dei trasferimenti, si prende un termine da un contesto e lo si trasporta in un altro ambito; ma tutto ciò che sta dietro a questo contesto di partenza tende a trasferirsi nel nuovo".
Maneggiare con cura. "Le parole sono come rasoi: pericolosi a seconda di chi li maneggia. Molte parole fondamentali del lessico civile sono diventate oggetti contundenti". Il senatore Carofiglio concorda sulla necessità di rispettare la natura delle parole però, a differenza di Zagrebelsky, ritiene che la comunicazione politica non possa fare a meno delle metafore: "Oggi il politico italiano che riscuote il maggior successo in pubblico è Nichi Vendola perché i suoi discorsi sono innervati di metafore che alludono all’esperienza sensoriale e non all’astrattezza concettuale. Questo è uno dei suoi punti di forza: l’uso consapevole di metafore che mettono in moto dei meccanismi interiori in chi ascolta".
Luoghi troppo comuni. La politica si è letteralmente impadronita di espressioni mutuate da altri contesti o coniate ex novo e le ha fatte diventare dei "luoghi comuni linguistici" di cui i cittadini - come denuncia Zagrebelsky - spesso non comprendono l’esatto significato. Si parla e si ragiona per frasi fatte, senza approfondire i concetti. Carofiglio sottoscrive e rilancia, elencando le parole oggetto di "furto": democrazia, libertà, amore. Ma anche le espressioni abusate o usate a sproposito di cui sarà difficile liberarsi: "lo scontro tra politica e giustizia", "le parole d’ordine della sinistra", "l’utilizzatore finale" e la lista potrebbe continuare ancora ad libitum.
Senza vergogna. Carofiglio sostiene che la vergogna - anche e soprattutto in politica - sia un sentimento da coltivare maggiormente: "L’incapacità di vergognarsi da parte di chi dovrebbe farlo è pericolosa: solo chi riesce a provare vergogna ha la capacità di praticare il suo contrario, cioè l’onore. La caratteristica della vergogna è di essere un segnale, un fondamentale meccanismo di tutela della salute morale". In mancanza di questo campanello d’allarme si rischia la degenerazione, si continua a perseverare nell’errore che non si riconosce come tale; capita così che perfino "comportamenti in bilico fra il malcostume da basso impero e il territorio del penalmente rilevante" che stanno monopolizzando da mesi l’agenda-setting della politica vengano esibiti con orgoglio e rivendicati davanti a tutti.
Interpretazione e omologazione. "Parole: bisogna conoscerne tante e usarne poche". Questa la formula aurea che Zagrebelsky individua per "tutelarsi" dai pericoli insiti nel linguaggio: "Dobbiamo cercare di usare poche parole: servono a comunicare ma ogni parola è un trabocchetto. Da giurista osservo che il legislatore cade in questo equivoco usando centinaia di parole: senza capire che ognuna di esse si presta a essere interpretata". Ma per poter decodificare la realtà che ci circonda occorre avere un buon bagaglio linguistico: "Se noi non abbiamo le parole non abbiamo neanche le idee". E contro il pericolo di un’omologazione della lingua - veicolata attraverso i mass media - è bene: "Coltivare la varietà del linguaggio e fare un buon uso - accurato, consapevole e cosciente - delle parole". E compiere ogni giorno il gesto rivoluzionario di cui parlava Rosa Luxemburg: "Chiamare le cose con il loro nome".
* la Repubblica, 17 febbraio 2011
Luxemburg, la ricerca del corpo perduto
Un libro smentisce la tesi che i resti siano quelli ritrovati alla Charité
di JACOPO IACOBONI (La Stampa, 8/1/2010)
E dunque, ironia della Storia o forse più malignamente astuzia della Ragione, dietrofront: il cadavere che la scorsa primavera fu trovato a Berlino negli scantinati dell’ospedale della Charité non è quello di Rosa Luxemburg.
Lo sostiene un libro documentatissimo che esce oggi in Germania, La morte di Rosa Luxemburg, firmato da Klaus Gietinger, un saggista e regista che ha scovato 60 documenti, molti dei quali inediti, per smontare la tesi dell’ultimo presunto ritrovamento. Curioso, tra parentesi, che il libro sia pubblicato dalla Rosa Luxemburg Stiftung, la fondazione che in maggio aveva apparentemente avallato le rivelazioni dell’ospedale, e oggi sembrerebbe avere altra idea, proprio alla vigilia del pellegrinaggio tradizionale che ogni 10 gennaio si tiene al cimitero di Friedrichsfelde per omaggiare le salme di Rosa e Karl Liebknecht.
Vale allora la pena riraccontare questa storia, che ha a che fare col personaggio più fascinoso dell’intera storia del comunismo ma anche e probabilmente soprattutto con le strane evocazioni che la vicenda di quel Corpo è capace di suscitare, oggi, qui, nella stagione della più cupa crisi economica che ricordiamo, e nello stesso tempo di uno speculare spettro che sentiamo evocare col nome di «ritorno a Marx». Perché, in definitiva, quel Corpo - sapere a chi appartenga e come fosse davvero fatto - ci seduce ancora così? Di cosa abbiamo bisogno, nell’incertissimo inizio del 2010, quando cerchiamo di stanare ancora il volto di Rosa, assegnandolo alla dimensione di un simbolo?
Prima di rispondere bisogna riassumere un antefatto, e l’antefatto di questa storia è a maggio, quando Michael Tsokos, direttore del dipartimento di medicina legale della Charité di Berlino trova un corpo senza testa nei sotterranei dell’ospedale, lo analizza, confronta foto e, a suo dire, mancate autopsie, e giunge a una conclusione che merita di essere gridata, naturalmente a mezzo media. L’uomo convoca giornalisti e tv di mezzo mondo. I media accorrono e registrano l’annuncio, «con tutta probabilità» quello è il vero corpo della rivoluzionaria uccisa il 15 gennaio del 1919 dalla soldataglia di destra e gettata in un canale che affluisce nella Sprea. Lo Spiegel ci fa una copertina, sereno. Qualcuno è più prudente, e a ragione.
Rossana Rossanda, per dirne una, riflettendo con La Stampa esprime dubbi fondatissimi. Il più difficile da aggirare è che la foto che compare in tutte le biografie della Luxemburg, per esempio quella di Paul Frolich - un classico che fa testo - mostra un corpo che per quanto malridotto non era stato decapitato. E nessuno dei biografi successivi, potendosi basare sulle fonti privilegiate e più vicine all’omicidio - cioè, va detto, i soldati che l’ammazzarono, prima ancora del gruppo di amici e simpatizzanti - ha mai fatto cenno a una versione diversa. Tra l’altro nessuno che abbia condotto ricerche in epoche relativamente recenti, per esempio la grande Margarethe Von Trotta, che ci fece un film, parla mai di una decapitazione. Come mai gli assassini si sarebbero dovuti accanire post mortem sul corpo mutilandolo, e è possibile che non esista nessunissima menzione di tutto questo?
Racconta Klaus Gietinger «da vent’anni volevo fare un documentario sulla Luxemburg, e quando ho letto le dichiarazioni di Tsokos sul ritrovamento del vero corpo, mi è venuta voglia di rimettermi a cercare». Ecco quello che ha trovato. Primo documento, il telegramma di Mathilde Jacob, segretaria e amica dell’autrice dell’Accumulazione del capitale, che dichiara «quello è senza dubbio il corpo della Luxemburg». Poi una smentita punto per punto delle principali tesi esposte da Tsokos. Il medico disse che non esiste nessuna foto del cadavere, né alcun cartellino che attesti la sua identità, al momento dell’autopsia. Gietinger mostra che questo è vero per la prima autopsia, ma ce ne fu una seconda, dove compare foto e annotazione del nome dell’ammazzata. Tsokos afferma che nel corpo «ufficiale», (conservato al cimitero dei socialisti a Berlino) mancano le caratteristiche tipiche del difetto d’andatura di Rosa, che aveva un problema all’anca. Gietinger scrive invece che l’autopsia originaria parla di «deformazione della colonna vertebrale». Il che spiegherebbe benissimo anche la frase di Maxim Zetkin - altro amico di lei - che dichiarò «Rosa zoppicava solo quando era stanca». Tsokos spiega che nell’autopsia non si fa cenno a nessun foro di proiettile. Gietinger esibisce il documento che spiega che non è vero: sul corpo di Rosa fu annotato un foro di 7 millimetri con entrata all’altezza dell’orecchio sinistro, e uscita all’altezza della mandibola destra. La Luxemburg fu assassinata con un colpo a bruciapelo.
La storica Annelies Laschitza sottolinea che un esame comparato dei documenti addotti dai duellanti, porta a concludere che «finora non c’è nessuna prova che il presunto ultimo ritrovamento sia quello di un vero corpo della Luxemburg». E Tsokos, il medico che fece lo «scoop», in questi sette mesi non è riuscito a trovare nessuna conferma dagli esami del Dna. Tra parentesi, l’ultima erede della rivoluzionaria, che vive in Israele, si è rifiutata di sottoporsi a un test per una teoria che giudica infondata. Piccola curiosità, per noi che brancoliamo alla ricerca del Simbolo: quando fu uccisa, indossava un vestito di velluto blu (che la sua amica Wanda Marcusson riconobbe), un medaglione al collo, un paio di calze che arrivavano poco sopra il ginocchio, donna sorella delle nostre compagne di oggi.
Luxemburg e Lenin. Due idee di comunismo
risponde Sergio Romano (Corriere della Sera, 11.10.2015)
Sto leggendo il libro «Lenin» di Ferdynand Antoni Ossendowski, libro che costò all’autore la nomea di nemico del popolo e per il quale l’Nkvd lo ricercò fino a che non ne ritrovò e riesumò il cadavere. Nel libro il protagonista appare come un cinico, ma la sua cattiveria viene più che altro manifestata con l’indifferenza piuttosto che con una reale malvagità. Mi ha colpito il fatto che Lenin giovane parla con ammirazione di Rosa Luxemburg, mentre una volta attuata la rivoluzione d’ottobre i loro destini si separarono e la donna non approvò le crudeltà a cui il rivoluzionario russo dovette ricorrere per realizzare il suo piano. Questo almeno è ciò che ho ricavato dalle mie letture. Potrebbe esprimere la sua opinione?
Franca Piccinini
franchina.dolce@tiscali.it
Cara Signora,
I rapporti fra Lenin e Rosa Luxemburg passarono attraverso fasi alterne. Vi furono momenti in cui ciascuno dei due traeva spunti di riflessione dagli scritti dell’altro; e vi furono momenti in cui i due adottarono linee diverse scambiandosi frecciate polemiche.
Alla nascita, Rosa era polacca, quindi allora russa, e aveva fatto i suoi primi passi politici negli ambienti socialisti di Varsavia; ma il cuore del socialismo europeo, agli inizi del Novecento, era a Berlino e nella classe operaia del Secondo Reich.
Per trasferirsi in Germania sposò pro forma un operaio tedesco, ebbe diritto a un nuovo passaporto e cominciò una nuova vita nei ranghi della Social Democrazia tedesca. Ma era troppo indipendente per subire, senza distinguersi e dissentire, la disciplina del partito.
Non era d’accordo con le tesi riformiste di Eduard Bernstein e sembrava essere in maggiore sintonia con il massimalismo di Karl Liebknecht, il deputato che nel 1914 aveva votato contro lo stanziamento dei fondi necessari alla guerra. Con Liebknecht, due anni dopo, Rosa Luxemburg fondò la Lega Spartachista e con lui preparò la rivoluzione del novembre 1918.
La rivoluzione tedesca durò un anno e fu una doppia guerra civile: la prima fra la Germania comunista e quella moderata, la seconda tra la fazione antibolscevica del socialista Gustav Noske e quella degli spartachisti di Liebknecht, Luxemburg e Wilhelm Pieck. Rosa aveva spesso posizioni originali, diverse da quelle dei suoi compagni e, in particolare, non approvava la durezza con cui Lenin, in Russia, stava sopprimendo ogni opposizione. Ma questo non impedì che la sua sorte fosse quella di Liebknecht e altri spartachisti.
Fu arrestata nel gennaio del 1919, portata nel Tiergarten, il grande parco di Berlino, assassinata e gettata nel Landwehrkanal, uno dei molti canali che attraversano la capitale tedesca. Quanto ai suoi dissensi con Lenin, cara Signora, ho l’impressione che siano stati esagerati da chi voleva dimostrare l’esistenza di una corrente democratica nel comunismo delle origini.