[...] «Il salto di mentalità che dovremmo compiere tutti insieme, al di là delle appartenenze religiose, culturali o politiche, è quello di passare da una cultura della tolleranza a una cultura del dialogo. La tolleranza deve finalmente lasciare il passo al dialogo paritetico tra maggioranze e minoranze. C’è ancora molta strada da fare, ma bisogna proseguire su questo sentiero» [...]
Tullia Zevi a Ratzinger: «O converte o dialoga»
di Umberto De Giovannangeli (L’Unita, 09/07/2007)
La preghiera di conversione degli ebrei ripristinata dal Papa:«Decisione preoccupante, c’è il rischio di non incontrarsi più»
«Sperare nella conversione è legittimo ed è nella natura del cattolicesimo. Ciò che non è accettabile è operare per la conversione. O si converte o si dialoga. Per questo sono preoccupata per il ripristino deciso da Benedetto XVI della preghiera per gli ebrei “da convertire”». A parlare è una delle figure più autorevoli e rappresentative dell’ebraismo italiano: Tullia Zevi, già presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. «C’è una premessa di fondo da fare - sottolinea Tullia Zevi - tutto quello che può servire a dissipare gli equivoci e a eliminare gli errori è importante».
«PER QUESTO- sottolinea Tullia Zevi- è importante il dialogo interreligioso, perché nessuno può cedere o ottenere qualcosa senza una costante consultazione reciproca. Il mio timore è che questo bisogno di dialogo venga intorpidendosi».
Partendo da questa impegnativa dichiarazione di principio, le chiedo: come si concilia la necessità del rilancio del dialogo interreligioso con il ripristino da parte di Papa Ratzinger della preghiera per gli ebrei «da convertire»?
«O si converte o si dialoga. Io penso che sia importante insistere sul rapporto dialogico equipollente, in cui le due parti siano davvero equivalenti, e il dialogo sia veramente dialogico. La mia paura è che si attenui lo spirito dialogico. Mi pare che c’incontriamo poco e ci parliamo ancor meno. C’era un segretariato che doveva presiedere i rapporti religiosi tra cristianesimo ed ebraismo: cosa sta facendo per favorire il dialogo? Bisognerebbe che si dessero una svegliata, che costruissero occasioni e luoghi di confronto! Penso anche a un trialogoco che coinvolga anche gli evangelici».
Vorrei tornare sulla preghiera contestata, dalla quale è stato tolto il passaggio che parlava di «perfidi ebrei» , ma resta la preghiera della conversione. Ma questo può conciliarsi con il dialogo?
«No, non può farlo. Nessuno gli può proibire di sperare, ma di chiedere no, di invocare neanche, la conversione. È nella natura del cristianesimo puntare alla conversione, ma ciò che è inaccettabile è operare per essa. Perché questo contrasta con la ricerca del dialogo. C’è poi un altro punto che andrebbe sottolineato...».
Qual è questo punto, signora Zevi?
«La ricerca della conversione è sempre unidirezionale, e quindi è di per sé sbilanciata. Perché noi ebrei non cerchiamo di convertire, per la verità non facciamo neanche degli forzi tremendi per trattenere...».
Lei ha la sensazione che dietro a certi discorsi, dietro a certe «restaurazioni» liturgiche possa annidarsi il virus dell’antisemitismo?
«Non ci sono sintomi esteriori, la speranza di convertire direi che è insopprimibile, perché è la natura del cristianesimo, una religione evangelica, apostolica e “conversionista”. Il cristianesimo, soprattutto il cattolicesimo, chiama a sé. L’importante è che questo “ardore” conversionista non tracimi, non si faccia aggressivo fino a vanificare le ragioni del dialogo. Da questo punto di vista, non vi è dubbio che i rapporti con i valdesi sono meno complicati. Mi lasci aggiungere che questa ricerca del dialogo ha come premessa fondamentale la conoscenza dell’altro da sé: per questo continuo a ritenere fondamentale il ruolo della scuola, che sempre più deve divenire luogo di dialogo e non di evangelizzazione».
Sin qui abbiamo riflettuto sul rapporto interreligioso, sulle speranze e i timori per un suo fecondo sviluppo. Ma c’è qualcosa in più, una sfida di progresso alla quale nessuno dovrebbe sottrarsi?
«Il salto di mentalità che dovremmo compiere tutti insieme, al di là delle appartenenze religiose, culturali o politiche, è quello di passare da una cultura della tolleranza a una cultura del dialogo. La tolleranza deve finalmente lasciare il passo al dialogo paritetico tra maggioranze e minoranze. C’è ancora molta strada da fare, ma bisogna proseguire su questo sentiero».
Giuseppe Laras commenta il «motu proprio» con cui il Pontefice ha reintrodotto il vecchio rito e la preghiera per la conversione
Messa in latino, protesta degli ebrei
di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 10/07/2007)
Il presidente dei rabbini: «Il messale di Ratzinger alimenta l’antisemitismo»
MILANO «Ci ho creduto e ci credo ancora, al dialogo. Ci mancherebbe. Però questo è un colpo forte, si torna indietro. Molto indietro. Il motu proprio del Papa, la piena cittadinanza al Messale con la preghiera per la "conversione" dei giudei suona assai pericolosa. Anche se è facoltativa, può alimentare e incoraggiare l’antisemitismo: se li si vuole fare uscire dall’" accecamento", come dice il testo, significa che gli ebrei sono fuori dalla luce. E da lì alla storia dei deicidi il passo è breve». Il professor Giuseppe Laras, rabbino capo emerito di Milano nonché presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, è quanto di più lontano da un "falco" si possa immaginare.
È una delle grandi anime dell’ebraismo italiano, docente di storia del pensero ebraico alla Statale, e ha passato la vita a favorire il confronto con i cattolici.
Arrivò a Milano come rabbino capo all’inizio del 1980, gli stessi giorni in cui faceva il suo ingresso come arcivescovo il cardinale Carlo Maria Martini. L’amicizia tra i due, i momenti di incontro e di meditazione biblica comune hanno portato Milano all’avanguardia del dialogo fra ebrei e cristiani. Non è insomma il tipo da soffiare sul fuoco. Per questo il suo allarme è tanto più importante. «Non spetta a noi approvare o criticare i documenti papali, ma credo sia consentito fare delle riflessioni ». Laras parla piano, medita parola per parola, sembra un po’ scosso, «appena letto il testo, ho capito che non è una cosa da prendere alla leggera ».
Il problema è la ripresa decisa da Benedetto XVI del Messale romano in latino, seppure nella versione emendata nel 1962, e con esso la preghiera del Venerdì Santo, il giorno della Crocifissione e morte di Gesù. Eliminate le espressioni «perfidi giudei» e «perfidia giudaica», si prega tuttavia «per la conversione degli ebrei» e resta l’invocazione al Signore «perché tolga il velo dai loro cuori», come il riferimento all’«accecamento di quel popolo» e alle «tenebre» in cui si trova. E questo «è un passo indietro rispetto a Paolo VI, che aveva cancellato quei passi, e un passo indietro nel dialogo, c’è poco da fare», sospira il rabbino.
Il pericolo è duplice: «Da una parte i cristiani potrebbero sentirsi incoraggiati a covare sentimenti antisemiti. Dall’altra si favoriscono coloro che hanno sempre remato contro il dialogo sia fra i cattolici sia fra gli ebrei. Un dialogo che era già abbastanza delicato e fragile ».
Laras, per parte sua, ne sa qualcosa: «Come fra i cristiani, anche nell’ambito dell’ebraismo ci sono componenti che non hanno mai creduto al confronto. Quelli che dicono: Da qui alla storia dei deicidi il passo è breve. Così si torna molto indietro è solo un artificio dei cattolici per attirare gli ebrei e convertirli. E ora arriva questo documento! Tanti sforzi, tanti anni a convincere le due parti ad avvicinarsi e adesso non si può più fare niente...».
Obiezione: ma non è ovvio che ogni religione cerchi di affermare la propria verità? Non sarebbe ipocrita fingere il contrario?
«Ma per carità, con questa linea conversionistica non si va da nessuna parte. Anzi, da una parte sì, specie di questi tempi: il fondamentalismo, le guerre di religione ».
Non è questione di relativismo o meno, considera Laras: «L’atteggiamento di chi pensa che le fedi siano tutte uguali è un’altra faccenda. È chiaro che io affermi i miei convincimenti. Ma non posso usarli per cercare di imporre agli altri la mia fede. Per dire: sono un detentore della verità e voi non contate niente, siete nelle tenebre, vi faremo abbracciare la vera fede! Piuttosto, con molta diplomazia e dolcezza, cerco di mostrare agli altri la bellezza della mia fede. Ma gli inviti alla conversione, per carità...Senza contare che gli ebrei, sull’argomento, sono ipersensibili: e ne hanno ben donde...».
Così lo studioso Laras non capisce perché lo studioso Ratzinger abbia fatto questo. «Ho sempre detto e scritto che Benedetto XVI segue la linea di Giovanni Paolo II, in direzione del dialogo, e non ho cambiato idea. Per questo sono perplesso. Benedetto XVI è un teologo, un intellettuale, sa valutare le conseguenze. Capisco che il Papa volesse ricomporre la frattura con i tradizionalisti, è un grosso problema. Ma pensare di sanare quella ferita scavando nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo è una mossa sbagliatissima. Se mi passa l’espressione sportiva, un autogol».
Ora la Chiesa dovrebbe chiarire: «Continuerò a lavorare per il dialogo. Quello vero, che non vuole eliminare le differenze dottrinali, ognuno rimanga nella propria fede!, ma guarda ai tanti punti che abbiamo in comune: la matrice biblica, gli interessi in direzione della pace, la lotta alle ingiustizie. Sono preoccupato e deluso ma penso si debba andare avanti. Però ci vuole un chiarimento: spieghino, ci spieghino. Soprattutto in questo momento, nel mondo, non c’è davvero bisogno di stimolare l’antisemitismo». Il rabbino Laras fa una pausa. E tira ancora un lungo sospiro: «C’è una massima dei maestri molto importante, che ricordo sempre anzitutto a me stesso. Dice: chi è la persona saggia? Colui che sa prevedere il futuro. Non significa scrutarlo come gli indovini, ma saper valutare ciò che dalle proprie azioni o parole potrà venire. Ecco: mai come in questo momento bisogna essere saggi».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Ratzinger lo ha incontrato domenica in udienza privata a Castel Gandolfo
Per gli ebrei europei l’emittente diretta da Rydzyk è "antisemita e ultraconservatrice"
Il Congresso ebraico attacca il Papa
"Ha ricevuto il direttore di Radio Maria"
Ma un anno fa Benedetto XVI la accusava di essere "antisemita"
ROMA - Ha tutta l’aria di un incidente diplomatico quello scoppiato tra la Santa Sede e il Congresso ebraico. Colpa dell’udienza privata che Benedetto XVI ha concesso domenica scorsa a Castel Gandolfo a Tadeusz Rydzyk, direttore di Radio Maria.
"Il Congresso ebraico europeo - è scritto in una nota dell’Associazione che riunisce le comunità ebraiche di tutta Europa - è scioccato di apprendere che Papa Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata e nella sua residenza estiva Tadeusz Rydzyk, il direttore dell’antisemita Radio Maryja". Ejc, acronimo del Congresso ebraico, si dice "attonito del fatto che il Papa ha concesso un’udienza privata e la benedizione a un uomo e a un’istituzione che ha appannato l’immagine della Chiesa Polacca".
Radio Maria, infatti, avrebbe "largamente trasmesso le affermazioni antisemitiche di Rydzyk". La nota del Congresso ebraico arriva dopo due giorni di polemiche in Polonia tra chi accusa il sacerdote di Radio Maria di essere un antisemita e i suoi sostenitori che hanno inteso il colloquio col Pontefice come la sua benedizione alla linea ultraconservatrice della radio.
In realtà non più tardi di un anno fa proprio Benedetto XVI prendeva le distanze dall’emittente accusandola di essere "antisemita".
Domenica scorsa a Castel Gandolfo, padre Rydzyk è stato ammesso al baciamo con il Papa al termine dell’Angelus insieme ad un folto gruppo di fedeli polacchi. Recentemente, in vista delle prossima elezioni presidenziali in Polonia, gli stessi gemelli Kaczynski sono tornati a chiedere pubblicamente l’aiuto e il sostegno dell’emittente radiofonica dei cattolici ultraconservatori e del suo controverso direttore.
* la Repubblica, 8 agosto 2007
Nota della Santa Sede dopo le proteste del Congresso europeo
Il direttore di Radio Maryja attaccato per le posizioni antisemite
"Con Rydzyk solo un baciamano
Non cambiano i rapporti con gli ebrei" *
ROMA - Nessuna udienza privata. Il Papa ha concesso solo un "baciamano" al fondatore di Radio Maryja Tadeusz Rydzyk ma questo "non implica alcun mutamento nella ben nota posizione della Santa Sede sui rapporti tra Cattolici ed Ebrei". Un comunicato della sala stampa della Santa Sede cerca di smorzare la polemica dopo che Radio Maryja aveva diffuso in Polonia la notizia di una "udienza privata" concessa da Benedetto XVI al sacerdote attaccato per le sue posizioni antisemite, e dopo le dure prese di posizione delle organizzazioni ebraiche, che avevano interpretato la presunta udienza come un passo indietro nelle relazioni ebraico-cristiane.
La visita di Rydzyk domenica scorsa a Castel Gandolfo ha già suscitato molte polemiche in Polonia, tra chi accusa il sacerdote di Radio Maryja di essere un antisemita e i suoi sostenitori, che hanno interpretato l’accoglienza ricevuta da Rydzyk come un sostegno del Papa alla linea ultraconservatrice della sua emittente.
Poi il baciamano di domenica scorsa e la protesta delle comunità ebraiche di tutta Europa che avevano sottolineato come "le affermazioni antisemitiche di Rydzyk" siano state largamente trasmesse attraverso la sua radio. Proprio per questo il Congresso ebraico si era detto stupito "dal fatto che Papa Benedetto XVI abbia concesso udienza privata e la benedizione ad un uomo e a un’istituzione che hanno macchiato l’immagine della Chiesa polacca".
* la Repubblica, 9 agosto 2007
Gelmini e la colpa della Lobby Ebraica
di Furio Colombo
Don Pierino Gelmini l’ha detto, e quando certe cose si dicono tradiscono una convinzione profonda, perciò sono dette per sempre. Smentire non serve, perché non c’è niente di accidentale in quello che ha detto, anche se il pover uomo è sballottato e disorientato da brutte accuse di cui non sappiamo niente. Sono accuse che gli fanno paura ed è tragico e umano che l’uomo perda equilibrio. Fa un affannato elenco dei suoi nemici, dei possibili mandanti della imputazione di abusi sessuali su ragazzi ospiti del suo rifugio anti-droga, sulle ragioni della improvvisa rivelazione pubblica delle accuse che lo colpiscono.
E così dice: «Forse perché sono schierato col centrodestra. Forse perché i magistrati sono anti-clericali. Forse perché c’è una lobby ebraica radical chic che sta dietro questa storia».
Poiché sto scrivendo su un giornale di sinistra carico di storia come l’Unità, devo sgombrare il campo da un equivoco che è bene non coltivare. La frase shock che sta al centro di questa vicenda e che dà una coloritura a tutto ciò che d’ora in poi penseremo, diremo, scriveremo della vicenda di Don Pierino Gelmini, non è una frase di destra. O meglio non identifica chi la dice come qualcuno schierato a destra. Attraverso un complicato gioco di rimbalzi (avversione contro Israele, accettazione e uso delle parole d’ordine di coloro che combattono contro Israele, diffusione del negazionismo, confusione più o meno involontaria fra azioni militari di Israele e comportamenti degli ebrei nel mondo) l’odiosa espressione «lobby ebraica» è passata a sinistra ed è passata persino - a volte - nel linguaggio giornalistico ritenuto «indipendente». Vuol dire immaginare un particolare centro di potenza che irradia i propri interessi nel mondo attraverso i media e le banche, piega le volontà, deforma le storie e - se necessario - influenza e condiziona le decisioni che contano.
Che la fonte di tutto ciò siano le cose dette e imposte come verità dal dottor Goebbels e dalla propaganda fascista e nazista è storia lontana e in gran parte perduta. Che, prima ancora, ci sia il celebre documento forgiato dalla polizia nazista oltre un secolo fa e noto come «i Protocolli dei Savi di Sion» è nozione perduta, anche se il documento circola intatto nelle retrovie culturali del mondo arabo e ispira quasi tutta la propaganda che giura d’essere antisionista, dunque anti-israeliana ma non anti-ebrea.
Però c’è sempre un momento in cui tutte le scorie di questo materiale di scarto della storia improvvisamente si raccolgono e si raggruppano, come in una strana combinazione chimica, e formano il solido pregiudizio della «lobby ebraica» (ebraica, non sionista, non israeliana). Descrive il punto in cui tutto il male comincia.
Me lo hanno detto con rabbia, sventolando documenti, alcuni giovani molto ostili, poche sere fa in una festa dell’Unità dell’Umbria (mi ha difeso con generosità il resto della folla, anche quelli non convinti dalle tesi del mio libro in difesa di Israele). Ma il pregiudizio era là, intatto, al centro della cultura che nasce dalla Resistenza.
Ora lo dice un prete duramente accusato, forse ingiustamente e forse no, come naturale ragione di difesa. E la affermazione - netta, inequivocabile, non ritrattabile, perché non è una parolaccia ma un concetto complesso con lunghe radici nella storia - si colora dell’altro significato, quello cristiano, che non è quello dell’antifascismo deragliato.
Tanti storici - e fra essi molti autorevoli protestanti e cattolici - si sono occupati della lama di pregiudizio cristiano che ha attraversato e ispirato il paganesimo razzista, il dio della razza pura del nazismo-fascismo. Anche oggi dobbiamo renderci conto che il ritorno della messa in latino proposta da Papa Ratzinger, reintroduce - pur senza intenzione o forse senza attenzione - parole e preghiere di quell’antico pregiudizio cristiano. Ma ecco ciò che accade: il prete accusato, nel momento del panico (che è comprensibile e umano) cerca fra i suoi materiali di soccorso e trova subito il più efficace: la lobby ebraica. Spiega meglio di ogni altro argomento la persecuzione di un prete.
Proprio il momento del panico tradisce la verità, che purtroppo è un dato della cultura italiana ai nostri giorni. Non a destra più che a sinistra, ma appena sotto la cenere (i molti sommersi, i pochi salvati) della storia italiana.
Don Gelmini offre un frammento non nobile ma vero di memoria condivisa. Don Gelmini dice, a ottant’anni, di avere passato qualcosa (lui, non Primo Levi) ai ragazzi che con rabbia contestavano, solo poche sere fa, a una festa dell’Unità, il diritto di Israele ad esistere. Perché Israele non è che uno dei tanti mali della lobby ebraica.
Don Pierino chiederà scusa, anche se continuerà a tenersi quel tormento («forse mi hanno rovinato gli ebrei radical chic perché sono un prete»). I ragazzi della festa dell’Unità dell’Umbria sono stati allontanati dagli organizzatori e dal Sindaco, ma ancora in lontananza ripetevano le accuse al nemico sionista («giustamente condannato dal Presidente iraniano», dicevano) e all’infaticabile agente del sionismo, la lobby ebraica.
Oggi, fra Don Gelmini e quei ragazzi, posso dire di sentire un penoso effetto stereo. Politicamente le due voci sono lontane e opposte, ma questo è il vero pericolo. È lo scandalo della cultura fallita. I ragazzi che si credono militanti e i preti che si credono santi conoscono solo la storia del pregiudizio.
furiocolombo@unita.it
* l’Unità, Pubblicato il: 06.08.07, Modificato il: 06.08.07 alle ore 8.52
Libro sulla restaurazione del Messale tridentino
di Paolo Farinella *
Care Amiche e Amici,
Vi chiedo scusa per l’invadenza e anche a quelli che ricevono in doppio o triplo.
Vi comunico che è in libreria il mio ultimo libretto (Paolo Farinella, Ritorno all’antica Messa. Nuovi problemi e interrogativi, Prefazione di P. Rinaldo Falsini, Il Segno dei Gabrielli Editori, pp. 80, euro 10,00), scritto di getto e pubblicato contro ogni criterio economico in piena estate.
Il libro si compone di 80 pagine, appassionato e a tratti veemente è un grido di opposizione al tentativo di restaurazione della Chiesa che questo papato persegue. Restaurando il vecchio messale del 1570 per venire incontro ad un gruppo di irriducibili nostalgici, il papa non esita a sconfessare il concilio, nonostante le sue intenzioni.
Per la prima volta un prete si dichiara "obiettore di coscienza" a fronte di un documento papale che cerca di riportare la chiesa indietro di cinque secoli.
Il libro ha valore anche per la straordinaria prefazione di P. Rinaldo Falsini, straordinario liturgista e vivente testimone della commissione conciliare della Liturgia di cui fu il verbalista ufficiale.
Paolo Farinella, prete
A tutti coloro che sono interessati a proseguire e sviluppare le riforme e le intuizioni del concilio Vaticano II e a contrastare l’involuzione della chiesa, rivolgo l’invito di scrivere una lettera personale al proprio vescovo di questo tenore:
Al vescovo ________________
Via/Piazza ________________
Cap. Città ________________
Sig. Vescovo,
Ripristinando il messale preconciliare, il Papa riporta la chiesa indietro di 5 secoli, sconfessando così il concilio Vaticano II. Desidero fare giungere al papa il mio atto di fedeltà al concilio che il papa stesso dovrebbe chiedere a quanti ne denigrano lo spirito e le riforme, usando la Messa preconciliare come arma di ricatto. Pertanto non condivido né posso accogliere il motu proprio del papa come vincolante la mia coscienza.
Chi vuole può aggiungere, se ha letto e condiviso:
Condivido gli argomenti contrari al documento pontificio descritti nel libro "Ritorno all’antica Messa. Nuovi problemi e interrogativi" di Paolo Farinella, Il Segno dei Gabrielli Editore, 2007 e ne partecipo l’obiezione di coscienza.
Cordiali saluti
Data
Firma
L’invito è rivolto anche ai non credenti perché il ritorno alll’indietro è una tragedia che tocca tutti: dietro questa restaurazione che una visione fondamentalista del cristianesimo che ha ripercussioni sulla politica, sullo Stato di diritto e sul rapporto chiesa-mondo. Questo documento è il primo passo nella direzione di una "santa alleanza" tra fondamentalismo cattolico/cristiano e islamico: dicono le proiezioni che fra 30 anni saranno le due religioni dominanti in Europa e alleate insieme sapranno imporre agli Stati politiche generali e sociali, creando uno Stato sottomesso, nelle forme formali della democrazia, al potere delle religioni. Altro che Stato etico!!!!!!. Questo, a mio parere è l’obiettivo finale di Benedetto XVI e il ritorno alla Messa del Concilio di Trento ne è solo il primo gradino o tassello.
Quei cattolici e non credenti che riducono la questione ad un fatto interno alla Chiesa o peggio ad una questione di Messa in latino o in italiano, non colgono la dimensione drammatica della strategia religiosa che dominerà ogni questione per i il prossimo.
Cordialmente
Paolo prete
* Il dialogo, Lunedì, 30 luglio 2007
LA MESSA DI PIO V
Come precisa bene l’amico Paolo Farinella, il problema non è la "Messa in Latino" come volgermente la stampa di corte la vuole far passare, ma l’ecclesiologia che c’è dietro, la considerazione del "Mondo" e i rapporti "Chiesa/Mondo" che vi sottendono.
Le parole me le ha rubate don Paolo, per cui vi incollo semplicemente la lettera da lui scritta e che io sottoscrivo a quattro mani.
Aldo [don Antonelli]
di Paolo Farinella
Dispiace che una delle «teste ordinate e ben fatte» come don Balletto abbia fatto cilecca d’un colpo, scrivendo dotte considerazioni filosofiche sul «Messa in latino» e sull’estetica della lingua latina. Questo modo di presentare il documento pontificio « Summorum Pontificum» è deformante, falso e purtroppo ci cascano tutti forse perché è un modo innocuo per far passare scelte destabilizzanti, mistificatorie e sbagliate.
No, caro don Antonio Balletto! Io non ci sto a questo irenismo di un colpo al cerchio e uno alla botte proposto alla fine dell’articolo. Il motu proprio di Benedetto XVI non restaura la «messa in latino», ma autorizza i fedeli a chiedere la celebrazione della «Messa tridentina», detta di Pio V, ritoccato più volte da Clemente VIII, Urbano VIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XII.
E’ una questione totalmente differente. Che la Messa di Pio V sia in latino o in greco o in siriano o in genovese è ininfluente perché puramente accidentale, ciò che invece è tragico, antistorico e dubbio da un punto di vista dottrinale, riguarda la restaurazione pura e semplice della teologia e della ecclesiologia che sottostanno al rito tridentino. Teologia ed ecclesiologia che configgono con il magistero successivo (potrei portare in qualsiasi sede ampia facoltà di prova) e specialmente con il magistero di Giovanni XXIII, Paolo VI e del Concilio, la cui Messa riformata da sempre si può dire in latino, se occorre la necessità. Io stesso l’ho utilizzata con amici polacchi.
I nostalgici lefebvriani hanno fatto della Messa la loro bandiera, ma dietro c’è un esercito di motivi teologici che essi contestano. Essi rifiutano a piè di lista il concilio ecumenico Vaticano II, definiscono Paolo VI papa demoniaco, i papi da Paolo VI a Giovanni Paolo II papi scismatici e senza autorità. Hanno formulato negli anni ’80 la tesi teologica detta di «Cassiaciacum» con cui dimostrano che questi papi pur essendo stati eletti legittimamente, non hanno ricevuto la potestà apostolica per cui non hanno autorità sulla chiesa. I fedeli non sono tenuti ad ubbidirgli, altro che latino!
Il papa non si limita a concedere «la Messa in latino», ma concede il «messale di Pio V», contrabbandato come «messale di Giovanni XXIII» che è un falso storico, dal momento che questi si è limitato ad aggiungere il nome di San Giuseppe nel canone e a togliere l’espressione «pro perfidis Iudaeis», editando il messale precedente in tutto e per tutto perché ancora non era giunta la riforma conciliare. Accanto al messale tridentino concede l’uso del «sacramentario» cioè la celebrazione dei sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio, ecc.) secondo i riti preconciliari. Addirittura a chi ne ha l’obbligo concede l’uso dell’antico breviario, azzerando in un solo colpo la riforma di Paolo VI che parlava di «Novum Messale» e di «Liturgia delle Ore».
Non è una questione banale di lingua che non interessa nessuno, è uno scontro titanico di culture e di teologie. Dietro Pio V c’è la teologia della Chiesa senza popolo: attore del culto divino è solo il prete che parla da solo come e scandisce in forma magica le parole consacratorie; c’è l’antigiudaismo viscerale, c’è la visione del mondo come «cristinairìtà», ecc.. Dietro Paolo VI c’è la chiesa popolo di Dio che è il soggetto celebrante, c’è la Chiesa «nel mondo»; c’è il popolo ebraico «fratello maggiore»; c’è la coscienza come termine ultimo di decisione, ecc.
Dietro a tutto vi sono due ecclesiologie, due modi di concepire il mondo, l’uomo, le relazioni con gli Stati, la libertà religiosa e di coscienza. Altro che latino, lingua bella e formatrice di teste pensanti! Se questi sono i risultati, significa che il latino ha costruito teste fragili e pensieri deboli e sensibilità bambine
Don Balletto vuole la prova? Il Capo degli scismatici lefebvriani: Bernard Fellay ha già dichiarato che questo è solo l’inizio perché ora si tratta di affrontare tutti i problemi che stanno dietro la Messa di Pio V e cioè i problemi dottrinali incompatibili con il Vaticano II.
Questo motu proprio, un vero blitz del papa tedesco contro il parere della quasi totalità dei vescovi e dei cardinali, è solo l’inizio di una valanga. Infatti, coerentemente, ad esso è seguito l’ultimo documento della Congregazione della fede che ancora una volta sconfessa Paolo VI e il Concilio e chiude definitivamente il dialogo ecumenico. Non mi meraviglia questo secondo documento perché è in pieno nella logica della teologia e dell’ecclesiologia tridentina espressa nel messale di Pio V, sia che sia in latino sia che sia in genovese.
Il papa è ossessionato dal concilio e intende metterlo in soffitta. Non ci riuscirà perché anche i papi sbagliano e questo cammino antistorico all’indietro gli si ritorcerà contro, come sta già avvenendo.
La Lega di Bossi ha già mobilitato i suoi xenofobi a pretendere dai parroci la «Messa del passato» e il ritorno alla teologia di ieri, l’abolizione del concilio e il ripristino del magistero di sempre. Don Balletto è servito anche in lingua padana.
Per quanto mi riguarda in quanto prete io mi dichiaro obiettore di coscienza in nome e per conto di Paolo VI e per fedeltà al Concilio ecumenico vaticano II.
Il dibattito sulla messa in latino
Concilium Vaticanum IIum, vale!
di FRANK K. FLINN
(Traduzione di Stefania Salomone) *
Così non si tratta semplicemente di usare il Latino nella Messa al posto del vernacolare. Si tratta di ritornare al rito del 1570. Questo significa:
L’altare rivolto di nuovo verso la parete del santuario.
L’eliminazione della messa vespertina del Sabato per la Domenica
Re-installazione delle ringhiere per la fila per la comunione
Le donne indosseranno il copricapo a Messa
La comunione solo per via orale (n.d.r. nel senso che non si potrà più prendere l’ostia con le mani ma sarà il solo sacerdote a imboccare i fedeli)
Eliminazione della comunione sotto e due specie
L’attuale repertorio di canti sostituito da quello in gregoriano
Servizio femminile all’altare eliminato
Digiuno dalla mezzanotte per la comunione della domenica
Liturgia per i bambini in latino
Diletto dei latinisti
I seminari saranno di nuovo pieni di leggi/norme/regolamenti che imporranno ai giovani di indossare la tonaca
I preti, religiosi, laici nel mondo che hanno portato avanti le lotte per i diritti umani, la giustizia sociale saranno fermati e soffocati
La chiesa accelererà il suo declino e divverà ancor più irrilevante in questi tempi cruciali di tumulti sociali nel mondo.
Jay Leno farà un intero monologo inLatino. L’indice di ascolto di ETWN salirà alle stelle.
Don Campbell
il vostro corrispondente canadese
L’articolo che segue è del Boston Globe di oggi.
Boston Globe
FRANK K. FLINN
Concilium Vaticanum IIum, vale!
10 luglio 2007
I cattolici nel mondo non devono farsi illusioni. La recente decisione di Papa Benedetto XVI di incoraggiare un più largo uso della messa Tridentina in Latino è l’ultima mossa della sua campagna per bloccare la riforma liberale nelle pratiche religiose dei cattolici dal 1960.
La mossa potrà facilmente dare l’avvio ad uno scisma liturgico in tutto il mondo.
Il vecchio rito della Messa fu promulgato da Papa Paolo V col Messale Romano nel 1570. In questo rito il prete celebra da un altare rialzato, di spalle alla assemblea e balbettando le parti principali della liturgia in Latino.
La Messa Tridentina rimase fino alla nuova formula promulgata nel 1969 da Papa Paolo VI al Concilio Vaticano II (1962-65). Tornando alle antiche tradizioni di culto, la nuova Eucarestia fu tradotta nelle lingue locali. Il prete ora celebrava di fronte all’assemblea. Con l’espandersi del canto liturgico nel mondo venne inclusa anche la musica gospel, canti africani e tamburi, le band mariachi messicane, la musica fold e perfino dei ritmi pop. Immediatamente i cattolici conservatori attaccarono il nuovo rito, ma Paolo VI replicò che il vangelo sarebbe andato perduto se la gente non avesse conservato il proprio linguaggio e i propri costumi.
Le critiche continuarono da parte di una minoranza tradizionalista. Nel 1968 l’ex arcivescovo francese Marcel LeFebvre condusse una piccola minoranza di cattolici attraverso uno scisma col quale egli e i suoi seguaci dichiararono eretica la "Messa di Paolo VI". I lefebvriani non solo rifiutarono la nuova liturgia, ma rigettarono la dottrina chiave del Vaticano II in materia di ecumenismo, libertà religiosa e collegialità. La collegialità era il concetto fondamentale che ha mosso il Vaticano II. La durezza dell’opposizione dei tradizionalisti nei confronti delle novità del Vaticano II era e rimane sbalorditiva.
Dall’altra parte nella chiesa, i progressisti volevano portare avanti le aperture iniziate col Vaticano II, non solo in ambito liturgico, ma sull’ecumenismo, il coinvolgimento dei laici, le attività cristiane a sfondo sociale (teologia della liberazione, femminismo, ecologia) e argomenti etici (celibato, controllo delle nascite). Paolo VI iniziò a porre le basi, ma Papa Giovanni Paolo II e il Cardinale Joseph Ratzinger, il suo nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, continuarono verso una completa opera di ostruzionismo.
Hanno voluto sempre contrastare la parte progressista della chiesa. Negli anni ’80 hanno messo a tacere il teologo della liberazione Leonardo Boff, hanno rimosso lo svizzero Hans Küng e l’americano Charles Curran dalle loro cattedre, e senza scrupoli hanno arbitrariamente scomunicato l’indiano Tissa Balasuriya. (Tale atto fu annullato). Proprio quest’anno il papa ha censurato il teologo della liberazione salvadoregno Jon Sobrino usando la vecchia tattica vaticana del mettere insieme le sue citazioni tacciandole di essere fuori da ogni contesto.
In contrasto, il papato rimane inspiegabilmente indulgente verso gli scismatici lefebvriani nonostante essi continuassero a disprezzare lo stesso Vaticano. Infatti negli anni ’80 il Cardinale Ratzinger riservo loro delle ammonizioni. Nella prefazione di un trattato liturgico egli accusò la Messa moderna di essere uno modello capriccioso e di cattiva fabbricazione. Continuò a tenere a esempio i riti dell’Est, ortodossi, indicandoli come "liturgia eterna". Si potrebbe parlare di pregiudizio eurocentrico nelle sue valutazioni.
Il papa non ha mai delegato aspetti della gestione dele varie branche della chiesa cattolica. Ha semplicemente capitolato sui lefebvriani, che continuano a guardare in dall’alto in basso i parrocchiani cattolici che gradiscono in rito nella propria lingua col prete di fronte. Il fascino della "liturgia eterna" è falso. Le liturgie delle chiese antiche era sia multiforme che multilingue, nella prima generazione spaziava dall’aramaico, al greco, al siriano. La prima chiesa conosciuta, ritrovata recentemente a Megiddo in Israele, non ha un altare elevato e separato dal cuore della comunità. Un vero tradizionalista abbraccerebbe con gioia i molti llinguaggi e culture del mondo come accadeva nelle prime comunità.
Perché dico addio al Vaticano II? Una delle basi del concilio era il movimento liturgico che durò fino alla metà del secolo. I riformisti della liturgia erano convinti che la liturgia era del popolo, dal popolo e per il popolo di Dio, a prescindere se laico o religioso. La parola "liturgia" in greco significa "il lavoro del popolo". Questa nozione racchiude il principio della collegialità, la chiave teologica promulgata nel Vaticano II. La Messa Tridentina è lavoro del prete. Rimettendo indietro l’orologio liturgico a distanza dalla creativa molteplicità delle prime comunità cristiane, ma verso l’età d’oro dell’Inquisizione, della monarchia papale di Trento, Papa Benedetto XVI sta abbandonando il principio di collegialità che abbraccia tutti i vescovi, tutti i preti, tutti i diaconi e i laici intesi come comunità di fedeli. Questo dice "addio" al Vaticano II!.
Frank K. Flinn,
professore ausiliario di studi religiosi alla Washington University di St. Louis,
autore della "Enciclopedia del Cattolicesimo"
© Copyright 2007 The New York Times Company
*Il Dialogo, Venerdì, 13 luglio 2007 (ripresa parziale - senza il testo originale)
Carissimi,
sono a pezzi e non posso tacere. Vi incollo e vi allego il tumulto delle mie riflessioni. Fatene quello che volete. Se siete amici di vescovi o cardinali o del papa stesso non fareste male a recapitar loro questo FLORILEGIO.
DE PROFUNDIS
Tanto tuonò che piovve,
e la pioggia divenne temporale,
e il temporale si tramutò in uragano...
uno tzunami che tutto travolge,
cancellando ogni sentiero
di umano percorso;
oscurando ogni raggio
di umile, divina presenza
con il drappo della autoreferente prepotenza.
Cari amici,
di fronte alle spoglie di una chiesa che fu sono incerto se piangere o imprecare. Le premesse, ormai, c’erano tutte. Dopo anni di epurazione, con teologi silenziati, vescovi rimossi, sacerdoti desacerdotati, seminari e università teologiche “normalizzate”, il risultato non poteva essere che questo: una chiesa narcisisticamente intronizzata su se stessa in nome di una verità militarizzata.
Nel lutto si usa ripercorrere a ritroso il cammino del tempo che fu e rivivere le tappe gioiose di conquiste ormai imbavagliate e purtuttavia, per me, testardamente ancora molto eloquenti.
E’ quello che cerco di fare con voi: dar voce ai ricordi e ai saperi.
Note sparse Sulla Verità
Jean Sulivan, in una bellissima immagine ebbe a dire che la Verità è come un’immensa vetrata caduta a terra in mille pezzi. La gente si precipita, si china, ne prende un frammento e brandendolo come un’arma dichiara: "Ho in mano la Verità". Bisognerebbe, invece, raccogliere tutti i pezzi, saldarli con l’amicizia e, alla fine, la Verità risplenderebbe".
E’ per questo che Urs von Balthasar ebbe a scrivere: "La Verità è sinfonica"!
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"La tua verità? No. Conservala per te...
La verità. Andiamo a cercarla"
(A.Machado)
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Al tempo del Concilio Vaticano II, lo Spirito Santo aveva fatto scrivere dai nostri vescovi che “Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale”
(Gaudium et Spes n. 16)
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“L’ ‘amore della Verità’, che oggettiva, cosifica e trasforma in possesso ciò che dovrebbe invece possederci, è un amore idolatra. L’idolatria è la forma segreta del rifiuto. Questa verità sempre sfuggente, che mi strappa da me stesso, mi lacera: poterla una buona volta richiudere nella sua piccola bara e restarmene tranquillo, vivisezionarla, smerciarla... Vi sono fedeltà che mascherano dei tradimenti" (Gabriel Ringlet: L’evangelo di un libero pensatore; p. 73)
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“Proclamare acriticamente che il cristianesimo è la sola verità, è una dichiarazione di guerra”
(Arturo Paoli su Rocca 19/94 p.52)
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“L’omaggio alla Verità può venire dalla bocca degli innocenti, come dalla bocca dei perversi, con la differenza che, mentre i primi vi legano il cuore adorando, i secondi vi nascondono la loro malizia complottando”
(don Primo Mazzolari)
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“La Verità non si lascia ridurre a un concetto. Essa non è puramente oggettiva, assoluta. Parlare della verità assoluta è veramente una contraddizione in termini. La Verità è sempre relazionale e l’Assoluto (absolutus, non legato) è ciò che non ha relazione”.
(Raimond Pannikar)
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“Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità, altrettanto valida, e l’errore un altro errore”.
(Flaiano: Diario degli errori; p.88)
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“La tua verità, Signore, non appartiene a me, né a nessun altro, ma è di tutti coloro che tu inviti apertamente a fruirne. E tu ci ammonisci severamente a non considerarla come nostra proprietà privata, perché non finiamo per esserne privati".
(S.Agostino: Confessioni, XII, 25)
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“In che misura l’amore, sia pure con molte opinioni sbagliate, è da preferirsi al la stessa verità senza amore? Noi si potrebbe anche morire senza conoscere molte verità e tuttavia essere portati in seno ad Abramo. Ma se morissimo senza amore, a cosa sarà servita la nostra conoscenza? Tanto quanto serve al diavolo”
(John Wesley)
Il sogno di una chiesa che fu
Sulla tomba di Raffaele Pettazzoni 1883-1959, studioso non cristiano delle religioni si legge questa epigrafe: “Esaltò nello studio e nella vita il mistero che rivelato ci divide e sofferto ci unisce”
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Nel seminario di Verona in cui negli anni 1964-1968 ho studiato, un prete amico, don Olivo Dragoni, amava ripetere: “La Chiesa che emergeva dal Vaticano II era una Chiesa più attenta a lavare i piedi dell’umanità che non preoccupata di curare le vesti che portava addosso”
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Il Cardinal Etchegaray, non molti anni fa aveva ancora il coraggio di scrivere: “Dobbiamo essere felici di essere differenti. Chi di noi può pretendere di esaurire il messaggio del Vangelo e ridurlo a una sola voce? Ciascuno deve un pò convertirsi al volto dell’altro per correggere ciò che nella propria visione è troppo particolare...Altrimenti il nostro pellegrinaggio diventa crociata, la nostra testimonianza ideologia, il nostro volto una caricatura. Siamo contenti di essere differenti”
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Nel 1991, nonostante tutto, anche Giovanni Paolo II aveva il coraggio di usare altri registi, parlando della Chiesa: “E’ attraverso la pratica di ciò che è buono nelle loro proprie tradizioni religiose e seguendo i dettami della loro coscienza che i membri delle altre religioni rispondono positivamente all’invito di Dio e ricevono la salvezza in Gesù Cristo, anche se non lo riconoscono come salvatore”.
(Giovanni Paolo II: "Dialogo e annuncio" 1991)
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Mentre già qualche anno fa il gesuita francese Albert Longchamp ha paragonato la Chiesa di Wojtyla a quella di Innocenzo III, sette secoli prima: la chiesa crollante del famoso sogno di Francesco di Assisi: “laici imbavagliati, teologi senza tutela, vescovi in libertà vigilata, iniziative locali bloccate, centralismo forsennato. L’atmosfera è pesante, carica di tensioni, colma di risentimento. Il grande slancio spirituale si è spento, frenato dagli interdetti, paralizzato dai giuramenti, polarizzato dal Catechismo”.
Il ritorno delle religioni autoritarie
“Il buon Dio non ha creato la Religione, ha creato il mondo”
(Franz Rosenzweig)
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“Esiste, al centro stesso delle religioni, e in particolare delle religioni monoteiste, un’aggressività, un orgoglio, un esclusivismo che talvolta danno i brividi”
(Gabriel Ringlet; prete belga, rettore dell’Università di Lovanio)
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“Le religioni sono dei sentieri apparentemente distinti, che conducono nello stesso luogo in forza delle loro differenze: sono strumenti di conoscenza validi e insieme incompleti, utili quando aprono al simbolico puro e alla contemplazione della totalità; pericolose quando fanno di se stesse un valore assoluto in senso storico e sociale"
(M. Gallizioli)
Pirandello pone sulla bocca di un suo personaggio queste parole: “Io ho sempre inventato le verità, caro signore, e alla gente è sempre parso che dicessi le bugie”.
Concludo con le parole dello stesso autore con il quale ho iniziato queste citazioni, Jean Sulivan:
“Un giorno ho capito che si poteva mentire dicendo la verità, la peggiore fra le menzogne, quella che è consustanziale alla vita”.
Et de hac re satis, convinto qual sono che nel vero amore si cela la verità, mentre è possibile una verità spogliata dall’amore.
Don Aldo Antonelli
(prete in lutto)