"FESTA DELLA LIBERTA’", IL 25 APRILE . VIVA IL (PARTITO DEL) "POPOLO DELLA LIBERTA’", VIVA IL PRESIDENTE (DEL PARTITO UNICO) D’ITALIA: "FORZA ITALIA"!!!
La Patria di Berlusconi, il nuovo padrone dell’Italia. Sotto il bombardamento mediatico del Partito di "Forza Italia", la perdita della ragione costituzionale e il cedimento strutturale delle Istituzioni.....
Appello del Papa in difesa di pace e ambiente
"Egoismo crea danni al creato e all’economia" *
CITTA’ DEL VATICANO - L’egoismo alla base della recente crisi economica è la stessa causa del degrado ambientale, secondo il Papa, che fa appello ad un accordo internazionale dopo la conferenza di Copenaghen. Facendo l’esempio dei regimi comunisti, in particolare, il Papa ha affermato: "La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione". In occasione del tradizionale discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha affrontato molti temi, legando il suo lungo discorso alle tematiche ambientali.
Crisi economica. Benedetto XVI ha citato la "drammatica crisi che ha colpito l`economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale". "Con l’enciclica caritas in veritate - ha proseguito - ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato".
Comunismo e danni ambientali. Il Papa, in particolare, ha citato il comunismo: "Vent’anni fa, quando cadde il muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione. Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio".
Accordo sull’ambiente. In questo senso, il Papa, dopo aver citato la conferenza di Copenaghen, ha aggiunto: "Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune nazioni, in particolare, alcuni stati insulari".
"Corretta gestione delle risorse naturali". ’’Per coltivare la pace, bisogna custodire il creato", ha detto con forza papa Benedetto XVI. Il Papa ha ricordato ’’che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni’’. ’’Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica - ha poi aggiunto il Pontefice - una corretta gestione delle risorse naturali dei Paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati’’. Il Papa ha voluto rivolgere un pensiero particolare al Continente africano ricordando come ’’l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile’’ avviene anche ’’a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente’’. ’’In Africa, come altrove - ha quindi aggiunto - è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti’’.
Difesa della natura e della vita umana. La Chiesa Cattolica benedice quanto viene detto e fatto a difesa della natura. "Occorre tuttavia - ha precisato il Papa - che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità". "Se si vuole edificare una vera pace", infatti non è possibile "separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita". "E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa - ha spiegato agli ambasciatori - che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato: l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo".
Appello ai terroristi. Il terrorismo rappresenta una minaccia che "mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia", ha sottolineato papa Benedetto XVI rinnovando il suo appello a "quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace".
Stop alla produzione delle armi. Nel corso del suo lungo discorso, il Papa ha indicato ’’fra le tante sfide’’ lanciate dalla necessità di salvaguardare il pianeta, in un contesto di pace e giustizia, anche quella ’’dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei popoli, soprattutto di quelli più poveri’’, ha notato papa Ratzinger. ’’Confido, fermamente - ha quindi aggiunto - che nella conferenza di esame del trattato di non-proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari’’.
’’Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo - ha poi detto - All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente’’.
Medio Oriente. Benedetto XVI è tornato anche sul tema del Medio Oriente. "Ancora una volta - ha detto - levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente".
"Mi preme inoltre - ha aggiunto - sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale". "Solo così - ha affermato il Papa - questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana".
Europa e cristianesimo. In "alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffonde negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e talvolta di ostilità, per non dire di disprezzo, verso la religione, in particolare quella cristiana", ha denunciato papa Benedetto XVI. "Urge", ha aggiunto il Papa riferendosi in particolare all’Unione europea, "definire una laicità positiva e aperta" che "riconosca il ruolo pubblico" della comunità dei credenti.
Droga. Il Papa ha chiesto alla comunità internazionale "che non si rassegni al traffico di droga e ai gravi problemi morali e sociali che essa genera". Ha sollecitato perciò, durante l’udienza concessa al Corpo diplomatico presso la Santa Sede" a "custodire il creato con la riconversione di tali attività, e ad adottare "scelte politiche ed economiche che assicurino "forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti".
Immigrati. Nuovo appello alle autorità pubbliche perché seguano la via della ’’giustizia, della solidarieta’ e della lungimiranza’’ nel trattare i migranti. ’’Le gravi violenze, unite ai flagelli della poverta’ e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra’’, ha ricordato il Papa. ’’Di fronte a tale esodo - ha quindi detto - invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza’’.
Nozze gay. Benedetto XVI ha criticato le leggi sulle unioni omosessuali e sul matrimonio gay che sono state approvate in alcuni Paesi europei e americani. Il riferimento era al Portogallo, al distretto Federale di Città del Messico dove sono le nozze omosessuali sono diventate legge, e all’Argentina dove una legge in materia è in discussione mentre nello Stato della Tierra del fuego, sempre in Argentina, nei giorni scorsi è stato celebrato il primo matrimonio gay dell’America Latina con il permesso del governatore. "Le creature sono differenti le une dalle altre - ha detto il Papa - e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi".
"Mi riferisco, per esempio - ha aggiunto il Pontefice - ad alcuni Paesi europei o del Continente americano". "La libertà - ha spiegato - non può essere assoluta, perchè l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore".
Iran. Il Papa nel suo discorso ha fatto anche riferimento alla difficile situazione in Iran. Ratzinger ha auspicato per l’Iran che ’’attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale’’. ’’Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione - ha poi aggiunto - esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese’’.
* la Repubblica, 11 gennaio 2010
Picconatori dell’unità nazionale
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 8 agosto 2009)
C’è una singolare concordia bipartisan nel giudicare cosa non seria la proposta del presidente dei senatori della Lega on. Bricolo di «recuperare i simboli identitari» delle regioni. Con bandiere e inni distinti, che fa seguito all’altra proposta, quella relativa ai dialetti. Eppure queste proposte hanno un senso e una logica di cui bisogna tenere conto. L’appuntamento del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia è un’occasione per riflettere su dove stiamo andando e su che cosa sappiamo e pensiamo di un paese dove pezzo su pezzo quell’unità si sgretola.
Prendiamo come guida la celebre definizione di Alessandro Manzoni: «Una d’arme, di lingua, d’altare». Una d’arme: oggi registriamo il ritorno con le ronde a un’imitazione edulcorata delle squadracce fasciste e l’avvio della fine di un carattere essenziale dello Stato moderno - il monopolio della violenza, il rifiuto del farsi giustizia da sé. Una d’altare: quale altare? Oggi l’intolleranza della Chiesa scatena il fanatismo di una sua verità senza carità contro le leggi dello Stato, contro il rispetto dei diritti costituzionali dell’individuo e dei principi della laicità e del pluralismo. Qui si deve parlare chiaro. Abbiamo seguito con attenzione il crescere dell’indignazione morale in mezzo al clero di base davanti al dilagare del fiume di immondizia che ha trasformato i palazzi del potere in nuove stalle di Augia. Ma com’era facile prevedere la dirigenza ecclesiastica non ha trovato niente di serio da dire contro un potere dal quale si attende concessioni tanto più generose quanto più chi ne è il titolare e il simbolo è oggi bisognoso del suo sostegno. Dai tempi di Enrico IV a Canossa questa è la situazione preferita dal papato. Un giorno qualcuno indagherà su questi silenzi così come si è fatto per i silenzi papali e i sussurri dei palazzi apostolici ai tempi della Shoah. Ma spetta a noi cercar di capire dove questa politica della Chiesa mira a portare il paese.
L’importanza della Chiesa in Italia è innegabile. Non per niente la riflessione di Antonio Gramsci sulla funzione degli intellettuali e sulla costruzione di una nuova egemonia prese a modello il clero come "intellettuale organico". Oggi c’è un legame tra lo stato di crisi della cultura italiana e le pulsioni integriste e fondamentaliste del blocco sociale che ha trovato nella benedizione della Chiesa la sua espressione culturale "seria". Non importa se la saldatura mette insieme pezzi solo apparentemente eterogenei come il divieto cattolico dell’aborto e l’immoralità grossolana di chi tratta il corpo femminile come merce da esibire e consumare, sul letto privato o sulle poltrone pubbliche. Per l’alta dirigenza ecclesiastica il diritto fissato dalla Costituzione e sancito dalle leggi di disporre del proprio corpo è intollerabile: invece l’umiliazione della dignità femminile da qualunque parte venga non urta una cultura clericale tradizionalmente ostile alle donne.
Ma veniamo all’ultimo termine della definizione manzoniana: la lingua. Oggi il "paso doble" di un leader che fa strame di moralità pubblica e privata e di un partito - la Lega - che persegue senza ostacoli il disegno della cancellazione dell’unità del paese è arrivato all’ultimo baluardo: la lingua. È forse necessario ricordare che ben prima di Mazzini e di Garibaldi è stata la lingua italiana a unificare la penisola? Questo è il patrimonio immateriale del paese. Patrimonio altissimo, non solo dell’Italia ma dell’umanità: non c’è bisogno di un riconoscimento dell’Unesco per sapere che l’Italia vive nel mondo in grazia di una tradizione letteraria e intellettuale che spinge genti lontane a studiare la lingua di Dante e di Boccaccio, di Machiavelli e di Galilei - una lingua condivisa ben al di là dei confini statali, tanto che, come ha detto una volta il presidente Napolitano, potrebbe essere considerata la lingua franca del Mediterraneo. Cancellate quella lingua e scomparirà il paese Italia.
Lingua come cultura? Oggi non si dice più cultura. Si dice identità. La cultura è parola buona per assessorati e ministeri, per l’industria pubblica del divertimento, del sogno e dell’evasione. Mentre eravamo distratti, mentre la volontà di voltar pagina faceva illudere che si potesse semplicemente dimenticare il "secolo breve", il vocabolario è cambiato: oggi si dice "identità". E si intende diritto del sangue e del suolo, chiusura, esclusione. Allora le classi dirigenti italiane scelsero la chiusura culturale e sognarono il cupo sogno della purezza della razza italiana. Sappiamo bene com’è finita. Oggi il virus torna, solo apparentemente innocuo. Invece di ridere o di scandalizzarsi, sarebbe utile chiedersi in quanti abbiano arato e concimato il terreno su cui cade oggi la proposta del senatore Bricolo di dare espressione ai "simboli identitari" delle regioni; e magari contare i palazzi pubblici che inalberano già bandiere e simboli del genere. Quanta esaltazione del tipico e del locale, quante sagre strapaesane sono state pagate col taglio delle risorse per scuole, biblioteche, musei, con la svendita e la cementificazione del paesaggio.
Il "sacro egoismo" degli otto milioni di baionette fu negli anni Trenta la morale pubblica di un regime liberticida e razzista. Oggi, nel paese dei nove milioni di auto sulle vie delle vacanze, il sacro egoismo è quello del Nord contro il Sud, delle gabbie salariali, dei muri e delle prigioni per gli immigrati. Allora nel carcere di Turi Antonio Gramsci iscrisse sull’agenda politica della rinascita del paese la necessità di una riflessione sul Risorgimento, sulla questione meridionale, sulla funzione degli intellettuali. Oggi questi sono i temi che ci tornano davanti come un rimorso, a ricordarci che la cultura è confronto, dialogo, arricchimento nel continuo confronto tra passato e presente, tra noi e gli altri.
Se scompare la liberazione
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 27.04.2009)
E così scomparirà forse dal vocabolario delle feste nazionali la parola "Liberazione". A partire dal 25 aprile 2009, da quella che sarà stata (forse) l’ultima Festa della Liberazione, la sostituirà un’altra parola, solo in apparenza simile: "Libertà". Un mutamento che sembra del tutto naturale, di fatto già avvenuto, come bere un bicchier d’acqua, come trovare la definizione adatta per riempire le caselle di un gioco di parole incrociate.
Una piccolissima modifica, una roba da niente. Tanto piccola e innocua che questo mutamento di fatto è come se fosse già avvenuto. Del resto, l’accoglienza è stata benevola, perfino un po’ distratta. Una parola, nient’altro. I pochi, prevedibili dissensi sanno più di blando rimpianto per la dipartita di un vecchio amico di famiglia che di lotta per difendere valori non negoziabili. Nel consenso si avverte un respiro di sollievo, come quello a cui dà voce un editoriale sul Corriere della Sera di ieri. È - vi si legge - «una ferita che si chiude».
C’era dunque una ferita: la parola "Liberazione" la teneva aperta, la parola "Libertà" la chiude. Caso singolare, degno di attenzione. Una parola divideva, di più: feriva e faceva sanguinare, l’altra - pur della stessa famiglia - magicamente risana la ferita, ricompone la società, fa scomparire l’ultimo riflesso delle passioni da cui era nata. E certo quelle passioni se le portava dietro fin da quando era nata: perché erano quelle passioni che l’avevano generata nella mente di una minoranza di italiani. Quegli uomini parlavano anche di libertà ma intanto vedevano l’urgenza di un’azione da compiere, un’azione liberatoria, «questa cruenta lotta di liberazione» - come scriveva il 25 settembre del 1945 il partigiano Didimo Ferrari al commissario della Divisione Lunense, l’azionista e futuro storico Roberto Battaglia.
Ma se libertà e liberazione erano così solidali nella lingua di allora, che cosa le ha fatte diventare nemiche nella lingua di oggi? «Il concetto di libertà - ha scritto Marc Bloch - è uno di quelli che ogni epoca rimaneggia a suo piacere». Più difficile rimaneggiare "Liberazione" - quella specifica e precisa lotta di liberazione che si svolse in un determinato momento della storia italiana. Quanti liberatori attivi ebbe l’Italia tra il 1940 e il 1945? C’era allora il "Consolidated B-24 Liberator": un bombardiere quadrimotore. Lo vedevamo dal basso quando veniva a bombardare un’Italia già alleata della Germania e poi occupata dai tedeschi, dove popolazioni inermi tradite dai rappresentanti dello Stato aspettavano che qualcuno li liberasse dalla condizione schiavile in cui erano precipitati.
Se qualcuno non si fosse ribellato e non avesse dato vita all’organizzazione di Comitati di Liberazione Nazionale, gli italiani avrebbero avuto una liberazione tutta americana, insieme alle "AM-Lire" stampate dagli alleati.
Non sarebbe stata la prima volta. Nella storia d’Italia altre svolte rivoluzionarie del mondo moderno sono state vissute in modo passivo. Per una di loro, quella della Grande Rivoluzione francese esportata dalle armate napoleoniche in tutta Europa, lo storico napoletano Vincenzo Cuoco coniò il termine di "rivoluzione passiva", che rimase buono anche per altri usi. Ma almeno in un caso l’Italia è stata attiva e creativa: nell’invenzione del regime fascista, guidato da un capo che si presentò agli inizi come rivoluzionario.
Lo storico che sottolineò questo aspetto, Renzo De Felice, fu anche colui che coniò una espressione poi entrata nel linguaggio comune delle narrazioni della storia italiana del ’900: "gli anni del consenso". Significava quella espressione che l’adesione degli italiani al regime fascista era stata un fenomeno di massa. E questo è servito spesso nella polemica ideologica a sminuire ancora di più la piccolezza del fenomeno della Resistenza come guerra di liberazione condotta da italiani. Poteva mai nascere dal paese del consenso di massa al fascismo, un altro e opposto paese capace di lottare per riscattare la propria dignità?
Nella stanchezza di un’Italia lontanissima da quei tempi oggi sembra giunto il tempo per cancellare anche nel linguaggio l’ultima traccia verbale di una stagione lontana. Ma nella parola "Liberazione" e solo in quella è iscritto il ricordo di un fatto storico che ha segnato la discontinuità tra due Italie. Questo termine sta a ricordare che c’è stata una lotta di una parte del paese contro un’altra, che quella parte pur minoritaria seppe allora raccogliere l’esito della fine del consenso al regime e conquistarsi nel paese un altro e diverso consenso di massa: quel consenso che, attraverso libere elezioni e nella dialettica di ideali diversi ma capaci di dialogare e di incontrarsi sulla sostanza, dette vita e forma alla Costituzione repubblicana.
Lo si cancelli, se si vuole, se si può. Vediamo bene che c’è un patteggiamento intorno a questo e che non mancano offerte di pagamento in buona moneta: tale è il ritiro della legge che equipara gli italiani di Salò e quelli dei Comitati di Liberazione, tale è la possibilità di una revisione della Costituzione non a colpi di maggioranza.
E il prezzo che si chiede è solo una piccola operazione di "lifting" verbale. Tuttavia una cosa deve essere tenuta presente: il banco di prova più delicato del potere si trova proprio qui, nella capacità di iscriversi nel linguaggio, di mutare le denominazioni delle feste come momento simbolico della vita collettiva. E non è solo nell’universo dantesco che per una "paroletta" ci si danna o ci si salva.