Al di là del gioco degli equivoci, delle polemiche strumentali, e della cecità delle varie gerarchie religiose, la decisione del Consiglio Comunale di Oxford sembra essere - in buona fede - un’altra: riportare l’Acqua della "vecchia" Sapienza nella Città nuova!!!
"CHRISTMAS" VUOL ESSERE - SEMPLICEMENTE E SENZA CONTRAPPOSIZIONI - LA "FESTA DELLA LUCE D’INVERNO", SIA NATURALE SIA SOPRA-NATURALE!!!
VERITA’ E RICONCILIAZIONE: AL DI LA’ DI OGNI DUALISMO E DI OGNI FONDAMENTALISMO - NEL SEGNO DEL "X", DEL "CHRISTMAS" E DI .... O"X"FORD!!!
di Marco Tosatti *
La città inglese famosa per la sua Università ha sostituito con la "Festa della luce invernale" le celebrazioni natalizie. Contrari tutti gli esponenti religiosi.
Il consiglio comunale di Oxford ha ufficialmente cancellato la parola Natale, “Christmas” da tutti gli eventi del 25 dicembre e dei giorni successivi per sostituirla con una nuova definizione, quella di “Winter Light Festival”, la Festività della Luce Invernale. Una associazione di beneficenza locale, la Oxford Inspires, sarebbe la principale ispiratrice della decisione. Tei Williams, portavoce dell’organizzazione, ci tiene a ricordare che questa “Winter Light Festival” è ben di più del Natale: due mesi di festa nei quali rientrano eventi, incontri, spettacoli, concerti... tutto quanto fa spettacolo (e possibilmente, fa vendere). "In questo contesto ci saranno anche celebrazioni del Natale, come i cori di canzoni natalizie".
Il vicesindaco di Oxford, Ed Turner, approva l’idea: "Faremo lo stesso un grande albero di Natale nella piazza principale della città", dice. "Ma lo chiameremo in modo diverso". "Mancherà qualcosa alle luminarie di Natale a Oxford, quest’anno: qualsiasi riferimento al Natale". Il Daily Mail sintetizza, così, nell’attacco dell’articolo, la novità ’politically correct’ decisa dall’amministrazione comunale della cittadina inglese famosa in tutto il mondo per la sua Università. La Chiesa Anglicana è scandalizzata, e altrettanto critiche le confessioni cristiane di Oxford: ma contrari all’iniziativa anche i rappresentanti di altre religioni.
Anche se la decisione degli amministratori era motivata dall’intenzione di non offendere la comunità islamica locale, per Sabir Hussain Mirza, presidente del Consiglio Musulmano di Oxford, "il Natale è la data del calendario attesa da tutti. Non solo i cristiani, ma anche i fedeli islamici e quelli di altre confessioni lo aspettano con trepidazione. Il Natale è una festa speciale e non può essere cancellato con un tratto di penna. Il Natale fa parte dell’essere britannici".
Fra l’altro i musulmani conoscono il Natale, “Aid al Ualid”, anche se non lo festeggiano come altre feste islamiche, perché considerano gesù, Issa, uno dei profeti. Dello stesso parere il rabbino Eli Bracknell, direttore del Jewish Educational Centre, il centro di studi ebraici di Oxford: "E’ importante mantenere un tradizionale Natale britannico. Qualsiasi iniziativa che diluisce la cultura tradizionale e la cristianità del Regno Unito non è positiva per l’identità britannica".
Secondo la Santa Sede la decisione del consiglio comunale di Oxford di abolire qualsiasi riferimento al Natale è un sintomo dell’ateismo che oggi si promuove con l’indifferenza religiosa, constata un rappresentante vaticano. L’Arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha commentato la decisione della città britannica di menzionare tutti gli eventi del 25 dicembre e dei giorni successivi con il nome "Festività della luce invernale".
Monsignor Ravasi, ha constatato alla "Radio Vaticana" che il desiderio di questa iniziativa di Oxford "non è tanto quello, a mio avviso, di riuscire a ristabilire un dialogo in modo tale da non avere prevaricazioni, quanto, piuttosto, quello di stingere fino al punto di estinguere qualsiasi identità propria, qualsiasi storia che sta alle spalle, e non stabilire un vero dialogo". "Il vero dialogo lo si costruisce proprio attraverso le identità; quindi, in questo caso, io ritengo che non solo si tratti di una stravaganza, ma alla fine anche di una negazione consapevole - non so fino a che punto - di una grandezza che sta alle proprie spalle, che costruisce il proprio stesso volto".
"Mentre in passato, quando si combatteva la presenza dei segni religiosi, lo si faceva con delle argomentazioni, persino con il desiderio di opporre un sistema del tutto alternativo, ora, invece, tante volte, questa avanzata della negazione è una specie di onda grigia, di nebbia; si vuole introdurre proprio una componente così fluida ed inconsistente che è la caratteristica della secolarizzazione attuale", spiega il rappresentante vaticano. "Dio non viene negato, viene del tutto ignorato e l’impegno pastorale è ancora più complesso perché di fronte ad una negazione si possono apportare le argomentazioni. Di fronte invece a questa sorta di ’gioco di società’ incolore, inodore, insapore, c’è, alla fine, l’impossibilità di una reazione". "Ora noi non abbiamo più l’ateismo nel senso forte, qualche volta drammatico del passato. Noi ora abbiamo l’indifferenza. Questa indifferenza stempera tutto, stinge, scolora, e alla fine, forse impedisce all’uomo anche di interrogarsi - come fanno tutte le grandi religioni - sui temi fondamentali, temi capitali che vengono invece dissolti nell’interno di un’atmosfera così inconsistente".
L’Arcivescovo considera molto positivo il fatto che i musulmani si oppongano a questa iniziativa, perché significa che anch’essi sono consapevoli dei pericoli di questo tentativo di eliminare le identità. “Ancora una volta si tratta di linguaggio politicamente corretto impazzito e sono contento di sapere che i nostri amici musulmani e ebrei la pensano allo stesso modo”. Così mons. Crispian Hollis, vescovo responsabile della diocesi di Portsmouth, alla quale appartiene il lato meridionale di Oxford, ha commentato la decisione della nota città universitaria di bandire la parola Natale e chiamare le prossime festività “Festival invernale della luce”. “La decisione offende la comunità cristiana della città, non fa nulla per promuovere l’armonia razziale e, nel nome dell’inclusività, esclude le tradizioni di una significativa parte della popolazione della città. Deploro questa decisione e spero che il comune ci ripensi”, ha detto ancora il vescovo.
* La Stampa/San Pietro e dintorni, 4/11/2008
.... IL VATICANO HA CANCELLATO DA TEMPO LA "CHARITAS"!!!
di Federico La Sala
CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE (...)
DEUS CHARITAS EST (...)
ET NOS CREDIDIMUS CHARITATI
(1Gv., 4. 1-8).
CARISSIMI, NON PRESTATE FEDE A OGNI SPIRITO (...)
DIO E’ AMORE (...)
E NOI ABBIAMO CREDUTO ALL’AMORE
(1 Gv., 4. 1-8)
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (“Logos”) è diventato il marchio capitalistico di una fabbrica (“Logo”) infernale ... di affari e di morte?! Ci illumini: un pò di CHIAREZZA!!! FRANCESCO e CHIARA di Assisi si sbagliavano?! Claritas e Charitas, Charitas e Claritas... o no?!
Federico La Sala
“DEUS CARITAS EST”: IL “LOGO”
DEL GRANDE MERCANTE
E DEL CAPITALISMO
di Federico La Sala *
In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è caro-prezzo, così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006)!!!
Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!
Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)
*www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 26 gennaio 2006.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
CHARITAS (AMORE) O CARITAS (CARO-PREZZO, MAMMONA)?!
Il Papa incontra i partecipanti al primo seminario del forum cattolico-musulmano*
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GOD IS LOVE - This truth, which we consider foundational, was what I wished to emphasize in my first Encyclical, Deus Caritas Est...
DIO E’ AMORE - Questa verità, che consideriamo fondante, è ciò che ho voluto evidenziare nella mia prima Enciclica, Deus Caritas est
[...] The Christian tradition proclaims that God is Love (cf. 1 Jn 4: 16). It was out of love that he created the whole universe, and by his love he becomes present in human history. The love of God became visible, manifested fully and definitively in Jesus Christ. He thus came down to meet man and, while remaining God, took on our nature. He gave himself in order to restore full dignity to each person and to bring us salvation. How could we ever explain the mystery of the incarnation and the redemption except by Love? This infinite and eternal love enables us to respond by giving all our love in return: love for God and love for neighbour. This truth, which we consider foundational, was what I wished to emphasize in my first Encyclical, Deus Caritas Est, since this is a central teaching of the Christian faith. Our calling and mission is to share freely with others the love which God lavishes upon us without any merit of our own. [...]
[...] La tradizione cristiana proclama che Dio è Amore (cfr. 1 Gv 4, 16). È per amore che ha creato tutto l’universo, e con il suo amore si fa presente nella storia umana. L’amore di Dio è divenuto visibile, manifestato in maniera piena e definitiva in Gesù Cristo. Così egli è disceso per incontrare l’uomo e, pur rimanendo Dio, ha assunto la nostra natura. Ha donato se stesso per restituire la piena dignità a ogni persona e per portarci la salvezza. Come potremmo spiegare il mistero dell’incarnazione e della redenzione se non con l’Amore? Questo amore infinito ed eterno ci permette di rispondere dando in cambio tutto il nostro amore: amore verso Dio e amore verso il prossimo. Questa verità, che consideriamo fondante, è ciò che ho voluto evidenziare nella mia prima Enciclica, Deus Caritas est, poiché è un insegnamento centrale della fede cristiana. La nostra chiamata e la nostra missione sono di condividere liberamente con gli altri l’amore che Dio ci prodiga senza alcun merito da parte nostra [...]
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Si cfr.:
Il Papa incontra i partecipanti al primo seminario del forum cattolico-musulmano
Il nome di Dio può essere solo
un nome di pace e fratellanza, Osservatore Romano, 7 novembre 2008
Per dizionario Oxford ’post-verità’ è parola del 2016
Scelta fatta sullo sfondo di elezioni Usa e referendum Brexit
di Redazione Ansa *
LONDRA E’ ’post verità’, in inglese ’post-truth’, il neologismo dell’anno secondo gli esperti di Oxford Dictionaries. La scelta e’ quella di un’espressione che secondo un comitato di esperti ha segnato profondamente la scena politica internazionale durante il 2016, con riferimento in particolare alle polemiche legate alla campagna referendaria britannica sfociata a giugno nella vittoria della Brexit (il divorzio dall’Ue) e a quella americana per le presidenziali appena culminata nel trionfo di Donald Trump.
L’annuncio è arrivato in queste ore, riporta la Bbc: ’post-truth’ ha prevalso in una short list finale che comprendeva anche termini come ’Brexiteer’ (sostenitore della Brexit). Si tratta, ha sentenziato Casper Grathwohl, fra i curatori dei prestigiosi dizionari editi a Oxford, "di una di quelle parole che definiscono il nostro tempo".
Una donna rettore di Oxford: è la prima volta dalla fondazione *
L’università di Oxford ha nominato, oggi per la prima volta in otto secoli, una donna rettore: si tratta di Louise Richardson che dirige attualmente l’università di St Andrews in Scozia. Richardson sostituirà l’attuale vice cancelliere di Oxford Andrew Hamilton all’inizio del prossimo anno per un mandato di sette anni.
La sua nomina deve ancora essere approvata dalla Congregazione (l’organo legislativo dell’ateneo). Richardson sarà allora la prima donna ad occupare questa carica dalla fondazione dell’università nel 1230. "Oxford è una delle più prestigiose università del mondo. Mi sento estremamente privilegiata di avere l’opportunità di dirigere questa incredibile istituzione", ha reagito Richardson, 56 anni.
Il Comitato che ha proceduto alla sua nomina "è stato molto colpito dalla forte adesione del professor Richardson ai valori educativi e universitari cari a Oxford", ha spiegato lord patten, Cancelliere dell’ateneo, una carica onorifica.
Nata in Irlanda, Louise Richardson ha studiato storia a Dublino e scienze politiche in California prima di fare un dottorato all’università di Harvard. E’ nota per i suoi lavori sul terrorismo e la sicurezza.
George Orwell si confronta con le opere di Wells, Morris e Swift
Dal Natale di Charles Dickens alle ideologie utopistiche
La vera gioia non si può immaginare né programmare
Può un socialista essere felice?
La vanità di qualsiasi modello fondato sulla ricerca della perfezione
di George Orwell (Corriere della Sera, 16.12.2008)
Il Natale ci fa pensare quasi automaticamente a Charles Dickens, e per due buone ragioni. La prima è che Dickens è uno dei pochi scrittori inglesi ad aver scritto sul Natale, che è la festa più amata dagli inglesi, ma ha ispirato poche opere letterarie. Ci sono i canti, i Christmas Carols, quasi tutti di origini medievali; c’è una manciata di poesie di Robert Bridges, T.S. Eliot e qualche altro, c’è Dickens; e poco di più. La seconda ragione è che tra gli scrittori moderni Dickens è uno dei pochi, quasi l’unico, a offrire un’immagine convincente della felicità.
Dickens ha parlato del Natale due volte, in un capitolo del Circolo Pickwick e nel Canto di Natale. Quest’ultimo racconto venne letto a Lenin morente che, secondo la moglie, ne trovò del tutto intollerabile «il sentimentalismo borghese». In un certo senso aveva ragione, ma se fosse stato in condizioni di salute migliori si sarebbe forse accorto che quel racconto ha dei risvolti sociologici interessanti. Anzitutto, per quanto Dickens calchi la mano e il «sentimentalismo» di Tiny Tim possa sembrare sgradevole, la famiglia Cratchit pare proprio divertirsi. Ha l’aria felice, a differenza, per esempio, dei cittadini di Notizie da nessun luogo di William Morris. Inoltre, la loro felicità deriva soprattutto dal contrasto, e il fatto che Dickens se ne renda conto è uno dei segreti della sua forza. Sono contenti perché una volta tanto hanno cibo in abbondanza. Il lupo è alla porta, ma sta scodinzolando. Il vapore del pudding natalizio aleggia su uno scenario fatto di banchi di pegni e di duro lavoro e accanto alla tavola imbandita il fantasma di Scrooge è sempre presente. Bob Cratchit vuole perfino brindare alla salute di Scrooge, cosa che la signora Cratchit, giustamente, rifiuta di fare. I Cratchit riescono a godersi il Natale proprio perché viene solo una volta all’anno. La loro felicità è convincente proprio per questo. La loro felicità è convincente perché è descritta come provvisoria.
Tutti i tentativi di descrivere una condizione di felicità permanente, d’altro canto, si sono risolti in un fallimento. Le Utopie (a proposito, la parola Utopia non significa «bel luogo», ma «luogo inesistente ») sono comparse spesso nella letteratura degli ultimi tre o quattrocento anni, ma quelle «positive» sono immancabilmente poco attraenti, e di solito anche prive di vitalità.
Le Utopie moderne di gran lunga più note sono quelle di H.G. Wells. La visione del futuro prefigurata da Wells è enunciata appieno in due libri scritti all’inizio degli anni Venti, The Dream e Men Like Gods. Vi si trova un’immagine del mondo che a Wells sarebbe piaciuto, o che pensava gli sarebbe piaciuto. È un mondo in cui le note dominanti sono l’edonismo illuminato e la curiosità scientifica. Tutti i mali e le miserie di cui soffriamo sono scomparsi. L’ignoranza, la guerra, la povertà, la sporcizia, la malattia, la frustrazione, la fame, la paura, la fatica opprimente, la superstizione non ci sono più. Così descritto, non potremmo negare che sia il genere di mondo a cui tutti aspiriamo. Tutti noi vogliamo abolire quel che Wells vuole abolire. Ma c’è qualcuno che voglia veramente vivere in un’Utopia wellsiana? È semmai il contrario: non dover vivere in un mondo come quello è ormai diventata una questione politica ben presente. Un libro come Il mondo nuovo è espressione della paura che l’uomo moderno nutre nei confronti della società edonistica razionalizzata che ha il potere di creare. Uno scrittore cattolico ha affermato recentemente che le Utopie sono oggi tecnicamente possibili, e che ora il vero problema è come evitarle. Non possiamo limitarci a ritenere ridicola quest’osservazione e a ignorarla, perché una delle molle del movimento fascista è proprio il desiderio di evitare un mondo troppo razionale e comodo.
Tutte le Utopie «positive» sembrano simili nell’ipotizzare la perfezione ed essere incapaci di dare un’idea della felicità. Notizie da nessun luogo è una specie di versione edulcorata dell’Utopia wellsiana. Tutti sono gentili e ragionevoli, la tappezzeria viene tutta da Liberty, il miglior negozio, ma si avverte una vaga malinconia. Colpisce, però, che neanche Jonathan Swift, uno degli scrittori più ricchi d’immaginazione, riesca meglio degli altri a costruire un’Utopia «positiva».
La prima parte dei Viaggi di Gulliver è probabilmente la critica più feroce alla società umana che sia mai stata scritta. Ogni parola di quel libro è ancora attuale; a tratti vi si trovano prefigurazioni dettagliate degli orrori politici del nostro tempo. Swift fallisce, però, quando cerca di presentarci una razza di individui che suscitano la sua ammirazione. Nell’ultima parte, in antitesi agli sgradevoli Yahoo, vengono mostrati i nobili Houyhnhnms, cavalli intelligenti e privi delle debolezze umane. Questi cavalli, nonostante il loro spirito elevato e l’infallibile buon senso, sono creature piuttosto noiose. Come gli abitanti di tante altre Utopie, si preoccupano soprattutto di evitare i problemi.
Conducono vite monotone, controllate, «ragionevoli», libere non solo dai litigi, dal disordine o da incertezze di ogni genere, ma anche dalla «passione», compreso l’amore fisico. Scelgono i compagni seguendo principi eugenetici, evitano gli eccessi dei sentimenti, e sembrano quasi contenti di morire quando giunge la loro ora. All’inizio del libro Swift mostra dove la follia e la ribalderia portano l’uomo: ma se si eliminano la follia e la ribalderia, ciò che rimane sembra essere un’esistenza tiepida, che non ha molto senso vivere. I tentativi di descrivere l’approdo a una felicità ultraterrena non hanno avuto maggiore successo. Come Utopia il Paradiso è un fiasco, mentre l’Inferno occupa una posizione ragguardevole in letteratura, ed è stato spesso descritto in modo dettagliato e convincente.
Sappiamo bene che il Paradiso cristiano, come è di solito rappresentato, non attrarrebbe nessuno. (...) Molti pastori evangelici, molti preti gesuiti (anche nel terribile sermone in Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce) hanno spaventato a morte i fedeli con le loro rappresentazioni dell’Inferno. Ma quando si passa al Paradiso, si torna invariabilmente a valersi di parole come «estasi» e «beatitudine», senza fare molto per cercare di spiegare in che cosa consistano. Forse il passo più vitale su questo argomento è quello, famoso, di Tertulliano, in cui si dice che una delle maggiori gioie del Paradiso è guardare le torture dei dannati. Le versioni pagane del Paradiso sono forse un po’ migliori. Si ha la sensazione che nei campi elisi ci sia sempre il tramonto. L’Olimpo, dove vivevano gli dei, con il nettare e l’ambrosia, le ninfe ed Ebe, «puttane immortali» come le ha chiamate D.H. Lawrence, potrà essere un po’ più interessante del Paradiso cristiano, ma non fa venir voglia di passarci molto tempo. Il Paradiso musulmano, con le sue 77 urì (vergini) per ogni uomo, tutte presumibilmente desiderose di attenzioni allo stesso momento, è un vero e proprio incubo. Nemmeno gli spiritualisti, che ci assicurano di continuo che «tutto è luminoso e bello», riescono a descrivere una qualche attività dell’altro mondo che una persona avveduta possa trovare, se non attraente, almeno sopportabile.
Nello stesso modo si risolvono i tentativi di descrivere la perfetta felicità che non siano né utopistici né ultraterreni, ma semplicemente sensuali. Danno sempre l’impressione di essere vuoti o volgari, o entrambe le cose. All’inizio di La pulzella d’Orléans, Voltaire descrive la vita di Carlo IX con la sua amante Agnes Sorel. Erano «sempre felici », dice. E in cosa consisteva la loro felicità? Un susseguirsi incessante di feste, libagioni, partite di caccia e amplessi. Chi, dopo qualche settimana, non si stancherebbe di un’esistenza simile? Rabelais parla delle anime fortunate che si divertono nell’aldilà, come consolazione per essersela passata male in questo mondo. Cantano una canzone che si potrebbe grossolanamente tradurre così: «Saltare, danzare, far scherzi, bere vino bianco e rosso, e non far niente tutto il giorno se non contare monete d’oro». Che noia, in fin dei conti! L’idea vana del divertimento senza fine è ben raffigurata nel quadro di Brueghel Il paese di cuccagna, dove tre grassoni giacciono addormentati uno accanto all’altro, tra uova sode e cosce di pollo pronte a farsi mangiare.
Sembra che gli esseri umani non sappiano descrivere, né forse immaginare, la felicità se non in termini di contrasto con una opposta condizione. Per questo da un’epoca all’altra il concetto di Paradiso o quello di Utopia cambiano. Nella società preindustriale il Paradiso era descritto come un luogo di infinito riposo, e lastricato d’oro, perché l’essere umano medio conosceva solo la fatica del lavoro e la povertà. Le urì del Paradiso musulmano riflettevano una società poligama dove la maggior parte delle donne scomparivano negli harem dei ricchi. Ma queste immagini di «eterna beatitudine» sono sempre poco attraenti perché quando la beatitudine diventa eterna (eternità intesa come tempo infinito), il termine di paragone scompare. Alcuni motivi convenzionali radicati nella nostra letteratura sono nati da condizioni fisiche che ora hanno cessato di esistere. Ne è un esempio il culto della primavera. Nel Medioevo la primavera non significava rondini e fiori di campo. Significava verdura, latte e carne fresca dopo parecchi mesi di maiale salato consumato in capanne fumose e prive di finestre. I canti della primavera erano allegri, «Se la carne poco costa, e le femmine son care, e i bulletti vanno apposta tutt’intorno a gironzare, non ci resta che mangiare, stare allegri e ringraziare il buon Dio che ci largì l’allegria di questo dì» (Shakespeare, Enrico IV), perché c’erano buone ragioni per rallegrarsi. L’inverno era finito, questo era il fatto principale. Lo stesso Natale, una festa pre-cristiana, è probabilmente nato perché, di tanto in tanto, mangiate e bevute fuori del comune aiutavano a interrompere l’insopportabile inverno nordico.
L’incapacità del genere umano di immaginare la felicità in forme diverse dalla liberazione dalla fatica o dal dolore pone ai socialisti un grave problema. Dickens sa descrivere una famiglia stretta dalla povertà che si butta su un’anatra arrosto, e farla apparire felice; allo stesso tempo, gli abitanti di universi perfetti non mostrano nessuna allegria spontanea e sono di solito assai poco attraenti. Ma ovviamente noi non vogliamo il mondo descritto da Dickens, né, probabilmente, nessuno dei mondi che avrebbe potuto immaginare. L’obiettivo dei socialisti non è una società dove alla fine tutto si risolve perché vecchi signori gentili regalano tacchini. Il nostro obiettivo non è forse una società in cui la «carità» non sia necessaria? Vogliamo un mondo in cui Scrooge, con i suoi dividendi, e Tiny Tim, con la sua gamba storpia, siano entrambi impensabili. Significa che aspiriamo a un’Utopia senza dolore? A rischio di dire una cosa che i redattori del Tribune potrebbero non approvare, affermo che il vero scopo del socialismo non è la felicità. La felicità finora è stata una conseguenza occasionale e, per quel che ne sappiamo, potrebbe rimanere tale. Il vero scopo del socialismo è la fratellanza umana. Spesso lo si pensa, ma di solito non lo si dice, o non lo si dice a voce abbastanza alta. Gli uomini passano la vita in strazianti lotte politiche, si uccidono in guerre civili, o vengono torturati nelle prigioni della Gestapo, non per costruire un qualche Paradiso con riscaldamento centralizzato, aria condizionata e illuminazione al neon, ma perché vogliono un mondo in cui gli esseri umani si amino, anziché derubarsi e uccidersi a vicenda. Questo è per loro un primo passo. Quale direzione poi prenderanno non è dato sapere, e il tentativo di prevederlo accuratamente non fa che confondere le cose.
Il pensiero socialista deve immaginare un futuro, ma solo in senso lato. Spesso bisogna tendere a obiettivi che si vedono solo in modo indistinto. In questo momento, ad esempio, il mondo è in guerra e vuole la pace. Il mondo, però, non ha esperienza di pace, non ne ha mai avuta, a meno che non sia esistito il Buon Selvaggio. Il mondo vuole qualcosa della cui esistenza è solo vagamente consapevole, che non riesce a definire con precisione. Questo Natale migliaia di uomini verseranno il loro sangue sulla neve russa, o annegheranno in acque gelate, o si faranno a pezzi nelle isole paludose del Pacifico; bambini senza casa andranno in cerca di cibo tra le rovine delle città tedesche. Far sì che questo non accada più è giusto. Ma dire con precisione come sarà un mondo in pace è tutt’altra cosa.
Quasi tutti i creatori di Utopie facevano pensare a un uomo con il mal di denti, per il quale la felicità consiste quindi nel non avere mal di denti. Volevano costruire una società perfetta prolungando all’infinito una condizione apprezzabile solo perché temporanea. Sarebbe meglio dire che ci sono delle linee lungo le quali l’umanità deve muoversi, che il disegno strategico è tracciato, ma che fare previsioni dettagliate non è affar nostro. Chiunque cerchi di immaginare la perfezione ne mette in luce solo la vacuità. È successo anche a un grande scrittore come Swift, che sa mettere perfettamente alla berlina un vescovo o un uomo politico: quando cerca però di creare un superuomo, ci dà l’impressione, opposta alle sue intenzioni, che i maleodoranti Yahoo avessero più possibilità di evolversi degli illuminati Houyhnhnms. (Traduzione di Maria Sepa)
«Religulous» si scaglia contro i predicatori e le celebrità che ostentano la fede
Attacco laico
Le religioni in un documentario «comico»
Cristiani, ebrei e musulmani nel mirino
di Giovanna Grassi *
LOS ANGELES - «La religione è una sovrastruttura dell’uomo e del potere. È sempre foriera di traumi, inibizioni, gerarchie. Non solo è pericolosa, ma nasconde anche una ricattatoria fandonia: quella di far diventare gli esseri umani buoni». Questo è l’assioma che sostiene Bill Maher nel documentario che ha scritto e prodotto, Religulous, e di cui ha affidato la regia a Larry Charles (Borat) - il miglior amico di Michael Moore - che, ironia della sorte, con la sua gran barba e sempre vestito di nero sembra proprio un predicatore.
Maher è il «comedian/reporter » più politicamente scorretto d’America: nato a New York nel 1956, è figlio di un noto giornalista della Nbc di adamantina fede cattolica e di una signora di religione ebraica. È stato radiato dalla ABC, con il suo popolare show di interviste e dibattiti (intitolato Politically Incorrect), dopo aver innescato uno scandalo nazionale per aver detto che i terroristi dell’attacco alle Due Torri non erano «vili né codardi ».
Religulous non sarà sicuramente in corsa per gli Oscar, ma resta nella top ten degli incassi Usa a diverse settimane dal debutto; in Italia uscirà il 5 dicembre, dopo essere passato al morettiano Festival di Torino. Il New York Times lo ha definito «il più irriverente, divertente documento sulla fede», ma è anche molto angoscioso e «foriero di interrogativi profondi», ha ribattuto il Los Angeles Times.
Il film è imperniato su una carrellata di predicatori, sette, religioni ufficiali, ortodosse e non dell’ America. Racconta Bill: «Da sempre volevo girare un documentario sulla fede essendo io stato segnato da una crescita divisa tra due religioni. Ho girato il mondo e volevo, non è un paradosso, che il nostro lavoro fosse anche divertente e che, nell’analizzare il potere spesso corrotto che si nasconde dietro tanti culti, instaurasse un dibattito tra intelligenza e stupidità con i suoi discutibili idoli, spesso simili a rock star nella loro leva sulle folle. Ho intervistato centinaia di persone, scienziati, letterati, intellettuali, vescovi, ciarlatani... Ho utilizzato migliaia di spezzoni, compresi quelli di Bush quando afferma, per i suoi tornaconti e crimini di guerra «Dio e Gesù Cristo sono esistiti per dare libertà agli uomini». E anche McCain, che di religione non parla, ma dichiara di credere al diavolo. Tom Cruise seguace di Scientology ha rifiutato l’incontro, ma appare in alcune sue dichiarazioni, come John Travolta, adepto della fede di L. Ron Hubbard».
Che cosa ha divertito e preoccupato di più l’indomito Bill, che da bambino litigava con la madre ebrea e con il padre cattolico, decisi entrambi a imporgli la loro fede (ma per rispetto e amore ha dedicato il film a mamma Julie, defunta)? «Sicuramente - risponde - gli incontri con i predicatori americani, che hanno migliaia e migliaia di fedeli ». Ed ecco gli esempi che più l’hanno colpito: «Due soprattutto rappresentano l’assurdità del bisogno di fede. Il miliardario predicatore Josè Luis de Jesus Mirada che, coperto di oro e con abiti di sartoria ("Perché Cristo è stato e resta una icona fashion") proclama di essere il nuovo Gesù a folle adoranti; l’ex leader gay oggi sposato John Wescott, che ha creato il suo business di fede per convertire tutti i gay alla cristianità e che nega che Gesù abbia mai parlato della materia. E, poi, gli islamici integralisti da me intervistati, i cittadini dell’ America profonda che dichiarano di aver parlato con il loro angelo custode, gli scienziati, gli analisti della religione autori di best seller, il capo della Cannaba Religion, Ferre van Beveren".
Ce n’è per tutti e genitori e figli fanno la fila per vedere e contestare il documentario con striscioni «God helps us» (Dio ci aiuta) o poster irridenti. Dice Maher: «Mi interessa molto la reazione della platea italiana, cattolica e no. Perché avevo solo un obiettivo nel realizzare il nostro lavoro. Far confrontare i popoli con la fede, quindi con la politica, il potere e la propria coscienza ». Scusi, una o due regole di fede per lei?: «Stimolare controversie, essere frugale e sempre ragionare con i fatti».
* Corriere della Sera, 11.11.2008
VIDEO - Rissa tra monaci a Gerusalemme
Fonte Reuters
Una violenta rissa tra monaci armeni e greci ortodossi è scoppiata nella Basilica del Santo Sepolcro, uno dei siti più sacri del cristianesimo. Si tratta dell’ultimo di una serie di scontri tra monaci delle sei diverse confessioni che si contendono il controllo del sito dove secondo la tradizione si trova la tomba di Gesù. - PER VEDERE IL FILAMTO, CLICCARE SUL ROSSO.