Barack Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America. "Siamo un popolo solo", le sue prime parole. Oggi inizia la Terza Età profetizzata dall’abate calabrese Gioacchino da Fiore, cui il nuovo presidente americano si è ispirato nella sua campagna elettorale.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
CNN, BIDEN CONQUISTA LA PENNSYLVANIA ED È PRESIDENTE (Ansa)
Elezioni Usa 2020, Joe Biden conquista la Pennsylvania ed è presidente Secondo le proiezioni di Cnn. Biden è presidente eletto anche secondo l’Associated Press e Nbc.
di Redazione ANSA 07 novembre 2020 *
Joe Biden conquista la Pennsylvania ed è il 46mo presidente degli Stati Uniti, secondo le proiezioni di Cnn. Joe Biden è presidente eletto anche secondo l’Associated Press e Nbc. Kamala Harris entra nella storia: è la prima vicepresidente donna della storia americana.
Fox ancora non chiama la vittoria di Joe Biden. Il network di Rupert Murdoch non proietta la vittoria di Biden in Pennsylvania e quindi non è ancora in grado di proiettare quella di Biden alla Casa Bianca.
Da New York a Washington esplode l’entusiasmo in strada per la vittoria di Joe Biden. I clacson a tutto spiano festeggiano il 46mo presidente americano fra le grida di gioia dei passanti sui marciapiedi.
"La vittoria di Biden è una bella notizia". Così il ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, apprendendo che è stata ufficializzata la vittoria di Joe Biden nelle elezioni Usa.
Il conteggio delle schede elettorali riparte in Pennsylvania dopo la pausa della notte. Lo Stato è chiave nella corsa alla Casa Bianca e non è ancora stato assegnato. Joe Biden continua ad allungare in Pennsylvania, dove è avanti di quasi 29.000 voti, per l’esattezza 28.883. L’ex vicepresidente è al 49,6%, Donald Trump al 49,1%. La legge dello Stato prevede un nuova conta nel caso in cui il margine di scarto fra i due candidati sia inferiore allo 0,5% dei voti totali. Ma Donald Trump non ci sta e accusa ancora una volta via twitter: "Decine di migliaia di voti illegali sono stati ricevuti dopo le ore 20 dell’Election Day, cambiando i risultati in Pennsylvania e in altri Stati". A chi era chiamato a monitorare i voti non è stato consentito di farlo per decine di migliaia di schede. "Questo potrebbe cambiare il risultato in molti Stati, inclusa la Pennsylvania, che tutti pensavamo fosse stata vinta facilmente per poi vedere il vantaggio sparire senza poter monitorare per lunghi intervalli temporali cosa stava accadendo" nei seggi. "Durante quelle ore qualcosa di brutto è accaduto. Le porte sono state bloccate e le finestre sono state coperte in modo che chi doveva monitorare non ha potuto farlo". "Non c’è alcuna prova che ci siano stati brogli" o "voti illegali" alle elezioni americane. Lo afferma Ellen Weintraub, componente della Commissione elettorale federale, alla Cnn. Weintraub ha parlato di "pochissime denunce" di eventuali scorrettezze, ma nessuna di queste suffragata da prove.
"Ho vinto queste elezioni, e di molto", sostiene il tycoon.
"Non c’è alcuna prova che ci siano stati brogli" o "voti illegali" alle elezioni americane. Lo afferma Ellen Weintraub, componente della Commissione elettorale federale, alla Cnn. Weintraub ha parlato di "pochissime denunce" di eventuali scorrettezze, ma nessuna di queste suffragata da prove.
Joe Biden ha ormai la vittoria in tasca e si avvia ad essere il 46mo presidente degli Stati Uniti. Avanti in Pennsylvania e Georgia con un sorpasso in volata su Donald Trump, ma vicino anche alla conquista del Nevada e dell’Arizona, tutti gli ostacoli sulla strada della Casa Bianca, salvo clamorosi colpi di scena, sono superati. Ma "Joe Biden - attacca Trump - non dovrebbe reclamare l’incarico di presidente, sarebbe sbagliato. Anch’io potrei farlo. Le azioni legali sono appena iniziate".
E se per il presidente ancora in carica "non è finita" e tutto verrà ribaltato dalla Corte Suprema, attorno a lui tira aria di resa. "Se si contano solo i voti legali vinco facilmente", ha detto Trump parlando in diretta tv alla nazione e rompendo un inusuale silenzio durato 36 ore, dalla notte dell’Election Day. Ma il suo viso diceva tutto, e dalla sua espressione trapelava una rassegnazione e una stanchezza mai viste.
Risentendo le sue parole, più che suonare come una minaccia hanno il sapore di una sconfitta ormai inevitabile. Del resto, con il conteggio dei voti ancora in corso in cinque Stati chiave, il colpo del ko in grado di mettere definitivamente al tappeto il presidente in carica è arrivato proprio dalla Pennsylvania, quella che nel 2016 Trump strappò clamorosamente a Hillary Clinton. Una Pennsylvania che quattro anni dopo ha voltato le spalle a The Donald e riabbracciato uno dei suoi figli, il vecchio Joe, nato a Scranton ben 77 anni fa.
IL PROFILO DI BIDEN
Ma espugnare la roccaforte repubblicana della Georgia è stato il vero miracolo di Biden, un’impresa che non riuscì nemmeno a Barack Obama con le sue vittorie a valanga del 2008 e del 2012.
Dalla lunga notte elettorale ai commenti dei due protagonisti della corsa alla Casa Bianca - FOTO E VIDEO
"Gli americani meritano una totale trasparenza" sul voto: "perseguiremo ogni via legale". Lo afferma Donald Trump in un comunicato diffuso dalla sua campagna elettorale.
"E’ chiaro che il ticket Biden-Harris vincerà la Casa Bianca". Lo afferma la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, riferendosi a Joe Biden come al ’presidente eletto’. "Non abbiamo vinto tutte le battaglie alla Camera, ma abbiamo vinto la guerra", aggiunge.
"Le elezioni non sono finite. La falsa proiezione di Joe Biden come vincitore è basata sui risultati in quattro Stati che non sono ancora definitivi". Lo afferma la campagna di Donald Trump. "Il presidente Trump sarà rieletto", aggiunge.
"Gli americani decideranno questa elezione. Il governo americano è perfettamente capace di scortare gli intrusi fuori dalla Casa Bianca", afferma la campagna di Joe Biden replicando alle indiscrezioni relative al fatto che Donald Trump non intende concedere la vittoria all’ex vicepresidente. La costituzione americana in ogni caso non prevede l’obbligo di concessione.
*Per aggiornamenti ulteriori, cfr. Ansa.
Obama, via al cambiamento La nuova squadra di governo
Emanuel, capo di Gabinetto *
Comincia a prendere forma la squadra di Governo del nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, eletto martedì con ampia maggioranza di voti elettorali e consenso popolare. Il suo più stretto collaboratore, il capo di Gabinetto, sarà il deputato dell’Illinois Rahm Emanuel, amico e alleato di vecchia data.
Secondo quanto riportato dall’emittente televisiva Nbc, che cita fonti vicine uno dei collaboratori di Obama, Emanuel ha accettato l’offerta di Obama, che ha così voluto mandare un segnale sul fatto che è pronto ad assumersi le proprie responsabilità di presidente lavorando immediatamente alla composizione della squadra che dovrà aiutarlo a guidare il Paese.
L’incarico dato a Emanuel, che prenderà il posto di Joshua Bolten, è di estrema importanza per la Casa Bianca. Il capo di Gabinetto, volendo usare una metafora, è come fosse l’amministratore delegato del Governo, una delle figure più influenti e stretto collaboratore del presidente, di cui ne cura l’agenda quotidiana. Oltre a decidere chi è autorizzato a incontrare il presidente, ha il compito di fare da supervisore alle attività dello staff della Casa Bianca.
Emanuel, veterano dell’amministrazione del presidente Bill Clinton, ha fama di essere stratega politico di larghe vedute ed è stato presidente della commissione elettorale democratica quando, due anni fa, i democratici hanno riconquistato il controllo del Congresso per la prima volta in oltre un decennio.
Il team di collaboratori che aiuterà Obama nel periodo di transizione - il presidente giurerà il prossimo 20 gennaio e solo allora si insedierà alla Casa Bianca - sarà guidato dal John Podesta, capo di Gabinetto durante la presidenza Clinton. Ne faranno parte anche la governatrice dell’Arizona Janet Napolitano, che potrebbe avere un incarico anche nell’amministrazione Obama, Pete Rouse, capo dello staff di Obama in Senato, e Valerie Jarrett, amica del nuovo presidente e consulente della sua campagna elettorale.
La squadra di consulenti comprenderà anche Federico Pena, ex segretario all’Energia e ai Trasporti sotto Clinton, e il segretario al Commercio dell’ex presidente William Daley.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.11.08, Modificato il: 06.11.08 alle ore 8.42
Ansa» 2008-11-06 08:49
Rahm Emanuel, consigliere che sa tutto di Washington
WASHINGTON - Rahm Emanuel, scelto da Barack Obama come capo di staff, è un insider di Washington e si dice abbia un carattere abrasivo. Due caratteristiche che sembrerebbero non in linea col messaggio di cambiamento e di unità che Obama ripete ad ogni discorso. Ma Emanuel, 48 anni, figlio di un pediatra nato a Gerusalemme, studi da ballerino, un fratello molto potente ad Hollywood, ha altre virtù agli occhi di Obama, di cui da tempo è consigliere.
Emanuel, deputato alla Camera per il North Side di Chicago, ha un carattere forte ed è molto abile nella raccolta di fondi. A lui è ispirato un personaggio della serie Tv ’West Wing’ (quello di Josh Lyman). Suo fratello Ari ha creato una delle più potenti agenzie di talenti di Hollywood. Un altro fratello, é un famoso oncologo. E’ stato consigliere del senatore democratico Paul Simon e del sindaco di Chicago Richard M. Daley. Nel 1991, durante la prima Guerra del Golfo, è accorso in Israele come volontario civile.
Nel 1991 Bill Clinton lo ha nominato Direttore delle Finanze della sua campagna elettorale. Conquistata la Casa Bianca era diventato consigliere di Clinton. Era stato lui il coreografo della firma nel 1993 nel giardino della Casa Bianca dell’accordo di Oslo tra israeliani e palestinesi.
E’ entrato nel clan di Obama attraverso l’amicizia comune con David Axelrod, stratega del presidente eletto. Emanuel, che ha perduto parte di un dito mentre lavorava ad un tritacarne da giovane, è un appassionato atleta di triathlons.
Vince Obama, è festa nazionale anche in Kenya *
Non si festeggia solo negli Stati Uniti per la vittoria di Barack Obama alle presidenziali. In Kenya, il presidente Mwai Kigaki, ha dichiarato festa nazionale per la giornata di giovedì in onore della vittoria «storica» di Obama. «La vittoria del senatore Obama è la vittoria del nostro paese, in virtù delle sue radici, qui in Kenya», ha dichiarato Kibaki.
La famiglia keniana, accolta la notizia della vittoria del senatore dell’Illinois, è esplosa in una manifestazione di gioia ed entusiasmo. «Andiamo alla Casa Bianca» hanno esultato alcuni parenti del neo-presidente afro-americano. Nel villaggio occidentale di Kogelo, dove vivono alcuni parenti di Obama tra cui una delle sue nonne, la polizia ha assicurato la massima vigilanza nel timore di un assalto da parte dei media.
A Nairobi, la gente ha seguito tutta la notte lo scrutinio elettorale o si è svegliata all’alba per conoscere l’esito del voto, quindi ha salutato la conquista della Casa Bianca del candidato democratico al grido «Obama! Obama!». Centinaia di persone hanno sfilato per i vicoli della baraccopoli di Kibera. Gibson Gaitho, 14 anni, sa che la presidenza Obama non cambierà molto la sua vita, ma «in quanto keniani siamo orgogliosi».
* l’Unità, Pubblicato il: 05.11.08, Modificato il: 05.11.08 alle ore 11.16
LA LETTERA
"Caro Obama, con la tua vittoria
si può sognare un mondo migliore"
di NELSON MANDELA *
Questo è il testo della Lettera spedita da Nelson Mandela a Barack Obama
Caro Senatore Obama,
Ci uniamo al popolo del suo Paese e di tutto il mondo nel congratularci con lei per essere diventato il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti. La sua vittoria ha dimostrato che nessuna persona, in nessun luogo al mondo dovrebbe astenersi dal sognare di volere cambiare il mondo affinché diventi un pianeta migliore.
Prendiamo atto e plaudiamo al suo impegno di sostenere la causa della pace e della sicurezza in tutto il pianeta. Confidiamo inoltre che lei faccia rientrare nella sua missione di presidente anche la lotta alle piaghe della povertà e della malattia in tutto il pianeta.
Le auguriamo forza e decisione nei giorni e negli anni difficili che le stanno davanti. Siamo sicuri che lei alla fine conseguirà il suo sogno, quello di rendere gli Stati Uniti d’America un partner a pieno titolo di una comunità di nazioni dedite ad assicurare pace e benessere a tutti.
Con i miei più sinceri auguri,
(Traduzione di Anna Bissanti)
Inno alla democrazia del nuovo presidente davanti alla folla oceanica di Chicago
Quindici minuti emozionanti in cui ha promesso una nuova èra politica
Dal palco Obama infiamma il Paese
"Negli Usa nulla è impossibile"
dal nostro inviato MARIO CALABRESI *
CHICAGO - Un inno alla democrazia e alla capacità di cambiare. Barack Obama nel discorso più importante della sua vita, davanti a centinaia di migliaia di persone, ha commosso il suo Paese e il mondo rivendicando la forza della speranza contro il cinismo, la forza dell’uomo comune davanti al potere, la forza potente del sogno e del cambiamento. La forza dell’America, ha gridato Obama nella notte di Chicago, non è la sua potenza militare ma la capacità di creare «democrazia, libertà e opportunità».
Un discorso di quindici minuti, intenso, emozionante, capace di promettere una nuova éra politica: «Questa vittoria non è il cambiamento ma la possibilità del cambiamento e se c’è ancora qualcuno che dubita che l’America sia un posto dove ogni cosa è possibile, dove si può realizzare il sogno dei nostri padri e dimostrare il potere della democrazia, questa notte la risposta è arrivata. L’hanno data le donne e gli uomini che sono stati in coda per ore per poter votare».
Barack Obama è salito sul palco di Grant Park tre minuti prima delle undici di sera. La folla lo aspettava da ore, una serie di boati aveva scandito la conquista di tutti gli Stati chiave, ma la festa era scoppiata un’ora prima quando la Cnn lo aveva dichiarato presidente. Prima di prendere la parola Obama ha aspettato che John McCain concedesse la vittoria, poi con Michelle e le figlie - vestite di rosso e nero - è apparso in questa spianata verde chiusa tra il Lago Michigan e i grattacieli. A proteggere il nuovo presidente due immensi vetri antiproiettile, voluti dal secret service ai lati del leggio.
Obama ha cominciato salutando Chicago, la sua città, la nuova capitale politica d’America, ha parlato con rispetto e stima del suo avversario repubblicano e ha ringraziato Michelle: «La roccia della nostra famiglia, l’amore della mia vita». Poi ha detto a Sasha e Malia che rispetterà la piccola promessa di prendere un cane: «Vi siete meritate il cucciolo, verrà con noi alla Casa Bianca».
Le sue parole più convinte sono state per i milioni di volontari che hanno costruito la sua campagna, per «i lavoratori che hanno donato cinque o dieci dollari», per i giovani che hanno lasciato le famiglie per mesi: «Questa vittoria appartiene a voi e io non lo dimenticherò». Ha ripercorso la storia dell’America e delle sue conquiste e il lungo cammino dei diritti civili attraverso la vita dell’elettrice più anziana: una donna di Atlanta di 106 anni che si battè contro la segregazione razziale e che gli ha dato il suo voto.
L’elenco delle cose su cui impegnarsi adesso è lungo: il pianeta in pericolo per il cambio climatico, la crisi finanziaria e quella delle case, i soldati che combattono in Afghanistan, «la necessità di creare lavoro e di costruire nuove scuole». Ma promette di provarci, chiede che il Paese sia unito con lui per riportare «la prosperità, la pace e restituire ad ognuno la possibilità di coronare il Sogno Americano».
Il finale è hollywoodiano, lo raggiungono sul palco Joe Biden e tutti i parenti: si abbracciano e salutano a lungo mentre gli altoprlanti trasmettono una colonna sonora epica. In tutta America si riempiono le piazze e le strade e davanti alla Casa Bianca un’altra folla immensa festeggia pacificamente l’arrivo di un nuovo inquilino. Il primo nero della storia.
* la Repubblica, 5 novembre 2008
Il presidente italiano Giorgio Napolitano si congratula con Obama
ROMA Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al senatore Barack Obama, eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, il seguente messaggio:
«Le giungano le più calorose felicitazioni mie personali e del popolo italiano. Siamo profondamente impressionati dalla ineguagliabile prova di forza e di vitalità che la democrazia americana ci ha dato, grazie a una partecipazione senza precedenti alla campagna elettorale e al voto, e grazie alla larghissima adesione a un programma ricco di idealità e di impegni di rinnovamento. Per noi italiani che ci sentiamo intimamente legati sul piano storico e politico, culturale e umano, al popolo americano e agli Stati Uniti d’America, questo è un grande giorno: traiamo dalla sua vittoria e dallo spirito di unità che l’accompagna nuovi motivi di speranza e di fiducia per la causa della libertà, della pace, di un più sicuro e giusto ordine mondiale».
* La Stampa, 5/11/2008
L’America ha un Presidente nero Barack Obama realizza il sogno «Nulla in questo paese è impossibile»
Da Chicago, Roberto Rezzo *
«Yes, we can»: “Sì, possiamo” è «Il credo americano». Un Barack Obama compreso e commosso ha chiuso i 17 minuti del suo discorso da presidente eletto davanti a 100mila persone a Chicago tornando allo slogan che ha sintetizzato la sua campagna del cambiamento. Quanti voti? In tutto non si sa ancora, almeno 338 e gliene bastavano 270. Ma Barack Obama diventa il 44esimo presidente degli Stati Uniti con un bottino straordinario di Stati che include la Virginia, la Florida, la Pennsylvania, l’Ohio, il Colorado, il New Mexico, il Nevada... Come a dire tutti gli Stati che erano incerti alla vigilia del voto. E anche l’affluenza alle urne è un dato storico, oltre il 64%.
Sono le 22 in punto, ora di Chicago, quando la Cnn proietta la vittoria di Barack Obama alle presidenziali del 2008. Non appena la notizia appare in sovrimpressione sugli schermi Jumbotronic disseminati nell’area di Grant Park, un boato si leva dalla folla in attesa dei risultati. Non ci sono ancora dati ufficiali: sulla carta l’area verde dovrebbe contenere più o meno 100mila persone, ma sono le stesse forze dell’ordine a stimare una partecipazione attorno al milione di persone. Tutta la zona Downtown si e’ trasformata in una gigantesca festa di piazza. E nonostante le misure di sicurezza, le transenne, i camion della nettezza urbana usati a mo’ di sbarramento, l’atteggiamento della polizia per una volta non è ostile. Chicago è la città di Obama.
Due ore dopo, Obama sale sul palco. Accompagnato dalla moglie e dalle due bambine. «Se qualcuno ancora aveva dei dubbi sul fatto che l’America sia la terra delle infinite possibilità - esordisce - questa notte ha avuto una risposta». Ha un’espressione stanca ma felice. Come quella di chi ha appena superato l’esame della sua vita. E sente l’adrenalina venirgli meno. «Hanno votato ricchi e poveri. Democratici e repubblicani. Etero e gay. Bianchi, neri, gialli. Disabili e non disabili. Persone che hanno votato per la prima volta nella loro vita, convinte che questa volta le loro voci saranno ascoltate. L’America ha lanciato un messaggio al mondo: non siamo la somma di tante diversità. La somma di Stati bianchi e blu. Siamo gli Stati Uniti d’America».
Non è stato necessario aspettare la fine degli scrutini per rendersi conto che il repubblicano John McCain l’ha spuntata solo in una manciata di Stati meridionali: Alabama, Georgia, Mississippi, Missouri. Oltre all’Arizona e al Nebraska. Quando gli exit poll attribuiscono a Obama la vittoria in Florida, in Virginia e in Pennsylvania, è chiaro che i giochi sono chiusi. McCain ringrazia i sostenitori dalla sala delle feste di un golf club a Phoenix in Arizona e si prende la colpa della sconfitta. Il senatore repubblicano ha parlato a Phoenix in Arizona dicendo ai suoi sostenitori che «l’America si è espressa in modo forte e chiaro». È molto di più: è la vera fine dell’amministrazione Bush e dell’egemonia neocon sulla politica americana. Sarah Palin, governatore dell’Alaska, che sino all’ultimo ha pregato di entrare alla Casa Bianca come vice presidente, non riesce a nascondere un’espressione di rabbia e dolore.
«Vi ascolterò sempre - promette Obama in mondovisione - Soprattutto quando non saremo d’accordo. Quello che è cominciato 21 mesi fa non finisce stanotte. La nostra sfida comincia adesso». Un leader storico della black politic, il reverendo Jessie Jackson, piange. E sono lacrime di gioia. E finalmente dagli altoparlanti arriva la musica: Bruce Springsteen.
Intanto, mentre procede lo spoglio delle schede, appare chiaro che i democratici consolidano la maggioranza alla Camera.
* l’Unità, Pubblicato il: 05.11.08, Modificato il: 05.11.08 alle ore 11.51
America avvera sogno di Martin Luther King
(di Stefano Polli) *
ROMA - Il sogno di Martin Luther King è diventato realtà: i cittadini americani hanno deciso che Barack Hussein Obama sarà il primo presidente nero degli Stati Uniti, il primo uomo di colore ad insediarsi alla Casa Bianca. E’ un segnale indiscutibile di coraggio, di capacità di cambiare. E’ un segnale che conferma che l’America sa sempre trovare dentro di sé - soprattutto quando tutto sembra andare per il verso sbagliato - la forza, la determinazione e le motivazioni per scegliere strade nuove, per avviarsi in sentieri inesplorati alla ricerca ancora di un’ altra "nuova frontiera".
Obama è figlio di un immigrato keniano e di una donna bianca del Kansas. Ha vissuto la sua infanzia tra le Hawaii, dove è nato, e l’Indonesia, ha combattuto per poter crescere in un’America che non gli mai ha regalato niente, ma che gli ha anche dato le possibilità di meritarsi una scalata sociale - dalla Columbia University alla Harvard Law School - che sarebbe molto difficile in qualunque Paese europeo. Il nuovo presidente Usa ha saputo incarnare l’anima profonda degli americani, quella che sa vivere di sogni e traguardi apparentemente irraggiungibili, di cambiamento e di nuove sfide. In lui, gli americani che oggi guardano con paura a un futuro dai contorni indefinibili e carico di presagi negativi, hanno visto un uomo capace di dare nuove speranze e, forse, di indicare una strada diversa da quella difficile e tortuosa che sono costretti a percorrere da qualche tempo.
I paragoni, per ora sicuramente prematuri, fatti con John Fitzgerald Kennedy si giustificano, in parte, più dal lato emotivo che da quello concreto dei programmi e dei fatti, anche se Obama ha già indicato alcuni cambiamenti strutturali davvero significativi. Ma il punto fondamentale è che Obama ha saputo parlare al cuore dei suoi concittadini, dando loro la sensazione e, forse, la convinzione che un cambiamento non solo è necessario, ma anche possibile.
Gli Stati Uniti oggi hanno dato una lezione importante anche alla Vecchia Europa. Nei momenti difficili gli americani sanno ritrovarsi come hanno fatto oggi nelle lunghe file, in tutti gli angoli del Paese, davanti ai seggi elettorali. Sanno decidere con coraggio senza guardarsi indietro, sanno scegliere senza paura di sbagliare, sanno osare e voltare pagina. In quale Paese europeo oggi sarebbe possibile immaginare un presidente di colore figlio di un immigrato?
Obama vince, ma guai a credere al presidente «amico» della pace
di Giovanni Sarubbi
La speranza di un cambiamento è solo nelle mani di un movimento della pace che non si pieghi alle logiche del potere militare-industriale *
DUNQUE Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Le previsioni della vigilia sono state tutte rispettate. Il primo presidente afro-americano ha raccolto la stragrande maggioranza del voto popolare e ha ottenuto una maggioranza schiacciante sia al Congresso che al Senato. Tutto il potere è dunque ora nelle mani del partito democratico, almeno così sembra.
L’Associazione CODEPINK, che in questi anni si è battuta contro la guerra in Iraq e in Afghanistan, dando vita alle clamorose contestazioni nei confronti di Bush e della Condoliza Rice e a imponenti manifestazioni per la pace, ha inviato un messaggio in cui afferma: “La vittoria di Obama è una vittoria per il movimento per la pace. E’ un messaggio per la classe dirigente politica che essere contro la guerra è la posizione vincente. La guerra è quindi oltre”. Nello stesso messaggio il movimento per la pace americano enuncia quelle che sono state le parole d’ordine su cui si è mobilitato a favore di Obama. Così testualmente scrive: “Che cosa vogliamo da Obama e da una Amministrazione democratica che controlla il Congresso? Vogliamo la fine dell’occupazione dell’Iraq e risarcimenti per i suoi cittadini. Noi non vogliamo che le truppe dall’Iraq siano spedite direttamente a un altro fronte di guerra perdente in Afghanistan. Vogliamo una soluzione negoziata in Afghanistan. Vogliamo una soluzione diplomatica al conflitto con l’Iran. Vogliamo il ripristino delle nostre libertà civili e la tutela del nostro ambiente. Vogliamo soldi per tirare fuori i proprietari di case che si trovano nella mani degli usurai. Vogliamo un NUOVO “New Deal” per l’America: posti di lavoro, l’alloggio, l’assistenza sanitaria universale, l’istruzione, strade, mezzi di trasporto pubblici .... Noi vogliamo un governo che metta le esigenze delle persone davanti agli utili delle banche e delle imprese”. Il messaggio si conclude con un appello che la dice lunga sui reali rapporti di forza esistenti oggi negli USA ma che è al tempo stesso un segno di speranza: “Riusciremo a ottenere tutte queste cose? Non senza continuare la nostra aggressiva, vibrante e talvolta rumorosa agitazione”. I pacifisti americani fanno cioè un appello a non disarmare il movimento per la pace e a continuare l’iniziativa per ottenere che dalle parole si passi ai fatti concreti. Nessun presidente “amico” deve riuscire a fermare il movimento per la pace.
Quale politica farà realmente Obama? Noi, lo diciamo apertamente, non siamo molto ottimisti. L’accordo che Obama ha fatto poco prima delle elezioni con il presidente Bush sul salvataggio delle banche non ci sembra che vada nella direzione richiesta dal movimento pacifista. Fino a quando gli usurai della finanza americana continueranno a dettare le loro leggi non ci saranno speranze per i cinquanta milioni di poveri americani e per il miliardo di affamati del resto del mondo. Per dare da mangiare a tutti, gli ingordi vanno ridotti all’impotenza.
Così come la scelta dell’ex Segretario di Stato Colin Powel, quello delle bugie dette all’ONU per giustificare l’aggressione all’Iraq, di appoggiare Obama, che gli ha promesso un posto nella sua amministrazione, non dicono nulla di buono sulla reale volontà di Obama di farla finita con la guerra e con un sistema militare industriale che negli USA controlla circa il 40% del PIL, cioè praticamente la gran parte dell’economia americana.
Obama non è Martin Luther King. Il fatto che abbia il suo stesso colore della pelle non ci garantisce identità di idee, quelle idee che portarono Martin Luther King alla morte. Anche un presidente nero può dichiarare guerra, o continuare quelle in corso magari con altre forme. Così come non crediamo ci sia molta differenza fra continuare una guerra da soli (applicando la cosiddetta politica della unilateralità di Bush) o farla con l’appoggio della comunità internazionale (con la cosiddetta politica della multilateralità tanto cara al nostro PD). Sempre guerra è con l’aggravante che la multilateralità coinvolge molti più paesi.
Il fatto poi che Obama sia descritto come il nuovo Kennedy non ci dice nulla di buono. Di Kennedy noi ricordiamo soprattutto, oltre al suo omicidio e ai suoi bei discorsi, il fatto che egli fu il presidente che iniziò la guerra in Vietnam, continuata poi dai suoi successori democratici, così come un altro democratico, Clinton, nel 1999 con la guerra in Kossovo è stato in realtà l’iniziatore di quella guerra infinita che ha trovato in Bush il più strenuo sostenitore e realizzatore.
Vedremo dunque nei prossimi due mesi cosa concretamente succederà e quali saranno i passi concreti che Obama compirà e quali saranno i ministri del suo nuovo governo. Non è neppure escluso che da qui a Gennaio, mese nel quale Obama si insedierà ufficialmente come nuovo presidente, possa succedere qualcosa che ipotechi pesantemente le sue decisioni. C’è chi paventa qualche colpo di coda dell’amministrazione Bush, in particolare nei confronti dell’Iran.
L’unica cosa che ci sentiamo di condividere è l’appello a non smobilitare il movimento per la pace fatta dall’associazione CODEPINK: è questa l’unica speranza che abbiamo, quella di non demordere, non delegare al presidente “amico” le decisioni che riguardano il destino dell’umanità. Quella dei “presidenti amici” è una tragica realtà che abbiamo sperimentato anche noi in Italia con l’ultimo governo Prodi, ma è una esperienza che molti paesi hanno vissuto negli ultimi anni. Nessuna delega, nessuna speranza è possibile se non è fondata sulla mobilitazione popolare nonviolenta che, come scrive Codepink, deve essere “ aggressiva, vibrante e talvolta rumorosa”. Una nonviolenza, quella dei pacifisti americani, molto diversa da quella che sembra essere prevalente in Italia che più realisticamente potrebbe definirsi “paralisi nonviolenta”. Certo qui da noi è molto forte sia l’uso di picchiatori fascisti contro i movimenti, sia l’uso di provocatori infiltrati nei movimenti da parte degli organi dello Stato, come ha affermato il Senatore Cossiga in una sua recente intervista, e come hanno dimostrato le immagini dei recenti scontri avvenuti a Roma in occasione delle manifestazioni contro il decreto Gelmini. Ma proprio per questo occorre che il movimento nonviolento, se vuole essere tale, esca dalle sue diatribe interne e metta in campo qualcosa di concreto per dare una speranza all’umanità.
UNA LETTERA A BARACK OBAMA
di Michael Moore
[Dal sito di "Pacereporter" (http://it.peacereporter.net/) riprendiamo il seguente testo del 27 ottobre 2008 col titolo "Il cambiamento in cui noi possiamo credere" e il sommario "Lettera aperta di Michael Moore a Barack Obama: rispetti gli impegni presi in campagna elettorale"] *
Caro senatore Obama,
le scriviamo per congratularci dei notevoli risultati ottenuti nella sua campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti.
La sua candidatura ha provocato un’ondata di entusiasmo politico come non se ne vedeva da decenni in questo paese. Nei suoi discorsi, ha prospettato la visione di un futuro migliore, nel quale gli Stati Uniti smantellano i loro presidi militari sparsi per il globo e si concentrano sull’azione diplomatica all’estero, e su una maggiore uguaglianza e liberta’ dei loro cittadini in casa propria; una visione che ha fatto palpitare gli elettori attraverso tutto lo spettro politico.
Centinaia di migliaia di giovani hanno fatto il loro primo ingresso nella vita politica, elettori afroamericani si sono radunati al suo seguito, e molti di coloro che si erano sentiti alienati dalla "solita politica" si sono impegnati di nuovo.
Lei e’ oggi alla guida di un movimento che crede profondamente in quel cambiamento che lei stesso ha elevato a simbolo della sua campagna. I milioni di persone che partecipano ai suoi raduni, che contribuiscono con donazioni alla sua candidatura e che visitano il suo sito web sono una potente dimostrazione dell’energia e della passione di questo nuovo movimento.
Questo movimento e’ vitale per due ragioni. Primo, le assicurera’ la vittoria contro John McCain a novembre. La lunga notte di avidita’ e avventurismo militare dell’amministrazione Bush, che McCain vorrebbe prolungare, non puo’ finire cosi’ in fretta. Una entusiastica schiera di volontari e organizzatori fara’ si’ che gli elettori, nel giorno del voto, chiudano il libro dell’era Bush. Secondo, dopo averla aiutata ad insediarsi alla Casa Bianca, il sostegno di questo movimento rendera’ possibili i cambiamenti su cui poggia la sua piattaforma politica. Solamente una base popolare ampia ed energica come quella che la sostiene puo’ arginare il potere dei soldi e contrastare i poteri precostituiti, che sono un peso morto per coloro che perseguono un reale cambiamento nella politica americana.
*
Le consigliamo quindi di prestare ascolto alla voce delle persone che possono portarla alla presidenza e sostenerla nel corso del suo mandato.
A partire dalla sua storica vittoria alle primarie, ci sono stati preoccupanti segni di un suo spostamento, riguardo gli impegni cardine condivisi dai molti che hanno sostenuto la sua campagna, verso una posizione piu’ moderata e centrista - compreso il suo voto per la legislazione Fisa, che garantisce alle compagnie di telecomunicazione l’impunita’ per le intercettazioni telefoniche illegali, cosa che ha fatto infuriare ed ha costernato molti dei suoi sostenitori.
Riconosciamo che il compromesso e’ necessario in qualsiasi democrazia. Capiamo che le pressioni che deve sostenere chi cerca di raggiungere la piu’ alta carica sono molto forti. Ma ritrattare quelli che sono stati i punti chiave della sua campagna, indebolira’ quel movimento che le offre il supporto necessario a vincere e a realizzare il cambiamento promesso.
*
Di seguito sono elencate le idee chiave che lei ha abbracciato e che noi crediamo essenziali per continuare a sostenere questo movimento:
Ritiro dall’Iraq secondo scadenze prefissate.
Una risposta all’attuale crisi economica che riduca il divario tra i ricchi ed il resto della popolazione, attraverso un sistema finanziario e di sicurezza sociale piu’ progressista; investimenti pubblici finalizzati alla creazione di posti di lavoro e alla ricostruzione dell’infrastruttura del paese, oramai al collasso; politiche di commercio basate su condizioni di reciprocita’; ripristino della liberta’ di associazione sindacale; significativi interventi governativi in materia di legislazione del lavoro e regolamentazione dell’industria.
Assistenza sanitaria universalmente garantita a tutti i cittadini.
Una politica ambientale che trasformi l’economia per mezzo di uno spostamento di miliardi di dollari dal consumo di combustibili fossili verso fonti di energia alternative, creando cosi’ milioni di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili.
Fine del regime di tortura, di violazioni delle liberta’ civili e di incontrollato potere dell’esecutivo, che ha prosperato durante l’era Bush.
Un impegno per i diritti delle donne, compreso il diritto all’aborto ed un piu’ facile accesso ai servizi sanitari per le pratiche di aborto e di trattamento della fertilita’.
Un impegno per il miglioramento delle condizioni di vita delle comunita’ urbane e per porre fine alle discriminazioni razziali, incluse le disparita’ educative attraverso la riforma della legge "No Child Left Behind" ("Nessun bambino lasciato indietro") e altre misure.
Una regolamentazione dell’immigrazione che tratti umanamente coloro che cercano di entrare nel nostro paese, e che fornisca un percorso di integrazione culminante con il diritto di cittadinanza per coloro che sono gia’ qui.
Una riforma della legge sulla droga che incarcera centinaia di migliaia di persone che necessitano di aiuto, non della prigione.
Una riforma del processo politico che riduca l’influenza dei soldi e delle lobby delle corporations, e che dia maggiormente voce alla gente comune.
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Questi sono i cambiamenti in cui possiamo credere. In altri ambiti - come ad esempio l’uso delle forze armate e di truppe mercenarie in Iraq, l’escalation della presenza militare Usa in Afghanistan, la risoluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi, e la pena di morte - le posizioni da lei sostenute sono considerevolmente differenti da quelle assunte da molti di noi, gli "amici della sinistra" a cui si e’ rivolto durante i suoi ultimi commenti. Se il prossimo novembre lei vincera’, noi lavoreremo per sostenere insieme a lei le posizioni che condividiamo e criticheremo quelle che non condividiamo. Siamo impazienti di sviluppare con lei, dopo che sara’ stato eletto presidente, un dialogo costruttivo e duraturo.
Fermi restando i principi che lei ha articolato in maniera cosi’ convincente, ci auguriamo che riesca a portare in questo paese il cambiamento che lei stesso ci ha incoraggiato a credere possibile.
Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino
proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Arretrati in:
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Numero 631 del 6 novembre 2008