PIANETA TERRA. E - "Lezioni americane" (Italo Calvino) ....

"CHANGE WE NEED". BARACK OBAMA, SULLE ALI DELLO SPIRITO DI FILADELFIA E DI GIOACCHINO DA FIORE, HA GIA’ PORTATO GLI U.S.A. FUORI DAL PANTANO. Una nota di Mario Calabresi - a cura di Federico La Sala

Questa notte... il verdetto che gli dirà se l’America è pronta per il più grande cambiamento della sua storia. E allora, finalmente, potrà volare nel Pacifico per l’ultimo addio alla donna che lo ha cresciuto.
martedì 4 novembre 2008.
 

Madelyn Dunham aveva 86 anni. Il candidato democratico aveva interrotto la campagna per volare da lei, che si era aggravata. Nei sondaggi il distacco su McCain aumenta

-  Obama, il lutto nel giorno dell’attesa
-  Ad Honolulu muore la nonna bianca

dal nostro inviato MARIO CALABRESI *

MANASSAS - Barack Obama ha chiuso la sua campagna elettorale questa notte con due ore di ritardo, la sua corsa finale ieri pomeriggio è stata bloccata dalla notizia che sperava di non ricevere: la nonna bianca, la donna che lo ha cresciuto alle Hawaii, è morta ieri di cancro ad Honolulu. Madelyn Dunham, che aveva 86 anni, non saprà mai se suo nipote oggi riuscirà ad entrare nella storia.

Lo ha annunciato lo stesso Obama che, parlando a Charlotte in North Carolina, si è commosso e ha pianto ricordandola: "Era una donna umile e diretta. Un eroe silenzioso come ce ne sono molti qui tra voi, che lavorano sodo, che pensano alla famiglia, che si sacrificano per figli e nipoti". Nella platea molti bambini ma anche molti anziani. Un gruppo di donne settantenni aveva dipinto il simbolo della campagna di Obama sulle guance. "E’ stata - ha proseguito il senatore - la pietra angolare della nostra famiglia, una donna di una straordinaria forza e umiltà. Era fiera dei suoi nipoti e pronipoti e ha lasciato questo mondo con la consapevolezza che la sua impronta su tutti noi è stata significativa e sarà durevole".

Dieci giorni fa il candidato democratico aveva interrotto la campagna elettorale per andare a trovarla, aveva chiaro che si avvicinava la fine e non voleva avere di nuovo quel rimorso che per anni lo ha tormentato per non aver salutato sua madre, morta anche lei per un tumore.

L’uomo che potrebbe diventare il primo presidente nero d’America ha investito tutto il suo ultimo giorno di campagna elettorale nel sud degli Stati Uniti, in tre zone simbolo dello schiavismo e della lotta per i diritti civili. Ma non lo ha fatto per provocazione o per testimonianza, ma perché è convinto di poter vincere anche qui di poter rivoluzionare la mappa della politica americana. E alle dieci e mezza di sera è arrivato a Manassas in Virginia, dove i sudisti comandati dal generale Robert Lee sconfissero per ben due volte nel 1861 i nordisti antischiavisti. Era il posto giusto dove chiudere il cerchio e riconciliarsi con la storia.

L’ultimo comizio, che segna la fine di un viaggio cominciato in mezzo alla neve a Springfield in Illinois il 10 febbraio del 2007 e durato 631 giorni, è stato l’occasione per l’appello finale: "Non credete per un secondo che questa elezione sia già vinta: il nostro futuro dipende dalle prossime 24 ore. Ho già detto tutto quello che dovevo dire, ho fatto quello che potevo, ora tutto dipende da voi. Mi è rimasta solo una parola per voi: domani". E davanti a 85mila persone che non hanno smesso di cantare "Yes we can" ha aggiunto: "Dopo anni di politiche sbagliate e fallimentari mancano solo poche ore al cambiamento, domani si volta pagina: siamo arrivati al momento cruciale della nostra storia. Nelle ultime 21 ore non possiamo sederci, non possiamo perdere un’ora, un minuto o un secondo: votate, portate ai seggi i parenti, gli amici, i vicini, dobbiamo cambiare l’America".

I sondaggi che arrivano alla fine della serata dicono che Obama è in testa in cinque degli otto Stati chiave, che a livello nazionale è in vantaggio su McCain di ben 11 punti e che qui nella Virginia repubblicana va verso la vittoria.

Questa notte Obama dormirà a casa sua a Chicago, nel suo letto, cosa che non accade da mesi. Voterà nel suo quartiere, farà un giro tra gli elettori dell’Indiana, e alle dieci di sera arriverà al Grant Park dove lo attenderanno centinaia di migliaia di persone. Poi arriverà il verdetto che gli dirà se l’America è pronta per il più grande cambiamento della sua storia. E allora, finalmente, potrà volare nel Pacifico per l’ultimo addio alla donna che lo ha cresciuto.

* la Repubblica, 4 novembre 2008


Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

IL DERAGLIAMENTO DELLA DEMOCRAZIA E BUSH CHE FA LA "BELLA STATUINA"(Barbara Spinelli). RIPENSARE L’"AMERICA". E il sogno del "nuovo mondo"!!!

ELEZIONI USA. McCain sorpassa Obama e già canta la sua canzone: "Yes We Can"!!! Il sogno americano è finito?

ELEZIONI USA. LA DEMOCRAZIA, LO SPIRITO DI FILADELFIA DI OBAMA, E L’INTEGRALISMO DELLE CHIESE INVISIBILI. L’analisi di Barbara Spinelli

-  PIANETA TERRA. E-"Lezioni americane" (Italo Calvino) ....
-  USA: RISULTATO STORICO, EPOCALE. Barack Obama è il 44° Presidente degli Stati Uniti, è il primo nero a conquistare la Casa Bianca

OBAMA SI ISPIRA A GIOACCHINO DA FIORE (Adnkronos)

GIOACCHINO DA FIORE E LA CHIESA CATTOLICA. Lettera del cardinale Angelo Sodano, in occasione dell’VIII centenario (2002) della morte dell’Abate.


"IO HO UN SOGNO". IL DISCORSO DEL 28 AGOSTO 1963 A WASHINGTON

DI MARTIN LUTHER KING *

Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sara’ ricordata come la piu’ grande manifestazione per la liberta’ nella storia del nostro paese. Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmo’ il Proclama dell’emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattivita’.

Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri e’ ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione. Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di poverta’, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della societa’ americana, si ritrovano esuli nella propria terra.

Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un "paghero’" di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarita’. Il "paghero’" conteneva la promessa che a tutti gli uomini, si’, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: "vita, liberta’ e ricerca della felicita’".

Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che e’ tornato indietro, con la scritta "copertura insufficiente". Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunita’ di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della liberta’ e la garanzia della giustizia.

Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non e’ fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo. Adesso ’ il momento di tradurre in realta’ le promesse della democrazia. Adesso e’ il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso e’ il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternita’. Adesso e’ il momento di tradurre la giustizia in una realta’ per tutti i figli di Dio.

Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste. L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finira’ finche’ non saremo entrati nel frizzante autunno della liberta’ e dell’uguaglianza. Il 1963 non e’ una fine, e’ un principio. Se la nazione tornera’ all’ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un po’ e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa.

In America non ci sara’ ne’ riposo ne’ pace finche’ i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finche’ non spuntera’ il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’e’ qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci portera’ a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di liberta’ bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignita’ e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima.

Il nuovo e meraviglioso clima di combattivita’ di cui oggi e’ impregnata l’intera comunita’ nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perche’ molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino e’ legato al nostro. Hanno capito che la loro liberta’ si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro.

C’e’ chi domanda ai seguaci dei diritti civili: "Quando sarete soddisfatti?". Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalita’ poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle citta’, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ tutta la facolta’ di movimento dei neri restera’ limitata alla possibilita’ di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno piu’ grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identita’ e derubati della dignita’ dai cartelli su cui sta scritto "Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti, finche’ i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare. No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai soddisfatti, finche’ la giustizia non scorrera’ come l’acqua, e la rettitudine come un fiume in piena.

Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la liberta’ sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalita’ poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione.

Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre citta’ del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione puo’ cambiare e cambiera’.

Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficolta’ di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgera’ e vivra’ il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verita’ evidenti di per se’, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternita’.

Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformera’ in un’oasi di liberta’ e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalita’.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno, laggiu’ nell’Alabama, dove i razzisti sono piu’ che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio la’ nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.

Oggi ho un sogno.

Ho un sogno, che un giorno ogni valle sara’ innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sara’ rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme. Questa e’ la nostra speranza. Questa e’ la fede che portero’ con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza.

Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternita’.

Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la liberta’, sapendo che un giorno saremo liberi.

Quel giorno verra’, quel giorno verra’ quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo: "Patria mia, e’ di te, dolce terra di liberta’, e’ di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell’orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi liberta’". E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero.

E dunque, che la liberta’ riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire.

Che la liberta’ riecheggi dalle possenti montagne di New York.

Che la liberta’ riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.

Che la liberta’ riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.

Che la liberta’ riecheggi dai pendii sinuosi della California.

Ma non soltanto.

Che la liberta’ riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.

Che la liberta’ riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Che la liberta’ riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la liberta’.

E quando questo avverra’, quando faremo riecheggiare la liberta’, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da ogni citta’, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: "Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio onnipotente, siamo liberi finalmente".

* TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
-  Numero 3331 del 17 marzo 2019

-  Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XX)
-  Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: -centropacevt@gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/


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