Se non ora quando?

L’ITALIA, L’AZIENDA DELLA MAFIA E LA POLITICA. RISARCIMENTI GIUDIZIARI AI FAMILIARI DI PAOLO BORSELLINO E A TUTTI I PARENTI DELLE VITTIME. Una nota di Alfio Caruso - a cura di pfls

Opposizione dell’Avvocatura dello Stato!!! Stupisce che il governo non colga l’importanza simbolica di tali condanne, perfino superiore alla confisca dei beni.
domenica 6 gennaio 2008.
 
[...] In giudizio non si è costituita nessuna delle donne dei due capimafia, mentre si è presentata l’Avvocatura dello Stato che ha sostenuto l’insussistenza del danno biologico e opponendosi alla richiesta del risarcimento. Il tribunale, però, ha però respinto questa tesi, ritenendo che del danno esistenziale "sia stata data ampia prova", assieme al danno biologico e morale subito dal magistrato ucciso e dai familiari: "Non potrà mai rimarcarsi abbastanza - scrive il giudice Petrucci - che la perdita del marito e del padre, nel modo tragico che ha sconvolto le coscienze del Paese e, a maggior ragione, quella dei parenti più intimi, non potrà mai essere ’integralmente’ compensata da una somma di denaro" [...]

Contro i boss, se non ora quando?

di ALFIO CARUSO *

Con i 3 milioni e 360 mila euro assegnati alla famiglia di Paolo Borsellino i risarcimenti giudiziari ai parenti delle vittime di mafia hanno superato quota 136 milioni. I condannati sono i boss di Cosa Nostra, ma a pagare sono le Istituzioni in virtù della legge Lo Presti-Mantovano, che prevede il ricorso al Fondo di rotazione costituito con i beni confiscati agli uomini del disonore. La Repubblica italiana terrebbe volentieri per sé il patrimonio grondante sangue dei seminatori di lutti e di lacrime. Come spiegarsi, infatti, l’opposizione dell’Avvocatura dello Stato alla richiesta della vedova e dei figli del magistrato dilaniato assieme alla scorta in via D’Amelio? Con il paradosso che in tribunale non si sono presentati i Riina e i Biondino, ma si è presentato, pur non avendone titolo, l’Avvocato dello Stato per sostenere l’insussistenza del danno biologico dei Borsellino e della conseguente riparazione pecuniaria. Il giudice ha, invece, riconosciuto anche il danno esistenziale.

A parte la clamorosa caduta di stile - chi ne risponderà? Il ministro Mastella interverrà? - stupisce che il governo non colga l’importanza simbolica di tali condanne, perfino superiore alla confisca dei beni. L’assegnare ai congiunti delle loro vittime la roba, per la quale i Riina, i Provenzano, i Bagarella, i Madonia, i Ganci, i Gambino, i Santapaola hanno sterminato senza fermarsi dinanzi a nessuna legge di natura, cancella la ragione sociale dell’associazione segreta con finalità eversive denominata mafia. Non va in frantumi solo il folle progetto dei corleonesi, va in frantumi la stessa struttura giacché negli ultimi vent’anni erano tutti diventati corleonesi, come spiega la parabola di Totò Lo Piccolo, che cominciò quale autista di Saro Riccobono, il capo mandamento di Partanna Mondello strangolato da Riina, prima di trasformarsi in alleato di Provenzano.

L’unico motore di Cosa Nostra sono i piccioli. Il resto - dal presunto onore al gusto di cumannari - è folklore utilizzato da laudatori antichi e recenti. Per soldati, capi decine, capi famiglia, capi mandamento la roba ha sempre rappresentato una fissazione molto più invadente di quella provata da mastro don Gesualdo. Nel luglio del ‘79 Boris Giuliano, lo sceriffo solitario di una Palermo indifferente se non complice, fece irruzione in un’abitazione di via Pecori Giraldi. Oltre a un piccolo arsenale furono rinvenuti otto sacchetti contenenti ciascuno mezzo chilo d’eroina: valore 3 miliardi dell’epoca. Tutto questo bendiddio apparteneva a Leoluca Bagarella al pari degli abiti su misura e delle camicie di seta con le iniziali. Da sotto il letto spuntarono un paio di stivali con le suole appena rifatte sulle quali era segnato il nome del proprietario, Sorrentino, un camionista di Altofonte sparito da alcune settimane. Nella relazione Giuliano scrisse: «I pecorai-assassini di Corleone non se la sentono mai di rinunciare al bottino, anche se sono soltanto un paio di stivali».

Nella sua storia plurisecolare mai la mafia è stata così in ginocchio: priva di un consiglio d’amministrazione, priva di una struttura militare, priva del principale bene da salvaguardare a ogni costo. Noi siciliani sapremo approfittarne? Adesso che si è incrinato pure il meccanismo delle estorsioni, troveremo la forza per una ribellione morale prima ancora che pratica? I meravigliosi ragazzi di «Addio Pizzo» proseguono nel proselitismo porta a porta; l’erede di una famosa dinastia di biscotti, Ivanohe Lo Bello, cerca di portare anche la sonnolenta associazione industriale sulla trincea di una legalità assoluta; i tribunali stanno sostituendo le assoluzioni per connivenza forzosa in condanna per concorso esterno, ma sarà tutto vano se i cinque milioni di abitanti del paradiso fin qui infestato dai diavoli resteranno a guardare. Il pericolo ha perso l’abituale fisionomia dei compari e dei picciotti, è rimasta quella molto più sfuggente dei finanzieri, dei politici, degli imprenditori, dei banchieri. Una melma in cerca di legittimazione e d’impunità. Negli Stati Uniti alle fine dell’800 banditi e avventurieri trasformati in ricconi dalla scoperta del petrolio furono associati alla classe dominante. In Italia che faremo?

* La Stampa, 6/1/2008


-  A stabilire la cifra è stato il Tribunale civile di Palermo
-  I soldi verranno dal Fondo di rotazione per le vittime della mafia

-  Riina pagherà oltre tre milioni
-  ai familiari del giudice Borsellino

PALERMO - Tre milioni e 360mila euro. Tanto dovranno pagare le mogli di Totò Riina e Salvatore Biondino ai familiari del giudice Paolo Borsellino ucciso nella strage di via D’Amelio. Ad erogare materialmente il denaro, tuttavia, non saranno le due donne ma il Fondo di rotazione e solidarietà per le vittime della mafia, che attinge dai beni confiscati ai boss.

La Bagarella e la Gioè, sposate con i capimafia responsabili della strage di via D’Amelio, sono state condannate del giudice unico della prima sezione civile del tribunale del capoluogo siciliano, Luigi Petrucci in qualità di tutrici dei due boss. Ninetta Bagarella, infatti, rappresenta il marito privato di tutti i diritti e interdetto legalmente, mentre la Gioè rappresenta Biondino.

In giudizio non si è costituita nessuna delle donne dei due capimafia, mentre si è presentata l’Avvocatura dello Stato che ha sostenuto l’insussistenza del danno biologico e opponendosi alla richiesta del risarcimento. Il tribunale, però, ha però respinto questa tesi, ritenendo che del danno esistenziale "sia stata data ampia prova", assieme al danno biologico e morale subito dal magistrato ucciso e dai familiari: "Non potrà mai rimarcarsi abbastanza - scrive il giudice Petrucci - che la perdita del marito e del padre, nel modo tragico che ha sconvolto le coscienze del Paese e, a maggior ragione, quella dei parenti più intimi, non potrà mai essere ’integralmente’ compensata da una somma di denaro".

Fra i testimoni sentiti nel processo civile c’è stato anche il tenente dei carabinieri Carmelo Canale, ex stretto collaboratore di Borsellino, poi processato per concorso esterno in associazione mafiosa e assolto. "All’indomani della strage Falcone - scrive il giudice Petrucci - Paolo Borsellino aveva deciso di allontanarsi affettivamente dai figli per rendere meno traumatico il momento della sua uccisione, che intuiva essere ormai prossima. Cosa che, nello stesso momento in cui è un danno per il padre, lo è anche per i figli, privati dell’affetto del padre, e per la moglie, costretta ad assistere allo strazio interiore del marito".

La sentenza potrebbe essere impugnata dall’avvocato Lo Presti, perchèéla famiglia Borsellino aveva chiesto cinque milioni. Una richiesta che è stata accolta solo in parte: la Bagarella dovrà pagare 755 mila euro ad Agnese Piraino Leto, di 929 mila per la figlia Lucia, 815 mila per Manfredi e 861 mila per Fiammetta Borsellino.

* la Repubblica, 5 gennaio 2008.


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