Ambiente

NO PONTE-NO TAV:DEMOCRAZIA SOSTENIBILE IN VAL DI SUSA , DALLE ALPI ALLE PIRAMIDI - di Alberto Ziparo e Osvaldo Pieroni

lunedì 9 gennaio 2006.
 

di ALBERTO ZIPARO e OSVALDO PIERONI

E’ più che mai necessario mettere in pratica quanto Walter Benjamin auspicava ormai tre quarti di secolo fa: “tirare il freno d’emergenza per bloccare il treno dello sviluppo”. Forse senza fare la rivoluzione, ma con un azione apparentemente più soft e tuttavia altrettanto politicamente e scientificamente capillare, dal basso, potremo riscoprire e condividere la ricchezza depositata nel “patrimonio” territoriale, ambientale e sociale piuttosto che continuare a distruggerlo per produrre beni e servizi materiali che non sappiamo più dove mettere e che ci stanno soffocando.

E’ questo il tema portante del Forum nazionale sullo Sviluppo Sostenibile organizzato, non a caso, in Val di Susa da una serie di forze culturali, territorialiste, ambientaliste, tra cui la Rete del Nuovo Municipio insieme ai comitati territoriali NO TAV e ai sindaci della Val di Susa. L’incontro sarà caratterizzato dal gemellaggio tra il coordinamento NO TAV, per la tutela della Val di Susa, e quello NO PONTE, per la difesa dello Stretto di Messina.

Ad interpretare e spiegare il concetto di Benjamin, è stato invitato Gianni Vattimo che potrebbe sancire questo gemellaggio date le sue origini calabresi (il padre è di Cetraro) e valsusine (per parte di madre): non sappiamo se l’autorevole filosofo potrà essere presente di persona al meeting, ma è certo che sarebbe interessante ascoltare il suo parere sulle implicazioni di quel pensiero sul terreno dell’attualità politica.

Il programma dell’Unione, infatti, dovrebbe sostanziare il pure plurienunciato concetto di sostenibilità ambientale ed economica con una serie di azioni conseguenti, che invece si intravedono soltanto con molta fatica, almeno nelle bozze fino ad adesso circolate.

In generale dovrebbe essere accantonata definitivamente l’ubriacatura da mercato che ha pervaso molto centro-sinistra nelle ultime fasi, tra l’altro con risvolti tipicamente nazional-clientelari, per cui ha finito per essere criterio dirimente per le decisioni importanti l’assoluto e zelante adempimento dei dettami legati agli interessi delle grandi lobby economico-finanaziarie (il cui favore diventava titolo di merito per il politico, pure “di sinistra”) con esiti quali quelli risaltati all’onore delle cronache, per esempio nel caso Unipol-BNL.

Bisognerebbe voltare drasticamente pagina, riscoprire la domanda sociale, chiedersi cosa significa sostenibilità dello sviluppo in un paese drammaticamente avviato sulla via della deindustrializzazione e con le classi dirigenti, specie economico-finanaziarie, più in dissolvenza che in profonda crisi. E’ invece il caso di guardare alle potenzialità del più grande capitale fisso posseduto dal Paese, ovvero al suo patrimonio culturale e ambientale, storico e paesaggistico, artistico e territoriale, sociale e intellettuale, e perché no, pubblico e conviviale. E si tratta di comprendere che un programma politico può e deve muovere necessariamente da questi temi, in senso non astratto, ma territorializzandoli sui patrimoni sociali e ambientali delle diverse regioni e sulle identità dei diversi contesti, come sono appunto la Val di Susa o lo Stretto di Messina.

In tale logica può costituire riferimento interessante quanto sta progettando la coalizione guidata da Rita Borsellino in Sicilia: un programma in cui i piani paesaggistici e territoriali a livello regionale e provinciale forniscono le linee guida per lo sviluppo locale sostenibile. Analogamente il programma nazionale dell’Unione dovrebbe essere l’esito di politiche regionali e sub-regionali con grande attenzione a quanto proposto dalle istanze di base, anche “deistituzionalizate ed insorgenti”.

Alcuni punti di tale programma possono riguardare direttamente l’organizzazione del territorio: trasporti, energia, rifiuti, paesaggio, urbanistica, agricoltura,etc.

Per quanto concerne il tema che interessa direttamente Val di Susa e Stretto di Messina, insieme ai molti altri contesti nazionali investiti e disastrati dalle grandi opere del programma Lunardi-Berlusconi, si deve andare molto oltre ciò che si è fin qui acquisito nelle intenzioni del centro-sinistra: un sostanziale accantonamento del Ponte e forse del MOSE di Venezia, un incerto “si vedrà” sulla TAV in Val di Susa e sugli altri segmenti più improbabili dell’alta velocità, la conferma di molte opere strategiche e speciali dell’attuale governo. Va invece cancellata definitivamente e senza indugi tutta la Legge Obiettivo con i suoi risvolti programmatici: tra l’altro essa è stata pochissimo attuata (sono state eseguite poco meno del dieci per cento delle opere previste, per altro per operazioni già avviate dai precedenti governi di centro-sinistra che riguardano quasi unicamente le tratte principali dell’Alta Velocità e la Salerno-Reggio Calabria). Si sono confermati, infatti, i molti dubbi in termini di attuabilità tecnica e politica e di legittimità sociale ed ambientale che erano stati sollevati durante il dibattito sulla legge: non basta infatti semplificare fino all’azzeramento gli iter procedurali e gestionali, urbanistici, ambientali, amministrativi: i problemi e gli ostacoli non si cancellano, forse si deistituzionalizzano, ma certamente si accrescono fino ad ingigantirsi. Dialettica democratica e dibattito istituzionale spariscono per fare posto a questioni di ordine pubblico e dissensi sempre più vasti. Per contro, come ormai cinque anni di Legge Obiettivo insegnano, le opere non partono.

Allora cancelliamo questo strumento (insieme a molti altri provvedimenti infausti e illegittimi del governo Berlusconi - chiedere a Paul Ginsborg) e avviamo subito le pratiche per un vero piano nazionale dei trasporti, che si può progettare rapidamente partendo dalla reale domanda sociale di mobilità, in forma sostenibile e con l’assoluto coinvolgimento degli abitanti, specie dei contesti maggiormente investiti dalle opere.

Questa logica di pianificazione dal basso, sostenibile e partecipata, esito del coordinamento di azioni regionali e locali, può costituire l’approccio che caratterizza la nuova fase politica e che segna prima di tutto i settori programmaticamente più problematici, quali energia, smaltimento dei rifiuti, localizzazione di impianti a rischio, organizzazione funzionale del territorio.

Il tutto, però, deve essere calato in una logica, economica e ambientale, che tiene conto del passaggio di fase; la nuova economia sostenibile deve essere conseguenza dell’applicazione della formula delle “sette R”: recupero, riqualificazione, riciclo, ristrutturazione, riuso, risanamento, rilocalizzazione.

Dal punto di vista della valorizzazione del patrimonio territoriale questo significa, tra l’altro, attuare quanto Renzo Piano, che non è né un ambientalista né un territorialista, propone come necessità emergenziale: “Dobbiamo ridare un senso estetico a tutta la schifezza che abbiamo realizzato nell’ultima parte della modernità!” Il che vuol dire ritrasformare in luoghi veri gli spazi insensati della ormai abnorme e pervasiva città diffusa sullo spazio nazionale (e non solo). Altro che continuare a distruggere le nostre valli e le nostre coste... Un nuovo programma dovrebbe far capo a questi concetti concreti e di base: bellezza, dolcezza, sovranità degli abitanti sui luoghi della loro vita, partecipazione reale e ritmi lenti, passi tranquilli adeguati ai tempi locali, diversità e pluralità culturali che dialogano, biodiversità che alimenta il senso del mondo e del futuro altrimenti perduto.

Come scrisse Gregory Bateson, riprendendo Eliot: “Torno al luogo da cui sono partito e conosco il luogo per la prima volta.”


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