Pianeta TERRA e UmaNITA’. Per il dialogo, quello vero.....

MYANMAR, EX BIRMANIA. YANGON. I MILITARI ATTACCANO. MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE A FIANCO DEI MONACI BUDDISTI IN TESTA AL MOVIMENTO DI DEMOCRATIZZAZIONE E DELLA VOLONTA’ DI PACE E DI DIALOGO DI AUNG SAN SUU KYI. Si prepara condanna ONU - a cura di pfls

sabato 6 ottobre 2007.
 

MYANMAR: ATTIVISTI PER DEMOCRAZIA AL TIMES, COMBATTEREMO FINO ALLA MORTE

Londra, 6 ott. - (Adnkronos) - "Combatteremo fino alla nostra o alla loro morte". E’ questo il grido, disperato e determinato, lanciato da due attivisti birmani per la democrazia, che hanno contattato il Times di Londra dal loro nascondiglio nello stato meridionale birmano di Mon. "Abbiamo bisogno di un grande aiuto da parte della comunita’ internazionale, ma non ci arrenderemo" - affermano Myint Htoo Aung e la signora Khaind - "al momento ci hanno costretto a nasconderci, ma quando verra’ il momento ricominceremo, ancora e ancora, fino a quando non se ne saranno andati. Combattiamo da 20 anni per la democrazia. Forse verra’ domani, forse fra cinque anni, forse fra altri 20".



Una proposta diffusa da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna

La giunta militare: "Rilasciati 404 dei 513 monaci arrestati"

Onu, una dichiarazione di condanna della "violenta repressione" in Birmania

RANGOON - Un progetto di dichiarazione che condanna la repressione condotta dalla giunta birmana contro i manifestanti: è quello che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, i tre membri permanenti occidentali del Consiglio di sicurezza dell’Onu, stanno facendo circolare, una proposta alla quale aderiscono anche gli altri membri del Consiglio di sicurezza. Una condanna della "repressione violenta condotta dal governo birmano contro le manifestazioni pacifiche, attraverso l’uso della forza contro personalità e istituzioni religiose".

La notizia è stata diffusa all’indomani della riunione del Consiglio di sicurezza al Palazzo di vetro, durante la quali l’ambasciatore americano l’ambasciatore americano Zalmay Khalilzad ha ipotizzato la presentazione di una risoluzione con sanzioni (l’embargo delle armi, ad esempio) mentre il collega italiano Marcello Spatafora ha chiesto il "pieno accesso" a tutti i detenuti per le organizzazioni dei diritti umani.

Ed è di oggi anche la notizia, diffusa dalla giunta militare birmana, secondo la quale sarebbero stati rilasciati 404 dei 513 monaci arrestati a partire dal 26 settembre scorso. Lo riporta il quotidiano "La Nuova Luce del Myanmar", organo ufficiale della dittatura militare. Sarebbero state rilasciate, si legge, anche le 30 donne arrestate nelle retate scattate in 18 monasteri buddisti durante la sanguinosa repressione del movimento di protesta pacifica guidato dai monaci.

Disattivati di nuovo, durante il coprifuoco notturno, i collegamenti internet, che avevano ripreso a funzionare ieri sera. La giunta birmana ha disattivato la scorsa settimana il principale collegamento internet al fine di limitare il più possibile le comunicazioni con il mondo esterno per tenerlo all’oscuro della repressione contro le manifestazioni pacifiche dei monaci.

(la Repubblica, 6 ottobre 2007)


BIRMANIA: LE MANIFESTAZIONI NEL MONDO (la Repubblica, 27.09.2007)

LA PROTESTA DEGLI STUDENTI (l’Unità, 27.09.2007)

LA REPRESSIONE DEI MILITARI (l’Unità, 28.09.2007)

BIRMANIA, LE IMMAGINI SFUGGITE ALLA CENSURA (la Repubblica).


-  Birmania, spari sulla folla
-  Almeno cinque morti
-  Ucciso fotografo giapponese
-  Migliaia in strada contro la giunta militare. Cinque le vittime (altre fonti parlano di nove). Muore fotografo giapponese, ferito anche un reporter straniero. Spari contro la folla alla pagoda di Sule. Perquisiti gli hotel alla caccia dei giornalisti. Nel nordest del paese attaccati i camion dei soldati. Usa: "Fermate le violenze". Inviti alla moderazione anche dalla Cina

-  15:48 La giunta militare si difende
-  La giunta militare birmana respinge le accuse della comunità internazionale di una sanguinosa repressione delle manifestazioni pacifiche nel Myanmar. Alcuni diplomatici stranieri convocati nella nuova capitale Naypyidaw dal viceministro degli Esteri hanno riferito che è stato loro assicurato che il "governo è impegnato a dare prova di moderazione nella sua risposta alle provocazioni". Le fonti diplomatiche hanno riferito che la giunta militare ha condannato i manifestanti, accusandoli di essere guidati da "elementi distruttivi interni e esterni" e che proprio per fare chiarezza sulle responsabilità, visto che il governo "si sente chiaramente frainteso" sono stati "convocati al ministero".

-  15:26 Almeno cinque morti
-  Sarebbero almeno cinque i morti, tra cui il fotoreporter giapponese Kenji Nagai, 50 anni, dell’agenzia video giapponese APF. Altre fonti parlano di nove morti. Un altro fotoreporter straniero, con al polso un braccialetto con la bandiera degli Stati Uniti, è rimasto ferito e la sua videocamera sequestrata

-  15:20 Sit-in a Roma e Milano di Amnesty International
-  La sezione italiana di Amnesty International ha indetto due sit-in a Roma e a Milano: domani nella capitale dalle 17.30 di fronte all’ambasciata del Myanmar, in via della Camilluccia 551, e sabato a Milano, dalle 16.30 in piazza della Scala

-  14:53 Usa: "Fermate le violenze"
-  Appello degli Usa al governo birmano: "Fermate le violenze contro i manifestanti. Il governo del Myanmar non deve ostacolare le aspirazioni del suo popolo alla liberta" ha detto il portavoce della casa Bianca Gordon Johndroe.

-  14:48 Voci di una nuova vittima, sarebbe un giornalista ucciso
-  Sarebbe di nazionalità tedesca il secondo fotoreporter che sarebbe stato ucciso a Yangon a seguito della repressione della polizia contro i manifestanti. Lo riferisce l’agenzia di stampa tedesca Dpa, secondo cui a identificarlo sarebbero state le autorità locali.

-  14:17 Gruppo ribelle dei Karen lancia appello ad altre etnie
-  Un gruppo ribelle dell’etnia minoritaria dei Karen ha dato oggi il suo sostegno al movimento di protesta contro la giunta militare birmana, e ha lanciato un appello a tutte le altre etnie perchè si uniscano contro i generali al potere. L’Unione nazionale Karen (Knu) - principale gruppo della guerriglia contro la giunta - ha condannato la violenta repressione di Yangon. Il Knu conduce una lotta armata da 57 anni e attualmente controlla vasti territori nell’est del Myanmar.

-  13:35 Spari contro i manifestanti
-  La tensione non accenna ancora a calare a Yangon. I soldati hanno nuovamente sparato colpi di avvertimento contro 10.000 manifestanti nelle vicinanze del centro della ex capitale. Il quartiere dove i birmani si sono di nuovo radunati non è lontano dal luogo dove stamane aveva preso avvio una manifestazione ancora più numerosa, dispersa poi con cariche e colpi di avvertimento, mentre centinaia di manifestanti venivano stati arrestati.

-  13:12 I militari sparano ancora
-  I militari birmani hanno di nuovo aperto il fuoco contro i dimostranti nel quartiere di Tamwe, alla periferia di Yangoon, dove si erano diretti dopo la repressione nel centro dell’ex capitale birmana

* la Repubblica, 27.09.2007 (ripresa parziale)


MYANMAR, IN 300 MILA CONTRO IL REGIME - LE FOTO (LA REPUBBLICA, 24.09.2007).

I malesseri di una nazione

(26 settembre 2007)

-  Le proteste nate da una repressione pluridecennale.
-  L’analisi di Federico Rampini, inviato di Repubblica,
-  che da poco ha lasciato il paese

(Audio raccolto da Federica Paris, Radio Capital)



-  Nuovo corteo contro il regime a Yangon, la capitale della ex Birmania
-  In marcia oltre 20 mila persone, ai monaci buddisti si affiancano le religiose

-  Myanmar, la protesta continua
-  ora in piazza anche le monache
*

YANGON (Myanmar) - Sono in migliaia, non hanno intenzione di fare marcia indietro, anzi, è una sollevazione popolare che conquista maggior favore col passare delle ore. Nuova giornata - la settima - di protesta in Myanmar, ex Birmania, contro la giunta militare al potere da 45 anni. Ieri, il colpo di scena con l’apparizione di Aung Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana e Nobel per la pace, ai domiciliari da dodici anni, che ha salutato i manifestanti dalla sua casa-prigione. Oggi, almeno 20 mila persone sono tornate in piazza a Yangon (ex Rangoon), una manifestazione guidata ancora una volta dai monaci buddhisti, motore della sollevazione. Nel Paese asiatico non si tengono più elezioni dal 1990, quando la Lnd - il partito della Suu Kyi - vinse in maniera schiacciante, e i vertici militari ripresero il potere con la forza annullando i risultati della consultazione.

Circa 5000 manifestanti si sono radunati nella Pagoda d’Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese, per pregare ed esprimere pacificamente il loro dissenso nei confronti del regime. Nel giro di un’ora, però, la folla è quadruplicata di numero, e la metà erano, appunto, monaci. Per la prima volta, poi, alle proteste si sono unite anche un centinaio di monache. Insieme ai religiosi, hanno preso la testa di un enorme corteo che si è riversato nelle vie del centro della vecchia capitale birmana, fino a raggiungere e circondare un altro importante luogo sacro, la Pagoda di Sule.

Altro avvenimento finora inedito dall’inizio delle marce contro il governo: i monaci hanno esplicitamente invitato gli abitanti a dare loro man forte. "Stiamo marciando per il popolo - cantavano in coro i religiosi, uomini e donne - vogliamo che il popolo venga con noi". Una protesta innescata dall’improvviso rincaro dei prezzi dei carburanti, che hanno colpito indiscriminatamente la popolazione di uno degli Stati più poveri al mondo, tanto che molti non hanno più nemmeno la possibilità di prendere un autobus, il mezzo di trasporto più diffuso in città.

L’atmosfera, comunque, è calma, e le forze dell’ordine non accennano a intervenire. Un segno, questo, della cautela con cui il regime sta cercando di gestire una situazione sempre più difficile, con un approccio quindi ben diverso dalla sanguinosa repressione che stroncò la rivolta del 1998. Sempre ogggi, nel frattempo, altri 500 monaci hanno inscenato un raduno di protesta a Mandalay, la seconda città del Myanmar, manifestando nel centrale quartiere di Payagyi.

* la Repubblica, 23 settembre 2007


Il premio nobel per la pace agli arresti domiciliari da 12 anni ha abbracciato idealmente la manifestazione contro il regime

-  Myanmar, San Suu Kyi esce e saluta i bonzi
-  I monaci sfilano davanti alla casa-prigione

Le manifestazioni degli oppositori alla dittatura militare vanno avanti da cinque settimane *

YANGON - Si è liberata in un pianto e per un quarto d’ora ha salutato i monaci che sfilavano. Restando all’interno del compound della sua residenza a Yangon, dove è agli arresti domiciliari da 12 anni, Aung Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana e premio nobel per la pace, ha voluto partecipare in questo modo alla marcia pacifica dei monaci contro il regime militare che affligge il Myanmar da oltre quarant’anni.

Sei giorni di marcia. La marcia che sta facendo tremare il regime militare dell’ex Birmania va avanti ormai 6 giorni. "Abbiamo visto Aung Suu Kyi uscire dalla sua casa. Indossava una camicia gialla. E quando è comparsa la folla ha iniziato a urlare ’Lunga vita a Aung Suu Kyi’", hanno riferito alcuni testimoni. La leader dell’opposizione non ha potuto rivolgersi direttamente ai manifestanti, ma è uscita in compagnia di due donne e si è messa a piangere salutando i monaci a distanza. Il corteo ha potuto raggiungere eccezionalmente la residenza di Suu Kyi che solitamente è isolata dalle forze dell’ordine.

Cinque settimane di manifestazioni. Da cinque settimane sono in corso manifestazioni pacifiche contro la giunta militare sono in atto in Myanmar. La storia dell’ex Birmania è segnata da colpi di stato e sorde lotte tra generali fin dalla sua indipendenza, raggiunta nel gennaio 1948. Durante la Seconda Guerra Mondiale Aung San e un gruppo di nazionalisti noti come ’I 29 compagni’, si unirono alle forze giapponesi. L’esercito nazionalista costruito con l’aiuto del Sol Levante rovesciò le alleanze nel 1945 e aiutò gli alleati anglo-americani a raggiungere la capitale, che allora si chiamava Rangoon (il nome del paese fu cambiato nel 1989 da Birmania in Myanmar e la capitale fu ribattezzata Yangon). Ma, subito dopo la proclamazione dell’indipendenza, e prima ancora che la Costituzione entrasse in vigore, Aung San e buona parte dei suoi ministri furono uccisi da assassini rimasti ignoti in una mattanza nel palazzo del governo.

Il colpo di stato militare. I primi anni di indipendenza furono caratterizzati dagli scontri violenti tra l’esercito, composto in maggioranza da birmani, e le minoranze etniche degli Shan, dei Karen e dei Mon. L’esercito cominciò ad intervenire in politica nel 1958 e il suo sempre maggiore impegno sfociò nel colpo di stato del 1962, che portò al potere Ne Win. Il dittatore, morto nel dicembre 2002, lanciò il cosidetto "socialismo birmano", una sorta di autarchia statale che portò il paese al disastro economico. La protesta popolare, guidata dagli studenti di Yangon, scoppiò nel 1988 e fu repressa in un massacro nel quale si ritiene siano state uccise un migliaio di persone.

Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione. Fu nel corso delle proteste seguite al massacro che Aung San Suu Kyi emerse come leader dell’opposizione democratica. Un mese dopo il massacro, nel settembre del 1988, i militari deposero Ne Win. Altre migliaia di persone furono uccise e diecimila studenti trovarono rifugio all’estero, in maggioranza nella vicina Thailandia.

Due anni di legge marziale. Dopo due anni di legge marziale, la giunta organizzò le elezioni ma si rifiutò di accettarne il risultato, che aveva visto la Lega Nazionale per la Democrazia di Suu Kyi conquistare 392 dei 485 seggi del Parlamento. Con l’eccezione dei due anni dal 2000 al 2002 - nei quali però le fu impedito di muoversi liberamente per il paese - Aung San Suu Kyi è rimasta agli arresti domiciliari.

La protesta dei monaci. Negli ultimi giorni i monaci buddisti - che già avevano partecipato ad una sollevazione nel 1988 - si sono messi alla testa di marce e manifestazioni contro la giunta. Il 6 settembre centinaia di bonzi hanno tenuto in ostaggio per sei ore 20 funzionari locali a Pakokku.

* la Repubblica, 22 settembre 2007.


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