FINALMENTE (forza) ITALIA!
ONORE A BEPPE GRILLO: "RIPRENDIAMOCI QUELLE PAROLE" *
di Federico La Sala *
* Beppe Grillo: RIPRENDIAMOCI QUELLE PAROLE (La Repubblica, 20.06.2004, p. 16)
Vorrei aderire alla Casa della libertà, ma a quella vera, vorrei intitolare "forza Italia" il mio prossimo spettacolo, ma forza Italia davvero. L’Italia ha bisogno di più libertà e di una riscossa! Altro che pulirsi il sedere con il tricolore, come gridò uno dei leader di questo governo. Altro che "chi non salta, italiano è!", come strillò per strada un suo ministro, dopo aver mandato tremila italiani a rischiare la pelle a Nassiriya. Cosa penseranno di questi ministri della vergogna quei soldati che con il tricolore rischiano sì di saltare, ma sulle bombe irakene?
Nel mio spettacolo chiedo: "Casa delle Libertà"? Ma vogliamo scherzare? Siamo all’appropriazione indebita, all’"economia della truffa", come scrive l’economista statunitense J. K. Galbraith. Secondo un altro economista statunitense, J. Stiglitz, domina l’"asimmetria dell’informazione" (la teoria per cui prese il Nobel): è l’approfittamento - non il profitto - di chi sa a danno di chi non sa: per esempio quello dei top manager che sempre più spesso saccheggiano azionisti, consumatori e Stato. Secondo Stiglitz dai "ruggenti ‘90" rubano di più molti top manager - per esempio con le famigerate stock option - di quanto mai possano sognar di rubare i peggiori politici (http://www-1.gsb.columbia.edu/faculty/jstiglitz/). E in Italia come reagiamo? Fuori i politici delle "convergenze parallele", dentro i pubblicitari, i top manager e gli avvocati della "Milano da bere"! Dentro - purtroppo - non in adatti edifici sorvegliati; dentro nel parlamento, nel governo, nella RAI.
Attenzione, non parlo solo del furto dei soldi, ma di uno peggiore, il furto delle parole. Mettiamo, per ipotesi, che costoro non abbiano mai rubato, evaso le tasse, corrotto un finanziere o un giudice, maneggiato fondi neri, società offshore, P2, tangenti, condoni. Ma le parole? Come la mettiamo con il furto con destrezza delle parole? La lingua è il principale bene di un popolo. Rubargliela è un delitto. Condoniamogli i delitti finanziari, ma non perdoniamogli l’appropriazione indebita delle parole!
La vera "Casa della libertà" (Freedom House) esiste da sessant’anni, non da tre. Fu fondata da Eleanor Roosvelt e da altre personalità statunitensi per promuovere la democrazia nel mondo. Il suo rapporto annuale sulla libertà di stampa classifica le nazioni in libere, semilibere, non libere. Nel 2004 l’Italia è passata da paese libero a semilibero, scendendo al 74° posto, dietro a Benin e Botswana (http://www.freedomhouse.org/research/pressurvey.htm).
In Europa, Turchia e Italia sono le uniche pecore nere, i due Paesi semiliberi. Come può un Paese semilibero pretendere di insegnare la libertà agli altri come vuol fare l’Italia in Irak?
Come casi di "Deterioramento globale della libertà di stampa" la "Casa della libertà" cita Bulgaria, Italia e Russia, degradate quest’anno di una categoria. Per illustrare il degrado della libertà, la direttrice del rapporto statunitense, signora K. D. Karlekar, cita per nome e cognome il primo ministro italiano e il suo "enorme impero mediatico". Chi sono allora i cialtroni della libertà, quelli della Casa statunitense o quelli della Casa italiana? Del resto la Casa italiana è nata sulle tradizioni e con gli uomini di due aberrazioni della libertà: il fascismo - insieme al comunismo reale tra le maggiori negazioni della libertà in questo secolo - e la propaganda commerciale invasiva e obbligatoria.
Per mascherare con la "Libertà" una compagnia di squali della pubblicità, piduisti, mussoline e mussoliniani, fascisti di tutti i tipi (post, ex, neo, ultra), xenofobi mangia bingo-bongo e pochi clericali, non basta la faccia di bronzo, ci vuole un lifting al titanio.
Denunciando le truffe della pubblicità dicevo nel 1993: "Attenti! Mastrolindo è più pericoloso di Craxi". Oggi Mastrolindo e i suoi creativi si son presi il governo, il parlamento, la RAI. I governanti di prima arraffavano soldi per fare il partito. I governanti di adesso fanno il partito per difendere i soldi arraffati. Cosa dirà Mastrolindo del rapporto 2004 della vera "Casa della libertà"? "Spazzatura!" dirà? Come disse dell’Economist che gli dedicò in due anni tre copertine - un record in 160 anni di pubblicazioni. Minaccerà querele anche agli eredi della signora Roosvelt come fece vanamente con l’Economist?
Se la sua fede a stelle e strisce fosse vera, il portatore sano di democrazia ribattezzerebbe la sua compagnia "Casa delle semilibertà" e cercherebbe di riportare l’Italia al rating statunitense di paese libero. Sapete che Cina, Russia, Italia, Cuba, Vietnam e Nord Corea sono tra i pochi paesi dove il governo o il suo capo pagano ogni mese lo stipendio a più di un migliaio di giornalisti? Ovviamente per garantire la loro libertà.
E poi, perché "Casa delle Libertà"? Perché la libertà da garantire non è una sola, quella di Mastrolindo. Sono molte! Quella di Previti, di Dell’Utri, di Borghezio e della cinquantina di inquisiti o processati o patteggiati o o prescritti o condannati che la CdL ha messo al sicuro in parlamento. C’è un’altra "truffa innocente": Forza Italia. Da più di un secolo era l’incitamento degli italiani per i nostri atleti nel mondo. Prima era di tutti, ora è stato sequestrato. Non possiamo più usarlo, a meno di fare propaganda gratuita al partito di Dell’Utri, Previti e Mastrolindo. "Forza Italia" non lo hanno semplicemente privatizzato, ce lo hanno proprio rubato. Nelle privatizzazioni di un bene pubblico, si paga un indennizzo. Dorian Gray invece si è preso il malloppo e non ci ha pagato niente. Anzi, già che c’era, si è preso anche il nostro colore - l’azzurro - e visto che un colore non gli bastava, s’è acchiappato anche il tricolore. Lui sa bene che nomi, marchi e logo di successo - es. "Marlboro" o "Nike" - valgono decine di miliardi di euro. Lui invece "Forza Italia", il nostro azzurro e il nostro tricolore se li è acchiappati gratis. Calcolando poco, diciamo mille euro a testa, Dorian Gray deve agli italiani almeno 57 miliardi di euro, dieci volte più del suo patrimonio. Ha fatto un colpo grosso, eh?
Dovremmo battezzare "forza Italia" pizze, gelati, cocktail, barche, navi, spiagge, sentieri alpini, gatti, cani, cavalli, circoli culturali, romanzi, bande, feste. Riprendiamoci il nostro "forza Italia"! Questo bisogno mi è venuto con il mio spettacolo "Blackout", mentre spiegavo quanto l’Italia sia scesa in basso. Una ventina dei principali indicatori internazionali di sviluppo ci danno in media al 35° posto nel mondo. Altro che "nuovo miracolo italiano"!
Siamo tra il 20° e il 25° posto per indice di sviluppo umano, reddito pro capite, indice di capacità tecnologica, aiuti allo sviluppo, libri venduti; tra il 30° e il 35° posto per mortalità infantile, indice di corruzione, computer e giornali pro capite; 40° per indice di uguaglianza, 51° per indice di competitività, 74° per indice di libertà di stampa, 83° per indice di sostenibilità ambientale. Sintomatico è il nostro indice di competitività: 32°, 33° e 34° posto nel 2000, 2001, 2002, 41° nel 2003, 51° nel 2004. Il lento smottamento ora è frana. Altro che miracoli!
Le cause di questo crepuscolo hanno radici nei decenni passati. Una delle cause importanti però è il degrado intellettuale e morale provocato dalla televisione commerciale, sia privata sia statale. Vent’anni di questa intossicazione finiscono per convincere che benessere e felicità non dipendono dall’ingegno, dal lavoro e dall’onestà, ma dalla seduzione, dall’imbonimento e dalla furbizia. Economia allora non vuol più dire studiare, ricercare, inventare, produrre, ma ridere, ingannare e vendere. Conducendo gli affari di Stato come quelli pubblicitari e televisivi, i nostri mastrolindi sono riusciti in pochi anni a indebolire l’Italia più di quanto avessero fatto in decenni i loro protettori socialisti e democristiani. Adeguando diversi ministri e parlamentari alla volgarità e al turpiloquio delle loro televisioni, hanno ribaltato il significato della parola "volgare". Oggi sono le elite a involgarire il volgo. La volgarità non viene più dal basso, ma dall’alto, dagli uomini più ricchi e più potenti del paese, dalle tecnologie e dalle istituzioni che controllano. Non è grottesco che proprio chi per vent’anni ha corrotto la forza, l’intelligenza e la reputazione di questo Paese prenda ancora in giro gli italiani al grido di "Forza Italia"? Proprio loro, che da vent’anni sono i becchini dell’Italia, non possono ora far finta di volerla rianimare
* Il dialogo, Lunedì, 28 giugno 2004
IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti.
DEMOCRAZIA "REALE": CHE COSA SIGNIFICA? CHE COSA E’? Alcuni chiarimenti, con approfondimenti
ATTENTI, IL FASCISMO È ALLE PORTE
di Emiliano Morrone
Ora lo spauracchio del fascismo è agitato anche dall’avvocato Bruno Segre, che in occasione dei suoi 100 anni suonati ha avvertito l’Italia della minaccia delle "due forze di destra, Lega e M5s". "Per fortuna - ha aggiunto - esistono ancora le istituzioni, come quella del Presidente della Repubblica, che potranno tenere a freno il governo". Non mi meraviglia affatto l’insistenza con cui la grande stampa riporta i moniti di intellettuali, politologi, "eroi" dell’antimafia e combattenti del passato, per cui il pericolo nazionale è l’incipiente ritorno di un regime alla Mussolini, salvo lo spostamento di Salò a Ponte di Legno.
Già immagino, con fucile in spalla e panini imbottiti di Prodi, quei marcantoni di Martina e Fassino sopra le montagne nordiche, insieme ai partigiani del servizio pubblico Fabio Fazio e Luciana Litizzetto, al francescano ingegner Carlo De Benedetti, a Lapo Fiat Chrysler e a don Matteo (Renzi) in diretta da un rifugio a mo’ di Bin Laden, mentre Oliviero Toscani ne fotografa le memorabili gesta variopinte. E nella capitale vedo i cattivi Salvini e Di Maio addestrare le truppe carioca a lanciare fake news all’antrace, in collegamento Skype col judoka Putin, che intanto ha programmato per metà settembre un’esercitazione poderosa con 300 mila uomini e 1000 aerei.
Naturalmente, da gandhiani puri Jean-Claude Juncker e Mario Draghi scongiurano l’eccidio alle porte, pregando san Giorgio (Napolitano) di proteggere i portatori di verità e Welfare al seguito dell’erculeo Martina, in lotta dallo scorso 4 marzo per ripristinare l’articolo 18, reintrodurre le Unità sanitarie locali, abolire la riforma federalistica del 2001 sospinta dalla Lega 1.0, la Fornero, la Buona scuola e la scellerata Delrio.
Grazie al cielo c’è il presidente Mattarella, che ringraziamo sempre, comunque mai abbastanza, per aver dato singolare prova di resistenza rispedendo al mittente leggi contagiate dalla tremenda jella di Alfano, l’arcangelino invidioso della cristianissima Angela tedesca.
Politica
Luigi Di Maio è una speranza per il Sud (nonostante Saviano)
di Emiliano Morrone *
Eletto Luigi Di Maio candidato premier e capo politico del Movimento 5 stelle, su Repubblica.it Roberto Saviano ha scritto un commento intitolato “Il tradimento delle origini”, che riprende posizioni già espresse da Curzio Maltese prima che, approdato al parlamento Ue con Tsipras, cambiasse idea sulla democrazia nel Pd.
Riassumo alcune tesi di Saviano e replico. Lo scrittore antimafia ha sostenuto che
“nessuno all’interno del Movimento può prendere decisioni in autonomia”
“è il primo caso di un’entità politica gestita da associazioni riconducibili a singoli e da srl che pretendono fiducia incondizionata”
i leader “del Movimento, quelli che hanno consolidato la propria immagine nel corso di questi anni, non sono che figuranti destinati a diventare figurine qualora dovessero accettare il vincolo di mandato”
Tralascio per brevità ogni ragionamento sui 37mila e dispari votanti alle recenti primarie online del Movimento, ritenendo deviante l’argomento sul dato in sé. Le primarie altrui, caratterizzate da una più alta partecipazione, hanno finora seguito logiche, fin troppo note, di puri accordi di potere. L’esempio in casa Pd può essere l’elezione nel 2014 del mio compaesano Gerardo Mario Oliverio quale candidato governatore della Calabria o quella, per le politiche del 2013, dei candidati parlamentari inseriti nel listone sulla base dei consensi riportati. Tra costoro risultò in posizione più che utile Enza Bruno Bossio, moglie di Nicola Adamo, ex consigliere regionale e già vicepresidente della giunta della Calabria.
Nello specifico forma e sostanza distano anni luce, come sa bene l’amico Saviano. La legittimazione formale dei candidati del Pd è spesso pura finzione, la quale nasconde - e male - il controllo del partito da parte di gruppi di potere avvezzi alle trattative interne. Nessuno si offenda, è il solito gioco di una vecchia politica che ripudia strumenti e processi valutativi dell’autonomia e della visione collettiva del singolo candidato.
Chiedo all’amico Saviano se, tolte le suggestioni offerte - nel suo articolo - sull’attuazione della democrazia, in Italia esista sovranità del parlamento e libertà del governo. La mia risposta è negativa, perché le politiche sono condizionate alle “origini” dagli equilibri di finanza pubblica, dall’incostituzionale pareggio di bilancio e dalla riduzione, obbligatoria e progressiva, del rapporto tra debito pubblico e Pil. Il parlamento, in cui 5 stelle è forza di opposizione, è scavalcato ogni volta mediante l’utilizzo illegittimo della decretazione d’urgenza, seguito dal voto di fiducia. In un silenzio diffuso e indicativo, ciò è avvenuto, da ultimo, per il “decreto vaccini”.
All’amico Saviano ricordo che Beppe Grillo si candidò alle primarie del Pd, ma non lo vollero. Aggiungo che il Movimento 5 stelle, proprio in territori di confine come la “mia” Calabria, ha condotto una battaglia di legalità e trasparenza senza eguali, che Gianroberto Casaleggio, Grillo o altri non hanno mai ordinato, scoraggiato, ostacolato oppure bloccato.
L’elezione di Di Maio, finalmente un ragazzo del Sud, a me sembra una speranza, forse l’ultima, visto che sul futuro del nostro Mezzogiorno, storico serbatoio di voti, i partiti continuano con lo sfruttamento del bisogno e con l’imperdonabile retorica di patti e promesse di fiumi di denaro, su cui la criminalità organizzata, che costruisce i politici di riferimento, è sempre pronta a mettere mano.
* Il Fatto quotidiano, 24.09.2017 (ripresa parziale - senza note).
* SUL TEMA, NEL SITO, SI CFRR.:
Per la Costituzione - e il dialogo, quello vero ...
"ITALIA". AMARE L’ITALIA: RIPRENDIAMOCI LA PAROLA. VAFFA-DAY?! ONORE A BEPPE GRILLO. Contro la vergognosa confusione dell’ "antipolitica" in Parlamento e della "politica" in Piazza, l’invito ad uscire dalla "logica" del "mentitore". Una lettera (2002), con un intervento di Beppe Grillo (la Repubblica, 2004),
LA COSTITUZIONE, LA NOSTRA “BIBBIA CIVILE” ...*
Il Vaffa di Grillo ha origini nel situazionismo di Debord e Gallizio
Non tutti sanno che il nucleo fondativo di quel pensiero trovò accoglienza nel 1957 in un paesino dell’entroterra ligure
di Pino Pisicchio *
Nella miseria dei giorni della politica contemporanea si sono dovute ascoltare anche le celebrazioni per il decennale del "Vaffa day". Potrebbe essere una parabola tutta italiana, un segno dei tempi macilenti che ci toccano in dote. Eppure, forse con qualche preterintenzionalità, quelle celebrazioni hanno un senso. Anche dal punto di vista culturale.
Infatti, ciò che la base elettorale, il vertice dei dirigenti, il sinedrio degli eletti dei Cinquestelle ma anche l’universo dei giornalisti laureati e dei maître à penser usi a invadere Tv, testate ed editrici blasonate, non sanno, è che i grillini, contrariamente a quanto si possa immaginare, un pensiero nobile ce l’hanno, eccome.
E quel Vaffa day lo interpreta perfettamente. Il pensiero nobile grillino, però, non è quella minestra- brodo primordiale lanciata col nome di Gaia da Casaleggio senior nella rete qualche anno fa, con sembianze oniriche stile new age. No. O meglio: la storia dell’agorà virtuale è la fissa aziendale che ha mostrato di funzionare egregiamente sulla base del principio: "urla, offendi, cavalca il mostro che si muove nelle viscere della rete e farai tanti adepti".
La vera grande ispirazione culturale discende, invece, dai rami del Situazionismo di Pinot Gallizio e di Debord, rielaborazione dada della filosofia trozkista, nella convinzione che la borghesia crassa e decadente soggiogata dalla società dello spettacolo, sarebbe stata abbattuta con le stesse armi ma rivolte contro.
Insomma un pensiero spiazzante, indecente e arrabbiato. Ora non tutti sanno che il nucleo fondativo di quel pensiero trovò accoglienza nel 1957 in un paesino dell’entroterra ligure, Cosio di Arroscia, in provincia di Imperia, con un grappolo di stralunati pensatori, pittori, artisti a vario titolo, provenienti da mezza Europa, una sorta di comunità beatnik avanti lettera.
In Italia, dunque, anzi, in quella striscia un po’ nordica, un po’ mediterranea che è la Liguria. A Genova e dintorni, infatti, si insediò un nucleo di resistenti, discepoli sulla scia dell’insegnamento di Debord, tutti apprendisti stregoni della tv, sperimentatori, mischiatori di generi, ritagliatori di suggestioni e di irriverenze.
Marco Giusti, Antonio Ricci, Carlo Freccero, Enrico Ghezzi. E Beppe Grillo. Sì, proprio lui. Che ha sublimato l’idea primigenia del situazionismo offrendo il suo corpo e la sua cacofonia alla causa. Con Grillo, infatti, Debord ha visto compiuta la sua utopia dello sberleffo al potere con i voti di quella che una volta si sarebbe chiamata borghesia e che oggi invece somiglia all’informe ventre di un popolo celibe. E nubile (per parità di genere).
Cos’è, allora, il "Vaffa day" se non il gesto situazionista per antonomasia? Cos’è lo stesso Grillo, con la sua faccia, il suo mestiere di comico, la sua perenne coprolalia brandita come arma contundente? Ma è chiaro: è la vittoria politica di Debord nell’unico consorzio umano al mondo dove poteva attecchire il suo pensiero: la società italiana. Non a caso la Bibbia dei Situazionisti fu il suo libro: "La società dello Spettacolo ".
* Il blog Pino Pisicchio, Presidente gruppo Misto Camera Deputati, The Huffingtonpost, 11.09.2017.
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LA COSTITUZIONE, LA NOSTRA “BIBBIA CIVILE” ....
L’ITALIA, LA CARTA D’IDENTITA’ TRUCCATA, E GLI SFORZI FALLITI DEL PRESIDENTE CIAMPI DI ROMPERE L’INCANTESIMO DI "FORZA ITALIA"!!! Una nota di Arrigo Levi
Per la Costituzione - e il dialogo, quello vero ...
"ITALIA". AMARE L’ITALIA: RIPRENDIAMOCI LA PAROLA. VAFFA-DAY?! ONORE A BEPPE GRILLO. Contro la vergognosa confusione dell’ "antipolitica" in Parlamento e della "politica" in Piazza, l’invito ad uscire dalla "logica" del "mentitore". Una lettera (2002), con un intervento di Beppe Grillo (la Repubblica, 2004).
Federico La Sala
LA ’NAZIONALIZZAZIONE’ DEL MENTITORE
Il paradosso della Costituzione
Difesa oggi dagli antipartito, 70 anni fa nel mirino degli “apolitici” dell’Uomo Qualunque. Bobbio li definiva il “pantano in cui finirà per impaludarsi il rinnovamento democratico”
di Giovanni De Luna (La Stampa, 09.12.2016)
Il paradosso del referendum del 4 dicembre è questo: la Costituzione del 1948 è stata vittoriosamente difesa dalle forze politiche che ne hanno sempre criticato il carattere «comunista» (Berlusconi e la Lega) o denunciato la fissità «talmudica» (così Grillo, nel 2011 sul suo blog). Il paradosso è anche più evidente se lo si confronta con le polemiche che - tra il 1945 e il 1947 - accompagnarono il varo della Carta Costituzionale.
Allora, il passaggio dalla dittatura alla democrazia fu accolto con sospetto e diffidenza da una larga fetta dell’opinione pubblica, abituata da venti anni di fascismo a considerare la politica una pratica «inconcludente» e incline a guardare agli uomini dei partiti con la diJffidenza dovuta a chi svolgeva «non un’attività disinteressata al servizio della collettività e della nazione, cercando invece di procurare potere, ricchezza, privilegi a sé stesso, alla propria famiglia, fazione, clientela elettorale». Queste frasi - tratte da uno dei tanti rapporti dei carabinieri che allora funzionavano come oggi i sondaggi di opinione - fotografavano un diffuso sentimento «antipartito» che si tradusse negli impetuosi successi elettorali dell’Uomo Qualunque.
La nuova Repubblica
Anche tra le file del Partito d’Azione - al quale oggi viene attribuita la paternità della Costituzione - all’inizio la forma partito era vista con sospetto. La nuova Repubblica che nasceva dalla Resistenza avrebbe dovuto puntare direttamente sugli uomini (con un rinnovamento della classe dirigente) e sulle istituzioni (con un allargamento della partecipazione politica fondata sulle autonomie e sull’autogoverno). Lo scriveva un giovane Norberto Bobbio (non aveva ancora 40 anni): «Una responsabilità pubblica ciascuno può assumerla dentro o fuori dei partiti, secondo le sue capacità e le sue tendenze, e magari meglio fuori che dentro».
Ma proprio i suoi articoli di allora sul quotidiano Giustizia e Libertà ci consentono oggi di capire che intorno alla Costituzione la partita si giocò essenzialmente tra la politica e l’antipolitica, meglio - come si diceva a quel tempo - tra gli «apolitici» e gli uomini dei partiti. Il qualunquismo nascondeva dietro la maschera della «apoliticità» e dell’«indipendenza» una lotta senza quartiere ai partiti del Cln, giudicati come il lascito più significativo e più pericoloso della Resistenza. BJobbio lo diceva esplicitamente: «gli indipendenti [...] non sono né indipendenti, né apolitici. Sono politici, ecco tutto, di una politica che non è quella dei comitati di liberazione o del fronte della Resistenza».
«Vizi tradizionali» italiani
L’«apoliticismo» (per Bobbio «l’indifferenza o addirittura l’irrisione per ogni pubblica attività in nome dell’imperioso dovere di lavorare senza ambizioni né distrazioni per la famiglia, per i figli e soprattutto per sé») si traduceva in una critica alla «politica di partito» che, scriveva, «lusinga e quindi rafforza inveterate abitudini, vizi tradizionali del popolo italiano, incoraggia gli ignavi, fa insuperbire gli ottusi e gli inerti [...], offre infine a tutti gli apolitici un motivo per allearsi, facendo di una folla di isolati una massa organica, se non organizzata, di persone che la pensano allo stesso modo e hanno di fronte lo stesso nemico [...] generando di nuovo quel pantano in cui finirà per impaludarsi lo sforzo di rinnovamento democratico dello Stato italiano».
Per gli uomini della Resistenza il nemico era quindi diventato quella «sorta di alleanza dei senza partito», «scettica di quello scetticismo che è proprio delle classi medie italiane», alimentata «da un dissenso di gusti, un disaccordo di stati d’animo, uno scontro di umori, una gara di orgogli, dai quali null’altro può derivare che invelenimento di passioni, impacci all’azione ricostruttrice».
La Carta strumentalizzata
Sembra che Bobbio parli proprio di quell’estremismo di centro che caratterizza oggi una parte della società italiana e un movimento come quello di Grillo. Allora fu un passaggio decisivo per l’approdo a una sua convinta adesione alla «democrazia dei partiti», frutto di una riflessione approfondita su un «modello», quello inglese, che, partendo dai capisaldi fondamentali delle origini (la divisione dei tre poteri, la monarchia costituzionale e il governo parlamentare), era stato in grado di rinnovarsi, spostando progressivamente verso il basso, verso il corpo elettorale, rappresentato e diretto dai partiti, il baricentro del sistema politico.
Le cifre del referendum del 4 dicembre ci dicono come l’elettorato dei movimenti più tipicamente antipartito (Cinque Stelle e Lega) abbia votato massicciamente per il No (l’80%), affiancato da una ristretta fascia di elettori appartenenti al Pd (23%) o alle varie sigle accampate alla sua sinistra. Essere salvata da quelli che volevano affossarla, adesso come nel 1948: da questo duplice paradosso cronologico la Costituzione esce come schiantata, degradata a puro pretesto, con una torsione innaturale che la espone, in futuro, a ogni tipo di uso strumentale.
Boom Cinque Stelle, il Senato bloccato
Il vero vincitore è Grillo: niente inciuci *
Il leader: “Siamo il primo partito, Bersani e Berlusconi sono falliti”
Torino. È Beppe Grillo il vincitore delle elezioni 2013. Il suo Movimento 5 Stelle vola, sfonda la soglia del 20% ritenuta impensabile fino a qualche mese fa e fa tremare i partiti. Il Pd, se vuole governare senza allearsi con il Pdl, dovrà necessariamente trovare un accordo con i parlamentari a cinque stelle.
Lui, Grillo, nel giorno della vittoria comunica soltanto attraverso la rete («L’onestà sarà di moda», ritwitta non appena vengono diffusi i primi risultati più che incoraggianti per il M5S). Ma la linea è quella della prudenza. Attendere che i dati siano ufficiali perché, lasciano trapelare dallo staff, «ci saranno delle sorprese». Nel quartier generale a cinque stelle, in un albergo nei pressi di piazza San Giovanni a Roma, i commenti vengono infatti rinviati a «quando i dati saranno certi». Così come avviene per le decisioni di natura politica. Nessun azzardo. Appoggiare una coalizione o un’altra per il governo? Decidere quali presidenti votare per Camere e Senato? «Prima ci conteremo, ci riuniremo, ascolteremo la base poi decideremo che fare», spiegano i futuri parlamentari a cinque stelle.
In serata Beppe rompe il silenzio: «Saremo una forza straordinaria. Faremo tutto ciò che abbiamo detto: il reddito di cittadinanza, nessuno indietro. Saremo 110 dentro e qualche milione fuori. Bersani e Berlusconi? Sono dei falliti». E le alleanze? «Intanto entriamo in Parlamento e ci perfezioniamo. E non pensino di fare inciucetti, inciucini. Faremo tutto quello che abbiamo promesso in campagna elettorale: reddito di cittadinanza, nessuno deve rimanere indietro. Abbiamo iniziato a cambiare le parole». La soddisfazione è grande: «Abbiamo raggiunto un risultato eccezionale. Siamo il primo partito in assoluto e questo in solo tre anni e qualche mese. Aspettateci in Parlamento, sarà un vero piacere osservarvi. Mi chiedo dove ci collocheranno, spero che dietro ognuno di voi ci sia uno di noi».
Grillo pesca a destra e a sinistra, dallla Sicilia alle regioni del Nord. L’ormai ex comico se ne sta barricato nella sua villa di Sant’Ilario da questa mattina intorno alle 11 quando era uscito a piedi con la moglie e un figlio per recarsi a votare nel vicino seggio allestito presso l’Istituto agrario Marsano. In Sicilia e Sardegna i Cinque Stelle incassano quasi il 30% delle preferenze. I dati (parziali) raccontano che i grillini navigano attorno al 25% in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Abruzzo. Solo in Lombardia Grillo non raggiunge il 20%. A Venaus, comune della Valle di Susa divenuto nel 2005 simbolo della lotta contro la Tav Torino-Lione, il Movimento 5 stelle ha ottenuto il 46,9% al Senato, pari a 278 preferenze su 609 votanti. E anche a Bussoleno Grillo conquista la maggioranza dei consensi dei 3524 elettori, ottenendo il 44,48% dei voti.
Sorridenti ed emozionati, vestiti casual (in maglione o con una camicetta), ma soprattutto giovanissimi: Alessandro Di Battista, Marta Grande (probabilmente la più giovane parlamentare con i suoi 25 anni), l’ormai “esperto” Davide Barillari e Domenico Falconieri sono il volto del MoVimento subito dopo le prime proiezioni. Si tratta di tre neo parlamentari in pectore e del candidato presidente alla Regione Lazio. Si vede che non sono abituati alle luci delle telecamere ed ai flash ma sanno rispondere alle provocazioni: «Inesperienza? Ci sono pro e contro, ma se ce l’ha fatta Scilipoti...», replicano lasciando trapelare un po’ di nervosismo.
Ma è il giorno della vittoria. Si festeggia soprattutto sul web. Su twitter esplode la gioia grillina. La “Cosa”, la web tv a cinque stelle, trasmette in streaming da tutta Italia: telefonate, commenti. È la festa di M5S. Interviene anche Dario Fo, il premio Nobel che si è speso apertamente al fianco di Grillo: «Questa è una straordinaria vittoria dei giovani. Pulizia e giovinezza stanno vincendo!», esulta in collegamento telefonico. Poi unisce una riflessione di natura politica: «Il M5S ha imparato ad ascoltare qualcosa pure dai vecchi - spiega - Abbiamo bisogno di cambiare tutto. Ora si rischia una legislatura breve ma intanto bisogna reinventare il modo di stare nelle istituzioni».
È questa la preoccupazione principale degli analisti politici. Che cosa succederà ora? Cosa farà il Movimento? La risposta dei militanti è ferma: siamo pronti ad appoggiare le proposte che riterremo valide. Difficile però capire se siamo pronti ad un sostegno, seppur esterno, a qualsiasi tipo di formazione.
Dialogo con Berlusconi? «È molto difficile che Berlusconi proponga idee utili per la collettività. Non è mai successo finora ma se accade un miracolo, ascolteremo la rete», risponde Alessandro Di Battista, che bacchetta anche il Pd che «quando doveva proporre una legge sul conflitto d’interesse non l’ha fatto» ma ora «non ha più scuse» se intende proporre leggi valide.
Più sottile il commento di Marta Grande che replica così a chi gli chiede se il M5S abbia rubato voti al Pd: «Non abbiamo tolto voti a nessuno - sottolinea - Sono loro che li hanno persi». E se si tornasse al voto? «Alle prossime elezioni, non sappiamo quando, saremo la maggioranza assoluta del Paese».
* La Stampa, 25/02/2013
San Giovanni è grillina
In centomila (lui dice, “ottocentomila”) per il leader M5S
Giornalisti italiani tenuti lontani dal palco
di Paola Zanca (il Fatto, 23.02.2013)
In piazza San Giovanni sono in centomila (lui dice, “ottocentomila”). Indica i politici e ripete: “Per questa gente è finita”. Se la prende con le tv italiane: “Continuano a mentire”. Per allontanare i cronisti chiama i carabinieri, ma è una brutta scena. La folla lo acclama assieme a Casaleggio: “Cambieremo l’Italia” Eccoci qui, nella città dove li vedete girare nelle loro autoblu. Non hanno ancora capito che cosa sta arrivando. Arrendetevi. Siete circondati. È finitaaaaaaaaaaa! ”. Una signora di mezza età, con le stampelle si dispera: “Mannaggia a ’sto ginocchio... sennò stavo sotto al palco! ”. Vorrebbe stare lì, davanti a Beppe Grillo e a Gianroberto Casaleggio, che hanno appena fatto il loro ingresso in piazza San Giovanni, a Roma. Stracolma, “più del concertone”, dicono loro, che si contano in “ottocentomila”. Il vigile li guarda con l’aria di chi di piazze ne ha viste tante: “Ma che state a di’, il primo maggio questo se lo sogna”. Loro, più che alla festa dei lavoratori, pensano alla Liberazione: “È il nostro 25 aprile”. Solo che i partigiani a Cinque Stelle cominciano male: fuori i cronisti italiani, dentro solo quelli delle testate straniere e Sky.
UN TIRA E MOLLA di ore: prima il “no” deciso, compreso a chi si era regolarmente accreditato, tanto che arrivano i carabinieri per identificare un cronista troppo insistente, secondo i canoni di giudizio dello staff del movimento. Poi interviene l’Ordine dei giornalisti (“selezione della razza”) e la stampa estera (“libertà non rispettata”) e le transenne si aprono: tutti in fila, divisi per gruppi, pronti a raccontare il backstage. Niente da fare: venti metri e di nuovo il cordone dei volontari ferma tutti. Problemi di ordine pubblico, spiegano, che si risolvono magicamente appena arrivano due firme di Le Figaro. Lui, Beppe, nemmeno si volta quando arriva a bordo del camper che l’ha portato in giro per l’Italia, soltanto dieci minuti prima di cominciare lo show. “Dio mio cosa abbiamo fatto - dice - È tutta la notte che mi esercito per non commuovermi”. Piangono invece i candidati che uno alla volta sono saliti sul palco per presentarsi agli elettori.
OGNUNO con la sua proposta. Matteo Arena, da Latina, per esempio vuole “la vendita dei farmaci sfusi”. Da sotto qualcuno li ascolta: “Fosse vero”, dicono ogni volta che sentono qualcosa che credono potrebbe cambiare le loro vite. Altri ripetono in coro: “Tutti a casa”, “Basta casta”.
Grillo li rintuzza dal palco. Contro i professori: “Nei call center ci vadano i figli della Fornero”. Contro i politici: “Bersani dice che io sono miliardario, lui è un parassita”. Gli striscioni parlano lo stesso linguaggio. Nei gazebo, invece, si fanno scoperte interessanti. Alla nursery, per esempio, si accolgono i bambini e “si intrattengono anche le mamme, ma solo se giovani”. Il merchandising, invece, ha in bella vista le solite magliette, penne e spille, eppure vendono anche la bandana: chi non vuole sentirsi un Berlusconi in Costa Smeralda stia sereno, ci sono le cinque stelle.
Il “Sarà un piacere day” è costato circa 70 mila euro, raccolte con le donazioni, più il lavoro di 300 volontari. Una maratona di quattro ore: dopo Grillo, sale sul palco Federico Pizzarotti (“Vi siete addormentati? ”, chiede il sindaco di Parma alla piazza che si è spenta in un attimo), poi per la prima volta parla Casaleggio: “Cambieremo l’Italia”, dice, accennando a tutte le volte che lui e Beppe hanno pensato di “gettare la spugna” e si sono fatti forza l’un l’altro. E ancora Giancarlo Cancellieri, il capogruppo siciliano, “figlio” della traversata dello Stretto. Quando alle cinque del pomeriggio arriva in piazza San Giovanni, è letteralmente assalito dai fan e lui è diventato bravissimo a fare la faccia da foto mentre risponde alle domande.
COME STA ANDANDO in Sicilia? “L’attività legislativa si impara (cheese), il problema sono i giochetti di potere: nel sistema ci devi entrare (cheese) chi dice il contrario sbaglia: altrimenti tu che sei sanu sanu finisci fregato”. Cheese. Insieme a lui, a farsi immortalare negli scatti, ci sono persone di ogni tipo. Uno come Pasquale, 32 anni, già elettore di Berlusconi che lo ammira solo perché “se fosse un altro andrebbe in giro già con due Audi”. O un altro come Benedetto, 60 primavere, ex Pci, ex rifondarolo, ex Idv, ora “per la ghigliottina”: “Robespierre la democrazia l’ha fatta così: meglio morire che passare una vita da pollo”. Mentre lui esprime la sua teoria, una ragazza lo rimprovera: “Prima ci proviamo con le buone, poi, se non ci ascoltano, passiamo alle cattive”. Alle 22 il comizio è finito. Grillo chiede alla piazza di far sentire a Napolitano il “boom”. Poi, si chiude con la canzone con cui tutto è cominciato: “Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta, ognuno vale uno”. Qualche metro più in là, una giovane mamma guarda soddisfatta la bimba nel passeggino: “È riuscita ad addormentarsi con Grillo, è il massimo”.
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«Noi» contro «loro»
L’ultimo comizio-show su Nano e Gargamella
di Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 23.02.2013)
«Noi», e loro. «Noi»: esodati, cassintegrati, pignorati, indignati; minatori del Sulcis, senzacasa del terremoto emiliano e dell’alluvione delle Cinque Terre, maschere di «Anonymous» che non nascondono pirati informatici ma vecchiette arrabbiatissime; e tutti i No possibili, No Tav, No Gronda, No Autostrada Roma-Latina, No Inceneritori (tranne quello di Parma che si farà). Loro: l’Europa, le banche, l’Agenzia delle Entrate, «i Palazzi», le macchine blindate, la Rai, i giornali, i sindacati, i notai, i burocrati «tutti incompetenti», i partiti «tutti uguali», i politici «tutti ladri», da cui il grido: «Tutti a casa!».
Di là, l’establishment, la «vasca di squali» con i suoi servitori del tutto intesi al male, e una situazione «ancora peggiore di quanto pensiate» come ammonisce Gianroberto Casaleggio all’esordio in piazza. Di qua, un «futuro nuovo, solidale, felice» in cui la democrazia è diretta, ci si informa l’un l’altro in rete, si lavorano 30 ore alla settimana anzi 20, i preti potranno sposarsi a qualsiasi età e tutti ricevono mille euro al mese dividendosi i soldi delle missioni di pace, perché tanto «non esistono missioni di pace», e quindi riprendano pure a scannarsi kosovari e serbi, Israele ed Hezbollah. Così è nato un fenomeno senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali (l’Uomo Qualunque prese il 5% e durò pochi mesi).
E’ questa la rappresentazione che Beppe Grillo ha messo in scena nel lungo tour per l’Italia, aperto cinque mesi fa con la nuotata nello Stretto - «dicevano che mi veniva l’infarto dopo 500 metri, ci ho messo venti minuti in meno del traghetto» -, proseguita con 76 comizi (lui dice «spettacoli») e conclusa con il clamoroso successo di questa notte a San Giovanni. E il fatto che sia una rappresentazione falsa e consolatoria non significa che non sia affascinante, anzi. Gli ingredienti per sedurre, trascinare, conquistare voti in ogni ceto e schieramento ci sono tutti, a cominciare da quelli offerti da partiti che hanno fallito ogni chance possibile, a cominciare dal taglio di prebende e privilegi.
Lo slogan con cui si apre la manifestazione - «Nessuno sarà lasciato indietro» - è lo stesso di George W. Bush; ma il nume tutelare è il sempiterno Dario Fo. Alcune delle venti proposte accolte dagli olé del pubblico romano tipo formazione della Maggica sono identiche a quelle di Berlusconi, dall’abolizione di Equitalia all’impignorabilità della prima casa; ma se Grillo deve citare un prete buono cita un prete rosso, da padre Zanotelli a don Gallo, e Casaleggio cita il Sessantotto. Grillo scorrazza liberamente da sinistra - dov’è nato con il V-Day di Bologna e i successi di Genova e Torino - a destra, dov’è cresciuto con gli attacchi all’Imu, all’euro, al rigore finanziario, alla Merkel cui è dedicato il buu finale.
Così stasera si assiste al paradosso finale: il leader della sinistra tiene il comizio conclusivo in un teatro di cabaret, e un ex cabarettista riempie piazza San Giovanni come mai si era visto dai tempi dei funerali di Togliatti (25 agosto 1964) e di Berlinguer (13 giugno 1984). Ci era andato vicino un altro uomo di spettacolo, Nanni Moretti, nel frattempo tornato all’ovile dell’Ambra Jovinelli con Bersani.
Qui intanto si alternano candidati sconosciuti a gridare alla piazza frasi apocalittiche tipo «vogliono la morte dei miei figli e io non lo permetterò mai!», «noi agricoltori non abbiamo più nulla!», «siamo tutti con le pezze al culo!». Poi qualcuno si commuove e piange, tra gli applausi della piazza. Neanche lui, «il ministro dei sogni», si sottrae: «È tutta la notte che mi esercito per non commuovermi...».
Grillo prende la parola alle 9 meno un quarto di sera e spara subito al bersaglio grosso: il Pd e Bersani, che lui chiama Gargamella, «parassita che deve finire sotto processo insieme con tutti i capi della sinistra dal ’95 a oggi per lo scandalo Montepaschi, il più grave della storia della Repubblica: ventun miliardi di buco!». Ecco perché il Pd non ha bloccato lo scudo fiscale, «per far rientrare le tangenti pagando solo il 5%».
Peggio di Berlusconi, che lui chiama il Nano, «perché quello si vede che mente, mentre la sinistra finge di opporsi e invece hanno governato insieme, si sono passati la borraccia come Coppi e Bartali». Segue il consueto canovaccio - il «politometro», il Parlamento da aprire «come una scatola di tonno», gli 87 procedimenti penali subìti - e un’invettiva contro tutti, De Benedetti, Tronchetti, Caltagirone, Profumo, Draghi, Monti, Napolitano, la Fornero con figlia.
La parte più efficace è quella in cui Grillo racconta il suo lungo viaggio nell’Italia della crisi, «le pugnalate nel cuore», le «macerie invisibili», la gente «che soffre, perde il lavoro, si ammazza», un dolore che «non riesco a tenere da solo»; e dall’altra parte i segretari di partiti «che vanno in tv a farsi intervistare dai loro dipendenti», che «tolgono i soldi alla scuola pubblica e ai malati di Sla», che «si chiudono nei loro teatrini e non capiscono la rivoluzione della rete». Come i giornalisti, ammessi solo grazie all’intervento della polizia, cui dice con voce suadente cose terribili tipo «i vostri giornali chiuderanno, il vostro mestiere è finito, non servite più a nulla».
Sul palco viene fatta salire trionfalmente solo l’inviata della tv danese, e nella sua telecamera dopo un’ora e più di un discorso Grillo urla: «Siamo 800 mila, più quelli collegati con 120 piazze in tutta Italia; è il più grande evento mediatico di tutti i tempi! Li mortacci vostra quanti eravate!».
La reazione della folla è impressionante, la rabbia prevale sullo scoramento, si sventolano tricolori al grido «Italia-Italia», ragazzi che si erano persi ritrovano i genitori dietro la statua di San Francesco, l’intero quartiere è invaso da gente che non è certo qui per uno spettacolo gratuito ma è rimasta per ore in coda a tratti sotto la pioggia, e ora si scambia previsioni clamorose ma non troppo distanti dalla realtà: «Siamo sopra il 20%», «in Sicilia il premio di maggioranza lo prendiamo noi», «siamo il secondo partito forse il primo»... Poi prendono ramazze e sacchi e cominciano a pulire la piazza.
E in piazza la rockstar del populismo seduce la folla di delusi e arrabbiati
di Curzio Maltese (la Repubblica, 23.02.2013)
ROMA A MENO che non abbia preso anche lui un master a Chicago a nostra insaputa, Grillo apprezza soltanto la stampa che non è in grado di leggere. Un vantaggio nel suo caso, perché i giornali stranieri, da Le Monde a Figaro, da Guardian alla Faz, ne hanno scritto come di un guitto populista, l’ennesimo fenomeno da baraccone della politica all’italiana. Al confronto la stampa nazionale è stata molto più prudente e gentile, soprattutto da quando i sondaggi sono in crescita. Ma che importa? Lo spettacolo non è il palco, il guru che abbraccia e benedice i discepoli e poi sale a fare l’ultimo tonitruante show del genere solo contro tutti. Lo spettacolo è la piazza.
Le piazze sono di solito migliori o peggiori dei partiti, movimenti o sindacati che le convocano. In questo caso, ha invece l’aria di essere perfettamente uguale. Uno specchio fedele, una fotografia mossa dell’Italia che voterà 5 Stelle. Molto maschile, abbastanza giovane, ma non troppo. Tutti questi ragazzi non si sono visti. Una larga prevalenza di trenta e quarantenni, con molti anziani, i più entusiasti. Slogan di destra e di estrema sinistra. Se c’è una novità nel popolo di Grillo, addirittura l’annuncio di una rivoluzione politica italiana e forse mondiale, io non l’ho trovata.
Sembra a prima vista la solita Italia in buona fede, che ama le semplificazioni, le teorie del complotto e i venditori di sogni, ingovernabile e contenta di esserlo, tenuta insieme dal risentimento. Se chiedi a cinquanta persone perché voteranno Grillo, quarantotto rispondono perché gli altri fanno schifo, rubano e sono tutti uguali, destra e sinistra. Uno parla di inceneritori e un altro di precariato giovanile e salario garantito. E’ chiaro che il programma non se l’è letto nessuno. Com’è del resto per tutti gli altri partiti.
Grillo si fa attendere come una rock star e quando è il suo turno non delude. Un animale da spettacolo come pochi. La campagna elettorale è stata la tournèe capolavoro di una vita. Ha usato la piazza e Internet, ma soprattutto la televisione, dov’è nato. Meglio di chiunque altro nella storia, da far impallidire d’invidia Silvio Berlusconi che per quanto padrone qualche volta ha dovuto rispondere, accettare regole e domande. Grillo mai. Compare soltanto in comizio, senza contraddittorio, come e quando vuole. Tanto fa audience. Non deve mai rispondere di quello che ha detto, ma neppure affannarsi a smentire, come il povero Berlusca: è colpa dei giornalisti. Però a vederlo in mezzo a quest’avventura, unico punto di riferimento di una folla così indistinta, individualista, Grillo fa un po’ tenerezza.
Che ne sarà di lui dopo questo travolgente successo? Fra sei mesi, un anno? E’ già incredibile, «pazzesco» direbbe lui, che sia arrivato qui. Ho visto Grillo la prima volta a metà anni Ottanta, sul set di un film di Dino Risi. Cercava di imitare Coluche, un vero genio comico che aveva progettato di candidarsi alle presidenziali francesi dell’81, mandando in tilt i sondaggi. La carnevalata era durata pochi mesi, con in mezzo la tragedia dell’assassinio del collaboratore Renè Gorlin.
E’ curioso come le forme influenzali della democrazia francese sbarchino a distanza di anni in Italia, diventando epidemie ventennali. Dopo il comico in politica, i francesi hanno avuto il partito azienda di Bernard Tapie, ultra miliardario, proprietario di tv e squadre di calcio, ma anche quell’esperimento era durato in tutto un anno e il capo era finito in galera. Considerato che l’ultimo fenomeno transalpino è la figlia di Le Pen e il suo movimento xenofobo, c’è da toccare ferro. Grillo poi l’ho seguito in tutte le sue mille vite, da protagonista della dolce vita anni Ottanta, con Ferrari fiammante, a profeta anti tecnologico e sfascia computer nei Novanta, quindi guru della Rete e ora capo del secondo o terzo partito d’Italia.
Ma lo spettacolo continua a non essere lui. Lo spettacolo è la folla di San Giovanni e il paese alle spalle, che ascolta in religioso silenzio, interrotto da scoppi di idolatria, lo sgangherato comizio di un bravo comico con diploma da ragioniere che discetta di fine del lavoro e modelli energetici futuribili, come fosse la sintesi di Marx ed Einstein, mescolando accenni sull’universo e i destini del capitalismo con considerazioni sulle spese di rappresentanza del Quirinale e l’infame Equitalia. Bisogna soltanto sperare che la stampa estera, così ben accolta, sia clemente col nostro povero Paese e la sua inesausta, per quanto a oggi non fortunatissima, vocazione a fare il laboratorio politico della minchiata.
Si tratta anche di sperare nel buon senso e nell’onestà dei cento grillini destinati a entrare in Parlamento, alla fine di tutta ‘sta rivoluzione. Finora è andata abbastanza bene. A Parma la giunta 5 Stelle non ha realizzato una singola promessa elettorale, dal no all’inceneritore al taglio dell’Imu agli aiuti alle famiglie povere, ma almeno non ha fatto i danni dei precedessori. Alla Regione Sicilia, dov’è primo partito, il movimento sostiene la giunta Crocetta, una volta compreso che non è proprio uguale a Cuffaro e Lombardo. Se i cento grillini servissero poi da pungolo per far approvare quei due o tre provvedimenti di decenza e riforma della politica, dal dimezzamento dei parlamentari al taglio dei vitalizi, allora che siano i benvenuti.
Il tempo della retecrazia
di Barbara Spinelli (la Repubblica, 20 febbraio 2013)
Ha detto Berlusconi che «a noi Grillo ci fa un baffo». È strano, perché la mobilitazione delle folle, l’appello a passioni selvagge come l’ira o la vendetta, le rivoluzioni che fanno tabula rasa del passato, il paese reale brandito contro il paese legale sono stati gli ingredienti della sua presa del potere nel ’94.
Lo slogan che esalta il paese reale non è originale: lo coniò nel primo ’900 la destra di Charles Maurras, contro i mostri della democrazia, e il comunismo lo adottò per decenni. Meglio a questo punto se Berlusconi dicesse il vero: la sua operazione è riuscita, gran parte dell’Italia entra antropologicamente mutata in un’era effettivamente nuova - Grillo ha ragione - ma vi entra sprovvista di strumenti che le permettano di governarla, razionalizzarla.
Vi sono tuttavia differenze non trascurabili, fra l’irresistibile ascesa dei due leader. Il primo, quando entrò in politica, disponeva di ricchezze inaudite (accumulate con aiuti pubblici, va ricordato) che il Movimento 5 Stelle neanche si sogna. Soprattutto, possedeva un potere cruciale: tutte le Tv private, cui s’aggiungeva, da premier, il servizio pubblico Rai. Non solo: Grillo vede la crisi; Berlusconi s’ostina a negarla, garantendo che con lui al governo sarà spazzata via.
Siamo stati indotti a considerare il suo conflitto di interessi un impedimento. Fu invece il dispositivo che gli consentì di piegare i politici: in ogni accenno al suo dominio mediatico egli vedeva un’espropriazione. Non stupisce che il conflitto sopravviva tale e quale da anni.
Stupisce che non sia stato visto come un problema gravissimo prima che il giocatore entrasse in politica con quell’asso. Che non si sia capito subito l’essenziale: un controllo così pervasivo della comunicazione, in un paese dove l’80 per cento dei cittadini s’informa alla Tv, storce le usanze democratiche, e infine chiama vendetta. Spegne il pluralismo, corrompe e uniforma le menti, trasforma i vocabolari di tutti: governanti, oppositori, classi dirigenti, cittadini comuni.
Da questo punto di vista Grillo innova e dice cose non incongrue, quando denuncia i politici, le istituzioni, i giornali. Tende a fare di ogni erba un fascio - è giusto dirlo - ma è vero che tante erbe si son fatte volontariamente fasciare per anni. Al tempo stesso è figlio di quel dispositivo, al cui centro c’è un’idea di democrazia diretta che usa l’informazione non per seminare conoscenze ma per forgiare un pensiero unico sull’Italia, l’Europa, il mondo. Il suo mezzo non è più la televisione: questa scatola più che mai tonta, come la chiamano gli spagnoli. Né la stampa cartacea, che ha una memoria meno immediata di quella digitale. È il mondo non più inscatolato ma aperto, informe, straordinariamente libero di Internet.
Un mondo già scoperto da Obama, quando diventò Presidente nel 2009. Grazie al web, egli ha ottenuto due volte un mandato popolare che lo emancipa, se vuole, da lobby e partiti. Capace di disseminazione virale, la rete scavalca la senile televisione. Ma essendo informe è anche in grado di farsi bellicosa: nel libro di Grillo e Casaleggio, la parola guerra è ricorrente, incalzante (Siamo in Guerra, Chiarelettere 2011). Guerra «feroce e sempre più rapida», finita la quale «il vecchio mondo sparirà» e con esso i partiti di ieri, in Italia e ovunque.
Guerra totale, addirittura: un termine per nulla anodino, visto che nel 1935 lo usò in un opuscolo omonimo il generale tedesco Ludendorff. Nelle guerre totali non si concedono interviste a giornalisti che ti interrompono con dubbi e domande, anziché applausi. Quel che conta, per Ludendorff, è «abbattere il morale delle retroguardie» (le rappresentanze delle popolazioni non combattenti) più che l’avanguardia al fronte.
In questa lotta fra scatola tonta e web è il secondo, sicuramente, il Nuovo che ci aspetta. In un discorso tenuto nel febbraio 2012 per l’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, il giurista Piergaetano Marchetti indica i motivi per cui il futuro è nel web, con le sue immense promesse e i suoi rischi. «La comunicazione e l’informazione di massa (attraverso la rete) è un potente canale e amplificatore di domande, di richieste di rendiconto, un assordante coro di «perché».
Un fiato continuo sul collo di chi governa. Una pressione che genera risposte, trasparenza, informazione. E tutto ciò, a sua volta, in un circolo virtuoso, genera altre domande di accountability».
L’accountability - la cultura del render conto - latita in Italia. È strano che se ne parli così poco in campagna elettorale, visto il prezzo che paghiamo per la sua assenza. Ma se la «scossa partecipativa» è formidabilmente liberatoria, osserva Marchetti, non mancano i possibili effetti perversi. Ogni grande liberazione distrugge altri diritti, ogni proclamazione di supremi valori declassa valori non meno importanti.
Nella visione di chi guida il Movimento 5 Stelle non c’è coscienza dei limiti, perché i capi interagiscono con la blogosfera rifiutando ogni corpo intermedio, in un tu-per-tu fatale, mai complicabile da persone terze. Non tutti i perché, non tutti i bisogni e i valori che sorgono in rete sono sacrosanti: vanno confrontati con altri princìpi, bisogni. Un’idea prova la sua forza se incoraggia forti idee opposte. Altrimenti si ossifica, e anche se modernissima muore.
In questo Berlusconi e Grillo si somigliano: non sanno contare fino a tre, e in fondo neppure fino a due perché il tu-per-tu col popolo è fusione nell’Uno. Ogni avversario è da abbattere: a cominciare da chi su Internet non naviga, e in un’Italia che invecchia il divario digitale è vasto. Parole come guerra e rivoluzione sono incendi. Ricordano la peste di Atene narrata da Tucidide, che «spezza i freni morali degli uomini» e «travolge gli argini della legalità fino allora vigente nella vita cittadina». La paura è la stoffa delle guerre e dei despoti, e Grillo lo sa quando dice, e spera: «Il mio movimento regola la paura» (The Economist 16-2).
Grillo farà eleggere molti parlamentari, ed è un bene perché il Parlamento è la sede dove gli interessi imbrigliano le passioni. Non gli interessi economici, ma l’interesse come lo si intendeva nel ’500: la passione razionale che controbilancia quelle irrazionali, e secerne l’interesse generale e la separazione dei poteri. Grillo e Casaleggio scrivono che sarà la rete a scrivere leggi e costituzioni.
Ma la rete cos’è? Come delibera precisamente? Se la rete vuole la pena di morte la reintroduciamo? In Islanda (un modello, per Grillo) la Costituzione è stata ridiscussa in rete, ma riscritta da più piccoli comitati. In ogni mutazione c’è qualcosa da preservare, da non uccidere. Altrimenti entriamo nella logica del potere indiscutibile, legibus solutus, anelato da Berlusconi.
A questa mutazione, i partiti più o meno vecchi reagiscono spesso con lo smarrimento, se non l’afonia. Non gridano, è vero. Il centro-sinistra in particolare ripudia il modernismo della personalizzazione: ci sono anacronismi che durano ben più del Nuovo. Ma sul mondo che cambia è terribilmente indietro, senza vocabolari né inventività. Tanti cittadini sono delusi dal ceto politico. Reagiscono moltiplicando le richieste di rendiconto, con rotolanti cori di «perché». Chiedere «un po’ più di lavoro», come fa Bersani, è un soffio quasi inudito.
Tutto sarà diverso dopo il voto, anche se Berlusconi dovesse vincere. Sarà arduo discernere, in Parlamento, le passioni selvagge dagli interessi cittadini. La democrazia toccherà reinventarla, l’antico dibattito ottocentesco sul suffragio universale andrà ripreso, perché la scatola tonta e il web l’hanno sfinita. Ambedue puntano all’ingovernabilità, perché di essa si nutrono passioni difficilmente regolabili. È uno dei rischi del Glorioso Mondo Nuovo promesso.
ITALIA, 1994-2012: POPULISMO E BAAL-LISMO DI STATO. L’Italia come volontà e come rappresentazione di un solo Partito. Il "popolo della libertà": "Forza Italia"!!!
LA DEMAGOGIA DI STATO E IL MESSAGGIO DELLA LIBERAZIONE. Il Presidente Napolitano richiama e sollecita a non «abbandonarsi a una cieca sfiducia», a non «finire per dar fiato a qualche demagogo di turno»
(...) il Capo dello Stato ricorda che tutti i partiti «hanno mostrato limiti e compiuto errori», che «occorre impegnarsi perché dove s’è creato del marcio venga estirpato» (...)
SALERNO - La Procura di Nocera Inferiore ha aperto un fascicolo contro ignoti per il reato di offesa all’onore e al prestigio del capo dello Stato. La polizia postale ha ricevuto il mandato dal magistrato di accertare su quali siti, inneggianti a Beppe Grillo, siano comparsi commenti, invettive (o peggio) che possano configurare il reato.
Il tutto nasce dal commento di Napolitano, l’8 maggio, al risultato della prima tornata delle comunali quando il capo dello Stato, davanti all’affermazione elettorale dei grillini, aveva detto: ”Di boom ricordo solo quello degli anni Sessanta in Italia; altri boom non ne vedo”. Una battuta che Beppe Grillo aveva duramente contestato dal suo blog subito ‘linkato’ da altri commentando le invettive del leader del Movimento 5 Stelle contro il Colle.
Ora il procuratore di Nocera, Giancarlo Izzo, ha delegato la Polizia postale di Salerno ad individuare gli amministratori dei siti internet e dei blog che hanno consentito la pubblicazione di commenti con frasi offensive contro il Capo dello Stato. Il lavoro della Polizia postale di Salerno sara’ incentrato su quei commenti, ritenuti oltraggiosi, postati su alcuni siti internet di natura politica, social network e blog, all’indirizzo del presidente della Repubblica, divenuto bersaglio dei frequentatori della rete, che non avrebbero gradito il suo commento al successo elettorale del movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Per ora Grillo non commenta l’iniziativa giudiziaria della Procura ed oggi sul suo blog ha invitato, citando Lenin, i ‘grillini’ a ”scalare la montagna della democrazia”. Ora - scrive - bisogna ”rifiatare e poi andare ancora avanti, mentre le vecchie sirene barbute del potere, i filosofi del nulla della sinistra e i piduisti al potere ci hanno insultato, ignorato, sbeffeggiato (e ancora lo fanno) con il megafono dei loro giornalisti servi”.
”La vetta e’ forse ancora lontana, ma ci arriveremo, un passo alla volta, non abbiamo fretta - conclude - Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?), Noi neppure”. L’articolo sul blog si apre con un video tratto dalla scena finale di ‘La montagna sacra’, film del 1973 del drammaturgo franco-cileno Alejandro Jodorowsky. La scena mostra alcuni uomini che scalano una montagna sulla cui vetta e’ in corso un vertice. Al tavolo siedono nove saggi che si rivelano soltanto dei fantocci. Il gruppo e’ alla ricerca del segreto dell’immortalita’, il maestro del gruppo rivela loro che il segreto e’ vivere. Il gruppo di persone a quel punto prosegue il suo cammino verso una ulteriore vetta.
Gli addebiti al pm De Magistris appaiono fragili e l’uguaglianza davanti alla legge è a rischio
Ecco perché va cancellato il tempo della furbizia
di GIUSEPPE D’AVANZO *
IMMAGINIAMO di essere non nell’ottobre 2007, ma nello stesso mese del 2005. Un pubblico ministero indaga il capo del governo (è Berlusconi) e il suo ministro di giustizia (è Castelli). Gli sottraggono una prima inchiesta, avocata dal procuratore capo. Il pubblico ministero si mette al lavoro su un’altra inchiesta. In un passaggio dell’indagine che egli ritiene decisivo, il ministro di Giustizia (le indagini raccontano che è in buoni rapporti con due degli indagati) chiede - come una nuova legge gli permette - il trasferimento cautelare del pubblico ministero a un altro ufficio.
Sarebbe la definitiva morte dell’inchiesta. Il provvedimento amministrativo non convince il Consiglio superiore della magistratura che lo deve disporre. Non ne intravede l’urgenza, prende tempo, tira in lungo. Il pubblico ministero iscrive, allora, il ministro nel registro degli indagati: atto dovuto per l’esercizio dell’azione penale e soprattutto garanzia per l’indagato. Ventiquattro ore dopo, il procuratore generale avoca a sé - sottrae al pubblico ministero - anche la seconda indagine.
Il passo è inconsueto e appare anomalo. Gli addetti ricordano, se hanno memoria buona, qualche modesto precedente di quindici anni prima. Le ragioni del procuratore generale stanno in piedi come un sacco vuoto.
Se il motivo dell’avocazione è l’"incompatibilità" per l’"inimicizia grave" tra il pubblico ministero e il ministro indagato (ha chiesto la punizione del pubblico ministero, che ne è risentito), si tratta una fanfaluca. Se si accetta il principio, qualunque indagato che denuncia il suo accusatore potrebbe invocare l’"inimicizia grave" e liberarsi del suo pubblico ministero. Cesare Previti, in passato e ripetutamente, ci ha provato. Non è andato lontano.
Ci sarebbe - trapela dalla procura generale - un’altra ragione per l’avocazione delle indagini: l’inerzia del pubblico ministero. L’accusatore è fermo. Non va né avanti né dietro. Non esercita l’azione penale. Non richiede l’archiviazione "nel termine stabilito dalla legge". Ora, l’inchiesta del pubblico ministero è nei termini stabiliti dalla legge (è un fatto) e di quel pubblico ministero tutto si può dire tranne che sia pigro o inoperoso (è un fatto). La seconda ragione appare, se possibile, anche più debole della prima e nonostante ciò il pubblico ministero perde l’inchiesta e il capo del governo e il ministro di Giustizia tirano un respiro di sollievo, si liberano di ogni controllo (che abbiano o no responsabilità punibili è un’altra storia, naturalmente).
Siamo nell’ottobre del 2005 - lo ricordate? - e in questo modo abusivo il capo del governo (è Berlusconi) e il ministro di Giustizia (è Castelli) si grattano la rogna, guadagnano un’illegittima impunità, contraria alla Costituzione e alla legge.
L’operazione liquidatoria consiglia di gridare allo scandalo. Non siamo nella Francia ancien régime dove, grazie a lettere chiamate Committimus, le persone favorite dal potere schivano le normali giurisdizioni e si presentano dinanzi a corti più mansuete. Se questo accade (e accade) si degrada a regola fluttuante, a canone fluido l’articolo 3 della Costituzione ("I cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di condizioni personali e sociali"). E’ necessario interrogarsi allora sulla qualità di una democrazia, esprimere qualche preoccupazione se il potere politico rifiuta ogni contrappeso; annichilisce l’indipendenza della magistratura. E’ un obbligo chiedersi delle ragioni (e responsabilità) di una frattura istituzionale che impone a una magistratura servile di umiliare la sua stessa autonomia liberandosi delle "teste storte" convinte che atti uguali vadano valutati a uguali parametri giuridici, sia l’indagato un povero cristo o di eccellentissimo lignaggio.
Questo avremmo pensato e detto, con apprensione e qualche brivido, se nell’ottobre del 2005 fosse stata rubata l’inchiesta a un pubblico ministero "colpevole" di voler verificare i comportamenti del capo del governo (Berlusconi) e del ministro di giustizia (Castelli).
Non siamo (purtroppo?) nel 2005. Siamo nel 2007 e il capo del governo (indagato) è Romano Prodi, il ministro di Giustizia (indagato) è Clemente Mastella e l’esito dell’affare non è mai riuscito a Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Castelli: il pubblico ministero che li ha indagati - Luigi De Magistris - si è visto trafugare l’inchiesta dal tavolo.
Se ne deve prendere atto con molta inquietudine. Ora che il "caso De Magistris" (o il "caso Prodi/Mastella"?) precipita verso un punto critico, è indispensabile che questo affare diventi finalmente, e nel mondo più rapido, trasparente. Che tutti i comportamenti, le responsabilità, gli usi e i soprusi siano squadernati in pubblico, possano essere verificati e, se necessario, presto corretti nel rispetto delle regole democratiche che assegnano a ciascuno degli attori ruolo e doveri.
Il governo governi senza condizionare l’autonomia della magistratura (se Mastella teme di cadere in tentazione, gli si assegni un altro incarico nell’esecutivo). Il pubblico ministero eserciti l’azione penale nel rispetto delle costrizioni procedurali (il Consiglio superiore ne verifichi l’ossequio, subito non in dicembre). Le gerarchie togate evitino ogni soggezione, rispettino i codici, non manipolino le procedure (la procura generale di Catanzaro receda dalla sua dissennata iniziativa).
Il presidente della Repubblica sia, come sempre è stato, il garante della Costituzione e dell’eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge. Non c’è più spazio per il compromesso, la tolleranza, la furbizia. A meno di non voler cadere in quell’incubo che sembrava alla spalle con la sconfitta del cattivissimo Silvio Berlusconi.
* la Repubblica, 21 ottobre 2007.
Secondo un rapporto, gli ordigni si trovano ad Aviano e Ghedi
La loro presenza è vietata dalla legge e da trattati internazionali
Nucleare, rivelazione dagli Usa
"In Italia 90 bombe atomiche"
Lidia Menapace (Prc): "Lo denunciamo da molto tempo" *
ROMA - Lo vieta la legge e in più occasioni in passato lo ha dichiarato anche il governo, ma l’Italia è un paese nucleare. A rivelarlo è uno studio americano, secondo il quale sul territorio italiano ci sono 90 bombe atomiche statunitensi. Una presenza della quale si parla molto poco, ma che ha un peso strategico importante negli equilibri internazionali. Sul tema sono intervenuti alcuni esponenti di Rifondazione, che stanno anche promuovendo una raccolta di firme.
A rigor di legge, la presenza di questi ordigni non sarebbe consentita: la legislazione la vieta espressamente dal 1990. Il nostro Paese ha inoltre sottoscritto i trattati internazionali di non proliferazione nucleare e ha dichiarato di non far parte del club atomico, con tutti gli obblighi internazionali che ne derivano.
Secondo il rapporto "Us nuclear weapons in Europe" dell’analista statunitense Hans Kristensen del Natural Resources Defence Council di Washington, invece, l’Italia ospita 90 delle 481 bombe nucleari americane presenti nel Vecchio continente. Cinquanta sono nella base di Aviano, in Friuli, e altre 40 si trovano a Ghedi, nel Bresciano.
Tra Italia e Stati Uniti esisterebbe anche un accordo segreto per la difesa nucleare, rinnovato dopo il 2001. William Arkin, un esperto dell’associazione degli scienziati nucleari, ne ha rivelato recentemente il nome in codice: "Stone Ax" (Ascia di Pietra). Le bombe atomiche in Italia sono di tre modelli: B 61-3, B 61-4 e B61-10. Il primo ha una potenza massima di 107 kiloton, dieci volte superiore all’atomica di Hiroshima; il secondo modello ha una potenza massima di 45 kiloton e il terzo di 80 kiloton.
Il governo di George Bush ha ribadito molte volte di non escludere l’opzione nucleare per rispondere ad attacchi con armi biologiche o chimiche ed ha avviato la produzione di bombe atomiche tattiche di potenza limitata, non escludendo di servirsene contro i Paesi considerati terroristi. Almeno due di questi, Siria e Iran, si trovano nel raggio dei bombardieri di stanza in Italia.
I risultati dello studio hanno dato forza alle proteste di alcuni esponenti di Rifondazione. "E’ da molto tempo che denunciamo la presenza di bombe atomiche sul territorio italiano", dice la senatrice Lidia Menapace della commissione Difesa. "Quando siamo stati ad Aviano in missione per la commissione abbiamo chiesto al comandante italiano se era a conoscenza della presenza di armi nucleari nella base e lui rispose che non lo sapeva". "Stiamo raccogliendo le firme per una legge di iniziativa popolare per liberare il territorio dalle armi nucleari americane", aggiunge il senatore Francesco Martone, capogruppo Prc in commissione Esteri.
(15 settembre 2007)
Riforme istituzionali, Prodi: «Berlusconi faccia ciò che vuole»
«Stiamo lavorando alla Finanziaria» *
Prodi tira dritto. Dopo le urla di Berlusconi, i suoi proclami contro fantomatiche "emergenze democratiche", il "no" al dialogo sulle riforme istituzionali, la risposta del premier è secca: «Faccia quello che vuole». Il leader di Forza Italia era tornato ad attaccare la maggioranza sulla vicenda Rai: «Hanno finito per mettere le mani anche sulla Rai, così hanno tutte le istituzioni del Paese. Quando sulla Rai pretendono di mantenere la presidenza, che da noi fu data alla sinistra quando eravamo maggioranza, è evidente che con loro non si può discutere».
Identica la reazione della Lega, a cui mercoledì aveva fatto appello il ministro Chiti: «Siccome è successo un fatto nuovo importante - ha spiegato Calderoni - chiedo io al ministro Chiti perché non facciano un passo indietro sull’occupazione militare di Viale Mazzini». «Il dialogo si fa in due - ha aggiunto il senatore - noi non porgiamo più l’altra guancia». Dialogo chiuso anche per An. «Il caso Rai è il più grave, ma non l’unico - ha commentato Gasparri - Non c’è spazio per confronti».
Spera in un ripensamento il capogruppo dell’Udeur alla Camera, Mauro Fabris: «Le polemiche quotidiane - ha auspicato Fabris - non devono bloccare le riforme di sistema, a cominciare dalla legge elettorale».
Intanto, Prodi pensa alla Finanziaria: «Stiamo lavorando bene, intensamente e in armonia. E quindi andiamo avanti così». Il capitolo “casa” dovrebbe essere uno degli assi principali su cui si baserà la prossima manovra finanziaria: il presidente del Consiglio si è detto impegnato a «fare tutto il necessario per trovare le risorse necessarie» al taglio dell’Ici e a interventi per fare fronte all’emergenza abitativa.
* l’Unità, Pubblicato il: 14.09.07, Modificato il: 14.09.07 alle ore 15.58
Le pistole spirituali, il Grillo e l’Otre Vecchio
1 E’ stato Brecht, se ricordo bene, ad ammonirci di non dare niente per scontato, di indagare frequentemente se non vi siano trappole nascoste in ciò che consideriamo “normale”, se il “buonsenso” sia sempre d’accordo con l’etica e via dicendo. Il grande poeta tedesco non fu, purtroppo, un esempio di questa introspezione, la sua adesione al comunismo essendo stata spesso acritica, almeno in pubblico. Tuttavia l’insegnamento resta valido: contraddizioni dolorose si celano in molti luoghi della vita quotidiana. Sulle agenzie di stampa, per esempio, leggo questa notizia a proposito del suicidio di un gendarme pontificio: “Il portavoce vaticano ha detto che il giovane era stato assunto come ‘allievo gendarme’ con l’abituale processo di selezione psicoattitudinale, relativo anche all’uso delle armi”. Che ve ne pare? Una Sede che si proclama santa assume giovani dopo averne verificata la psicoattitudinalità all’uso delle armi?
Certo, la presenza di armati in Vaticano non è una novità: anche finita l’epoca dei papi-re, la Santa Sede ha avuto, sino al 1965, un suo piccolo esercito coloratissimo, per la gioia dei turisti e la sciocca ironia di Stalin.
Fu papa Montini ad abolirlo insieme alla Corte pontificia che gli pareva (egli, naturalmente usò espressioni più cortesi) un’anticaglia nient’affatto evangelica. Conservò soltanto i gendarmi, in ben più moderne divise (e più spesso in abiti borghesi).
Confesso di non avere mai pensato che essi fossero armati, di armi capaci di uccidere; e oggi che è la cronaca nera a indicarmelo mi pare tristissimo temere che qualcuno possa essere ammazzato “legalmente” a due passi dal sepolcro di Pietro. Lo so bene: il diritto alla legittima difesa è razionale e previsto da tutte le legislazioni del mondo oltre che dal catechismo cattolico, ma Gesù non ha voluto essere difeso con le armi e sarebbe meraviglioso che il suo esempio fosse imitato da chi conti-nuamente parla a suo nome.
Gioachino Belli, che era un grande intenditore del Vaticano, dedicò un sonetto a un monsignore che aveva minacciato con due pistole un calzolaio inadempiente. L’artigiano domandava: ma le sue armi, eccel-lenza, non dovrebbero essere spirituali? E il monsignore, tenendo spianate le pistole, rispondeva (cito a memoria): l’ho ffatte doventà spirituali, perchè ‘n nome de Ddio l’ho benedette.
Ma ci sono armi “benedette” anche altrove. Il mese scorso comparve sui giornali una fotografia che mostrava un agente di polizia accanto a monsignor Bagnasco mentre l’Arcivescovo di Genova cresimava alcuni fedeli in cattedrale. Il presule aveva ricevuto una scorta perchè su alcuni muri della città erano comparse minacce a suo riguardo; ma il pensiero che pistole “difensive” possano sparare in una chiesa e durante la cele-brazione di un sacramento mi sembra inquietante. C’è un altro sonetto del Belli che prorompe:
Nun ze pò mmai sapé co st’arme in mano!
E ppò a le vorte caricalle è er diavolo[1].
Era quello che pensava monsignor Romero e forse è anche per questa sua inermità evangelica, per la scomodità del suo esempio. che in Vaticano non si decidono a proclamarlo santo.
2. Che un movimento politico possa nascere intorno a un motto scurrile non è cosa nuova. Ci erano già riusciti i fascisti con il loro “Me ne frego”. Poi era stata la volta del ben meno truce, ma pur sempre peri-coloso, Guglielmo Giannini, con il suo Uomo Qualunque: ”Non mi rompete gli zebedei!”. Chi vuole cavalcare i sentimenti negativi di una folla sa bene che gli arrabbiati sentono l’uso della volgarità, tanto più se a sfondo sessuale, come una dimostrazione della propria capacità di ribellione. Purtroppo il linguaggio “antipolitico” di Grillo si accorda bene con quello di certa politica per cui (v. Scajola) il professor Biagi era “un rompicoglioni” e (v. Bossi) Marini è “un cadavere”. Che il titolo del V... Day non solo non suscitasse obiezioni ma anzi trovasse echi compiacenti e collegamenti in ambienti e associazioni in cui ci si sforza di trovare un nuovo linguaggio politico mi ha profondamente addolorato. Non è possi-bile coniugare il “Resistere!” di Borrelli con la trivialità: con il turpi-loquio non si costruisce una nuova cultura né si innovano i costumi; ed è ben raro che un linguaggio da caserma presenti documenti meditati e intelligenti. Tuttavia la jacquerie di Grillo ha raccolto grandi folle intorno a problemi reali e quindi va soppesata, nella sua composizione e nelle sue proposte.
3. La mia impressione è che i “grilliani” fossero fra loro eterogenei. Ho osservato attentamente le fotografie della manifestazione bolognese e mi è sembrata che la folla non somigliasse a quelle leghiste di Pontida, blocco ferreo di candidati all’eversione. Intorno al comico genovese si è radunata certamente, innanzi tutto, una platea di spettatori attratti dalla sua straordinaria vis comica e desiderosa di assistere gratuitamente a un suo show. Poi vi erano cittadini uniti da una rabbiosa insofferenza per la situazione politica. E’ intorno a questa seconda componente, certamente maggioritaria che si è coagulata, secondo molti giornali, la valenza dell’evento. Ma si tratta davvero di un nuovo soggetto politico? O non si tratta, piuttosto, di quella brava gente, notissima e chiassosa, che compo-ne certi comitati di quartiere? Insorge contro la presenza dei rom, dei bar-boni, delle prostitute-bambine. Non ne può più di certi spettacoli, grida che quei “disturbi” vanno eliminati. Come, non è affar loro, dicono quei comitati: loro non si intendono di certi problemi e dunque si limitano a gridare: via, a qualunque costo. Se proprio si lasciano andare, te lo dicono francamente: si riaprano i bordelli (naturalmente in periferia, lontano dai loro quartieri), si riorganizzino i manicomi “duri”, si espellano tutti gli zingari e, certo è triste, ma va bene che anche i ragazzini rimangano in galera, lì impareranno che bisogna essere onesti. La democrazia, quanto è tropp, va “regolata”. Questa parte di opinione pubblica è già schierata da “sempre” con Berlusconi e con Fini.
Ma a Bologna e nelle altre piazze c’erano certamente molti cittadini confusi. Quest’area di elettorato si è fatta più ampia negli ultimi tempi.. Si sente respinta da giornali e telegiornali che le rovesciano addosso ogni giorno, in un linguaggio più o meno cifrato, sussurri e grida di fazioni. Il governo si limita a mugolare con l’irritante flemma profes-sorale di Prodi il quale sembra ignorare l’importanza della comunica-zione, oppure mostra l’insofferenza - anche litigiosa che esiste tra ministro e ministro. Politologi improvvisati e cronisti embedded, arruolati dai gestori del “privato” seminano paure a larghe mani. Paure e confusione sono gene-rate anche da problemi ai quali le forze politiche tradizionali non avevano mai prestato attenzione e che adesso sono diventate (il clima, le fonti energetiche, l’acqua...) drammatiche emergenze.
Non c’è da meravigliarsi se il numero delle persone confuse è aumentato; ed esse meritano ben più rispettosa attenzione di quanta il governo e i partiti gliene concedono. Le destre hanno il gioco facile a cavalcare le loro paure. Le sinistre hanno il compito difficilissimo di far rinascere speranze e progetti. Oggi le Camere richiedono profonde riforme struttu-rali, i privilegi dei loro membri (i privilegi reali, non quelli fantasticati, per esempio, da un’inchiesta fasulla “dell’Espresso”, che da anni circola in rete) vanno abbattuti, la qualità etica di larga parte dei cosiddetti “onorevoli” è deprecabile, forse da quel punto di vista abbiamo oggi il peggior parlamento della storia repubblicana, ma un miglioramento della situazione non si può avere senza una corresponsabilità degli elettori, delle loro scelte politiche. E mi pare doveroso, anche in questa occasione, ricordare che da quando la democrazia ha portato alla creazione di un parlamento elettivo (dunque almeno in parte sottratto ai grandi potentati economici) l’offensiva contro di esso è una costante prerogativa delle destre. Distruggere il prestigio del parlamento significa per i potentati riprendere larga parte della propria libertà d’azione.
4. Quanto alle proposte di Grillo, mi pare ottima l’idea che il parlamento debba essere epurato da chi è stato condannato per qualche grave reato, ma la condanna deve essere definitiva, altrimenti la proposta è solo velleitaria perché accoglierla violerebbe il principio costituzionale dell’innocenza presunta. Che i parlamentari non possano essere rieletti una terza volta è, invece, estremismo infantile. Una decisione del genere vanificherebbe esperienze preziose, competenze, ingegni: basti pensare che uno sbarramento del genere avrebbe espulso dalle Camere gente come Moro, Scalfaro, Ingrao, Tina Anselmi, Zaccagnini, Berlinguer, Pertini eccetera.
5. Non accettare il principio dello sbarramento a due legislature non vuol dire - sia chiaro - rinunziare a un profondo rinnovamento della classe politica italiana. Vi sono volti e nomi che ricordano inevitabilmente un moderatismo che in realtà era soprattutto ricerca di consenso e quindi un pensare in piccolo, la negazione di ogni creatività, un uso spregiudicato del clientelismo, uno stracco provincialismo culturale. La “pragmaticità” di questi signori può ancora portare voti? Può darsi. Ma anche in politica è vero che non si può immettere vino nuovo in otri vecchi. Mi ha agghiacciato la prontezza con la quale Veltroni, per non trovarselo fra i piedi in Campania, ha offerto regalmente a De Mita di diventare il tutor del movimento giovanile del Partito Democratico. Poche cose sono certe su questo partito, ma una è certissima: se i suoi giovani dovessero somigliare a De Mita parlare di novità meriterebbe un altro Grillo.
6. Mi sembra degno di diffusione l’appello che don Vinicio Albanesi ha rivolto ai Sindaci di Roma Torino, Bologna e Firenze:
Gentilissimi Signori, uomini di sinistra, improvvisamente, vi siete svegliati attivandovi perché le vostre città (città grandi)godessero di sicurezza.
Vi siete accorti dei lavavetri, della micro e macro criminalità, dell’immigrazione clandestina, delle vendite abusive, della prostituzione e avete deciso di dire basta, invocando il rispetto delle regole.
Gli abitanti delle vostre città hanno detto: finalmente, era ora. Non avendo altri strumenti avete invocato la legge penale, pensando di fare cosa giusta.
Il lato debole delle vostre recenti iniziative è il doppio passo che usate costantemente nei confronti dei cittadini che amministrate. Voi non invocate sempre legalità, ma sopportate molte illegalità sul vostro territorio, quando esse sono a beneficio degli abitanti "doc”: abusivismo nell"edilizia, nel commercio, nella pubblicità, nell’uso dei beni pubblici, nell’accoglienza etc.
Non controllate, come dite, il vostro territorio, ma sopportate (e alimentate) una diffusa legale illegalità. Siete molto prudenti o assenti nei confronti dei ceti che contano: diventate severi se i livelli di illegalità “disturbano” l’equilibrio dell’illegalità nostrana.
Le vostre città vivono e prosperano con l’apporto degli stranieri, italiani e non. Siete stati assenti nel garantire il rispetto delle regole per gli studenti fuori sede, per gli immigrati lavoratori, per i turisti, per le prostitute di infimo bordo.
Come sempre accade non avete iniziato dalla testa, ma dalla coda. Era più semplice sforbiciare gli estremi. Con le vostre iniziative vi ponete nell’antica tradizione della tutela dei benestanti: avrete consensi e il pensiero unico vi accompagnerà per le prossime amministrazioni.
Abbiate almeno il buon senso di non invocare giustizia, ma il diritto dei più a non essere disturbati. Così il prezzo della bottiglietta di acqua delle vostre città continuerà a salire nel prezzo; come il posto letto per lo studente fuori sede. Il costo dei parcheggi andrà alle stelle e le multe ingrasseranno le casse municipali. Gli immigrati lavoratori continueranno a vivere nelle stamberghe abbandonate e le prostitute povere avranno, finalmente, strade tutte loro. E se sono minorenni, pazienza.
Non occorreva essere geni per capire che i grandi movimenti di popolazioni avrebbero trascinato anche irregolari e delinquenti: avete invocato il libero mercato, lamentandovi poi delle sue distorsioni. Non si tratta di ingenuità,ma di furbizia. Non è esattamente la politica sociale che sognavamo: ma ogni sogno invoca speranza e a questa continuiamo ad appellarci.
Cari saluti
Ettore Masina
[1] Non si può mai sapere con queste armi in mano/ E a volte può essere il diavolo a caricarle.
Il ministro degli Esteri critica anche Bertinotti: "Il comico
pone problemi, non dà risposte. Quindi non riempie vuoti"
D’Alema contro Grillo
"Nel V-day inutile carica di violenza"
di LUCIANO NIGRO *
BOLOGNA - "Il problema non è distruggere i partiti, o rompere i denti ai politici. Io non parlo di Grillo, ma mi preoccupa una carica di violenza totalmente inutile che non produce niente di positivo. I partiti, per altro, sono già distrutti, il problema è ricostruirli". Arriva a Bologna cinque giorni dopo il ciclone Beppe Grillo, Massimo D’Alema e prende il toro per le corna proprio mentre Marco Travaglio propone già un Vaffa-bis. Il campione della politica-politica è appena uscito dal consueto bagno di folla tra gli stand della festa dell’Unità.
Parla del Partito democratico e delle riforme come di un possibile antidoto, ma non nega la malattia. "Non mi sorprende quello che sta accadendo - dice - due mesi fa avvertii che la crisi della politica sta producendo una pericolosa distanza tra i cittadini e la democrazia, un clima pericoloso come quello dei primi anni Novanta al quale la politica deve reagire con coraggio".
D’Alema non attacca direttamente Grillo, ma chiarisce subito che "ogni volta che si manifesta un fenomeno nuovo, o una moda, ci sono quelli che tendenzialmente sono favorevoli e quelli che, al contrario, sono critici: io tendo a dichiararmi contrario". La ragione? I 300 mila di sabato scorso "pongono un problema, non danno risposte. Sono più d’una manifestazione di malessere che un’indicazione. E noi dobbiamo ricordare che, distrutti i partiti, all’inizio degli anni Novanta chi ha vinto? Berlusconi che aveva i soldi e i mezzi d’informazione. E anche oggi se saltano i partiti non vincerà il blog di Beppe Grillo". E le famose tre proposte gridate da Grillo in piazza Maggiore?
"Condivido le cose scritte da Scalfari - dice il ministro degli Esteri - non rieleggiamo persone che hanno commesso gravi reati, ma il resto è discutibile".
Dunque, le riforme, a partire da quella elettorale: "Berlusconi, quando si parla di Tv, chissà perché ha scatti d’ira, ma quando sarà passata forse si renderà anche lui della necessità di una riforma". E il partito democratico? D’Alema si propone si propone come un vecchio saggio ("Come diceva De Andrè, chi non può più dare il cattivo esempio, dà buoni consigli") e come una sorta di ministro degli esteri responsabile dei rapporti internazionali. Non parla di Fassino al governo, D’Alema, anche se ritiene "intollerabile, anzi una porcheria", aver pensato che un’eventuale riorganizzazione della squadra di governo dovesse rispondere all’esigenza di sistemare il segretario dei Ds".
* la Repubblica, 14 settembre 2007.
V-DAY: D’ALEMA, A SERIA CRISI POLITICA SI RISPONDE CON RIFORME ISTITUZIONI
BISOGNA ANCHE RICOSTRUIRE GLI STRUMENTI DELLA PARTECIPAZIONE
Bologna, 13 set. (Adnkronos) - "Penso che certamente c’e’ un problema serio di crisi della politica, di crisi delle istituzioni a cui si risponde attraverso uno sforzo di riforma delle istituzioni e anche di ricostruzione degli strumenti della partecipazione". Cosi’ il ministro degli Esteri Massimo D’Alema risponde ai cronisti che, oggi alla Festa nazionale dell’Unita’ in corso a Bologna, gli chiedevano un commento sul dibattito sulla sfiducia da parte dei cittadini verso la politica, innescato dal V-Day di Beppe Grillo.
Sinistra con lingua di destra
di GIANNI BAGET BOZZO (La Stampa, 12.09.2007)
La manifestazione bolognese di Beppe Grillo non è uno spettacolo che possa qualificarsi nella categoria dello scherzo, del gioco verbale, della rappresentazione fine a sé stessa. È un fatto politico, i motivi a cui si rifà hanno per oggetto la società occidentale, vista come insieme di strutture che sfruttano il popolo. Nel suo attacco diretto alla democrazia vi è qualcosa che ricorda più l’estrema destra che l’estrema sinistra, il «vaffà» evoca più il linguaggio dell’«aula sorda e grigia» che non quello della sinistra radicale. Vi è alla base quella critica della società borghese da cui può nascere sia l’estrema destra che l’estrema sinistra. Indica che vi è nel nostro popolo una disaffezione alla democrazia, inclusa in un quadro generale che riguarda tutto il sistema sociale. Nella sinistra vi è sempre una mediazione della ragione, anche quando termina con la violenza; qui vi è una protesta che riguarda la democrazia come procedura, l’essenza della politica occidentale. Non è un caso che il movimento preveda a settembre un incontro a Bologna contro Cofferati, in cui i cittadini dovranno indicare nomi alternativi alla candidatura a sindaco. Cofferati è un socialdemocratico e l’attacco alla socialdemocrazia è sempre il primo obiettivo dei movimenti antidemocratici di destra. Ma il movimento di Grillo nasce a sinistra, esprime la differenza tra un popolo e il sistema di potere in cui la sinistra è così insediata.
Ma la coalizione di sinistra ha accolto positivamente le parole della manifestazione, cercando d’includere il suo linguaggio antidemocratico nei temi del pd e dell’Unione. Grillo è stato compreso e legittimato da esponenti della maggioranza come Bertinotti e Rosy Bindi. Nel suo complesso quel linguaggio è stato accettato dalla cultura di sinistra, nonostante fosse diretto contro di essa. La sinistra ha occupato tutto il potere in Italia e moltiplicato i centri in cui collocare personale politico, si è radicata come partito nelle istituzioni. È a sinistra che è stato posto questo problema, con il libro di Cesare Salvi sul costo della democrazia. Ed è inevitabilmente rivolta a sinistra l’indicazione della «casta» nel libro di Rizzo e Stella, fondamento teorico di questo movimento del «vaffà». Ma perché la sinistra è silenziosa o benevola verso un movimento che vuole abolire i partiti e che è rivolto specificamente contro il suo personale politico? Perché è mancata una censura anche da parte diessina verso un così duro attacco al sistema dei partiti e alla democrazia?
La sinistra ha creato una linea di delegittimazione totale di Berlusconi che ha finito per dividere il Paese tra berlusconiani e antiberlusconiani. Le elezioni 2006 dovevano essere la rimozione morale dell’uomo criticato in tutto il mondo come un fatto antidemocratico perché emergeva fuori del sistema dei partiti, creando però una forma di partecipazione democratica che gli ha riunito attorno mezza Italia. Delegittimare Berlusconi ha finito con il delegittimare la parte quasi maggioritaria della società. Il Paese non era mai stato così diviso senza mediazioni. Ciò ha creato un problema alla democrazia: la sinistra deve accogliere in nome dell’antiberlusconi tutti i linguaggi che si pongono come sinistra anche se critici della democrazia. Deve bloccare attorno a sé tutte le posizioni anche le più diverse e costituire il fronte antiberlusconi, essenza della sua politica. Anche Grillo dev’essere incluso nel conto della sinistra anche se parla un linguaggio d’estrema destra. Certo anche il linguaggio di Grillo è un segnale della crisi della democrazia nata dalla delegittimazione di metà del Paese compiuta dall’altra parte.
Intervento del leader di Forza Italia alla festa di Azione Giovani
"Hanno le mani su tutto, ora anche la comunicazione è loro"
Berlusconi: "Antipolitica è colpa della sinistra
con loro non ci può essere alcun dialogo" *
ROMA - "L’antipolitica che si sta manifestando nel Paese ad alcuni ricorda lo spirito del ’92-’93, noi allora riuscimmo a dare una risposta con il Polo delle Libertà, una proposta seria ed efficace". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha aperto il suo intervento alla festa nazionale di Azione Giovani, movimento giovanile di An. "Oggi dobbiamo dare la stessa risposta data nel ’94" ha aggiunto Berlusconi. "Allora ci fu uno spirito di antipolitica, oggi c’è ancora, Grillo e la sua gente ne sono la dimostrazione. Credo che noi dobbiamo dare una risposta concreta".
Dopo il caso Rai, nessun dialogo con la sinistra sulle riforme. "Hanno finito per mettere le mani su viale MAzzini" ha continuato il Cavaliere, "così hanno tutte le istituzioni del Paese e adesso hanno anche lo strumento per poter fare la comunicazione che vogliono". E, visto che "pretendono di mantenere la presidenza, con questa sinistra non si può discutere".
"Quando non si riesce a nominare il quindicesimo componente della Corte Costituzionale", ha attaccato ancora il leader di Forza Italia, "dove la sinistra ha già 11 membri ascrivibili alla propria area e vuole anche avere il dodicesimo...quando sulla Rai pretende di mantenere la presidenza che gli abbiamo dato quando eravamo maggioranza...beh, con questa sinistra non si può discutere".
E il Grillo parlante liberò le nevrosi della politica
di Oliviero Beha *
Sarà pure uno «scemo di guerra» come dice qualcuno senza approfondire ma solo per esorcizzare. E per l’ironia e l’astuzia se non della storia almeno della cronaca, Scemo di guerra è il titolo di un film del 1985 di Dino Risi, appunto con Beppe Grillo e Coluche, il comico/politico italofrancese ahimé defunto che per certi versi più gli somiglia. Ma certamente Grillo ha nel suo dna un concentrato di mediaticità fenomenale. È uno strumento naturale di comunicazione.
E anche per questo che lui sottolinea tra i tanti elementi soprattutto l’elemento internet a proposito del successo stratosferico del V-Day di sabato scorso, con numeri che fanno arrossire la politica partitocratrica corrente. La tesi è semplice e palese: se vengo ignorato dai media tradizionali per mesi e anni, mentre dico agli italiani (ma non solo: avete visitato il suo sito in inglese?) le cose che tv, radio e giornali per lo più non dicono oppure dicono quasi soltanto a senso unico, incrociato, dal centro-destra contro il centro-sinistra e viceversa, e raggiungo i numeri del V-Day, di partecipazione e di firme per le petizioni popolari, ebbene ho svoltato.
Posso farne a meno, dei massmedia cioè di «questi» massmedia, mentre loro non possono fare a meno di me, di dare notizie sia pure in modo discutibile su di me e su quello che dico e faccio. Si apre con il mondo di internet un altro paesaggio. Arrivano i giovani a moltitudini, giovani scomparsi dalla scena dell’impegno e invisibili su altri palcoscenici che non fossero quello atroce eppur comprensibile di un programma della celestiale De Filippi. In piazza vedi finalmente le donne, altra categoria avulsa dalla scena socio-politica del paese ed evocata solo per dire che «all’università vanno meglio degli uomini».
Di più: abituati come siamo alla dicotomia degli eserciti di informazione al servizio dei due schieramenti, e del loro intreccio politico-economico-imprenditorial-finanziario e bancario, direi soprattutto bancario, ai non addetti probabilmente sfugge che mentre spessissimo vedere quel telegiornale o comprare quel giornale è un segno di riconoscimento politico/partitico a volte già stantio e ripetitivo, arrivare a Grillo e alle sue manifestazioni attraverso il web obbliga a ridiscutere il criterio.
Nessuno garantisce più che colui che lo segue dal blog in piazza sia «di sinistra», o «di destra». Sembrerebbe d’acchito la perdita di una garanzia per generazioni politicizzate come la mia. Garanzia che peraltro ha portato a l’Italia che abbiamo sotto gli occhi, quindi forse garanzia relativa... E comunque garanzia che evidentemente non regge più, almeno a prendere atto dei segnali del nostro «scemo di guerra» che invece vengono recensiti in maggioranza come aspetti di uno show. Mentre invece Grillo come fenomeno ed epifenomeno costringe alla esiziale domanda: e se essere «di sinistra» (o «di destra») all’italiana o all’amatriciana come accade oggi non fosse più praticamente una garanzia di nulla, almeno in partenza?
Se fosse così, come temo sia, forse bisogna cambiare mentalità e approccio. Forse non è la perdita di una garanzia, quello che sta accadendo con Grillo ma non solo con lui, con movimenti/associazioni/comitati ecc. in una malfamata e già usurata formula (ma allora i partiti?) quale la cosiddetta «società civile», bensì una forma di liberazione, di «reset», di nuovo inizio, così da fare in modo che la garanzia non sia di partenza, ma casomai d’arrivo, come fini e non come rendite di posizione. Non una recita, ma un difficile giorno per giorno. Diventare «di sinistra» forse oggi sarebbe un po’ meglio che battersi per stabilire se la sicurezza è patrimonio di una parte o dell’altra senza mettere a fuoco il contesto della questione.
Grillo in tutto ciò, al di là della formidabile vicenda mediatica di internet, comporta dunque oggi una serie di interrogativi di sostanza che in giro trovo assai poco evidenziati. Perché non conviene evidenziarli? Per «istinto di conservazione» dell’oligarchia dominante? Perché non si hanno risposte credibili e allora meglio non fare domande? Per esempio: Moretti e i girotondi erano la sinistra o chiunque fosse contro Berlusconi, non è vero? Ebbene, oggi chi firma con Grillo si schiera e si autocertifica «semplicemente» contro lo stato (minuscolo, per favore, non fraintendiamo a bella posta come spesso accade con il «comicastro» da parte degli epistemologi) italiano, inteso come un Paese alla rovescia. Non sto qui a ripetere l’elenco di magagne. Dico solo che in discussione c’è la gerenza della ditta al completo. O essa se ne rende conto, e dà segnali di comprendonio e resipiscenza, oppure le cose si metteranno per forza peggio, anche se non è detto che il peggio sia tale per tutti, diciamo certamente peggio per i bersagli delle critiche del V-Day.
Per esempio, nessuno può affermare che D’Alema & co siano colpevoli di qualche cosa. Ma proprio per questo non sarebbe meglio se costringessero loro stessi la Giunta deputata a permettere al giudice di raccogliere le loro testimonianze? Se non andranno dal giudice a testimoniare e immagino a documentare la loro innocenza, una specie di viatico a governare, la prossima volta Grillo e non solo lui pretenderanno pubblicamente di essere definiti caporioni non della «antipolitica» come ancora e ossessivamente si ripete, bensì degli «anticomitati d’affari». E lì rischierebbe davvero di venir giù tutto...
Insomma, il problema non è Grillo, e circoscriverlo come in molti fanno sembra sempre il tragico e stupido giochetto di chi vede il dito che indica la luna e non la luna italiana per di più attualmente così storta. Certo, poi uno come Grillo sa come usare il dito... ma pur essendo parte quasi immediata della stessa storia, per oggi è ancora un’altra storia. Usiamo il dito per la luna, non limitiamoci ai manicure della politica che su di essa hanno costruito il loro annoso potere e (alcuni) le loro fortune per diverse generazioni.
Un esempio chiarirà meglio il mio punto di vista. Mettiamo che tra poco, sabato 6 ottobre, quindi prima delle Primarie del Partito democratico, Beppe Grillo partecipi in qualche modo a Roma, a Piazza Farnese, alla prima manifestazione del Movimento «Repubblica dei cittadini per una Lista Civica Nazionale», teso a rimettere in gioco il rapporto tra la politica come è intesa oggi e appunto i cittadini, rifacendosi all’art.49 della Costituzione e non a Paperino. Mettiamo che Grillo appoggi con le sue energie psicowebbistiche uno degli obiettivi centrali di questo Movimento, le firme per una petizione popolare che conduca a una legge sui partiti del tutto «rivoluzionaria»: e cioè che finalmente, a sessant’anni dalla loro nascita costituzionale, i partiti, tutti i partiti, la smettano di figurare come associazioni private, con statuti che ormai non sanno di niente e niente garantiscono della loro vita interna in termini di efficienza, trasparenza e democrazia, per essere riconfigurati a norma di legge (una piccolissima, banale, infinitesimale leggina ordinaria...) così da rispondere alla legge stessa e portare i libri contabili in tribunale come qualunque altra azienda.
Mettiamo che a Roma il 6 ottobre venga chiesto questo (meglio se con la grancassa di Beppe Grillo per il suo robusto dito medio), e comunque questo è ciò che verrà chiesto alla classe politica, alle istituzioni, al Quirinale: sarebbe un’autentica rivoluzione, per o meglio direi contro i «comitati d’affari» e l’irrisolto problema dei costi/sprechi/privilegi della «casta». E una boccata d’ossigeno e di speranza per tutti i cittadini, di qualunque colore politico. Che si farà in quel caso? Continueremo a giocare con il dito del pur politicissimo (e meritorio) «scemo di guerra»?
www.olivierobeha.it
* l’Unità, Pubblicato il: 12.09.07, Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.06
A proposito di Licio Gelli
di Marco Travaglio *
Caro Antonio, ho letto il tuo bellissimo editoriale di ieri. Tanto più bello in quanto raro, visti gli incredibili attacchi e insulti scagliati contro AnnoZero e contro chi ci lavora dalla stragrande maggioranza dei politici e dei giornali. Ti rispondo per la parte che mi riguarda, cioè per il post scriptum. La lettera di Licio Gelli era, ovviamente, frutto della mia fantasia, ma fino a un certo punto. Nel 1997 ho avuto modo di intervistare il cosiddetto Venerabile a proposito della Bicamerale che allora, sotto la presidenza D’Alema, si adoperava alla riforma costituzionale della giustizia a colpi di bozze Boato. Gelli era entusiasta di quelle bozze, tant’è che mi disse: «Dovrebbero darmi il copyright». Poi, fortunatamente, il suo discepolo Silvio fece saltare il banco perché pretendeva ancora di più (cioè, se possibile, di peggio). Quell’intervista m’è tornata in mente quest’estate quando, con la scusa di scongiurare l’entrata in vigore dell’ordinamento giudiziario Castelli, l’Unione ha approvato in fretta e furia l’ordinamento giudiziario Mastella. Che, pur essendo un po’ meno peggio della Castelli (quisquilie), separa di fatto le carriere tra giudici e pm: per passare dall’una all’altra, ora il magistrato penale dovrà cambiare regione. Così gli scambi dalla requirente a quello giudicante, che l’Europa raccomanda agli stati membri di agevolare in ogni modo, saranno difficilissimi, dunque rarissimi. Ci avevano provato Gelli, Craxi e Berlusconi, a separare le carriere. Invano. L’Unione, con la riforma Mastella, di fatto ci è riuscita. È tanto paradossale immaginare che il venerabile Licio ne sia felice?
Per questo - hai capito bene - l’altra sera parlavo sul serio. Non so te, ma se io avessi saputo che il ministro della Giustizia sarebbe stato Mastella e che costui avrebbe, nell’ordine, sponsorizzato l’indulto, separato di fatto le carriere dei giudici, vietato ai giornalisti di parlare delle indagini giudiziarie e di pubblicarne gli atti, perseguitato i magistrati più coraggiosi ed esposti del Paese, io l’anno scorso non sarei andato a votare per l’Unione, come purtroppo ho fatto. E credo che molti, come me, se ne sarebbero rimasti a casa.
Come hai scritto nel tuo editoriale, AnnoZero ha mostrato una realtà che esiste: un pm isolato e sotto attacco, sia da parte del governo sia da parte della ’ndrangheta; una società civile, quella calabro-lucana, che si è svegliata e fa scudo con migliaia di cittadini, perlopiù giovanissimi, ai suoi (pochi) magistrati veri. Questi sono i fatti che abbiamo mostrato. Un sondaggio condotto da Sky dopo AnnoZero dice che l’85% dei cittadini sta con De Magistris e con la Forleo, contro i politici che li attaccano. Un sondaggio condotto da la Repubblica dice che l’82% dei lettori sta con Santoro e contro chi lo insulta o addirittura lo vorrebbe riepurare. Con chi sta il governo Prodi? Purtroppo, visto il ricatto permanente che Mastella esercita su Prodi, su tutta la maggioranza e sulla Rai, il governo è contro quei magistrati, contro AnnoZero e contro la stragrande maggioranza dei cittadini.
Lo so anch’io che Prodi non è Berlusconi, Padoa-Schioppa non è Tremonti e - aggiungo - Di Pietro non è Lunardi (altrimenti non avrei votato per l’Unione). Che Mastella sia diverso da Castelli, a parte un cambio di vocale e uno di consonante, ho i miei seri dubbi: e comunque lo penserò quando manterrà una sola delle promesse elettorali dell’Unione in materia di giustizia, cancellando tutte le leggi vergogna, anziché mandarle in vigore con qualche ridicolo ritocco (ordinamento giudiziario) o aggiungerne di nuove o perseguitare i magistrati migliori. E comunque i governi non si giudicano solo per le facce che esibiscono: si giudicano soprattutto, per la politica che fanno. Bene, anzi male: in tema di giustizia e di informazione siamo ancora, più che mai, nell’èra Berlusconi. Tu dici: «Certi partiti e certi ministri commettono errori». Eh no, caro Antonio: errare humanum, perseverare diabolicum. Errori potevano essere quelli dell’Ulivo nella legislatura 1996-2001, quando non fu risolto il conflitto d’interessi, non fu varata la legge antitrust sulle tv e furono approvate una dozzina di leggi contro la Giustizia in perfetta sintonia (e con i voti) del centrodestra. Se le stesse persone di allora ricadono nelle stesse vergogne e omissioni di dieci anni fa, vuol dire che quelle non sono (e non erano) “errori”: sono (ed erano) i frutti di un progetto politico ben ponderato, che considera i poteri di controllo - informazione libera e magistratura indipendente - come fastidiosi intrusi da scacciare dal tempio della casta.
Non c’è bisogno di cercare “fili invisibili” o “manovre occulte” per spiegare tutto ciò: come hai scritto, «tutto il bene e tutto il male del governo Prodi lo abbiamo sotto gli occhi». Infatti abbiamo sotto gli occhi il caso di una giudice che chiede il permesso di usare le intercettazioni di alcuni parlamentari forzisti e diessini e viene insultata e attaccata per mesi senza soluzione di continuità (e senza uno straccio di solidarietà dall’Anm); e abbiamo un pm che indaga su Prodi e sui migliori amici di Mastella (da Saladino dell’ex piduista Bisignani) che rischia di essere defenestrato su richiesta di Mastella, cioè del governo Prodi (senza uno straccio di solidarietà dall’Anm). È proprio tutto sotto i nostri occhi che tanti elettori dell’Unione sono inferociti o sconcertati: perché queste cose accadono davvero, non perché AnnoZero ne ha parlato o perché io ho immaginato una letterina del Venerabile.
Il guaio è la luna, non il dito che la indica. L’ha scritto anche Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia e coordinatrice della lista Veltroni a Firenze: «Il Partito democratico dica esattamente se sta con i ragazzi di Locri o con Mastella». Il Pd dica esattamente se sta con Salvatore Borsellino, con Sonia Alfano, con Rosaria Scopelliti, o se li considera un branco di facinorosi. Risposta: silenzio assordante dai maggiori candidati alla guida del Partito democratico.
Non a te, che hai cortesemente dissentito, ma ai tanti colleghi e politici che mi hanno insultato, vorrei rivolgere questa semplice domanda: che cosa direste oggi se queste cose le facesse (anzi, le rifacesse, perché ha già fatto tutto lui prima di Mastella) Berlusconi? Che i giudici non hanno diritto di parola? Che i giornalisti non hanno diritto di cronaca e di critica? Che il Cavaliere commette qualche “errore” in buona fede? E con quale credibilità potrete criticare Berlusconi se tornerà a manomettere la libertà d’informazione e l’indipendenza della magistratura? Ecco, è questa doppia morale che trovo francamente insopportabile. Perché tende a nascondere e a minimizzare quel che accade e rende impossibile ciò che tutti noi non smettiamo mai di sperare: e cioè che, a furia di frustate, questo governo, proprio perché composto in gran parte da persone perbene, rinsavisca, si dia una regolata, ammetta di avere sbagliato e spenda i prossimi mesi a realizzare ciò che tanti elettori si augurano dal maggio 2006. Anche per questo, a costo di passare per barbaro, esibizionista e disinformatore, intendo seguitare a non nascondere e a non minimizzare nulla sotto il ricatto: «Zitto, se no torna Berlusconi». Anche perché Berlusconi non ha bisogno di tornare: purtroppo, non se n’è mai andato.
Anche io spero che su giustizia e legalità questo governo spenda i prossimi mesi (e i prossimi anni) a realizzare ciò che gli elettori hanno chiesto e che si può leggere nel famoso programma dell’Unione. Mastella a parte, anche tu concordi che il governo Prodi non è il governo Berlusconi. Non dimentichiamolo mai.
Antonio Padellaro
* l’Unità, Pubblicato il: 08.10.07, Modificato il: 08.10.07 alle ore 9.32
V-day, Beppe Grillo al contrattacco
"Dovreste ringraziare chi è sceso in piazza" *
ROMA - Beppe Grillo al contrattacco. Il comico difende dal suo blog la V-Generation, battezzata dal successo del ’Vaffa-day’ e finita prepotentemente alla ribalta della politica e dei media. ’’La V-generation - scrive - e’ stata definita ’Italia di merda’ e ’anti politica’. Il popolo della V-generation e’ un’offesa vivente per i professionisti della politica, un delitto di lesa maesta’ per molti giornalisti e intellettuali. Tutta gente (non precaria) che ha vissuto bene, molto bene in questi anni alle spalle del Paese. Il milione di persone che e’ sceso in piazza, in modo composto, senza bandiere, senza il piu’ piccolo incidente, dovrebbe essere ringraziato. E’ la valvola di sfogo di una pentola a pressione che potrebbe scoppiare. Un momento di tregua per riflettere sul futuro di questo Paese. La V-generation e’ aria pura, condivisione, futuro. Gaber direbbe: ’la liberta’ e’ partecipazione’’’. ’ ’La V-generation e’ nata in Rete - scrive ancora il comico genovese - una mail alla volta, un commento, un link, un trackback, un post, un forum, una chat. Migliaia di persone hanno potuto conoscersi, riconoscersi, incontrarsi. Discutere di politica vera, legata al lavoro, alla scuola, alla sanita’, alla sicurezza, alla famiglia, all’acqua, all’energia. La Rete e’ il nuovo luogo della politica. Sabato la V-generation e’ scesa in piazza per firmare una legge di iniziativa popolare. Si e’ materializzata, ma solo per chi la ignorava. Un momento di democrazia: una proposta di legge popolare. Cittadini hanno fatto la fila volontariamente, per ore. Sono state raccolte SOLO 300.000 firme perche’ sono finiti i moduli. Nelle piazze c’era almeno un milione di persone’’.
Ansa» 2008-04-25 21:06
V2-DAY: BEPPE GRILLO CHIAMA, 450 PIAZZE RISPONDONO
"No a un’informazione degna di Ceausescu e di Pol Pot": Beppe Grillo chiama e decine di migliaia, ancora una volta, hanno risposto in 450 piazze italiane, e in 15 città all’estero, per il secondo ’Vaffa day’. L’iniziativa del "re dei blog" ha preso il via stamani in tutta Italia con i banchetti che hanno raccolto decine di migliaia di firme per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, della legge Gasparri e del finanziamento pubblico all’editoria. Il "cuore" della festa è stata TORINO, una delle città simbolo della Resistenza, che il comico genovese ha scelto per portare sul palco le sue provocazioni e le sue invettive (attacca Berlusconi, Gasparri e polemizza con Napolitano e i giornalisti camerieri). Nel capoluogo piemontese sono accorsi in 50mila, per lo più giovani e giovanissimi. "Dedichiamo questa manifestazione - ha esordito Grillo sul palco - a coloro che stanno manifestando nell’altra piazza, noi siamo la naturale continuazione dei nostri nonni, di quei valori di quella gente che ha combattuto, ha perso la vita per lasciarci una nazione più libera o quasi".
A GENOVA banchetti divisi, tra le due "anime" dei sostenitori di Beppe Grillo. In piazza della Vittoria, in centro, sono riuniti i cosidetti MeetUp2, che rivendicano l’indipendenza da ogni partito; in piazzale Kennedy, sul lungomare, si sono invece sistemati i MeetUp1, accusati dai primi di essere vicini all’Italia dei Valori. Tra i tanti a firmare stamani in Largo Cairoli, a MILANO, per il referendum sull’informazione, c’era proprio il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro. A BOLOGNA sono state raccolte duemila firme, con gente in coda lungo i due lati di piazza Verdi e un clima da happening pre-estivo con bottiglie di Vaffancola e le vignette satiriche di Zap&Ida.
A FIRENZE, intorno alle 19 erano 6.500 le firme raccolte in piazza Santa Croce. Gli organizzatori hanno riferito che nelle file che si sono formate in piazza c’erano anche rappresentanti dei partigiani. Animato da cantanti e comici, sul palco allestito a Parco Schuster davanti al basilica di San Paolo, l’appuntamento dei sostenitori di Grillo a ROMA. Prima dell’avvio della no stop, fino a mezzanotte, è stato presentato il film reportage sull’11 settembre, ’Zero’. Oltre all’informazione, a NAPOLI non si poteva non affrontare il tema dell’emergenza rifiuti. Nel corso della giornata i simpatizzanti di Beppe Grillo si sono ritrovati in piazza Dante dove, accanto alla raccolta delle firme per una ’libera informazione’’, sono stati proiettati anche brevi filmati sulla questione rifiuti in Campania. Hanno lavorato oltre un mese i Grillini di VENEZIA per preparare il V2-Day di oggi, con banchi per la raccolta firme a Santa Margherita, nel centro storico veneziano, e a Mestre, in Piazza Ferretto. In Veneto, sono state più di trenta le postazioni, mentre a TRIESTE sono state più di 700 le firme raccolte ieri e oggi; 500 quelle a UDINE. Molte lamentele, tra gli animatori dei meet up nelle MARCHE, per la carenza di autenticatori delle firme ai tre referendum. Nella regione banchetti in 16 città. Più di 600 le firme raccolte al gazebo, allestito davanti all’Arco di Augusto, nel cuore di AOSTA. Molte quelle dei turisti. A CAGLIARI oltre un migliaio di firme raccolte fino al primo pomeriggio; il meet-up ha sistemato i banchetti sulla terrazza del Bastione, ma anche in riva al mare. Raccolte di firme anche in 11 città dell’ABRUZZO; dieci iniziative in CALABRIA e punti di racoclta anche a POTENZA e a MATERA.
TORINO,50 MILA IN PIAZZA PER LO SHOW DI GRILLO Un bagno di folla per Beppe Grillo nel V2-Day dedicato alla "libera informazione". Cinquantamila persone sotto un sole estivo (e 150 fra giornalisti e fotografi accreditati), hanno gremito piazza San Carlo a Torino, come nelle più riuscite manifestazioni sindacali.
Molti meno i presenti nella vicina piazza Castello, dove si sono tenuti concerti e letture per la festa della Liberazione promossa dal Comitato per l’affermazione dei valori della Resistenza. Salendo sul palco, il comico genovese ha voluto unire con un filo le due piazze e i due periodi storici: "Abbracciamo e ringraziamo - ha detto Grillo - coloro che ci hanno permesso di essere oggi qui su questo palco. Grazie ai partigiani di 63 anni fa, oggi siamo noi i nuovi partigiani della libera informazione. Siamo la naturale continuazione dei nostri nonni". Nel mirino del comico genovese, l’informazione, ma nei primi minuti del suo monologo i bersagli sono stati il presidente della Repubblica e Silvio Berlusconi. "Napolitano - ha detto - dovrebbe essere il presidente degli italiani e non il presidente dei partiti. Morfeo Napolitano dorme, fa il pisolino, poi esce e monita. Il referendum elettorale andava fatto prima, non dopo le elezioni". E, riferendosi al nuovo presidente del consiglio, ha urlato: "Pensate se Obama da presidente fosse anche il proprietario della Fox, della Abc e di altre televisioni".
Ogni affondo di Grillo è stato sottolineato da un’ovazione, che rimbombava anche nelle vie adiacenti la piazza. "Siamo tanti, 100 mila, se ...la questura ci aiuta". Il comico ha salutato con entusiasmo solo quelle che lui definisce le ’televisioni libere’: Al Jazeera, Cnn, Bbc, la tivù australiana". E’ di nuovo ritornato sulla presenza degli inquisiti in Parlamento ("Sono 70 pregiudicati senza che nessuno abbia saputo niente" ha detto mentre scorrevano i loro nomi su uno schermo) e sul dramma delle morti bianche. Ha attaccato Confindustria, la legge 30 e con una battuta ha detto che mentre gli operai muoiono "i politici campano cento anni". A interrompere Grillo solo un messaggio registrato di Adriano Celentano: "Sono d’accordo Beppe. Non è un antipolitico. Bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi per controbattere le falsità che ogni giorno ci propinano". Un saluto al mattatore del V2-Day è stato portato anche, di persona, dal magistrato di Catanzaro, Luigi de Magistris mentre non si è visto il gip di Milano Clementina Forleo. "Quella gran donna - ha spiegato il comico genovese - non è potuta venire a Torino". La chiusura è stata affidata ad un giornalista doc, Marco Travaglio: "Continuate a cercare i buoni giornalisti, continuate a volere bene all’informazione, fate amicizia con i giornali e proteggeteli perché proteggendo loro proteggete anche voi stessi". Tra gli ospiti sul palco anche Maria Fida Moro. "Il nostro Paese è diventato privo - ha detto - di memoria e compassione".
DEL BOCA, ORDINE DEI GIORNALISTI VA RAFFORZATO L’Ordine dei giornalisti va rafforzato, non abolito: lo ha detto oggi, replicando al V2-Day di Beppe Grillo, il presidente nazionale dell’Ordine, Lorenzo Del Boca."Il giornalismo e i giornalisti hanno tante cose da farsi perdonare - ha detto del Boca - ma che cosa c’entra l’Ordine professionale? Anzi dovrebbe avere maggiori poteri per essere più incisivo nel far rispettare la deontologia". Senza Ordine - sostiene il suo presidente - non ci sarebbe modo di richiamare i giornalisti al rispetto della deontologia, delle regole di un giornalismo corretto, vincolato al principio della verità dei fatti. Anche sulle sovvenzioni va fatta chiarezza: "Alcune testate le ricevono senza meritarle, ma se non ci fossero finanziamenti, sarebbero ridotte al silenzio alcune voci libere, che non ce le farebbero a camminare da sole. Chi resterebbe in edicola? Gli editori che non avrebbero difficoltà a mettere mani al portafoglio per pagarsi una quantità di notizie cucite su misura".
SIDDI,SU ORDINE GIORNALISTI DI PIETRO NON CI AZZECCA Abolire l’Ordine dei giornalisti "con un colpo di spugna, senza un’idea di libertà garantita da un sistema di chiara legalità, significherebbe consegnarsi a poteri assoluti". E’ la replica di Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della stampa, all’auspicio del leader Idv Antonio Di Pietro, intervenuto a Milano alla raccolta firme per il referendum sull’informazione che prevede la cancellazione dell’Ordine, nel mirino del V2-Day di Grillo. "Diciamolo chiaro: sfidiamo lui e tutta la politica alla riforma - aggiunge Siddi in una nota - ma Di Pietro stavolta con il suo urlo, mediatico, non ci ha proprio azzeccato". Il segretario della Fnsi ’smonta’ il riferimento a Einaudi, citato da Di Pietro (insieme a Berlinguer) come personaggio che aveva criticato il ricorso all’Ordine "per poter scrivere e manifestare il proprio pensiero". Prima "di spararle grosse", dice Siddi, "occorre conoscere bene la storia e i fatti". Poi il segretario generale del sindacato dei giornalisti spiega che Einaudi quando si dichiarò contrario alla riedizione dell’Ordine professinionale dei giornalisti "pensava certamente all’Ordine di Mussolini. Quell’Ordine - sottolinea Siddi - non appartiene alla cultura centenaria dei giornalisti della Fnsi. Era l’Ordine di un regime basato sulla propaganda e non sull’informazione", quello "che si macchiò dell’orrenda colpa di collaborazionismo nell’applicazione delle leggi razziali". Per il segretario della Fnsi, l’attuale Odg "ha tanti difetti di funzionamento, causati da una politica capace solo di fare antipolitica sull’argomento anziché di fare le indispensabili riforme. Ma c’é un ordinamento della professione del giornalista che, nella parte fondamentale dei principi, è e deve restare intangibile".
DI PIETRO, LIBERI DI INFORMARE ANCHE SENZA ORDINE "Prima di me persone di ben altro valore come Einaudi e Berlinguer avevano criticato il ricorso all’Ordine dei giornalisti per poter scrivere e manifestare il proprio pensiero". Lo ha detto il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, che stamani a Milano è intervenuto ai banchetti per la raccolte di firme per il referendum sull’informazione, che prevede l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. "Fu un atto di inciviltà - ha spiegato di Pietro - che nel ventennio Mussolini realizzò l’Albo per controllare l’informazione. Ora solo chi è iscritto all’Ordine è libero di informare mentre noi riteniamo che in uno Stato libero e civile tutti possiamo farlo. il giornalismo è una professione che non può essere soggetta a limiti in uno stato liberale".
"La maggior parte dei fondi dello Stato non vanno all’informazione vera ma a finanziare testate che nessuno legge e che nessuno ha visto se non nelle segreterie di partito". Lo ha affermato il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, che stamani è intervenuto a Milano ai banchetti per la raccolte di firme per i referendum sull’informazione. "Ciò che chiediamo - ha spiegato Di Pietro - è una rivisitazione profonda della legge sul finanziamento dei giornali di partito e questo vuol dire che bisogna fare la legge. Nessuno però la vuole fare ecco perché il referendum è un grande istituto che mette con le spalle al muro la politica del doppio gioco, del lassismo e del rinvio". "Solo con un referendum - ha aggiunto - possiamo mettere sul tappeto la questione, come quando raccogliemmo le firme contro il finanziamento di partiti o per la legge elettorale. Tutti ci dicevano che facevamo antipolitica salvo il fatto che hanno dovuto provvedere a fare delle leggi. Ci auguriamo che non facciano anche in questo caso una legge truffa, però con il referendum vogliamo porre all’attenzione dell’opinione pubblica un problema da affrontare".
GASPARRI, DI PIETRO SI RASSEGNI MIA LEGGE RESTA "Di Pietro, la cui scarsa conoscenza di lingua e leggi è nota, si rassegni. La legge Gasparri resta in vigore e sarà applicata. Serve solo una piccola e secondaria modifica. Quando imparerà a leggere, scoprirà che le firme raccolte oggi per eventuali referendum, sono nulle perché le norme non consentono ora iniziative simili". Lo sottolinea Maurizio Gasparri, esponente di An e autore della legge nel mirino oggi del V-Day di Grillo. "Quando e se si terrà poi tra molti anni il referendum - spiega ancora Gasparri a Di Pietro che oggi ha firmato per l’iniziativa -, non si raggiungerà il quorum e vincerà la legge Gasparri. Per il resto faccia festa a spese dei cittadini con i soldi che lucra costituendo costosi gruppi parlamentari che negava di fare dicendo evidentemente bugie in campagna elettorale. Del resto non sempre si trovano regali sotto l’albero di Natale, manna dal cielo o soldi nelle scatole di scarpe".
Il sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica.it: largo appoggio ai princìpi generali
adesione all’elezione diretta dei parlamentari. Ma il comico non deve scendere in politica
Bravo Grillo, ma non scenda in politica
"Abolire i partiti? Non esageriamo"
di ALESSANDRA VITALI *
ROMA - Sulle proposte generali il consenso è alto, molto alto in alcuni casi, come l’elezione diretta dei parlamentari da parte dei cittadini, o il fatto che nessun cittadino italiano possa candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva o in primo o secondo grado. Ma quando si tratta di essere o meno d’accordo sull’abolizione dei partiti, le cose cambiano. E’ questo uno degli aspetti che emergono dal sondaggio sul V-Day di Beppe Grillo, realizzato dalla Ipr Marketing per conto di Repubblica.it, un’indagine condotta su un campione di 1000 cittadini disaggregati per sesso, età e area di residenza, che prende in considerazione anche le intenzioni di voto e quindi l’area politica di riferimento degli intervistati.
Elezione diretta. Il dato più massiccio che salta agli occhi è l’adesione dell’86% degli interpellati alla proposta di elezione diretta dei parlamentari da parte dei cittadini. Solo un 8% del totale del campione dice di non condividere l’indicazione, mentre ad associarsi è il 90% degli intervistati di area centro-sinistra e il 90% di area centro-destra; 76% di "sì" fra gli appartenenti ad altri orientamenti politici(o indecisi o astenuti).
No a condannati candidati. Uno dei punti della proposta di legge di Grillo prevede che nessun cittadino italiano possa candidarsi in Parlamento se condannato, in via definitiva o in primo o in secondo grado. Anche il questo caso i "sì" rappresentano la maggior parte: il 73% del totale del campione, diviso in un 75% dell’area di centro-sinistra e in un 69% dell’area di centro-destra. Anche gli indecisi, o astenuti, sono favorevoli nella misura del 75%.
Non più di due legislature. Le percentuali cambiano di fronte alla proposta di non poter essere eletti per più di due legislature. Il 50% del totale del campione condivide, con una leggera flessione fra gli elettori di centro-sinistra (51%) rispetto a quelli di centro-destra (54%), e a un 43% di adesioni fra gli intervistati di diverso o nessun orientamento. A non condividere la proposta è il 45% del campione totale: 43% nell’area centro-sinistra, 42% nell’area centro-destra, più alta (51%) la percentuale dei "no" fra gli "altri".
Eliminare i partiti. Situazione quasi paritaria fra i "sì" e i "no" di fronte al punto che prevede l’eliminazione dei partiti, "cancro della democrazia" come Grillo li ha definiti. Il 46% del campione approva, il 48% non condivide. Stessa percentuale (50%) di consenso fra centro-sinistra e centro-destra, mentre solo il 36% degli "altri" (contro il 56% di "no") condivide la proposta di abolire le formazioni politiche. In percentuale quasi eguale i no da parte di centro-sinistra e centro-destra, rispettivamente 44% e 45%.
L’iniziativa e i suoi princìpi. Nato e promosso sul Web, del V-Day era a conoscenza il 60% del campione, nonostante aderenti e organizzatori abbiano lamentato lo scarso rilievo dato dai media all’iniziativa. Ad esserne a conoscenza era il 60% degli elettori di centro-sinistra, il 57% di quelli del centro-destra e il 63% degli "altri". E sui princìpi che hanno ispirato la manifestazione, in linea generale, si dice "completamente d’accordo" il 47% del campione (54% centro-sinistra, 43% centro-destra, 44% altri). D’accordo "solo in parte" il 28% (24% centro-sinistra, 32% centro-destra, 28% altri). Sul totale del campione, i "non d’accordo" rappresentano il 23% (21% centro-sinistra, 23% centro-destra, 25% altri).
Il futuro di Grillo. Cosa fare del consenso: su una eventuale scelta di Grillo, il 64% del campione crede che il comico dovrebbe non scendere in politica ma influenzarla dall’esterno, con manifestazioni e altre inziaitive. Un auspicio più sentito dagli elettori di centro-sinistra (74%) che da quelli di centro-destra (63%), condiviso anche da un 57% degli "altri". Scarso il consenso alla sua eventuale discesa in campo con formazione di un partito nuovo, ipotesi condivisa solo dall’8% degli elettori di centro-sinistra e da un 25% degli elettori di centro-destra (31% altri). Più favorevoli gli interpellati di area centro-sinistra all’ingresso in politica del comico ma in un partito già esistente (11%), ipotesi non condivisa da quelli di area centro-destra (5%) e dagli altri (4%). Quale partito? Forse l’Italia dei valori: a questo il 12% degli intervistati, la percentuale più elevata, si sente di accomunare le tesi e le proposte lanciate dal V-Day. ma per il 41% degli italiani, le proposte di Grillo non sono vicine a nessun partito.
* la Repubblica, 12 settembre 2007.
Venti ottobre
di Rossana Rossanda (il manifesto, 08.09.2007)
La manifestazione e il corteo che assieme a Liberazione questo giornale ha lanciato per il 20 ottobre sono stati bersaglio di una certa campagna stampa, avallata anche da alcuni politici che rischia di farci apparire il paese più instupidito d’Europa. Un corteo pacifico e, ci auguriamo, di massa che esprime bisogni e sensibilità molto reali sarebbe il cavallo di Troia per far cadere il governo Prodi? Sostenere questo governo, farlo inciampare o cadere è potere esclusivo delle forze politiche in Parlamento, del patto che le ha messe assieme e, o almeno così dovrebbe essere, del rispetto che farebbero bene a nutrire l’una per l’altra. Non è nella nostra possibilità né nei nostri intenti farlo, non siamo né vogliamo diventare un’istituzione né un gruppo di istituzioni.
Ma il governo dovrebbe ringraziarci per offrirgli l’occasione di saggiare consensi e inquietudini di una parte consistente della società civile che lo ha votato. E che è altra cosa dei gruppi parlamentari e dei partiti, tutti peraltro fattisi tanto leggeri da pardere ogni radicamento sociale diffuso, che fungeva da sensorio e raccoglitore di idee e competenze non meno che da cinghia di trasmissione «di un’ideologia».
L’asfissia dei partiti e il bipolarismo nel quale si vorrebbe costringere una società sempre più complessa stanno facendo dell’Italia l’ultima e mesta spiaggia di una democrazia rappresentativa riacquistata con il sangue, e aprono il varco per assai dubbie avventure populiste. A Giuliano Amato, che teme il formarsi di una destra infastidita dai lavavetri, suggeriamo di riflettere se il pericolo non sia altrove: a forza di scostare dalla sfera politica tutta quella parte di società che fa problema, essa le si rovescerà addosso.
Questo pericolo noi lo sentiamo duplice. Da un lato si indebolisce per mancata partecipazione ogni idea di risanamento democratico di un paese che ne ha più che mai bisogno; la seconda repubblica non è migliore della prima. Dall’altro si induce uno scontento che, sommato a certi spiriti animali che la destra ha coltivato (egoismi corporativi, interesse solo per il proprio giardino, disprezzo della solidarietà, fastidio per l’uguaglianza dei diritti) può portare a forme inarticolate di rifiuto più prossime alla rivolta che a una vera trasformazione sociale.
Tutti gli elementi per un’involuzione del genere esistono. La sfera politica è frastornata dalla povertà di idee ed è incapace di decidere non altro che quel che le è imposto per forza maggiore da vincoli internazionali auspicati in tutt’altre prospettive da quelle attuali. In presenza di una crescita che non riparte, di una crisi mondiale del sistema dei mutui e dei fondi sul quale anche il centrosinistra avevano puntato come sulla manna, mentre i salari italiani hanno cessato da un pezzo persino di star dietro all’inflazione e sono fra i più bassi in Europa occidentale, il potere d’acquisto è di conseguenza sempre più ridotto, quei vincoli sono percepiti come una strozzatura. Con ragione.
1 E’ stata grave la timidezza della maggioranza sul tema scottante delle pensioni, per i più vergognosamente basse e per pochi vergognosamente inuguali, come l’incapacità di chiudere con un precariato sempre più vasto, giovanile e no. E’ fuori dal mondo predicare ogni cinque minuti a chi poco ha e nulla può che l’obiettivo principale di un governo che si vuol democratico e di sinistra è il risanamento dei conti pubblici nel quadro della Bce. Questo può essere un obiettivo per un banchiere come Padoa Schioppa, ma non può essere un obiettivo di società. E’ un vincolo cui essa è tenuta e sarebbe stolido sottovalutare. Ma l’obiettivo è un altro: produrre di più e redistribuire meglio, non come un’elemosina ai più poveri ma come un principio di autentica equità, riducendo le diseguaglianze, recuperando la laicità dello stato sui problemi di etica pubblica e personale, smettendo di stare alle falde di un demente che non gode più credito nel suo stesso paese come George W. Bush.
Sono fini civili che premono non solo per le fasce sociali più in sofferenza ma per chiunque si definisca sul serio un democratico. A costoro abbiamo proposto di esprimersi, e non solo mugugnare, e non solo col voto segreto fra tre anni. Che i membri del governo partecipino o no a questa assemblea di popolo è affar loro, non nostro. Se ci verranno, bene, se non verranno, dovranno ascoltare. Per noi fa lo stesso. E si smetta di ricamare su sottintesi e ricatti - questi non ci interessano affatto. Fra l’altro, non sono nella nostra panoplia di possibilità, cosa, fra le non molte, che ci rallegra assai. E forse ci è invidiata.
Lettera a Beppe Grillo
di Fabio Corazzina *
Caro Beppe,
domani, 8 settembre non sarò in piazza per il V-Day. Ho sempre apprezzato e tutt’ora apprezzo il tuo lavoro di denuncia, di sensibilizzazione e di proposta di nuovi stili di vita. Con un sorriso, a volte amaro, hai aperto spazi di dibattito e prospettive di sviluppo e convivenza sicuramente capaci di affascinare e appassionare le persone più diverse.
Ma questa volta non ci sarò, non mi va proprio di mandare “affanculo” tutti. Ho letto i blog in cui si parla di V-Day e visto i video più diversi e mi sono rattristato: una sequenza infinita di improperi e di sfoghi contro gli altri e contro tutte le donne e gli uomini eletti e che ci governano.
La politica è arte della cittadinanza attiva che coinvolge tutti e non solo chi democraticamente è stato eletto in parlamento e scelto per governare la nazione. La Politica chiama a responsabilità ogni cittadino, in un tempo di mille divisioni e di mille muri (culturali, spirituali, economici, politici) chiede il coraggio della fiducia e della speranza che passa dal costruire comunità e non dal raggruppare rabbia e desiderio di vendetta o di assedio. La politica è vocazione di tutti, è servizio al bene comune, è difesa della libertà e promozione dell’uguaglianza ma è anche scelta di fraternità.
Un nuovo progetto non può mai partire dalla delegittimazione dell’altro, ma dalla ricerca con l’altro della soluzione comune.
Eppure hai pienamente ragione quando denunci un mondo politico (parlamentare e di governo) che ignora alcune evidenti illegalità al proprio interno, che difende l’immortalità elettiva, che si autoproclama scelto grazie a bieche logiche di calcoli di partito e non di reale rappresentatività.
Aggiungo altro, non possiamo certo difendere uomini e donne eletti e seduti sulle poltrone di camera e senato che continuano a confermare una serie infinita di garanzie e privilegi inauditi e scandalosi. Sarebbe un segnale concreto una effettiva discontinuità su questi fronti che significa “rinuncia”, almeno da parte di alcuni eletti in parlamento, come segno e monito per tutti. Ma, è vero, non vedo grandi desideri di trasparenza in tal senso!
Eppure mi rendo conto che non sono solo le forze politiche e gli eletti nelle istituzioni a garantire il processo democratico del nostro paese e a definire l’attuale situazione dell’Italia, nel bene e nel male. Ci sono le cittadine e i cittadini, c’è la società civile, le associazioni, il volontariato, la cooperazione sociale, il terzo settore che giocano un ruolo fondamentale in questo senso. Perché non prevedere alcuni sgravi, aiuti, servizi ... a questi togliendo alcuni privilegi agli altri?
E poi, lascia che lo condivida con te, dal 1943 a oggi ne sono cambiate di cose e non poche. Non farò lunghe analisi e racconti storici, né ricorderò i nomi di uomini e donne che si sono letteralmente giocati la vita per il bene comune. Solo rammento che nel 1948 il popolo italiano promulga la nuova Costituzione, che non è il nulla, anzi è l’anima comune, la conferma dei valori che soli ci permettono, insieme, di guardare al futuro e progettare una nuova convivenza.
Domani rileggerò la Costituzione e racconterò l’ultima pagina dello splendido scritto di Italo Calvino “le città invisibili”. Ripartirò dalla speranza che è sguardo positivo alla vita e non solo dalla rabbia che offusca l’orizzonte.
Disse il Gran Khan: Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
Rispose Marco Polo: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (Da “le città invisibili”) shalom salaam pace
fabio corazzina
pax christi italia
A proposito del V- Day
Faccio mia, condividendola a pieno, la lettera che l’amico Fabio Corazzina ha inviato a Beppe Grillo.
Aldo [don Antonelli]
SPIGOLATURE *
Al mattino, appena alzato, mi piace soddisfare la mia sete di "utopista errante" attingendo da letture di alta meditazione. Poi esco di casa e con l’aria già frizzantina delle montagne abruzzesi incomincio a respirare anche lo smog asfissiante della città. Tuffandomi, poi, nella lettura delle cronache quotidiane, ansimando, m’impantano nei labirinti melmosi di proclami e di eventi che nemmeno l’imbecillità più ottusa è capace di partorire.
Tant’è!
E’ pur vero che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce... eppurtuttavia, quando le cadute sorpassano le crescite... c’è da preoccuparsi.
Aldo [don Antonelli]
Flavio Briatore
«“Sono i soldi a rappresentare la libertà”, ha detto Flavio Briatore nella prestigiosa sede del circolo romano di Marcello Dell’Utri. Sicuramente Briatore lo ignora, ma la sua visione del mondo è puramente marxista: solo chi è libero dai bisogni materiali può dirsi davvero libero, il resto sono pietose ciance messe in giro dai ricchi per far credere ai poveri di poter essere felici anche con la pancia vuota. (La mia sintesi è un po’ rozza, ma è per farmi capire anche ai box della Renault).
La gongolante boria con la quale i nuovi ricchi esultano in cima alla loro catasta di quattrini è, del resto, un inedito storico: prima un velo di ipocrisia o pietismo (o addirittura di buon gusto) cercava di rendere non troppo offensive le sperequazioni sociali, oggi i Briatore ti sventolano sulla faccia un ventaglio di banconote e ti dicono ridendo “guardo qui che roba, urca quanti quattrini che ho!”. Non è detto che sia un male. Il tanto desiderato disvelamento della cruda realtà dei rapporti umani, vanamente inseguito dai marxisti per quasi due secoli, ora può finalmente dirsi avvenuto grazie a Flavio Briatore. Sentendosi dire da un ricco (finalmente!) che “solo i soldi danno la libertà”, qualche miliardo di poveri potrà finalmente porsi la domanda cruciale: se non possiamo diventare anche noi team-manager di Formula Uno, perché cavolo tenere in piedi una società così di merda?»
(Michele Serra, su La Repubblica del 12 sett. 2007)
Vaffanculo-Day
«Movimenti d’opinione di natura antipolitica, come quello di cui stiamo discutendo, erompono dal seno della società e poi declinano rapidamente. La politica non è un’invenzione di qualche mente corrotta o malata, ma una categoria della vita associata. Il governo della.”polis”, cioè della città, cioè dello Stato. L’antipolitica pretende di abbattere la divisione tra governo e governati instaurando il governo assembleare. L’“agorà”. La piazza. L’equivalente del blog di Internet. Infatti la vera novità del “grillismo” è l’uso della Rete per scopi di appuntamento politico (o antipolitico).
Ma nella Rete si vede più che mai il carattere personalizzato dell’ “agorà”; di ogni “agorà”. Da quella di Cola di Rienzo a quella di Masaniello, da quella di Savonarola a quella di Camillo Desmuolins.....
In realtà il governo assembleare è sempre stato una tappa, l’anticamera delle dittature. La storia ne fornisce una serie infinita di conferme senza eccezione alcuna. Proprio per questo quando vedo prender corpo un movimento del tipo del ‘grillismo” mo viene la pelle d’oca; ci vedo dietro l’ombra del “law & order” nei suoi aspetti più ripugnanti: ci vedo dietro la dittature»
(Eugenio Scalfari, su La Repubblica del 12 sett. 2007)
* Aldo [don Antonelli]
LA STORIA
Politici pentiti preti e rockstar
Ecco i "grillanti"
Gli effettivi: dalla Nannini a Ligabue passando per don Ciotti e Franca Rame. I virtuali: lo showman genovese inserisce Veltroni tra i sostenitori
di MARIA CORBI *
ROMA. Un milione in piazza con Grillo per gridare vaffa... (chissà poi perché il numero è sempre questo) e gli «altri» che rimandano a dire alla V-generation: «Italia di merda». E tra gli insultati, «italiani di m...», bon ton a parte, tra i ribelli del sistema, iniziano a distinguersi testimonial dalle facce e dai nomi noti. «Grillanti» vip crescono dicendo addio, in molti casi, all’esperienza dei girotondi. Nessuna voglia di giocare, nemmeno nel nome, in questo nuovo movimento con la colonna sonora cantata da Luciano Ligabue e l’aureola di Walter Veltroni che Grillo indica tra i sostenitori del suo V-Day mettendo sul sito una dichiarazione del candidato leader del partito democratico in cui si dice d’accordo con l’espulsione dei condannati dal Parlamento e con l’imposizione di limitare a due i mandati possibili.
«Grillino» inconsapevole, Veltroni, con a fianco, invece, alcuni politici ben consapevoli, che hanno deciso di rendere ufficiale la loro solidarietà al V-Day e al suo Guru, di non schierarsi con i tanti colleghi che parlano di serio «pericolo dell’antipolitica». Ecco Antonio Di Pietro, assolutamente impermeabile alle critiche di chi gli ricorda di guardare nel suo partito, prima di intraprendere questa battaglia. Un’ alzata di spalle, da parte di Tonino e parole chiare sul blog: «Mi sono tolto la giacchetta da ministro e ho messo quella da cittadino perché sento il bisogno di appoggiare un’iniziativa che è un ddl di iniziativa popolare affinché il Parlamento venga scosso da un’ondata di democrazia diretta e capisca che non può continuare a fare lo gnorri».
Ecco anche Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, che rinforza il sostegno giù espresso di Alfonso Pecoraro Scanio: «La politica non si arrocchi nelle stanze del potere, esca fuori dai palazzi per recepire il malessere dei cittadini». Più a sinistra. Francesco Caruso che spinge a un assedio pacifico del Parlamento, quando verrà votato il pacchetto precarietà. E Franca Rame che nel suo sito risponde a una lettera e ammette: «Non ho mai partecipato agli show di Beppe ma ne sarei assolutamente onorata». Una piccola base che si allarga a sinistra con Mario Adinolfi, candidato blogger alla segreteria del partito democratico, che definisce l’iniziativa «né eversiva né banalmente qualunquista», ma anche a destra, anzi nell’estrema destra con i siti nostalgici del ventennio che abbraciano il manifesto del «grillismo» - «andrebbe letto e riletto...) anche se definiscono Grillo «uno str..». ((www.noreporter.org).
Insieme a tanto «grillismo vip» anche Milena Gabanelli, la regina delle inchieste Rai, in piazza Maggiore tra la gente, che scrive una lettera per esprimere il suo appoggio: «Caro Beppe, sabato sono arrivata tardi in piazza, ma abbastanza per godere di un avvenimento di cui avevo perso memoria. Così tanti giovani, e così partecipi di fatti che riguardano il disgraziato paese, non li vedevo da quando, proprio in questa città, ero studente, cioè dagli anni 70». E poi Marco Travaglio e Peter Gomez, ma anche associazioni come Greenpeace e Arcigay. «Tante persone del movimento di liberazione lesbico, gay, bisessuale e transessuale - spiega Aurelio Mancuso Presidente Nazionale dell’Arcigay - guardano con interesse la campagna contro la corruzione e le caste politiche, perché individuano in questi mali una delle ragioni per cui nel nostro paese, non è stato ancora possibile una riforma civile e di riconoscimento dei diritti delle persone e delle coppie omosessuali».
Tra i «grillatissimi», ovviamente, l’attrice più movimentista del cinema italiano, Sabina Guzzanti: «Chiunque abbia davvero a cuore la politica credo che non possa che rallegrarsi della partecipazione al V-Day. Non si può che avere parole di elogio per l’impegno di Grillo». «Ho sentito dei politici gridare che era una vergogna, per esempio Pier Ferdinando Casini. Penso che la vergogna sia un politico che si arrabbia per la partecipazione popolare», continua la Guzzanti che proprio alla crisi della politica ha dedicato il suo ultimo film «Le ragioni dell’aragosta». «Per fortuna ci sono ancora tante persone che hanno a cuore questo Paese e non vogliono lasciarlo nella mani dei corrotti e dei mafiosi».
Su tutti cantano la colonna sonora di questo nuovo capitolo della politica italiana Luciano Ligabue e Gianna Nannini rapiti dall’utopia possibile di Beppe Grillo - «Si è fatto portavoce di un malcontento che non aveva voce», spiega Ligabue - con alla consolle il disc- jockey Andrea Pellizzari che ha passato la giornata dell’8 settembre tra i banchetti di Milano ad aiutare a far nascere questa legge. Ma la lista è lunga con Don Ciotti accanto agli Skiantos, Massimo Fini con Gino Strada, l’economista Mauro Gallegati, Walter Ganapini, presidente di Greenpeace Italia che prende carta e penne e scrive: «La legalità è un valore fondamentale per la democrazia, valore in assenza del quale non esiste sviluppo sostenibile, ma anche direttamente, qui ed ora, per l’ambiente in cui viviamo e per quello che lasceremo alle generazioni future». Ognuno con la sua personale speranza, avanza la nuova Lobby dei grillini. Qualcuno vede pericoli per la democrazia? Grillo risponde dal sito con le parole di Giorgio Gaber: «La libertà è partecipazione».
* La Stampa, 13/9/2007 (7:39)
La Stampa - OPINIONI Beppe Grillo, i blog e politica TITO BOERI
VDAY a Terni *
Desidererei trasmettervi le mie emozioni, sensazioni, impressioni e l’orgoglio di esserci stata nei giorni del V-Day 7 e 8 settembre. Sono una signora residente a Terni ma di origine pugliese, con due figlie a cui tengo dare un futuro migliore! In questi due giorni sono stata al banco per raccogliere firme, quindi chi meglio di me ha potuto constatare la rabbia della gente,ma specialmente la voglia di fare qualcosa per cambiare questo andamento catastrofico della ns amata Italia. Ci sono state lunghe file qui a Terni in attesa di apporre la propria firma sui moduli prematuramente finiti per l’inaspettata affluenza, proprio come è avvenuto anche in altre città d’Italia. Son venuti a firmare gente di ogni età, dal ragazzo diventato maggiorenne lo stesso giorno ai pensionati di età avanzatissima, gente di tutti i ceti sociali. E’ stato meraviglioso vedere gente che faceva la lunga fila con il documento in mano, felice anche sotto al sole e ballando sulle note della canzone del Vaff..Day. Un’altra emozione fortissima è stata quando ho aiutato un non vedente a firmare, posso benissimo dire che son venuti a firmare anche i ciechi! credetemi, un’esperienza che rifarei altre mille volte, con la consapevolezza che dal basso si possono fare grandi cose, l’importante ora è non abbassare la guardia!
Ringrazio infinitamente tutto il meetup di Terni, ragazzi entusiasti di fare grandi cose e permettetemi un ringraziamento particolare a Pierluigi Paoletti per la sua grande umanità e per il suo apporto al ns gruppo. GRAZIE!!!
Marilena Semeraro
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Il termine "straordinario" può andare bene per definire il V Day di Terni?
Forse è troppo poco!
Ricostruiamo l’Italia a partire da noi stessi. Questo RESET è potente perchè parte dal basso e un governo corrotto non esiste senza l’appoggio del popolo.
Noi cittadini siamo il fulcro di ogni gradino della società... se decidessimo di boicottare un prodotto saremmo in grado di mandare all’aria aziende multi milionarie nel giro di poco tempo!
Stiamo risvegliando le coscienze dall’assopimento cui siamo stati sottoposti dalla Tv per così tanti anni.
Il nostro fine è il raggiungimento di un mondo migliore... ci crediamo ancora e non smetteremo di farlo.
Il sistema e chi è nel sistema farà di tutto per boicottarci e per sminuire le cose maestose che faremo, ma ricordate che il negazionismo mediatico non ha mai portato lontano nel momento in cui la massa era compatta, coordinata e consapevole delle proprie potenzialità.
Oggi grazie alla rete siamo in tanti e con idee ben chiare e proprio per questo ci temono sia i media sia il sistema politico... Abbiamo le idee più chiare di loro!
Non sanno come identificarci e di conseguenza non sanno come contrastare questo movimento.
Questo sistema marcio non può più confondere le idee delegando le colpe una volta a destra e una volta a sinistra: ora si trova di fronte ad un movimento apartitico, il movimento del buon senso del cittadino contribuente.
L’unica cosa che gli è rimasta da fare è quella di scambiare Grillo per populista e noi per pecoroni.
Ma sono così in difficoltà che non si rendono conto che il "movimento del buon senso" (nè di destra nè di sinistra) non si può fermare.
La polizia del pensiero del libro "1984" di Orwell troverebbe grandi difficoltà di fronte a questi ragazzi!
Andrea Conti
V-day, Grillo lancia le sue liste civiche*
ROMA - Via libera di Beppe Grillo alla creazione in tutta Italia di liste civiche che nascano dal suo movimento. "Ogni Meetup, ogni gruppo può, se vuole, trasformarsi in lista civica per le amministrazioni comunali", scrive sul suo blog il comico-blogger. Che spiega: "I cittadini devono entrare in politica direttamente. Per la loro tutela e per quella dei loro figli".
"Le liste che aderiranno ai requisiti che pubblicherò sul blog tra qualche giorno - anticipa grillo - avranno la certificazione di trasparenza ’beppegrillo. it’. Tra i requisiti ci saranno, ad esempio, il non essere iscritti a partiti ed essere incensurati. Le liste potranno comunque chiamarsi come gli pare ed essere autonome nella loro azione".
Beppe Grillo, una soluzione o un problema?
di EDMONDO BERSELLI (La Stampa, 24/10/2007)
Va oggi in libreria «Beppe Grillo. La biografia non autorizzata del comico che fa tremare la Casta» (Aliberti editore). L’hanno scritta Paolo Crecchi, inviato speciale del «Secolo XIX», e Giorgio Rinaldi, già capo redattore del quotidiano. Con tanto di glossario, una raccolta di battute dell’attore genovese, e la prefazione di Edmondo Berselli, che pubblichiamo in anteprima. Per capire un fenomeno essenzialmente politico come Beppe Grillo occorre guardare alla politica in modo spregiudicato. Ma prima ancora è opportuno mettere insieme un ritratto del protagonista Grillo, come fanno in questo libro Paolo Crecchi e Giorgio Rinaldi. Perché l’ex comico Grillo assurto al rango di «leader» possibile anche se imprecisato, rappresenta un autentico cortocircuito pubblico. Ha fatto da catalizzatore di un disagio, di una insofferenza, di un rancore che erano nell’aria, e ha caricato tutto questo di elettricità. È partita una scarica, con il «V-Day» dell’8 settembre a Bologna e le sessantamila persone in piazza con le firme raccolte in poche ore su proposte di legge apparentemente moralizzatrici, senza che però fossero del tutto chiare le ragioni del grande rifiuto.
Quindi sarà il caso di provare a ragionare sui motivi del colossale «vaffa» evocato e suscitato da Grillo. Le ragioni vengono da lontano. Bisogna risalire almeno ai primi Anni Novanta, allorché lo choc di Tangentopoli disintegrò la Democrazia cristiana e il Partito socialista, proprio mentre l’ex Partito comunista cercava una possibile quanto faticosa uscita dal collasso ideologico successivo alla caduta del Muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica.
Percorsa da un’ondata di rifiuto verso quella che allora veniva definita «partitocrazia», l’Italia di allora cercò una soluzione nelle procedure: in sostanza, nei referendum elettorali promossi da Mario Segni e subito dopo nel sistema maggioritario. Ma la riforma delle istituzioni politiche aveva inevitabilmente un difetto d’origine: agiva sulle modalità ma non sui contenuti. E soprattutto portava a privilegiare l’aspetto competitivo della democrazia, divenuta democrazia dell’alternanza, dopo la democrazia «consociativa» della prima Repubblica, senza che si chiarissero le ragioni profonde del confronto. Ne usciva uno scontro di fazioni più che una competizione ragionevole.
Ecco perché è rimasto un vuoto nel rapporto fra cittadini e politica: la competizione bipolare si è sviluppata quasi per automatismi, fino a quella specie di scontro di civiltà che sono state le elezioni politiche del 2006, ma gli schieramenti non sono stati capaci di offrire programmi politici convincenti, capaci di aggregare consenso sui progetti. Nel 2001 Silvio Berlusconi ha inventato un «sogno» per gli italiani; cinque anni dopo, il centrosinistra ha proposto un programma di 281 pagine, che elencava tutti i compromessi necessari per tenere insieme un’alleanza intrinsecamente contraddittoria.
La delusione degli elettori dopo il primo anno di governo del centrosinistra, e anche la scarsa credibilità del centrodestra nel riproporre ciò che non aveva realizzato nei cinque anni precedenti, ha aperto un varco amplissimo alla protesta. Beppe Grillo è stato il detonatore per una miscela divenuta esplosiva: in cui si combinano le frustrazioni del precariato, l’impoverimento provocato dalla pressione dei nuovi consumi, insostenibili per basi di reddito ridotte, la collera per gli sprechi e i privilegi della «casta», l’insoddisfazione per una forma di rappresentanza che non riesce a rispondere alle aspirazioni dei cittadini.
Tutto questo è stato dilatato oltremisura da due fenomeni, che Grillo ha sfruttato con abilità: l’imporsi di una specie di «democrazia internettiana», simboleggiata esemplarmente dal blog del leader «antipolitico», Grillo appunto; e in secondo luogo dallo spostamento d’aria mediatico, che ha accompagnato lo scoppio del «vaffa» grillesco. Nella percezione di un vuoto politico, i media infatti hanno fatto da cassa di risonanza, dilatando la denuncia di piazza sino a farla diventare autentico evento politico.
Ma tutto questo sembra dimostrare più la debolezza della politica contemporanea che non la possibilità di un’azione diretta in vista di un cambiamento razionale. Perciò si ha l’impressione che la figura di Grillo si mostri di fronte a moltitudini arrabbiate, senza che si intravedano strumenti per tradurre la protesta in canali nuovi ed efficienti. Per ora, come hanno fatto Crecchi e Rinaldi, si tratta di osservare da vicino, per capire meglio lo stato nascente di un processo largamente imprevisto. E per cercare di comprendere se tra la figura imponente, e anzi ingombrante, di Grillo e la società italiana c’è un terreno politico da occupare, oppure se l’attore Grillo, il comico Grillo, il populista Grillo, è più il prodotto di una crisi che non la leva di una soluzione possibile.