Sul cavaliere della I-THAILANDIA....
di Federico La Sala *
Caro Direttore,
A mio parere, in tutte le discussioni e le analisi che sono portate avanti sulla situazione italiana è proprio l’analisi del berlusconismo che va approfondita e chiarita. Io non posso concepire, nemmeno in THAILANDIA (cfr. Piero Ottone, IL CAVALIERE DELLA THAILANDIA, La Repubblica del 26.04.2002: "Thaksin ha fondato un partito, Thai Rak Thai, il cui nome significa, a quanto sembra: I thailandesi amano i thailandesi") che in una nazione che si chiama ITALIA, ci possa essere un PARTITO che si chiama "Forza ITALIA"...
Il trucco del NOME ("Forza ITALIA") è da manualetto del... piccolo ipnotizzatore e da gioco da baraccone ...politico! E penso che aver lasciato fare questa operazione, io ritengo, sia stata la cosa più incredibile e pazzesca che mai un popolo (e soprattutto le sue Istituzioni e partiti) abbia potuto fare con se stesso e con i propri cittadini e le proprie cittadine: è vero che stiamo diventando tutti vecchi e vecchie, ma questa è roba da suicidio collettivo!
Questa la mia opinione, se si vuole, da semplice e analfabeta vecchio cittadino italiano e non da "sovietico" comunista della "fattoria degli animali" orwelliana. Mi trovo a condividere e sono più vicino alle opinioni e alla posizione della "mosca bianca" Franco Cordero, che non a quella di molti altri.
LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI: si tratta solo e sopratutto di non de-ragliare e, umanamente e politicamente, mantenerci (e possibilmente avanzare) sul filo e nel campo della democrazia. Non c’è nessuna demonizzazione da fare: si tratta solo di capire, e, anzi, io trovo la situazione - pur nella sua grande ambiguità e pericolosità - incredibilmente sollecitante nel senso di svegliarsi e reagire creativamente (come sembra che stia avvenendo) alla situazione determinatasi.
Il cavaliere ha lanciato la sua operazione e la sua sfida: possiamo leggere la cosa come una cartina di tornasole per tutta la nostra società. Vogliamo vivere o vogliamo morire: una cosa del genere più o meno, con altre parole, ci sta dicendo il Presidente CIAMPI da tempo.
Se ci facciamo togliere da sotto i piedi il fondamento costituzionale e si rompe la bilancia dei poteri della democrazia non ci sono più cittadini e cittadine ma pecore e lupi e riprende il gioco mai interrotto, come dice il vecchio saggio della giungla, del "chi pecora si fa il lupo se la mangia". Dentro questo clima, chiedere da anonimo stupido ingenuo e illuso e ’idealistico’ cittadino italiano di fare chiarezza e fermare il gioco (truccato, e pericolosamente surriscaldato e non lontano da clima di scontro civile) è solo un invito a tutte e due le parti e non a una sola a riconoscersi come parte della UNA e STESSA Italia.... e a ripristinare le regole del gioco!!!
M. cordiali saluti
Federico La Sala
*Il dialogo, Venerdì, 30 maggio 2003.
SANDRO PERTINI (Wikipedia)
La Repubblica della "Penisola dei Famosi" e un Parlamento che canta: "Forza Italia".
Il leader de "La destra" risponde al presidente della Repubblica
che aveva difeso Rita Levi Montalcini dagli attacchi del senatore
Storace insulta Napolitano
"Non ha titolo per parlare di etica"
Prodi: "Parole irresponsabili, la Cdl si dissoci".
Marini: "Ha superato ogni limite"
Fassino: "Espressioni vergognose che squalificano chi le pronuncia"
ROMA - "Non so se devo temere l’arrivo dei corazzieri a difesa di Villa Arzilla, ma una cosa è certa: Giorgio Napolitano non ha alcun titolo per distribuire patenti etiche. Per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione familiare, per evidente faziosità istituzionale. E’ indegno di una carica usurpata a maggioranza". Così Francesco Storace risponde al presidente della Repubblica che aveva difeso Rita Levi Montalcini attaccata dal senatore de "La destra".
Parole che hanno fatto scattare l’immediata indignazione delle istituzioni e del centrosinistra, a iniziare dal presidente del Consiglio. "Le parole irrispettose e irresponsabili pronunciate oggi da Francesco Storace nei confronti del Capo dello Stato - commenta Romano Prodi - impongono una decisa presa di distanza da parte di tutte le forze politiche. Mi auguro di sentire presto anche da parte del centrodestra una ferma condanna ad un attacco sconsiderato e ingiusto rivolto alla massima autorità dello Stato garante delle nostre istituzioni democratiche".
"Napolitano - aveva insultato ancora Storace - la smetta di soccorrere un governo moribondo a difesa di una signora talmente importante che anche quest’anno, come ha ricordato ieri il presidente Calderoli, costerà tre milioni di euro agli italiani. Nobel o no, i ricatti si chiamano ricatti e i voti dei senatori a vita restano politicamente immorali. Come diceva fino a poco tempo fa un signore che la memoria l’ha persa a poco più di 55 anni...".
Il presidente del Senato Franco Marini, esprimendo la sua solidarietà a Napolitano, parla di "comportamento assolutamente inaccettabile", mentre il leader dei Ds Piero Fassino definisce quelle del senatore "espressioni vergognose e irresponsabili che squalificano chi le pronuncia. Ogni italiano sa con quanto rigore e dedizione il presidente Napolitano assolve al suo ruolo di garante delle istituzioni democratiche e della loro credibilità".
* la Repubblica, 13 ottobre 2007.
MASTELLA AUTORIZZA PROCEDIMENTO SU STORACE
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
L’ITALIA, LA LINGUA, E I DIALETTI.
L’OCCUPAZIONE DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
Il futuro della ’meglio gioventù’: rimanere o andare all’estero?
La lettera di Celli apre il dibattito: "Figlio mio, devi lasciare l’Italia". La risposta: papà ci voglio pensare
ultimo aggiornamento: 30 novembre, ore 22:08
Roma - (Adnkronos/Ign) - Critiche e approvazioni sul testo del direttore generale della Luiss, pubblicato da ’Repubblica’, che invita i giovani ad abbandonare il Paese. Dì la tua nel FORUM. Meloni: ’’Dichiarazioni molto snob’’. Casini: "Preoccupazioni condivise". Mons. Sigalini: "No a fuga ma tentare tutte le strade". ’Ffwebmagazine’: "Ragazzi restate, aiutateci a cambiare l’Italia". (VIDEO). AAA cercasi lavoratori laureati o diplomati. La disoccupazione sale al 7,4%
Roma, 30 nov. (Adnkronos/Ign) - "Avremmo voluto che l’Italia fosse diversa e abbiamo fallito". Così scrive al figlio Pierluigi Celli, ex direttore generale della Rai e attualmente direttore generale della Luiss, in uno dei passi più rilevanti della lettera che ’La Repubblica’ mette in prima pagina. Una lettera in cui Celli incoraggia il suo ragazzo a lasciare l’Italia perché "non è più un posto in cui si possa stare con orgoglio". Si scatenano i commenti tra critiche e approvazioni.
E non manca la replica del figlio. ’’Condivido le riflessioni di mio padre, ma al momento non ho ancora deciso se andare a vivere all’estero. Deciderò dopo aver preso la laurea’’, dice all’ADNKRONOS Mattia Celli, 23 anni maturità scientifica, al secondo anno di specialistica in ingegneria meccanica alla Sapienza di Roma. Si tratta di una scelta difficile, "l’Italia è sempre l’Italia", sottolinea il giovane anche se d’accordo con l’analisi del padre. "L’idea di andare comunque all’estero per un paio di anni e dopo decidere se restare o meno dipenderà anche dall’argomento della tesi di laurea. Mi piacerebbe -spiega- fare qualcosa nell’ambito della ricerca. Un settore dove in Italia ci sono enormi difficoltà e quindi sarebbe inevitabile andare all’estero’’. Mattia Celli, comunque, ’’esclude scelte definitive’’. ’’Nel nostro paese gli ingegneri -osserva- hanno spazi e possibilità per sfondare se possiedono un’adeguata base di conoscenza, anche se spesso la loro professionalità non è adeguatamente considerata, soprattutto da un punto di vista economico’’.
A bollare come ’’snob’’ le dichiarazioni Pierluigi Celli è il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. ’’Mi sembrano dichiarazioni molto snob da parte di chi avrebbe avuto tempo e modo per offrire un futuro migliore alle nuove generazioni - sottolinea Meloni - ma evidentemente aveva ben altro a cui pensare. Ed ora piuttosto che porsi il problema di rimediare ai propri errori, invita i giovani italiani a disertare dalla speranza di potersi realizzare nella terra in cui si è nati’’. ’’A costoro - avverte Meloni - rispondo che la realtà di tutti i giorni fuori dai consigli di amministrazione delle grandi aziende è durissima, e questo la mia generazione lo sa bene, ma non smetterà mai di lottare né di respingere al mittente i consigli dei cattivi maestri’’.
Il messaggio di Celli è condiviso invece dal leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini che si dice altrettanto preoccupato per il futuro dei giovani. La questione posta "non è una casa banale -spiega -, è una preoccupazione che tutti avvertono per i loro figli, io lo sento per le mie figlie’’. ’’Noi 50enni -aggiunge il leader dell’Udc- abbiamo avuto la fortuna di nascere dalla parte giusta, siamo cresciuti in un sistema che ci ha garantito libertà, democrazia e sviluppo economico. Ciascun genitore sogna che i suoi figli stiano meglio di lui e realizzino culturalmente e socialmente uno stadio e uno stato migliore di quello che li ha preceduti. Oggi tutti gli indicatori ci dicono che difficilmente i nostri figli riusciranno a garantirsi livelli sociali migliori di quelli che noi avevamo garantito’’.
Per Pino Sgobio (PdCI) "la lettera di Celli mette il dito nella piaga e svela la drammatica realtà che attraversa l’Italia. Nel nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda il Sud, c’è un vuoto impressionante, una vera e propria mancanza di futuro e di prospettiva per i giovani"
Non la pensa così FareFuturo che sul sito ’Ffwebmagazine’ lancia un messaggio di speranza per il futuro dei giovani. Se ne fa portavoce il direttore stesso, Filippo Rossi che scrive: "Un quadro fosco, quello di Celli, di un pessimismo forse esagerato". Ma senza entrare nel merito e dare consigli alternativi, "ci sentiamo" solo di fare una richiesta e dare una speranza. "La speranza che l’Italia non venga privata di una generazione che, oggettivamente, è stata abbandonata a se stessa, prigioniera del presente, senza prospettive, senza un sogno collettivo, senza un’idea di futuro". Per questo è necessario aggrapparsi ad "un ottimismo della volontà, a un ’boia chi molla’ che non significa nulla se non questo: ti prego, vi prego -è l’appello di Rossi- non ci abbandonate, aiutateci a cambiare un Paese che non si merita questo presente... aiutateci a non mollare".
Chi conosce da vicino i ragazzi è Monsignor Domenico Sigalini, secondo il quale "un giovane non va mai invitato a fuggire". L’assistente ecclesiastico generale di Azione Cattolica, organizzatore di diverse Giornate mondiali della gioventù nonché vescovo di Palestrina ritiene che sia "sbagliata" l’esortazione di Celli. "I giovani - dice all’ADNKRONOS- devono avere coraggio, rimboccarsi le maniche e tentare tutte le strade, mai fuggire. Del resto, quanti giovani, pur nelle immense difficoltà, tirano la cinghia".
Proprio nei giorni scorsi il vescovo di Azione Cattolica si è recato in Sicilia per incontrare i giovani. "Certamente si lamentavano tutti -spiega monsignor Sigalini-. In tanti lamentavano di non avere un lavoro e un guadagno certo ma è troppo facile espatriare o invitarli a farlo. Bisogna rimboccarsi le maniche. Proprio perché gli adulti hanno fallito, bisogna tenere alto il livello dei loro ideali e lasciare che i giovani abbiano uno slancio senza tarpare loro le ali".
Berlusconismo
di Furio Colombo (l’Unità, 22.06.2008
Vorrei subito chiarire. Non sto dedicando questo articolo al berlusconismo a causa del fatto che Berlusconi è improvvisamente ritornato ai toni incattiviti di quel primo non dimenticato governo, quello che ha portato l’Italia alla crescita zero ma ha garantito al primo ministro tutte le leggi di utilità e convenienza personale, ha dato un colpo durissimo - e notato nel mondo - alla libertà di stampa e ridotto prestigiosi commentatori di prestigiosi giornali a dargli sempre ragione come a Mussolini.
Certo, la lettera del presidente Berlusconi, di cui ha dato compunta lettura il Presidente del Senato Schifani a un’aula di persone probabilmente stupefatte, spinge la scena della vita italiana fuori dalla Costituzione («Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge») e fuori dalla democrazia («La legge è uguale per tutti»). Però, onestamente, come fare a mostrare meraviglia per un leader (questa è la terza prova e la quarta volta) che ha sempre violato la Costituzione e leggi del suo Paese e ne ha imposte altre che poi sono state giudicate, a una a una, incostituzionali dalla Consulta?
Ma tutto ciò senza perdere di vista i suoi interessi personali: primo, Mediaset, salvare dall’onta del satellite il soldato Fede; secondo, le intercettazioni: prigione e multe altissime per chi intercetta i sospetti di delitti odiosi pericolosi, destinati a ripetersi, e per chi, quando gli atti del processo sono legalmente e anzi doverosamente usciti dal segreto istruttorio e legalmente disponibili, osasse pubblicarli. In tutti i Paesi democratici vale il principio che «il processo è pubblico». È una garanzia per le vittime, per gli imputati, ma anche per tutti i cittadini.
Avvocati e giuristi di Berlusconi hanno già dimostrato di non provare alcun imbarazzo nel cambiare le leggi di quei processi che non si sentono in grado di vincere (hanno visto le carte e conoscono la vera storia).
Quanto ai giornalisti indipendenti italiani, sentite Bruno Vespa in una delle sue “rubriche” diffuse in tutta la provincia italiana: «La nuova controversia tra Berlusconi e i magistrati di Milano sembra l’ultima sgradevole puntata di una telenovela cominciata quindici anni fa, quando il Cavaliere decise di abbandonare la dura trincea del lavoro per scendere in campo nella politica. In realtà non è così (...). Il presidente che deve giudicare Berlusconi, Nicoletta Gandus, è un avversario politico. Da molti anni è una star di Magistratura democratica (...). Nel motivare la richiesta di cancellazione delle leggi Schifani, Pecorella, Cirami, Cirielli sostiene che esse sono state motivate al fine di perseguire l’interesse personale di pochi, ignorando la collettività. Si tratta di leggi che hanno devastato il nostro sistema di giustizia (...). Senza entrare nel merito di queste opinioni, può un dichiarato avversario politico giudicare in tribunale il capo del governo che combatte?» (Quotidiano Nazionale, 19 giugno). Avete capito il delitto imperdonabile in un Paese libero? Il giudice Gandus, che deve giudicare Berlusconi, non fa parte della P2. È membro di una libera, civile, legale associazione detta Magistratura democratica.
Inevitabile inviare un pensiero al decoroso silenzio dei 62 arrestati e trecentocinquanta incriminati caduti tre giorni fa nella maxi-retata dell’Fbi contro i più potenti personaggi di Wall Street, portati via in manette tra due ali di operatori di Borsa che per alcuni minuti (succede di rado) hanno sospeso le contrattazioni. Nessuno di loro, personaggi del gran mondo finanziario americano, presidenti di Banche d’affari, patron celebri e celebrati di tutti i musei e gli ospedali di New York (dove alcuni hanno un reparto col loro nome) ha fiatato. Né lo hanno fatto i celebri avvocati a cui si sono affidati. Eppure sanno che, nella tradizione e prassi giudiziaria americana, alcuni giudici sono repubblicani e altri democratici. Alcuni giudici, nei distretti federali in cui questi imputati saranno giudicati sono stati nominati da Carter, alcuni da Reagan, alcuni da Clinton (che in silenzio si è sottoposto a tre diversi processi) e alcuni da uno o dall’altro dei due Bush.
Ma, nella civiltà democratica, i giudici non si scelgono e non si discutono e la ricusazione è ammessa solo per legami d’affari, d’amore o di famiglia di uno dei giudici con una delle parti. Altrimenti mai, per non affrontare il famoso reato americano di “oltraggio alla Corte”, che scatta quando l’imputato, invece di lasciarsi giudicare, si mette a giudicare il giudice. Tutto ciò avviene nel Paese in cui, una volta condannati, non si va in Parlamento, si va in prigione. Particolare curioso (come si diceva una volta sulla Domenica del Corriere): tutti e quattrocento gli arrestati o incriminati di Wall Street erano sotto intercettazione da mesi. Molti dei reati contestati ai grandi di Wall Street, infatti, sono reati tipicamente telefonici, e dimostrabili solo con l’intercettazione, come l’”insider trading” (fornire a uno notizie che devono restare segrete per arricchirsi in due). E nessuno sostiene, pena il ridicolo, di essere vittima di una persecuzione politica. Chi poi, in quel Paese civile, avesse scritto, da titolare del potere esecutivo, una lettera al Presidente del Senato (istituzione legislativa) per levare accuse contro i suoi giudici (istituzione giudiziaria), avrebbe prontamente ottenuto, oltre al ridicolo (in democrazia non si può giocare il potere esecutivo contro il potere giudiziario usando il potere legislativo) una imputazione in più.
* * *
Qui mi devo confrontare con l’iniziativa appena presa dai Radicali, una proposta di legge costituzionale a firma Rita Bernardini, con cui si intende abolire l’obbligatorietà dell’azione penale. Vuol dire che un giudice agisce immediatamente e di propria iniziativa appena ha notizia di un reato. I codici dicono quali. Ovviamente non si tratta di cose futili. L’idea di abolire l’obbligatorietà dell’azione penale (assente quasi solo nelle legislazioni anglosassoni) è certo meritevole di attenzione e discussione. Per esempio per il fatto che identifica meglio la responsabilità dei giudici e diminuisce il numero dei processi. Stimo i miei colleghi Radicali ma non sono d’accordo.
Chiedo: si può in Italia? In questa Italia? Proprio qui passa la linea di demarcazione. Ci sono coloro che sostengono che, a parte la coloritura manageriale e padronale, non c’è niente di speciale o così diverso in Berlusconi rispetto a ogni altro capo di governo. Non esiste il berlusconismo. E se esiste è qualcosa che riguarda Giannelli o Staino, Vauro o Vincino ma non la politica.
E poi ci sono coloro che vedono il berlusconismo come una potente e ben finanziata spinta del Paese fuori dalla democrazia anche a causa di un controllo mediatico quasi totale, che tende ad estendersi attraverso i premi che derivano dal conquistare benevolenza (Berlusconi è un buon padrone) e dalle punizioni (fino alla riduzione al silenzio) di coloro che - nel suo insindacabile giudizio - sono dichiarati nemici. In questa Italia l’obbligatorietà dell’azione penale resta l’unica garanzia che potenti e prepotenti, soprattutto sul versante politico e di affari, non restino impuniti.
Cito Emilio Gentile: «Nel 1922 Amendola, Sturzo, Salvatorelli presero a usare il vocabolo “totalitarismo” quando il sistema parlamentare italiano non era ancora molto dissimile dalle altre democrazie europee. Però essi osservarono come il partito di Mussolini operò per conquistare il potere. Ne colsero la natura di partito incompatibile con la democrazia e inevitabilmente destinato a creare un sistema totalitario» (intervista a Simonetta Fiori, la Repubblica, 19 giugno). L’obiezione tipica è: «Ma che cosa c’è di più democratico di una valanga di voti per qualcuno noto in tutto, compresi i suoi difetti e i suoi reati?».
Emilio Gentile ha una risposta interessante: «Gramsci fu tra i pochi a comprendere che il totalitarismo è una tecnica politica che può essere applicata continuamente a una società di massa. Potrebbe accadere anche oggi: una tecnica che punta a uniformare l’individuo e le masse in un pensiero unico, usando il controllo dell’informazione». È un’affermazione limpida, logica, difficilmente confutabile se non per ragioni di fede. Ma la fede riguarda i berlusconiani. Quanto a noi oppositori, quanto a quelli di noi che vedono il pericolo del singolare totalitarismo berlusconiano, non avremmo diritto di avere i nostri Amendola, Sturzo e Salvatorelli?
È con questi nomi e con queste citazioni in mente che chiedo ai miei amici Radicali del Pd, della cui presenza in Parlamento sono lieto come di una garanzia: si può in questa Italia, in cui il giornalista Vespa riproduce all’istante e con convinzione indiscutibile, solo le ragioni del premier imputato; si può in questa Italia in cui il più forte ricusa giudici, accuse, processo in nome della sua forza e dei suoi voti; si può in questa Italia in cui si è già tentata, da parte dell’allora ministro Castelli, una “riforma” che mette tutti i giudici agli ordini di pochi procuratori generali; si può in questa Italia in cui l’opinione pubblica è messa a tacere dal controllo quasi totale dei media, si può introdurre una riforma «anglosassone», cioè di Paesi in cui le istituzioni sono incalzate da un’opinione pubblica bene informata e da una stampa che non dà tregua?
* * *
Vedo nel berlusconismo una forma di potere in espansione, già molto prossima al pericolo citato da Emilio Gentile. Perciò dico no a questo regime e mi spiego.
1 - «Vogliono screditare il potere dei tribunali e decidere da soli che cosa è legalità». Cito da un editoriale del New York Times (19 giugno) che in questo modo propone l’accusa più grave alla presidenza di Bush. Perché i nostri colleghi americani vedono la portata del loro problema (scontro tra i poteri-pilastro della democrazia) e in Italia così tanti tra noi ti guardano come un disturbatore ossessionato?
2 - Lo stesso giorno la deputata Pd Linda Lanzillotta (destra della sinistra) e la ex senatrice Rina Gagliardi (sinistra della sinistra) hanno questo, rispettivamente, da dire: Lanzillotta: «Eppure dovremo dire anche dei sì (a Berlusconi, ndr) almeno su alcune decisioni annunciate». Quali saranno queste decisioni annunciate, nei giorni in cui il politologo Giovanni Sartori scrive, a proposito di Berlusconi: «Nessuno può essere al di sopra della legge a vita. Lo sono solo i dittatori» (Corriere della Sera, editoriale, 21 giugno)?
Gagliardi: «A me star lì a dire sempre no non mi piace perché mi pare un radicalismo solo apparente. Risolve il quotidiano, dà un po’ di soddisfazione ai tuoi che ti vedono con la faccia scura davanti a Berlusconi. E poi?» (Corriere della Sera 19 Giugno).
E poi, Rina Gagliardi, si fa opposizione, che vuol dire tenere testa a un governo evidentemente pericoloso, come si fa in tutti i Paesi democratici. Credo che sia utile ricordare alle due esponenti politiche ciò che l’ex ministro delle Comunicazioni-Mediaset Maurizio Gasparri ha appena detto a Walter Veltroni dopo l’annuncio di una grande manifestazione popolare proposta dal segretario Pd all’Assemblea del partito (20 Giugno): «Veltroni non ha nessun diritto di parlare, con tutti i debiti che ha lasciato. Taccia e faccia opposizione» (Tg 1, 20 Giugno, ore 20).
3 - «Tacere e fare opposizione» è il motto perfetto per definire questa Italia berlusconiana e il pericolo che corre. Se, come sta accadendo, il berlusconismo continua ad espandersi e a conquistare per il suo capo e i suoi uomini sempre più franchigia, sempre più esenzione dalle sanzioni della legge, allora il silenzio dei cittadini, che non sentono voci alte e chiare di contraddizione al regime, quel silenzio può diventare il silenzio-assenso su cui punta il movimento berlusconista, e che ha già dato la sua paurosa prova in Sicilia.
4 - Come si vede e si impara dalla clamorosa parabola discendente di George Bush (dal 70 per cento di gradimento al 70 per cento di rifiuto, nonostante la sua seconda elezione sia stata un trionfo) l’opposizione netta, vigorosa, visibile, su ogni punto chiama i cittadini e porta risultati persino a partire da una minoranza sconfitta. Quella minoranza, in America, non ha mai ceduto, non ha mai fatto cose “insieme” con il suo avversario, perché accusato di illegalità e di avere violato la Costituzione. Alla fine della lunga marcia quella minoranza ha incontrato il Paese, e, divenuta maggioranza a causa della sua testarda opposizione, si appresta a guidare una nuova epoca per gli Stati Uniti. Perché questa non potrebbe, non dovrebbe essere la nostra storia?
furiocolombo@unita.it
Al centro della scelta le crescenti polemiche verso i senatori a vita, accusati di sostenere il governo
L’ex presidente della Repubblica da molti mesi non va più in Aula per le votazioni
di Marco Galluzzo (Corriere della Sera, 18 ottobre )
ROMA - Ciò che faccio lo faccio per senso dello Stato, ama dire Ciampi. E non è un modo per rivendicare o difendersi, ma una linea di condotta, un metodo, che ha più volte esplicitato, con le parole come con le decisioni, nella sua lunga esperienza istituzionale: alla Banca d’Italia come al governo, al Quirinale come nelle scelte che ha sin qui compiuto da senatore a vita. Carlo Azeglio Ciampi da molti mesi non va più in Aula al Senato, preferisce stare nel suo studio, rispondere ai tanti impegni istituzionali che ancora lo coinvolgono come presidente emerito della Repubblica. Esiste anche un mestiere di ex presidente, che lo porta in giro per l’Italia, a visitare comuni e province, di centrodestra (che lo accolgono, a suo dire, con enorme entusiasmo) come di centrosinistra, partecipare a iniziative politiche e sociali, dare un contributo di esperienza, di rappresentanza.
Un mestiere che Ciampi ha amato e ama ancora più di ogni altro, poiché consente il contatto con gli italiani, la conferma di un rapporto di sintonia che durante il suo mandato (tradotto in indici di gradimento) è stato fra i più alti della storia della Repubblica. Quel mestiere, e i valori che lo sostengono, hanno allontanato negli ultimi mesi il Presidente dal Senato. Diradato le sue apparizioni in Aula, sino ad annullarle. Fatto maturare la convinzione che l’imbarbarimento attuale dello scontro politico poco si concilia con il patrimonio di immagine accumulato negli anni.
Sembra che anche queste riflessioni, che Ciampi non ha nascosto ad altri senatori, abbiano prodotto l’assenza di qualche settimana fa, in occasione del voto sul viceministro Visco. In quel caso mancava un altro presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, impegnato ad un cerimonia religiosa in ricordo di San Francesco e del suo testamento.
Quel giorno in Senato la maggioranza si salvò per un solo voto. E in molti si interrogarono sulla scelta di Scalfaro come di Ciampi. A sinistra con preoccupazione, a destra sperando che le assenze fossero l’inizio di un distacco progressivo dalle sorti del governo. Sia la preoccupazione che la speranza non fanno probabilmente il conto con la storia dei due uomini, che non può essere legata al contingente, alla contabilità continua della possibile crisi.
Ma certamente esiste un imbarazzo che cresce. E che non è legato alle sole accuse, talvolta sopra le righe, talvolta smodate, di coloro che criticano l’appoggio dei senatori a vita al governo. In Ciampi esiste la consapevolezza che esiste anche una soglia oltre la quale il senso dello Stato può essere dirottato sulla salvaguardia di altri valori, importanti come o forse più della stabilità, della tenuta di un governo. Soprattutto se questa esige un sacrificio che rischia di mettere a repentaglio l’immagine dei senatori a vita (di nomina come di diritto), se non quella dello stesso Quirinale (che di riflesso vive anche delle scelte di chi ne è stato inquilino per 7 anni). Non è il rischio di passare per un uomo di parte che potrebbe tenere, anche in futuro, l’ex presidente lontano dal Senato. Ma le riflessioni e le amarezze, di cui qui si dà conto, avranno un ruolo decisivo nella scelta.
La Lega attacca: "Stop agli stanziamenti
all’istituto di ricerca della Montalcini"
ROMA - "Eliminare gli stanziamenti ad hoc per la fondazione Ebri (European brain research institute) della senatrice a vita Rita Levi Montalcini": la proposta, messa nero su bianco con un emendamento al decreto legge che accompagna la manovra, è della Lega. Lo ha annunciato il capogruppo del Carroccio al Senato Roberto Castelli, nel corso di una conferenza stampa per presentare le modifiche alla Finanziaria. "E’ un grande spreco - ha spiegato Castelli - ed un immorale mercimonio".
Il Centro Europeo di Ricerca sul Cervello (European Brain Research Institute - EBRI) è un’organizzazione senza scopo di lucro, nata con la missione di studiare il sistema nervoso centrale, dai neuroni al cervello. EBRI è stato fondato e ispirato scientificamente da Rita Levi Montalcini, di cui è presidente.
* la Repubblica, 17-10-2007.
Insulti a Napolitano
indagato Storace
ROMA - Francesco Storace è indagato dalla procura di Roma per il reato di offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica. L’iniziativa della procura fa seguito alle affermazioni di Storace nei confronti del Capo dello Stato, dopo che Giorgio Napolitano aveva difeso la senatrice a vita Rita Levi Montalcini dalle critiche dello stesso esponente di An. Il senatore de La Destra aveva detto: "E’ indegno di ricoprire il suo ruolo". E Francesco Storace replica: "Nel nome dell’amor di casta, viva la Procura della Repubblica di Roma".
Il reato ipotizzato della Procura (stabilito all’articolo 278 del codice penale) prevede l’autorizzazione a procedere del guardasigilli, Clemente Mastella. Nel caso questi non dia il via libera, il procedimento dovrà essere archiviato per mancanza della condizione di procedibilità.
* la Repubblica, 15-10-2007
Ansa» 2007-10-14 21:29
STORACE: NON MI PENTO. BERLUSCONI LO DIFENDE
di Alessandra Chini
ROMA - Il giorno dopo il polverone piovutogli addosso per aver dato dell’"indegno" al presidente della Repubblica, il leader della ’Destra’ Francesco Storace non arretra. Non è pentito, ma fa comunque sapere che scriverà al Quirinale per avere udienza. E in sua difesa arriva la presa di posizione del leader azzurro Silvio Berlusconi: "Capita a tutti di sbagliare, errare humanum est", dice il Cavaliere che chiede al senatore di riconoscere l’errore per non fornire alibi all’Unione. Restano le critiche del centrosinistra e nel centrodestra sono soprattutto i centristi a stigmatizzare la sua uscita.
"La mia non è una polemica - puntualizza Storace che ieri aveva risposto alle critiche con "uno sbadiglio" - ma la risposta ad un attacco, non riesco a vedere il motivo di tante reazioni e non comprendo tutta questa ipocrisia. Ci tengo a sottolineare che non voglio la guerra totale. Non sono pentito di questo polverone, ho solo espresso un’idea come prevede la Costituzione".
Insomma, sembra chiedere Storace, dove sta lo scandalo? Tanto più che sono altri, a suo avviso, i temi sui quali ci si dovrebbe indignare. E’ questo, in buona sostanza, quello che andrà a dire al Quirinale, se verrà ricevuto. "Domani - spiega - scriverò a Napolitano sul caso di un italiano affetto da una grave sindrome per cui non può muoversi né comunicare per la completa paralisi dei muscoli del corpo e che vive con soli 23 euro al giorno per affrontare la sua malattia, la parola indignazione credo sia più adatta a situazioni del genere". Inoltre, il giorno dopo la bufera sulle sue parole, l’ex governatore del Lazio ricorda i casi in cui il centrosinistra attaccò il Colle ("volevano portare davanti all’Alta corte per alto tradimento Francesco Cossiga") così come le posizioni del centrodestra sui senatori a vita ("non ho fatto che ripetere i giudizi che sono stati pronunciati in questo anno e mezzo in primis dai leader del centrodestra").
Appena rientrato dalla Russia, però, il leader azzurro Berlusconi scende in campo a sua difesa. "Capita a tutti di sbagliare - sottolinea l’ex premier - errare humanum est. Questa volta è capitato anche a Francesco Storace e me ne dispiaccio. Sono sicuro, però, che non gli mancherà l’intelligenza per riconoscerlo, come ha avuto il coraggio di fare altre volte". In questo modo, sottolinea il Cavaliere, "toglierà alla sinistra un pretesto e un’arma per continuare ad attaccarlo". Berlusconi a parte, Storace, però, non trova troppa comprensione nel resto della Cdl. Per il centrista Rocco Buttiglione, infatti, il suo è stato "un errore, un errore grave" visto che "Napolitano fa un mestiere difficile e davvero non si merita che glielo si renda ancora più difficile con uscite di quel tipo".
Un po’ più morbido ma sempre sulla stessa linea il vice coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto. "Francamente - sottolinea l’azzurro - non mi sento di condividere ciò che ha detto Francesco Storace, non solo per il merito delle sue affermazioni, ma perché il nodo dei senatori a vita non può essere affrontato e risolto né con attacchi personali ad alcuni di essi, né con ammonimenti istituzionali per quegli attacchi". Il problema, dice Cicchitto, sono le scelte "squilibrate" di Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi.
La richiesta avanzata dal procuratore nei confronti del governatore della Sicilia
Gli avvocati chiedono il trasferimento del processo "per grave situazione ambientale"
Mafia, chiesta condanna a 8 anni per Cuffaro
Berlusconi: "Sono solidale con lui" *
PALERMO - Otto anni di reclusione: questa la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, al termine della requisitoria nel processo alle cosiddette "talpe della Dda", nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, imputato di favoreggiamento a Cosa nostra e rivelazione di notizie riservate. I pm hanno poi chiesto la condanna a 18 anni per il manager della sanità privata Michele Aiello, che deve rispondere di associazione mafiosa; nove anni per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, accusato di concorso in associazione mafiosa; cinque anni per il radiologo Aldo Carcione, imputato di concorso in rivelazioni di segreto d’ufficio. Pene pecuniarie sono state invocate per le società Atm (1 milione e 549 mila euro) e per la Diagnostica per immagini (un milione di euro).
Al fianco del Governatore si schiera Silvio Berlusconi che conferma "la solidarietà" a Cuffaro. "La stima che nutro nella sua intelligenza mi fa escludere in maniera assoluta che egli possa essere coinvolto in quelle vicende in cui si pretende di coinvolgerlo" dichiara il presidente di Forza Italia.
"Questo è stato definito il processo alle ’talpe’ - ha detto il procuratore Pignatone, alla fine della requisitoria, prima di formulare le richieste di pena - ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici. Mai, come in questo processo è stato ricostruito, in un’aula giudiziaria, il fenomeno delle fughe di notizie, rivelando un panorama desolante di sistematico tradimento anche da parte di esponenti degli apparati investigativi".
In riferimento alla fuga di notizie, attribuita al governatore della Sicilia, sull’esistenza di intercettazioni a casa del boss Guttadauro, che nel 2001 portò alla rimozione della microspia e alla neutralizzazone dell’indagine, Pignatone ha sottolineato la "gravità della condotta di Cuffaro, che in quei giorni veniva eletto presidente della Regione siciliana". L’ultima considerazione, Pignatone l’ha dedicata al "comportamento processuale degli imputati" perché "non è stato possibile ricostruire l’intera catena delle rivelazioni delle notizie riservate, e dunque accertare se vi era una fonte interna alla Procura, e chi era quella persona in diretto collegamento con Roma, con cui Cuffaro commentava l’esito delle indagini".
"A questo punto ci aspettavamo una richiesta pesante, peraltro anticipata anche in questi giorni da qualcuno. Certo, non ci attendavamo il massimo previsto dalla legge. Comunque da noi, anche la richiesta di un solo giorno di carcere, sarebbe stata ritenuta eccessiva". Questo il commento dei legali di Cuffaro, Nino Caleca e Nino Mormino, che proprio questa mattina hanno depositato, nella terza sezione del Tribunale di Palermo, l’istanza in cui chiedono la "remissione" del processo in altra sede giudiziaria per "la grave situazione ambientale". A decidere sarà la Cassazione.
* la Repubblica, 15 ottobre 2007.
Fascismo è...
di Furio Colombo *
Un ragazzo simpatico, questo Storace, molto ragazzo benché over fifty, molto autentico, un po’ impulsivo, ma con i tratti tipici del giovane uomo impaziente che controlla fino a un certo punto i suoi scatti di vitalità e di energia, sa ridere, sorridere e irridere, tutto gli viene condonato perché, si sa, sono ragazzi.
Questo il ritratto che Matrix ha offerto di lui la sera del 17 ottobre di fronte al giornalista Mentana che ha avuto la buona idea di metterselo seduto di fronte due giorni dopo la violenta e ignobile aggressione a Rita Levi Montalcini. E la cattiva idea di autorizzare il suo interlocutore a cambiare come voleva le parole del suo attacco...
E a descrivere da solo ragioni, svolgimento, ed esito dei suoi processi, mai confrontato da un testo o da un documento (lei veramente ha detto... per la verità i giudici hanno scritto...). Mai interrotto nelle sue festose scorribande, come quando fa sapere «non avrei mai detto ciò che Fini ha detto a Gerusalemme, nel luogo che ricorda la Shoah» (nessuno in studio ha ricordato la frase di Fini sul «fascismo male assoluto») e baldanzosamente precisa: «il fascismo è stata luce e ombra». Non segue alcun commento e lui allarga un sorriso. Sa che chi accorrerà alla sua «destra» (il partito che ha appena fondato) non va alla destra di mercato ma alla luce del fascismo.
Perché ne parlo? So benissimo che dai tempi di Berlusconi, questa è la televisione, in Italia, sia quella pubblica che quella privata: domande amiche, nessun riscontro o confronto sulle risposte, dici quello che vuoi, menti come vuoi, e se non hai alcuna reputazione da difendere sei nel tuo elemento.
Ne parlo perché in quella trasmissione c’ero anch’io, una lunga intervista filmata bene (al Senato, tra un voto e l’altro) tagliata bene, montata con cura, senza dispersioni o frammentazioni.
All’annuncio della mia intervista, Storace (affettuosamente definito «Franti» nel titolo, forse con un riferimento colto al brano del diario minimo di Eco «E Franti l’infame sorrise»), ha pacatamente messo in dubbio il mio equilibrio mentale. Alla fine si è concesso due aneddoti, perché, si sa, i ragazzi hanno bisogno di sfogarsi e più sono sbruffoni e più sono simpatici, o questo era il tono del programma. Insultare Rita Levi Montalcini, a quanto pare, crea rispetto, attenzione cautela, un certo calore. Soprattutto crea un’ora di televisione benevola (le parole del capo dello Stato e il testo della Sen. Montalcini, pubblicato da Repubblica, li abbiamo ascoltati solo dalla voce e nella versione di Storace) e un autorevole, incontrastato diritto di ultima parola.
Dunque di me Storace racconta che sono passato dalla Fiat al comunismo, con il tono furbo di uno che svela: «questa è buona, sentite questa...». Segue attenzione e silenzio compunto del conduttore.
Allora, con senso dello spettacolo, Storace cambia tono e - sempre sicuro di condurre lo show - racconta: «Colombo questa mattina l’ho incontrato in Senato. Quando è passato vicino a me ha abbassato gli occhi».
Tutti gli altri punti della trasmissione riguardano Mentana. Questo riguarda me e sono in grado di rispondere a Storace: non ho abbassato gli occhi davanti al fascismo neppure da bambino. E infatti non dimentico. Storace sa bene - anche se è temperamentalmente incline a mentire come i suoi amici negazionisti - che non abbasso gli occhi, adesso, né di fronte a lui né di fronte a coloro che formeranno il suo nuovo partito di destra-Salò, prima di confluire con una marcia gloriosa con Berlusconi, dove i meriti del suo tipo vengono prontamente riconosciuti.
Se la destra è mercato, Storace si è messo in proprio, ha trovato negli insulti a Rita Levi Montalcini (di cui ha insinuato: «Era molto contenta quando riceveva i soldi dalla Regione Lazio») e nella volgarità dedicata al capo dello Stato, il suo avviamento, e in Matrix il suo maxi-spot. Ha anche detto, per far sapere al pubblico che non è solo: «Quante storie, ma se tutta la Casa delle libertà insulta ogni giorno i senatori a vita perché si permettono di votare». Ha detto, senza obiezioni da studio, che l’Assemblea Costituente (lui lo sa) voleva vietare il voto dei senatori a vita. Forse Mentana aveva davvero intenzione di confrontare Storace e la sua immensa volgarità con una intervista rivelatrice. Ma non gli è riuscito. Forse Storace ha un suo peso (non necessariamente morale) ed è consigliabile «maneggiarlo con cura».
Forse, come diceva Moravia di gente che non gli piaceva: «Parla perché ha la bocca». Quanto a Storace, che ha toccato in questi giorni il punto più basso della politica italiana da molti anni, parla perché ha uno studio. Ma questa, caro Diario, è l’Italia dei nostri giorni.
* l’Unità, Pubblicato il: 19.10.07, Modificato il: 19.10.07 alle ore 8.49
FINI: PRESTO AL GOVERNO
(di Francesco De Filippo) *
ROMA - Una manifestazione imponente. Ieri An ha portato in piazza 500 mila persone (secondo gli organizzatori) tra simpatizzanti del partito e del centrodestra. Migliaia di bandiere bianco-azzurre hanno sventolato nel centro di Roma in tre cortei che, come immensi tentacoli, si sono chiusi intorno al Colosseo simili a un abbraccio.
Tre cortei - quello partito da piazza della Repubblica e’ stato il piu’ importante e corposo - non particolarmente chiassosi come di solito le manifestazioni, anzi, prevalentemente silenziosi, ma molto partecipati. Silenzioso ma graffiante, a tratti greve, specie nei confronti di Romano Prodi, obiettivo principale e quasi esclusivo di striscioni e slogan. Domenico Gramazio ha portato in strada una mortadella lunga tre metri caricata su un carretto trainato da un cavallo, ha indossato un camice bianco e ha cominciato ad affettarla.
Giganteschi palloni gonfi di elio galleggiavano a una decina di metri di altezza con attaccati striscioni con la scritta ’’Via’’ e la foto di Prodi o quella di Marrazzo. Da Cosenza alcuni hanno portato un gigantesco presidente del Consiglio che balla nudo su una padella posta sopra la fiamma dell’Msi: ’Mortadella in padella’. Azione Giovani, sentendosi parte in causa, non poteva evitare qualche riferimento ai bamboccioni di Padoa Schioppa. Ma la speranza, esplicitata da Fini nel discorso finale, e’ la spallata al Governo, non a caso lo striscione che apriva il corteo principale portava la scritta ’’Elezioni subito’’.
Millecento autobus, vari treni gratuiti, catering: An ha fatto le cose in grande per portare in piazza dagli adolescenti agli anziani, dal Meridione come dal Nord. Forse la piu’ grande manifestazione del partito di Fini, con un contributo degli alleati del centro destra. Qualcosa del genere era riuscito alla destra in occasione della manifestazione in piazza San Giovanni del 2006, ma appunto si trattava di tutta la CdL. Protagonista al suo arrivo in piazza della Repubblica e’ stata comprensibilmente Alessandra Mussolini, che, circondata da uno stuolo di fan con berretto nero, camicia rossa e pantaloni neri si e’ stretta in vita un foulard nero con la scritta Azione sociale e si e’ sistemata alla testa del corteo. Una mossa azzardata: mentre in Fini in moto faceva la staffetta tra i vari cortei per poi non seguirne nessuno e attendere l’arrivo della folla sul palco del Colosseo, Gianni Alemanno e Maurizio Gasparri avevano con l’eroina della destra un breve battibecco.
Alla fine la nipote del Duce finiva nelle seconde e terze file a fare da compagnia alla semi-invisibile Michela Vittoria Brambilla, che vari giornalisti hanno intervistato telefonicamente ma che nessun cameramen o fotografo e’ riuscito ad immortalare, giacche’ in realta’ nessuno l’ha vista. Nella folla spunta anche un gruppo di africani di un Circolo della liberta’ impegnati per lo sviluppo del loro continente ma anche qualche (pochissime) croce celtica. Quando squillano le prime note dell’inno di Mameli, pero’, in pochi si contengono, parte il canto ma si levano decine e decine di braccia tese nel saluto romano. Dall’alto, tra gli elicotteri della polizia, un velivolo transitava di continuo portando uno striscione: ’’Con Fini la destra moderna’’.
Sfilati per la citta’ i cortei hanno assiepato i Fori imperiali disseminati di maxischermi per seguire le immagini di quanto accadeva sul palco. Qui, oltre ai big del partito, si sono alternati al microfono esponenti della cosiddetta societa’ civile, dunque generali dei carabinieri, imprenditori coraggiosi che non hanno piegato la testa davanti alla ’ndrangheta o alla camorra, figli di vittime di terrorismo o di immigrati.
* ANSA» 2007-10-14 09:19
Il presidente dell’Assemblea regionale siciliana (Forza Italia) si lascia andare
a un commento poco opportuno. Poi, capito lo scivolone, ritratta...
Micciché e la gaffe su Falcone "Triste un aeroporto col suo nome"
di CONCITA DE GREGORIO *
L’HA DETTO col cuore, si capisce. Ha detto che quando uno va in Sicilia si deprime subito, già quando arriva all’aeroporto: se per esempio un viaggiatore giapponese sedicenne o un turista veronese con l’Alzheimer non avessero a mente che in Sicilia c’è la mafia ecco quella targa, appena arrivato, a ricordarglielo. "Aeroporto Falcone-Borsellino". Che disastro, "che immagine negativa trasmettiamo subito col nome dell’aeroporto", ha commentato il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Micciché, di Forza Italia.
Uomo ottimista e positivo che associa all’isola, piuttosto, il pensiero del latte di mandorle e dei fichi d’India oltre che quello dei milioni di voti con cui è stato eletto, recordman di preferenze e artefice del celebre 61 a 0, tutti voti antimafia fino all’ultimo, va da sé. Poi, quando Maria Falcone sorella del magistrato ucciso, una donna che da anni passa le mattine nelle scuole dell’isola a parlare ai ragazzi di legalità, gli ha fatto con fermezza notare che l’aeroporto non è intitolato a Riina o a Provenzano "ma a due eroi italiani che credevano nel riscatto della nostra terra combattendo le cosche" persino Micciché si è reso conto. Si è scusato della "frase infelice", l’ha "ritirata".
Una frase, però, non si può ritirare e rimettere in tasca come fosse un pizzino: quanto è detta è detta. In pubblico, davanti a molte persone: è detta. Si può semmai spiegare anche se serve a poco, di solito anzi peggiora. Che Micciché trovi negativo "per l’immagine della Sicilia" vedere scritto il nome di Falcone ogni volta che atterra a Palermo si può capire, mettendosi nei suoi panni. Che noia, questa lagna della mafia. Che freno allo sviluppo e al giulivo rincorrersi di innamorati sulle spiagge, al turismo e agli investimenti nelle cliniche private, per dire, ma anche a quel che Bill Gates potrebbe fare per l’isola portando centri di ricerca Sicilia e invece niente, vede la targa all’aeroporto e si spaventa. Così ecco la soluzione: cancellare i nomi di chi in quella guerra ci è morto.
Niente nomi niente guerra. Niente targhe niente mafia. Delete, come al computer. La memoria è labile, alimentiamola piuttosto di feste folkloristiche in costume, carretti dipinti e processioni di madonne. E’ uno di quei pensieri si suppongono diffusi per quanto indicibili. Tocca smentirle ma sotto sotto chissà quanti la pensano così. Portiamo a Roma le mogli così i parlamentari non hanno bisogno di servirsi delle prostitute. Affondiamo i barconi degli immigrati prima che sbarchino. La mafia è inevitabile, bisogna imparare a conviverci. Una frase di queste: le dicono leader di partito e ministri ma poi ritrattano, correggono, ritirano l’irritirabile.
Tante scuse, baciamo le mani, niente di grave. Micciché, che deve la sua fortuna politica all’amicizia con Dell’Utri incontrato una sera a cena a Milano (erano insieme al Toulà, l’importante è farsi trovare al posto giusto dalla persona giusta) è passato indenne da altre tempeste. Figuriamoci se può dimettersi, come ora gli chiede l’opposizione, per due parole dal sen fuggite. Ha da fare, in questi giorni. Venerdì comincia il convegno "Giovane azzurro e siciliano: orgoglioso di esserlo": sarà sul palco. L’orgoglio isolano, questo bisogna alimentare. Le parole se le porta il vento.
Del resto in Sicilia, ha spiegato lui una volta, "bisogna interpretare parole e riti, andare al di là delle apparenze". Uno ti dice: andiamo a prendere un caffè? "L’unica cosa certa è che non ha davvero voglia di un caffè. Forse ha voglia di fare due passi, o di farsi vedere in piazza con te, o vuole ammirare il seno della commessa". Ecco, il seno della commessa, senz’altro quello.
* la Repubblica, 11 ottobre 2007.
LA LETTERA
Le stampelle di Storace ricordano il regime
di RITA LEVI-MONTALCINI
CARO DIRETTORE, ho letto su Repubblica di ieri che Storace vorrebbe consegnarmi, portandomele direttamente a casa, un paio di stampelle. Vorrei esporre alcune considerazioni in merito.
Io sottoscritta, , in pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, continuo la mia attività scientifica e sociale del tutto indifferente agli ignobili attacchi rivoltimi da alcuni settori del Parlamento italiano.
In qualità di senatore a vita e in base all’articolo 59 della Costituzione Italiana espleterò le mie funzioni di voto fino a che il Parlamento non deciderà di apporre relative modifiche. Pertanto esercito tale diritto secondo la mia piena coscienza e coerenza.
Mi rivolgo a chi ha lanciato l’idea di farmi pervenire le stampelle per sostenere la mia "deambulazione" e quella dell’attuale Governo, per precisare che non vi è alcun bisogno. Desidero inoltre fare presente che non possiedo "i miliardi", dato che ho sempre destinato le mie modeste risorse a favore, non soltanto delle persone bisognose, ma anche per sostenere cause sociali di prioritaria importanza.
A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse "facoltà", mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria.
* la Repubblica, 10 ottobre 2007.
Il nuovo partito "La destra" aveva inviato alla senatrice a vita le stampelle
Il premio Nobel aveva già risposto: "Metodi da sistemi totalitari di triste memoria"
Napolitano: "Indegno intimidire la professoressa Rita Levi Montalcini"
E lei, commossa: "Grazie al Presidente. E anche a Storace: il suo attacco ha svelato che l’Italia mi vuole bene"
ROMA - "Mancare di rispetto, tentare di intimidire la professoressa Rita Levi Montalcini, che ha fatto tanto onore all’Italia, è semplicemente indegno". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante una cerimonia al Quirinale.
Il Presidente replica così al volgare e violento attacco organizzato mercoledì da La destra, il nuovo partito del senatore Francesco Storace transfuga di An. Qualche gagliardo giovanotto di destra infatti aveva pensato di spedire in dono al premio Nobel per la medicina nel 1986 delle stampelle. Doppio il significato dell’arguta idea: sostenerla fisicamente - la senatrice a vita ha 98 anni - e come simbolo del fatto che "questa maggioranza si regge solo con le stampelle dei senatori a vita".
Stamani al Quirinale vengono premiati gli studenti vincitori del concorso ambientale Immagini della Terra promosso dalla Fondazione Green Cross Italia. In sala, tra i giovani, il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio e la senatrice Levi Montalcini, presidente onorario di Green Cross. Napolitano si è rivolto a lei per salutarla e indicarla ai 300 studenti provenienti da tutta Italia come un grande esempio per tutti. "E’ una grande scienziata. Una donna di alto sentire democratico e merito civile. Il mio predecessore al Quirinale l’ha nominata senatrice a vita e non poteva esserci una scelta migliore".
Subito dopo Napolitano ha definito "semplicemente indegno" ogni tentativo di mancarle di rispetto o intimidirla. I ragazzi si sono alzati in piedi in un lungo e appassionato applauso. Il premio Nobel si è commosso. "Sono grata a chi mi ha offeso perchè mi ha svelato che l’Italia mi vuole bene. Quindi, grazie a Storace e al presidente della Repubblica che con le sue parole mi ha molto molto commosso".
A dir la verità la senatrice aveva già provveduto a difendersi da sola e benissimo con una lettera a La Repubblica che aveva dato la notizia delle stampelle. "Non ho alcun bisogno delle stampelle - ha scritto la senatrice - Sono in pieno possesso delle mie facoltà intellettuali e fisiche e come senatore a vita espleterò fino in fondo le mie funzioni di voto". E poi, con sottile e spietata ironia: "Esprimo il mio profondo sdegno a quanti non possiedono le mie stesse facoltà mentali perchè le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria".
* la Repubblica, 12 ottobre 2007.
A proposito di Licio Gelli
di Marco Travaglio *
Caro Antonio [Padellaro], ho letto il tuo bellissimo editoriale di ieri. Tanto più bello in quanto raro, visti gli incredibili attacchi e insulti scagliati contro AnnoZero e contro chi ci lavora dalla stragrande maggioranza dei politici e dei giornali. Ti rispondo per la parte che mi riguarda, cioè per il post scriptum. La lettera di Licio Gelli era, ovviamente, frutto della mia fantasia, ma fino a un certo punto. Nel 1997 ho avuto modo di intervistare il cosiddetto Venerabile a proposito della Bicamerale che allora, sotto la presidenza D’Alema, si adoperava alla riforma costituzionale della giustizia a colpi di bozze Boato. Gelli era entusiasta di quelle bozze, tant’è che mi disse: «Dovrebbero darmi il copyright». Poi, fortunatamente, il suo discepolo Silvio fece saltare il banco perché pretendeva ancora di più (cioè, se possibile, di peggio). Quell’intervista m’è tornata in mente quest’estate quando, con la scusa di scongiurare l’entrata in vigore dell’ordinamento giudiziario Castelli, l’Unione ha approvato in fretta e furia l’ordinamento giudiziario Mastella. Che, pur essendo un po’ meno peggio della Castelli (quisquilie), separa di fatto le carriere tra giudici e pm: per passare dall’una all’altra, ora il magistrato penale dovrà cambiare regione. Così gli scambi dalla requirente a quello giudicante, che l’Europa raccomanda agli stati membri di agevolare in ogni modo, saranno difficilissimi, dunque rarissimi. Ci avevano provato Gelli, Craxi e Berlusconi, a separare le carriere. Invano. L’Unione, con la riforma Mastella, di fatto ci è riuscita. È tanto paradossale immaginare che il venerabile Licio ne sia felice?
Per questo - hai capito bene - l’altra sera parlavo sul serio. Non so te, ma se io avessi saputo che il ministro della Giustizia sarebbe stato Mastella e che costui avrebbe, nell’ordine, sponsorizzato l’indulto, separato di fatto le carriere dei giudici, vietato ai giornalisti di parlare delle indagini giudiziarie e di pubblicarne gli atti, perseguitato i magistrati più coraggiosi ed esposti del Paese, io l’anno scorso non sarei andato a votare per l’Unione, come purtroppo ho fatto. E credo che molti, come me, se ne sarebbero rimasti a casa.
Come hai scritto nel tuo editoriale, AnnoZero ha mostrato una realtà che esiste: un pm isolato e sotto attacco, sia da parte del governo sia da parte della ’ndrangheta; una società civile, quella calabro-lucana, che si è svegliata e fa scudo con migliaia di cittadini, perlopiù giovanissimi, ai suoi (pochi) magistrati veri. Questi sono i fatti che abbiamo mostrato. Un sondaggio condotto da Sky dopo AnnoZero dice che l’85% dei cittadini sta con De Magistris e con la Forleo, contro i politici che li attaccano. Un sondaggio condotto da la Repubblica dice che l’82% dei lettori sta con Santoro e contro chi lo insulta o addirittura lo vorrebbe riepurare. Con chi sta il governo Prodi? Purtroppo, visto il ricatto permanente che Mastella esercita su Prodi, su tutta la maggioranza e sulla Rai, il governo è contro quei magistrati, contro AnnoZero e contro la stragrande maggioranza dei cittadini.
Lo so anch’io che Prodi non è Berlusconi, Padoa-Schioppa non è Tremonti e - aggiungo - Di Pietro non è Lunardi (altrimenti non avrei votato per l’Unione). Che Mastella sia diverso da Castelli, a parte un cambio di vocale e uno di consonante, ho i miei seri dubbi: e comunque lo penserò quando manterrà una sola delle promesse elettorali dell’Unione in materia di giustizia, cancellando tutte le leggi vergogna, anziché mandarle in vigore con qualche ridicolo ritocco (ordinamento giudiziario) o aggiungerne di nuove o perseguitare i magistrati migliori. E comunque i governi non si giudicano solo per le facce che esibiscono: si giudicano soprattutto, per la politica che fanno. Bene, anzi male: in tema di giustizia e di informazione siamo ancora, più che mai, nell’èra Berlusconi. Tu dici: «Certi partiti e certi ministri commettono errori». Eh no, caro Antonio: errare humanum, perseverare diabolicum. Errori potevano essere quelli dell’Ulivo nella legislatura 1996-2001, quando non fu risolto il conflitto d’interessi, non fu varata la legge antitrust sulle tv e furono approvate una dozzina di leggi contro la Giustizia in perfetta sintonia (e con i voti) del centrodestra. Se le stesse persone di allora ricadono nelle stesse vergogne e omissioni di dieci anni fa, vuol dire che quelle non sono (e non erano) “errori”: sono (ed erano) i frutti di un progetto politico ben ponderato, che considera i poteri di controllo - informazione libera e magistratura indipendente - come fastidiosi intrusi da scacciare dal tempio della casta.
Non c’è bisogno di cercare “fili invisibili” o “manovre occulte” per spiegare tutto ciò: come hai scritto, «tutto il bene e tutto il male del governo Prodi lo abbiamo sotto gli occhi». Infatti abbiamo sotto gli occhi il caso di una giudice che chiede il permesso di usare le intercettazioni di alcuni parlamentari forzisti e diessini e viene insultata e attaccata per mesi senza soluzione di continuità (e senza uno straccio di solidarietà dall’Anm); e abbiamo un pm che indaga su Prodi e sui migliori amici di Mastella (da Saladino dell’ex piduista Bisignani) che rischia di essere defenestrato su richiesta di Mastella, cioè del governo Prodi (senza uno straccio di solidarietà dall’Anm). È proprio tutto sotto i nostri occhi che tanti elettori dell’Unione sono inferociti o sconcertati: perché queste cose accadono davvero, non perché AnnoZero ne ha parlato o perché io ho immaginato una letterina del Venerabile.
Il guaio è la luna, non il dito che la indica. L’ha scritto anche Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia e coordinatrice della lista Veltroni a Firenze: «Il Partito democratico dica esattamente se sta con i ragazzi di Locri o con Mastella». Il Pd dica esattamente se sta con Salvatore Borsellino, con Sonia Alfano, con Rosaria Scopelliti, o se li considera un branco di facinorosi. Risposta: silenzio assordante dai maggiori candidati alla guida del Partito democratico.
Non a te, che hai cortesemente dissentito, ma ai tanti colleghi e politici che mi hanno insultato, vorrei rivolgere questa semplice domanda: che cosa direste oggi se queste cose le facesse (anzi, le rifacesse, perché ha già fatto tutto lui prima di Mastella) Berlusconi? Che i giudici non hanno diritto di parola? Che i giornalisti non hanno diritto di cronaca e di critica? Che il Cavaliere commette qualche “errore” in buona fede? E con quale credibilità potrete criticare Berlusconi se tornerà a manomettere la libertà d’informazione e l’indipendenza della magistratura? Ecco, è questa doppia morale che trovo francamente insopportabile. Perché tende a nascondere e a minimizzare quel che accade e rende impossibile ciò che tutti noi non smettiamo mai di sperare: e cioè che, a furia di frustate, questo governo, proprio perché composto in gran parte da persone perbene, rinsavisca, si dia una regolata, ammetta di avere sbagliato e spenda i prossimi mesi a realizzare ciò che tanti elettori si augurano dal maggio 2006. Anche per questo, a costo di passare per barbaro, esibizionista e disinformatore, intendo seguitare a non nascondere e a non minimizzare nulla sotto il ricatto: «Zitto, se no torna Berlusconi». Anche perché Berlusconi non ha bisogno di tornare: purtroppo, non se n’è mai andato.
Anche io spero che su giustizia e legalità questo governo spenda i prossimi mesi (e i prossimi anni) a realizzare ciò che gli elettori hanno chiesto e che si può leggere nel famoso programma dell’Unione. Mastella a parte, anche tu concordi che il governo Prodi non è il governo Berlusconi. Non dimentichiamolo mai.
Antonio Padellaro
* l’Unità, Pubblicato il: 08.10.07, Modificato il: 08.10.07 alle ore 9.32
Fabio Mini: tutto pronto per guerra in Iran, l’Italia combatte già
Un articolo del Gen. Mini tratto da espresso - repubblica *
Con una nota del nostro direttore *
La guerra contro l’Iran, secondo il gen Mini, starebbe dunque per scattare e l’Italia sarebbe già in prima linea. Il soldato del SISMI morto in Afghanistan probabilmente stava "lavorando" proprio per tale scopo. Il tutto senza che il parlamento, il presidente della Repubblica ed il Popolo Italiano sappia alcunchè di cosa stia effettivamente succedendo in Afghanistan e quali siano le vere intenzioni degli Stati Uniti e del suo presidente Bush. Farà o no la guerra nell’anno che lo separa dalla elezioni per la Casa Bianca che il Partito Repubblicano rischia di perdere alla grande? O farà la guerra proprio per vincere quelle elezioni? Domande a cui non siamo in grado di rispondere. Sappiamo però che abbiamo il dovere come cittadini di questo mondo di far sentire la nostra volontà di pace.
Giovanni Sarubbi
Operazione sciame di fuoco
di Fabio Mini
Tutto è pronto per la guerra. E l’offensiva non colpirà soltanto gli impianti nucleari ma cancellerà tutta la potenza iraniana. Concentrando le forze d’attacco più moderne in orde come quelle di Gengis Khan
Chi pensava che il via libera all’attacco israelo-statunitense all’Iran sarebbe venuto dal Congresso americano si sbagliava. E si sbagliava anche chi pensava che un presidente Bush frustrato dal caos iracheno, dallo stallo afghano e dalle pressioni delle lobby industriali avrebbe finito per decidere da solo. L’attacco all’Iran si farà grazie alle dichiarazioni del neo ministro degli Esteri francese Kouchner. In questi anni di minacce e controminacce, di scuse e pretesti per fare la guerra le uniche parole ’rivelatrici’ sono state quelle della laconica frase "ci dobbiamo preparare al peggio". Molti le hanno prese come uno scivolone, altri le hanno considerate una provocazione scaramantica, altri come un incitamento e altri ancora come una rassegnazione ad un evento ineluttabile. Può essere che la frase contenga tutto ciò ma l’essenza profonda delle parole di Kouchner è diversa.
In questi ultimi 15 anni di interventi militari di vario tipo e in tutte le parti del mondo si sono stabilite strane connessioni e affinità. Gli eserciti sono integrati dai privati, gli idealisti dai mercenari, gli affari dall’ideologia, la verità si è intrisa di menzogne che neppure la logica della propaganda riesce più a scusare. Ed una delle connessioni più insolite è quella che si è realizzata tra militari, operatori umanitari e politica estera arrivando a permettere che ognuna delle tre componenti si possa spacciare per le altre due. Il collante principale di questo connubio è la concezione dell’emergenza. La politica estera ha perduto il carattere di continuità dei rapporti fra gli Stati e nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Si dedica ormai da tempo a gestire rapporti di emergenza, rapporti temporanei legati ad interessi o posizioni transitorie e mutevoli e a geometrie variabili.
D’altra parte, la politica dell’emergenza è l’unica che permette l’impegno limitato e selettivo. Inoltre, siccome la dimensione dell’emergenza può essere manipolata o interpretata, può essere costruita o smontata a piacimento. Seguendo la stessa logica, gli eserciti di questi ultimi quindici anni si sono dedicati esclusivamente all’emergenza, preferibilmente esterna e per motivi cosiddetti umanitari in modo da garantirsi consenso e sostegno. Non ci sono più eserciti capaci di difendere i propri territori o di assicurare la difesa in caso di guerra. È sempre più difficile trovare uno Stato che sia minacciato di guerra da un altro Stato e tutti gli eserciti del mondo oggi contano su un preavviso di almento 12 mesi per mobilitare le risorse idonee alla difesa nazionale. Si sono perciò specializzati nell’emergenza sia come tipo sia come tempo e ritmo degli interventi.
Quando Kouchner dice candidamente che ci dobbiamo ’preparare al peggio’ non fa altro che interpretare una filosofia che non si pone come obiettivo la ricerca del meglio, della soluzione meno traumatica, ma che invoca la gestione dell’emergenza da parte della politica, dello strumento militare e delle organizzazioni umanitarie ormai legate a doppio filo. È anche l’ammissione dell’incapacità della stessa politica nel pensare e trovare soluzioni durature, dell’incapacità degli strumenti militari di gestire situazioni conflittuali fino alla completa stabilizzazione e dell’incapacità delle organizzazioni umanitarie di risolvere i problemi della gente in una prospettiva un po’ più lunga di quella offerta dall’emergenza. Infine Kouchner ammette anche che la somma di queste incapacità conduce ineluttabilmente alla guerra. E allora guerra sia.
È evidente che in queste condizioni sono necessarie alcune forzature che garantiscano la realizzazione dell’emergenza e degli interventi delle varie componenti: deve succedere qualcosa - quello che gli analisti chiamano ’trigger’ - che determini l’emergenza politica, deve essere in immediato pericolo la sicurezza collettiva e si deve prevedere una catastrofe umanitaria (più grande è meglio è). Si deve in sostanza possedere un apparato gestibile capace di ’inventare’ l’emergenza e di inventarne la fine che consente il distacco e il disimpegno a prescindere dalla soluzione dei problemi. L’attacco all’Iran rientra perfettamente in questo quadro e, a ben vedere, è un quadro ormai quasi completo.
La disponibilità di pretesti per l’attacco è molteplice.
L’idea che l’Iran voglia sviluppare un ordigno nucleare e che voglia distruggere Israele è ormai largamente ammessa da tutti. Mancano i riscontri e le prove oltre alle fanfaronate, ma siamo stati testimoni di fanfaronate terroristiche che si sono comunque materializzate e nessuno vuole più rischiare, neppure per amore della verità. Un attacco iraniano o sostenuto dagli iraniani alle forze americane in Iraq, anche questo senza prove, sta convincendo persino i più scettici. Prima o poi, a forza di parlarne ed evocarlo, sarà preso come un invito o una sfida e sarà fatto sul serio. La politica iraniana di sostegno ad Hamas e agli Hezbollah rende Teheran estremamente vulnerabile. Basta un’intemperanza o un errore di queste formazioni per scatenare un intervento militare immediato.
La politica estera dei maggiori paesi, Europa inclusa, si è ormai abituata all’idea che un intervento armato sia in grado di ricacciare l’Iran sulle posizioni di vent’anni fa. Sta anche passando l’idea che lo scopo non è tanto e soltanto quello di impedire la formazione di una potenza nucleare, ma quello di eliminare il paese come attore regionale portatore d’interessi petroliferi e strategici in tutta l’Asia centro-meridionale. Sul piano militare tutto è ormai pronto da tempo. I piani d’attacco sono in vigore dal 1979, all’epoca della crisi dell’ambasciata Usa, e sono stati aggiornati con nuove tecnologie e strategie. La tesi che si tratti di un attacco mirato essenzialmente alle strutture atomiche senza danni collaterali per la popolazione civile è soltanto una pietosa fantasia di chi si è ormai abituato a mentire. Anche l’idea che possa essere limitato al territorio iraniano è quanto meno sospetta, perché lo scopo dell’ostinazione e dell’ostentazione degli ayatollah da una parte e di quella israelo-americana dall’altra riguarda interessi e ambizioni che vanno ben al di là del Golfo persico.
Qualsiasi genere di attacco produrrà ingenti perdite di militari e civili a prescindere che s’inneschi una emergenza nucleare di fall out o una fuga di radiazioni. Qualsiasi attacco non potrà che avere come premessa la distruzione delle strutture difensive: basi aeree e missilistiche, depositi, rampe mobili, porti militari, unità in navigazione, difese contraeree e radar, reparti terrestri mobili e corazzati, centri di comunicazione e di comando e controllo dovranno essere eliminati prima o contemporaneamente all’attacco alle installazioni nucleari. Molte di queste strutture coincidono con i maggiori centri abitati. Facendo la tara ai più sofisticati missili da crociera, alle bombe intelligenti guidate sugli obiettivi da parte dei commandos israeliani e statunitensi, già da tempo all’opera in Iran, rimane un margine abbastanza elevato di danni collaterali. Se dovessero essere usati al posto delle bombe ad esplosivo convenzionale ’bunker busting’ i mini ordigni nucleari a fissione o le bombe a neutroni, la percentuale di danni potrebbe aumentare ma non così enormemente come molti asseriscono.
Anche la tesi che si possano fare attacchi chirurgici con una sola componente, quella aerea e missilistica, è uno specchio per le allodole. Un’azione complessa che miri, come si dice di voler fare, a rispedire il potenziale bellico iraniano all’età della pietra, presuppone azioni di attacco multiple, con forze multiple, da direzioni multiple in tempi ristretti in modo da impedire all’avversario, come diceva il colonnello Boyd, ogni capacità di decisione, risposta e controstrategia. L’azione multipla deve anche prevenire la ritorsione diretta da parte delle forze aeree e navali iraniane contro le installazioni e i trasporti petroliferi nel Golfo Persico e in quello di Oman. Deve neutralizzare le minacce missilistiche alle basi militari americane in Asia Centrale e nel medio Oriente. Deve impedire azioni iraniane di strategia indiretta in Afghanistan, in Pakistan, in Iraq, in Libano, a Gaza, nel Caucaso e in ogni altro posto dove uno sciita può creare un fastidio. Teheran inoltre controlla la costa settentrionale dello stretto di Hormuz e la chiusura di questa via d’acqua al traffico delle petroliere potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio a livelli oscillanti tra i 200 e i 400 dollari al barile. Lo stesso risultato si otterrebbe se l’Iran ritorcesse le azioni di sabotaggio e bombardamento sugli impianti petroliferi di altri paesi dell’area.
La strategia militare dell’attacco all’Iran non può perciò essere affidata ad un attacco chirurgico o ad una sola componente. Non può che essere quella della ’Swarm Warfare’, la guerra dello sciame o dell’orda, riesumata da Arquilla e Ronfeld dopo l’insuperabile applicazione di Gengis Khan. In termini moderni questa strategia attiva tutte le dimensioni della guerra - terrestre, navale, aerea, missilistica, spaziale, virtuale e dell’informazione - su teatri e livelli multipli. Per far questo occorre che lo ’sciame’ delle varie componenti e delle azioni che si sviluppano concentrandosi in un luogo e in una dimensione per poi trasferirsi su altri luoghi e altre dimensioni sia comunque sufficiente ad impedire qualsiasi reazione. Le orde incaricate della distruzione fisica degli obiettivi devono integrarsi e concentrarsi sui bersagli con le orde virtuali delle azioni diplomatiche, della guerra psicologica e con quelle della manipolazione dell’informazione.
Le azioni militari devono poi essere finalizzate a creare una emergenza umanitaria che consenta l’intervento di organizzazioni internazionali in territorio iraniano. Ovviamente la catastrofe deve essere attribuita alla responsabilità degli stessi iraniani. Anche in questo campo tutto è ormai pronto o quasi, soprattutto dopo l’esortazione di Kouchner. Agenzie internazionali e organizzazioni non governative stanno già scalpitando per andare in Iran a togliere il velo alle donne. Se si dà loro la possibilità d’intervenire per raccogliere i rifugiati, curare i feriti, fare la conta dei morti ed indire una tornata di elezioni al mese, ci sarà la gara per portare la democrazia in Iran.
La complessità di questo scenario non deve indurre a credere che si debbano mobilitare quantità enormi di forze. Le capacità di bombardamento degli stormi israeliani e statunitensi sono talmente elevate da essere in grado di battere obiettivi multipli con un numero limitato di velivoli. I missili da crociera che possono essere lanciati dal mare sono ormai armi tecnologiche che non hanno bisogno di interventi di massa per realizzare distruzioni mirate o su larga scala. Semmai la molteplicità dei piani e dei livelli d’intervento porrà problemi di coordinamento, comando e controllo, ma nulla di eccezionale. Stati Uniti e Israele collaborano da mezzo secolo e i problemi di pseudo autorizzazioni da parte di paesi terzi ai sorvoli o al transito di truppe sono ormai superati sia dagli accordi politici con i paesi interessati sia dalla predisposizione delle due potenze a ignorare le obiezioni.
Rimane, grave e importante, l’incognita del post-emergenza. L’incognita sul futuro di uno Stato di origine e mentalità imperiale che si vede transitato dal ruolo di Stato canaglia a quello di Stato fallito e da aspirante al ruolo di potenza regionale a quello di buco nero politico e strategico. Rimane forte l’incognita della reazione non tanto alla sconfitta o al ridimensionamento delle aspirazioni ma all’umiliazione. Non è escluso che quello che si vuole evitare, la nuclearizzazione dell’Iran, tutta da dimostrare e tutta da realizzare, non sia invece favorita con l’aiuto di potenze esterne proprio dall’umiliazione.
Fabio Mini è generale, ex comandante delle forze della Nato in Kosovo
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Operazione-sciame-di-fuoco/1796788
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L’Italia combatte già
L’Italia sta già combattendo su uno dei fronti del conflitto iraniano. Perché è difficile non collegare l’intensificazione degli scontri nella regione di Herat, la zona afghana affidata al controllo del nostro contingente, con l’escalation del confronto tra Occidente e Iran.
Quella che era la regione più tranquilla dell’Afghanistan liberato dai talebani, in poco più di un anno si è trasformata in una terra insidiosa. L’ultimo episodio è la cattura dei due agenti del Sismi e la successiva operazione per liberarli. Gli uomini del servizio segreto militare erano in missione nell’area non lontano dalla frontiera iraniana diventata un cardine nei rifornimenti della guerriglia. Lì nuclei tribali finora neutrali verso la presenza delle truppe della Nato hanno potenziato i propri arsenali e raddoppiato i legami con i guerriglieri islamici. Dietro, secondo i sospetti del governo statunitense, ci sarebbe una pressione politica e militare crescente da parte di Teheran, testimoniata anche dai carichi di armi che vengono sempre più frequentemente intercettati dal contingente atlantico assieme al via vai di profughi e rifugiati afghani dall’Iran: ordigni sofisticati per gli agguati.
Con la sfida nucleare lanciata da Ahmadinejad il distretto di Shindad, quello dove sono stati catturati i due agenti, è diventato il punto di osservazione privilegiato.
Nel 2001 gli americani si sono impossessati delle grandi basi costruite dai sovietici proprio per sorvegliare il confine iraniano: le hanno trasformate in centrali di ascolto e osservazione, tornate adesso di rilevanza strategica. Ma la protezione della regione ricade sotto la responsabilità del comando italiano di Herat. E se i pattugliamenti dei ’normali’ soldati sono diminuiti negli ultimi mesi, parà del Col Moschin e incursori del Comsubin hanno invece messo sempre più spesso il naso nella zona a ridosso della frontiera. Molto attivi anche gli agenti del Ris, il servizio di informazioni dell’Esercito che agisce spesso in Afghanistan come braccio operativo del Sismi. Come i due sottufficiali catturati assieme a due loro collaboratori afghani sabato 22 settembre. Il blitz lanciato prima dell’alba del lunedì successivo dai commandos britannici dello Special Boat Squadron si è concluso in un bagno di sangue. L’azione a sorpresa contro la prigione degli ostaggi è fallita, forse a causa del rumore dei velivoli da ricognizione teleguidati: l’attacco dagli elicotteri contro i mezzi in movimento degli afghani ha determinato una sparatoria pesante. Anche i due militari italiani sono stati feriti, forse dal fuoco amico dei liberatori: uno, colpito da due pallottole, è in condizioni disperate. Un incubo peggiore dello scenario afghano può venire dal Libano meridionale, presidiato da un massiccio contingente di caschi blu italiani. In caso di azioni contro l’Iran, i nostri soldati si troverebbero a fare da cuscinetto tra Israele e le milizie sciite di Hezbollah. Una trappola che potrebbe coinvolgere tutti i 2.400 militari italiani lì impegnati.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio//1796791/&print=true
Il coperchio saltato
di Ida Dominijanni (il manifesto, 09 ottobre 2007)
In un posto come l’Italia, che ha il passato che ha, azionare la maniglia dell’allarme terrorismo è una tattica di manipolazione emotiva facile e rischiosa, che un ministro della Repubblica dovrebbe guardarsi bene dall’usare, se non dati alla mano e strategie di contrasto in tasca. Clemente Mastella non solo la usa senza dati e senza strategie di contrasto, ma la tira fuori in un posto come New York, che quanto a terrorismo vive il presente che vive, e paragonandosi a Aldo Moro, che il senso delle proporzioni gli dovrebbe sconsigliare di scomodare. Ma Clemente Mastella il senso delle proporzioni l’ha perduto da un pezzo, a giudicare dalle sue scomposte movenze sul caso De Magistris, anzi De Magistris-Santoro. Movenze-boomerang, visto che il Csm, inondato dalle troppe «incolpazioni» ministeriali, non ha potuto che rinviare il giudizio sul magistrato, con ciò stesso smentendo l’«urgenza» del suo trasferimento invocata dal guardasigilli. Urgente resta invece il caso Calabria che il caso De Magistris ha scoperchiato, e che scoperchiato resta quali che siano - speriamo l’opposto dei desiderata di Mastella - i destini del magistrato. Il guardasigilli non è solo a voler richiudere in fretta quei coperchi: militano con lui due governi, quello nazionale e quello regionale, e quella larga parte dell’informazione, nazionale e regionale, stampata e televisiva, che a sua volta milita per loro. E’ una militanza cieca e sorda, per almeno tre ragioni.
Primo. Il ceto politico di centrosinistra farebbe bene a guardare quello che sta accadendo in Calabria e altrove deponendo lo schema politica-antipolitica e i fantasmi del ’92, e aguzzando la vista sul presente. Di antipolitico, nelle piazze di Catanzaro come in quelle di Bologna, non c’è proprio niente. Fatti salvi i resti di qualunquismo, che fanno parte del dna nazionale, di ingenuità, che fanno parte del dna giovanile, e di rozzezza alla vaffa, il messaggio è evidente: è una domanda di politica diversa, più trasparente, più giusta, più efficiente, più vicina. L’obiettivo non è far fuori la politica: è far sì che politica e affari non siano sinonimi, e nemmeno classe politica e casta, o risorse pubbliche e fortune private, o potere politic+o e controllo del mercato del lavoro, o potere amministrativo e devastazione ambientale. C’è una soglia, questo dice la vituperata piazza, oltre la quale questi sinonimi non sono più tollerabili. Il governo di centrosinistra, nazionale e regionale, non ha nulla da chiedersi, se non da rimproverarsi, a questo proposito? Entrambi dicono di voler rispondere con i fatti e le opere. E’ un ottimo proponimento, purché i fatti e le opere seguano davvero: tra i fatti rientrando, ad esempio, un processo di autocritica e autoripulitura del ceto politico. E’ quando non scattano questi processi politici che scattano i processi giudiziari, nonché i processi di piazza, e a quel punto c’è poco da lamentarsi.
Secondo. Per ragioni evidenti e note, in Calabria una domanda di politica più trasparente, più giusta, più efficiente e più vicina coincide con una domanda di legalità. Nessuno potrebbe onestamente sostenere che quello della legalità sia un problema inesistente; ma nessuno potrebbe onestamente sostenere che sia tutto in carico a questo o quel magistrato, e al solito derby fra ceto politico e procure. La legalità, in uno stato di diritto, è fatta di molti elementi. Dell’esercizio delle libertà fondamentali, tanto per cominciare, che nelle regioni ad alto tasso di criminalità non è affatto scontato. E di un insieme di procedure, che non passano per le aule di giustizia. Prima di lanciarsi nell’ennesimo tentativo di riforma costituzionale, il centrosinistra di governo farebbe bene a fare il punto delle riforme già attuate: disfatto lo stato nazionale e fatto lo stato federale, chi fa che cosa, e chi controlla chi? Competenze, procedure, verifiche sull’uso delle risorse: davvero non c’è niente da mettere a regime? E perché - ripetiamo una domanda già fatta da queste colonne - le ispezioni sulle procure scattano, e quelle sui depuratori no?
Terzo. Come lo stato di diritto, anche il garantismo è fatto di molti elementi, ma è tipico del dibattito italiano degli ultimi quindici anni, a destra e a sinistra, dimenticarsene sempre qualcuno. Il garantismo prevede che la magistratura eserciti il controllo di legalità sul ceto politico, osservando a sua volta la legalità nelle procedure d’indagine. Accadeva a sinistra quindici anni orsono, quando c’era da processare il pentapartito della prima Repubblica, che l’accento cadesse spesso e volentieri sul controllo di legalità e meno spesso e volentieri sulla correttezza delle procedure, anche quando c’era di mezzo qualche manetta di troppo. Accade adesso, sulle inchieste di De Magistris che riguardano il centrosinistra della seconda Repubblica, che l’accento cada sempre sulla correttezza delle procedure e mai sul controllo di legalità. C’è chi, sul Foglio di ieri, ha definito questa inversione «una nemesi farsesca». Non arriveremo a tanto, ma solo perché non c’è niente da ridere.
ANSA» 2007-10-12 23:06
De Magistris: allarme di 160 toghe
Ad Anm per iniziativa Mastella
(ANSA) - ROMA, 12 OTT - ’Preoccupazione’ per l’iniziativa del Ministro della Giustizia di utilizzare la richiesta di trasferimento d’ufficio per De Magistris.E’ quanto scritto in un documento inviato all’Associazione nazionale magistrati e sottoscritto da 160 magistrati, quasi tutti del distretto di Napoli. De Magistris e’ ’impegnato in indagini delicate per persone ed interessi coinvolti’. Preoccupa - si legge - il modo con cui il Ministro intende esercitare l’enorme potere che gli viene riconosciuto.