A DIFESA DEL "PATRIARCATO" (dell’ordine simbolico di "Mammona", di "mammasantissima" ... e del figlio-padrino)!!! Una storia di lunghissima durata ...

"Maria", "Giuseppe", l’albero genealogico di "Gesù", il problema del doppio cognome e la Costituzione. Marcello Pera scivola sulle parole, taglia le radici, e mette a nudo tutto l’armamentario politico e teo-logico del movimento "Family Day" contro i "Dico". Una nota di Chiara Saraceno - a cura di Federico La Sala

IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS") DI GIUSEPPE E DI MARIA!!! NON IL FIGLIO DEL "DIO" ("CARITAS") DELLA CHIESA AF-FARAONICA E COSTANTINIANA !!!
lunedì 4 giugno 2007.
 


Sul doppio cognome Pera sbaglia

di CHIARA SARACENO *

Non basta evidentemente essere stati la seconda carica dello Stato per non confondere i propri desideri di uomo impaurito dalla pur parziale emancipazione femminile con le norme che regolano i rapporti tra i coniugi e la famiglia. Qualcuno dovrebbe informare Marcello Pera che, contrariamente a quanto da lui sostenuto su questo giornale, in Italia le donne sposandosi non perdono il proprio cognome, ma aggiungono al proprio quello del marito. E sia professionalmente che da un punto di vista amministrativo è il loro cognome da nubili quello che conta. Perciò in famiglia ci sono già due cognomi, anche se «il cognome di famiglia» è solo quello del marito. Pera dovrebbe anche venire informato che in Italia, come in tutti i Paesi occidentali, dal punto di vista legale non esiste un privilegio della linea maschile su quella femminile. E a livello sociale e culturale si trovano sia situazioni in cui prevalgono i rapporti con «quelli di lei» sia altre in cui invece prevalgono i rapporti con «quelli di lui», a prescindere dal cognome.

Lo stesso uso del cognome e la sua trasmissione da una generazione all’altra si è stabilizzato in età moderna per motivi prevalentemente amministrativi e ha conosciuto vicende diverse nei vari Paesi. In alcuni, ad esempio in Spagna, la trasmissione del doppio cognome - materno e paterno - è antichissima e rimane tuttora. Nel passato era un uso rinvenibile anche in alcune zone della Sardegna. In entrambi i casi, certamente non per qualche intervento diabolico dei laicisti, che ormai sembrano aver sostituito i comunisti nel ruolo di mangiabambini nell’immaginario teodem e teocon. E senza che ciò provocasse particolari indebolimenti all’istituto familiare e alle singole famiglie. Gli unici che sperimentano dei problemi, là dove è in uso il doppio cognome, sono gli studiosi, in particolare gli storici, perché è più difficile rintracciare le persone appartenenti a una stessa discendenza da una generazione all’altra. Ma è un problema che si pone sempre anche nel caso del cognome unico, nella misura in cui si perde il filo della continuità con la discendenza per via materna.

La cosa buffa è che Pera, per sostenere l’impossibilità etica (addirittura!) di attribuzione di un doppio cognome, abusa di riferimenti alla natura e di metafore naturalistiche. Ma se dovessimo tenerci alla natura, allora non ci sarebbe partita: solo la continuità con la madre è autoevidente («mater semper certa est, pater incertus») e il ruolo della madre nella riproduzione è di gran lunga maggiore di quello del padre. È così vero che gli storici hanno osservato che il matrimonio è stata l’istituzione per eccellenza della paternità, nel senso che tramite esso l’uomo si appropria (si appropriava) dei figli che la donna mette al mondo, dato che non ha (non aveva) altro modo per avere accesso alla generazione, in senso sociale e non solo biologico. Ma anche questo è cambiato, anche nel nostro Paese, prima che per lo sviluppo tecnologico (esame del Dna) per le modifiche di legge, che hanno consentito anche a chi è sposato di riconoscere un figlio avuto con un’altra persona. Inoltre, il fenomeno del divorzio e dei nuovi matrimoni cui apre ha dato luogo già ora a famiglie in cui i diversi componenti hanno cognomi diversi. Anzi, se i figli avessero anche il cognome della madre avrebbero qualche problema di identificazione di sé e di collocazione nello spazio sociale in meno, perché avrebbero sempre anche il cognome del genitore con cui vivono, padre o madre che sia.

La trasmissione del solo cognome paterno è un residuo simbolico di quell’atto di appropriazione unilaterale che cancella la dualità - non solo biologica, ma sociale - della generazione e delle lunghe catene generazionali. Trasmettere anche il cognome materno è anch’esso un atto simbolico, di segno opposto: mantiene aperta e rende esplicita la dualità come garanzia della continuità nel tempo e come radice che si rinnova ogni generazione. Si può non essere d’accordo, o non ritenerla una priorità; ma, per favore, evitiamo di evocare i soliti foschi scenari di attacco alla famiglia.

* La Stampa, 04.06.2007


La famiglia scivola sulle parole

La legge del doppio cognome potrebbe diventare il primo passo per toccarne la sostanza. Arriveremo a farne una specie di azienda «Rossi e Bianchi, sposi»?

di MARCELLO PERA *

Si è appena allontanato il ciclone dei Dico che sulla famiglia ricomincia a piovere. Questa volta, anziché alle coppie di fatto, tocca al nome delle coppie di diritto. Come si chiama la famiglia? Prendendo spunto da una recente sentenza della Corte Costituzionale - la quale ha stabilito che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome dei figli è retaggio di una concezione patriarcale e di una tramontata potestà maritale» - i laicisti, appellandosi all’uguaglianza fra i sessi e alla parità fra i coniugi, hanno stabilito che bisogna cambiare la tradizione.

Oggi la donna che si sposa perde il proprio cognome e prende quello del marito. Ma, si obietta, se davvero ci fosse uguaglianza, nessuno dovrebbe perdere nulla. Perciò il Senato ha iniziato a discutere un disegno di legge dell’Unione secondo cui, con dichiarazione revocabile, al figlio può essere attribuito il cognome del padre oppure della madre oppure di entrambi. Se l’accordo non c’è, allora si attribuiscono i due cognomi (nel testo originario, in ordine alfabetico). Il figlio con due cognomi può trasmetterne, a scelta, uno solo. Così l’uguaglianza è rispettata e pure la libera scelta, anche se, come ebbe a dire il ministro Bindi, «la libertà di scelta riconosciuta ai coniugi costituisce una soluzione fin troppo blanda». La questione però non si ferma lì. Infatti, nella denominazione della famiglia, non c’è da rispettare solo il principio dell’uguaglianza ma anche quello dell’unità e unilinearità, per il quale i membri della prima e delle successive generazioni sono tutti identificati come membri della stessa famiglia. Guardiamo prima alla sostanza. Ci si chiede: la famiglia è come un’azienda, col passare del tempo può mantenere o cambiare la ragione sociale a seconda delle convenienze, oppure è una singolarità che non cambia natura nonostante le evenienze? E gli sposi sono soci in una ditta o coniugi in un matrimonio?

Dal punto di vista giuridico, la famiglia nasce da un contratto di unione, ma sotto il profilo etico (e costituzionale) è un’unione di tipo assai particolare. Essendo «società naturale», la famiglia è come un embrione, e non a caso si usa spesso per analogia l’espressione «embrione sociale». Come nel caso dell’unione di due gameti (fecondazione) si crea un’entità terza (l’embrione, appunto), irriducibile a ciascuno di essi e perciò con diritti propri, così nell’unione di due sposi (matrimonio) si produce un’entità terza (la famiglia, esattamente), la quale supera entrambi, e perciò ha natura propria. La famiglia va oltre, sporge, sui suoi componenti; emerge per fusione, non si aggrega per addizione.

Torniamo ora dalla sostanza al nome. Se si obbliga la donna che si sposa a perdere il proprio cognome (o viceversa), si viola il principio di uguaglianza. Ma se si introduce il cognome doppio e se ne affida la trasmissione alla discrezionalità dei singoli, si rischia di violare il principio dell’unità e unilinearità della sostanza familiare. Se il nome della famiglia è duale, è duale anche la famiglia? Se il nome allude alla cosa o la denota - e questo è il caso nostro, ché altrimenti non si sarebbe posto il problema - allora il nome duale sembra alludere proprio a una cosa duale o denotarla. Ma una famiglia duale, a maggior ragione se di volta in volta denominata a discrezione, non è più come un embrione e forse non è più una famiglia: sono due individui sommati, ciascuno col proprio nome, non una singola entità fusa, col suo singolo nome, anche se doppio. Nomi e simboli possono avere, e spesso hanno, conseguenze sostanziali anche non intenzionali e la legge del doppio cognome, dopo quella, tentata, dei Dico, potrebbe diventare proprio il primo passo per toccare la sostanza della famiglia. Il secondo passo consisterebbe nel dire che i diritti della famiglia sono solo quelli dei suoi membri. Il terzo e ultimo passo sarebbe che la famiglia non esiste, ma esiste solo l’unione. «Rossi e Bianchi, sposi» come «Rossi & Bianchi, mercerie, snc». Arriveremo lì?

* La Stampa, 31.05.2007


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  GESU’ "CRISTO", GESU’ DI NAZARET. MA CHI ERA COSTUI?! CERTAMENTE IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS") DI GIUSEPPE E DI MARIA!!! NON IL FIGLIO DEL "DIO" ("CARITAS") DELLA CHIESA AF-FARAONICA E COSTANTINIANA !!!

-  IN NOME DELL’EMBRIONE, UNA VECCHIA E DIABOLICA ALLEANZA

-  La legge 40, duemila anni fa

-  I NOSTRI "PADRI" E LE NOSTRE "MADRI" COSTITUENTI. LA PROPOSTA DI LEGGE SUL COGNOME E LA NOSTRA IDENTITA’ - UMANA E COSTITUZIONALE. Un commento di Massimo Livi Bacci

-  FEDE E CARITA’ ("CHARITAS"): CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI"). Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato!

-  MASSIMO CACCIARI,L’EREDE: IL PESO DEI PADRI (ATEI E DEVOTI). UN’EREDITA’ ANCORA PENSATA ALL’OMBRA DELL’"UOMO SUPREMO" E DEL "MAGGIORASCATO".


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