Filosofia

LA DISCHIUSURA. DECOSTRUZIONE DEL CRISTIANESIMO. Dischiudere dunque i confini tra filosofia e religione, rompere l’abbraccio mortale che li lega e portare alla luce ciò che li accomuna. L’indicazione di Jean-Luc Nancy - a cura di pfls

domenica 18 marzo 2007.
 

Jean-Luc Nancy

L’incommensurabile prigione della verità rivelata

«La dischiusura» del filosofo francese Jean-Luc Nancy. Un impegnato testo che si pone l’obiettivo di scioglere l’abbraccio mortale tra filosofia e religione a favore di un severo e sobrio esercizio del pensiero

di Roberto Ciccarelli (il manifesto, 16.03.2007)

L’ossessiva campagna denigratoria contro le libertà individuali e la politica delle relazioni allestita dai massimi rappresentanti della Chiesa cattolica è basata su un assunto: oggi, non è possibile non dirsi cristiani. La perentorietà di tale affermazione produce un irrigidimento delle posizioni che produce reazioni altrettanto violente, e giustificate, ma spesso non consentono di capire se il cristianesimo rappresenti realmente una necessità per il nostro tempo. A questo proposito, quanto mai opportuna giunge la traduzione in italiano di uno degli ultimi volumi di Jean-Luc Nancy che ha un titolo apparentemente provocatorio: La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo I (Cronopio, pp. 223, euro 20).

La dischiusura non è tuttavia un libro scritto da un Voltaire avvelenato da astio anti-clericale. La «decostruzione» annunciata nel titolo è ispirata alla grande tradizione filosofica del Novecento che, prima con Martin Heidegger, e successivamente con Jacques Derrida, ha rivelato il rapporto costitutivo tra l’ateismo greco e il monoteismo ebraico nella formazione del pensiero occidentale. Il cristianesimo è il punto d’unione in cui questi due elementi si rafforzano e si respingono allo stesso tempo, trovando nella figura del Dio unico e nella razionalità del pensiero moderno, gli strumenti per la sua affermazione universale.

La «dischiusura» (questa la traduzione proposta da Rolando Deval e da Antonella Moscati del termine francese Déclosion, un neo-logismo che significa «togliere una chiusura») intende proseguire l’opera di questi predecessori (e amici, nel caso di Derrida che poco prima di morire dedicò a Nancy il libro dal titolo Le Toucher).

Un bipolarismo morale

Dischiudere dunque i confini tra filosofia e religione, rompere l’abbraccio mortale che li lega e portare alla luce ciò che li accomuna. E’ un’avvertenza quasi obbligatoria dal momento che, nella discussione di questi ultimi anni, non sembrano esserci spazi per chi rifiuta di fare suo l’integralismo politico-religioso puramente reattivo o il laicismo militante di qualche causa anti-clericale un po’ datata.

È dal 1998 che Nancy, tra conferenze e saggi, lavora su questo tema. Da allora non sembra essersi fatto tentare dall’improbabile bipolarismo morale tra laici e cattolici che oggi sembra esaurire, in Italia, l’etica pubblica. Anzi, la sua tesi sembra andare in controtendenza. Per Nancy, l’Occidente non è nato dalla liquidazione di un mondo di oscure credenze cristiane dissolte dalla luce della razionalità. Al contrario, il cristianesimo è l’Occidente. Lo ha prima inventato, poi assorbito ed infine disconosciuto dopo l’affermazione della «modernità» illuministica.

Ciò non toglie che, sin dalla sua origine, l’Occidente sia vissuto all’ombra del cristianesimo, un po’ come l’ombra di Buddha è rimasta mille anni a vegliare la caverna dov’era seppellito il suo cadavere.

Cristianesimo e Occidente tendono a ridimensionare ad una misura comune ciò che è fuori dalla razionalità. Dio è per il cristianesimo ciò che il problema matematico dell’incommensurabile è per il logos moderno. Così come la religione porta l’alterità assoluta al centro della vita degli uomini, il pensiero moderno introduce lo smisurato nella ragione.

Il cristianesimo può essere riassunto nel precetto di vivere in questo mondo come fuori di esso. Questo fuori non esiste, è la promessa di una salvezza che arriverà alla fine dei tempi e che nel presente vale come apertura su un’alterità assoluta. Il pensiero moderno impone invece agli uomini di vivere questa stessa alterità assoluta nei confini della «pura ragione», come diceva Kant. L’invito di gran parte del pensiero del Novecento, da Freud a Wittgenstein sino a Heidegger, è stato quello di pensare questa alterità e di restituirne la misura sfuggente del suo apparire.

Nancy precisa che il cristianesimo tende a «chiudere» il movimento di apertura su questa alterità attribuendola ad un essere supremo, mentre il pensiero della Destruktion di Heidegger e della «decostruzione» di Derrida la lascia libera da (quasi) tutte le paralisi teologiche. Ciò non toglie che anche il razionalista intransigente eviti di spezzare il «tenue arco che ci lega all’inaccessibile», così come il credente adulto e consapevole comprende che il suo Dio è il punto estremo della rappresentabilità di un’alterità che non ha misura.

Non è superfluo ripetere qui tutte le accuse che è legittimo imputare al cristianesimo, come l’asservimento del pensiero fino allo sfruttamento ignobile del dolore e del risentimento. Oggi più che mai tornano utili le armi tradizionali che sono state utilizzate contro il dominio religioso (la libertà, l’individuo, la ragione stessa), ma esse non bastano per spiegare perché «ragione» e «fede» siano animate dallo stesso principio e, in un certo senso, si comportino come due gemelli siamesi.

E’ per questa condivisione di orizzonte che Nancy esclude che il cristianesimo possa essere attaccato o difeso, rimosso o salvato da chiunque. Esso non è una grave malattia congenita dell’Occidente, ma non è nemmeno un plusvalore morale che indica la strada della salvezza per le donne e gli uomini. Progetti di questo tipo fanno torto all’essenza del problema: il cristianesimo e l’ateismo, ciò che afferma l’esistenza di un Dio e ciò che lo nega, sono volti diversi dello stesso nichilismo.

Scrisse il filosofo Luigi Pareyson: «Può essere attuale solo un cristianesimo che contempli la possibilità della sua negazione». Una forte presa di posizione che permette di vedere nel cristianesimo la riflessione su un dubbio disperante (Dio è perché si nega), e non l’affermazione di una verità valida per tutti. E’ cieco dichiarare un embargo permanente nei confronti del cristianesimo, dato che l’ateismo condivide la stessa radice. «Può essere attuale solo un ateismo che contempli la realtà della sua provenienza cristiana», commenta Nancy parafrasando Pareyson.

Il sole nero del nichilismo

Se dunque il cristianesimo attribuisce a Dio la causa prima e il fine ultimo della vita, l’ateismo gli nega questo privilegio attribuendo la causa e il fine alla razionalità. Entrambi sostengono che la vita è rivelazione di un principio superiore, quello di Dio o quello della Ragione. Anche il papa teologo Ratzinger rivendica la razionalità tra le principali caratteristiche che rendono universale, vero e buono il Dio cristiano. Oscurando tuttavia ciò che il pensiero della decostruzione ha denunciato: la coincidenza tra il cristianesimo e la razionalità è dovuta al fatto che entrambi sono espressione del nichilismo occidentale.

Nichilismo, spiega Nancy, in realtà vuol dire: fare principio del niente. Ma questo «niente» significa disfare ogni principio, compreso lo stesso principio del niente. Laici e cattolici gravitano attorno allo stesso sole nero: l’affermazione incondizionata di un principio corrisponde infatti allo svuotamento del mondo, al suo impoverimento in nome di valori trascendenti (la Vita, il Bene) o alla sua mortificazione in nome di certezze immanenti (la Storia, la Tecnica). In altre parole, laici e cattolici soffrono della dissoluzione del principio in cui credono. Sul versante cristiano, il problema è dolente: il Dio cristiano crea il mondo attraverso la negazione di se stesso. Il cristiano tende con tutte le forze a ricongiungersi a quella negazione che l’ha posto in essere. Un paradosso senza salvezza.

A questo tragico esito non è estraneo nemmeno il pensiero «laico». C’è la razionalità che rifiuta ogni teleologia e, da Hegel in poi, esige di essere compresa come il primo pensiero che fa a meno di Dio e si carica sulle spalle il mondo per dargli un senso. Ma una volta sospese le ambizioni hegeliane, e dimostrato che il mondo non è retto da alcun principio trascendente, nemmeno quello della storia, l’ateo realizza che alla «morte di Dio» non è seguita alcuna nuova comprensione del mondo. E’ questa la tristezza che riassume l’ateismo. A differenza del cristiano, l’ateo non si dà nemmeno la possibilità consolatrice di sentirsi abbandonato dal proprio Dio. E’ solo, e rifiuta la gioia tragica di cui Nietzsche e il giovane Walter Benjamin furono testimoni.

L’annuncio della buona fine

Finché non avremo la misura esatta della nostra provenienza cristiana, resteremo prigionieri di qualcosa che non è stato elaborato all’altezza del nostro tempo. Su questo punto, Nancy non fa sconti nemmeno al proprio discorso e ammette: è lo stesso cristianesimo a decostruirsi. Il cristianesimo ha passato gran parte della propria storia a correggere e ad auto-rettificare il contenuto della verità annunciata. Esso è la forma più occidentalizzata delle religioni monoteiste, si distende nella forma di un’auto-analisi in vista di un ritorno ad un’origine sempre più pura.

Questo processo comincia già nei Vangeli e in San Paolo, continua con il monachesimo e si afferma, ovviamente, nelle diverse Riforme. Con il risultato che il cristianesimo ha certamente sviluppato una volontà di potenza sconosciuta alle altre religioni, ma l’ha accompagnata con un potente desiderio di spoliazione e di abbandono di sé spingendolo all’auto-dissoluzione.

Esso ci ha consegnato un mondo che è in attesa di una rivelazione, non solo quella di Dio, ma di un senso generale che rimane sospeso tra gli uomini nei termini di una promessa o di un progetto (politico, esistenziale).

La promessa annunciata dal cristianesimo è «una fine senza fine». E’ questo il nucleo «kerygmatico» del Vangelo (dal greco euaggelion, «buon annuncio»): l’annuncio della fine dei tempi corrisponde alla seconda venuta di Dio sulla terra. Ma questa venuta, se avverrà, avverrà alla fine dei tempi. Una fine infinita che si protrae disperatamente per tutta la storia. Cosa si annuncia dunque nei Vangeli? «Quasi niente», risponde Nancy. E’ su questo «niente» che l’auto-decostruzione del cristianesimo mostra la sua ambiguità. Davanti all’annuncio non c’è infatti più storia, né ritorno all’origine. C’è la fine del mondo e la morte di Dio.

Ripensare l’ateismo

Per Jean-Luc Nancy viviamo nel cuore di una trasformazione epocale paragonabile a quella che ha portato dall’antichità al mondo moderno. Questa trasformazione appare talvolta come una perdita, ma ha anche il sapore di un nuovo inizio. Il suo è un pensiero che resta aperto alla testimonianza di un’incommensurabilità tra noi e ogni legge, umana o divina che sia. Ritornare alla nostra provenienza cristiana, e ridiscuterla radicalmente, è essenziale per capire come questo incommensurabile non sia più quello di un Dio trascendente. L’incommensurabile è invece la scoperta di una comunità di uomini e donne ispirata ad un senso eccedente di cui il sacro ha cercato di dare una definizione, senza tuttavia coglierne la potenza costitutiva.

Pensare la «morte di Dio» non come il nichilismo, ma come l’uscita dal nichilismo, è il primo passo per scoprire che è possibile liberarsi dal pesante fardello del teologico-politico sulla nostra cultura. Non c’è alcuna ragione «di salvare la religione, e meno che mai di farvi ritorno», afferma Nancy. Si tratta piuttosto di prendere coscienza che viviamo in un mondo che rifiuta in maniera incommensurabile la sacralizzazione di ogni autorità, compresa quella della legge.

Per farlo, è necessario rinunciare alla politica che vorrebbe continuare a pensarsi nei termini di una versione secolarizzata del cristianesimo. L’ateismo può essere una risorsa, anzi per Nancy è l’«unico ethos possibile del nostro tempo» che permette di pensare ciò che c’è di comune tra gli uomini, a condizione di liberarlo dallo schema di un teismo rovesciato. Questo ethos permette di rivendicare un senso che nessuna religione, nessuna credenza e certamente nessuna Chiesa può pretendere. Per quello che noi siamo non basta né il culto, né la preghiera, ma l’esercizio rigoroso e severo, sobrio e gioioso, di ciò che si chiama il pensiero.


Scaffali di una comunità inoperosa

Il corpo e l’atto di un «essere singolare plurale» Nato il 26 luglio 1940, Jean-Luc Nancy insegna filosofia all’università di scienze umane a Strasburgo. Nel 1991 ha pubblicato con Philippe Lacoue-Labarthe il saggio «Il mito Nazi» nel quale interroga la ragione per cui il mito è al cuore della pratica politica e sociale del nazismo. I libri che lo hanno fatto conoscere in Italia sono sopratutto «La comunità inoperosa», «L’esperienza della libertà», «Il corpo» e «Essere singolare plurale».

I suoi ultimi lavori hanno come tema la libertà, la comunità, la globalizzazione e il «senso» e si sforzano di affrontare la fine di un certo numero di possibilità filosofiche, innanzitutto quelle che discendono dall’umanesimo. Per molti anni ha diretto la collana dell’editore Galilée «La Philosophie en effet» insieme a Jacques Derrida e a Philippe Lacoue-Labarthe, recentemente scomparsi. Tutti i libri di questa collana recano ad esergo una frase di Nietzsche: «Introdurre un senso, questo compito rimane assolutamente ancora da realizzare, ammesso che esista ancora un senso». Ne «La creazione del mondo o la mondializzazione» (Einaudi) Nancy ha sostenuto che è la «mondialità, intesa come la nostra condizione esistenza, a rappresentare questo senso».


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  DALLA COMUNITA’ ("DIO CON NOI" - "GOTT MIT UNS") ALLA DEMOCRAZIA (DEL "COMUNE", SENZA "UNITA’" E "SOVRANITA’"?!).
-  «Avec (con)»: Jean-Luc Nancy, seguendo un "segnavia" di Heidegger, cerca la strada per uscire dalla "selva nera" (e dalla "caverna"). Un’anticipazione della lezione magistrale che terrà a Sassuolo, domenica 20 settembre

-  STATO E CHIESA: UN PROBLEMA TEOLOGICO-POLITICO, NON STORICO. CON LA COSTITUZIONE IL POPOLO ITALIANO HA FATTO "LA RIFORMA", MA NE’ I CATTOLICI NE’ I LAICI LO HANNO CAPITO. A PIETRO SCOPPOLA, CHE AVEVA COMINCIATO A CAPIRLO, ALLA FINE GLI HANNO "SPEZZATO LE RENI".... E ORA ANCHE A NOI: "FORZA ITALIA"!!!
-  Chiesa e Stato in Italia. Dal­la Grande guerra al nuovo Concordato (1914-1984). Un lavoro di Rocco Pertici, recensito da Sergio Romano


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