Chi siamo noi, in realtà?! Alle origini del Moderno, Dante!!!

COSCIENZA, DOPPIA COSCIENZA, E SENZA COSCIENZA. LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA ITALIANA, LA COSTITUZIONE - LA NOSTRA "BIBBIA CIVILE" - E LA POLITICA. Due note di Umberto Galimberti - segnalazione di don Aldo Antonelli e di José F. Padova, a cura di Federico La Sala

Uscire dallo stato di minorità: "Da tema e da vergogna/voglio che ormai tu ti disviluppe,/sì che non parli più com’om che sogna" (Purg., XXXIII).
domenica 8 luglio 2007.
 

LA DITTATURA DELLA COSCIENZA

di Umberto Galimberti (la Repubblica, 26 febbraio 2007)

C’è una parola magica che, quando si è in procinto di fare i disastri o a disastri avvenuti, viene evocata per garantirsi l’impunità, quando non addirittura il rispetto anche da parte di chi non ne condivide le posizioni e soprattutto le conseguenze della azioni. Questa parola magica si chiama “coscienza”. L’abbiamo sentita evocare da Fernando Rossi e da Franco Turigliatto, i due senatori che, con il loro voto, hanno determinato la caduta del governo Prodi. Alla “coscienza” e a quella sua variante che sono i “princìpi” era ricorso anche Clemente Mastella per giustificare la sua opposizione ai Dico. Alla “coscienza” ricorrono infine tutti quei medici che rifiutano l’interruzione di gravidanza anche nei casi consentiti dalla legge o la sospensione delle cure come nel caso Welby e in altri simili.

Ma cos’è questa “coscienza”? E’ la dittatura del principio della soggettività che non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano. Il medico che, in nome dell’ “obbiezione di coscienza”, rifiuta l’interruzione di gravidanza a chi nella miseria genera molti figli nella più assoluta indigenza, a chi resta incinta in età infantile, a chi porta in grembo feti affetti da malattie ereditarie, non si fa carico delle condizioni della madre e dell’infelicità futura dei nascituri, ma solo dell’osservanza dei suoi principi, che consente alla sua coscienza di sentirsi “a posto”, proprio perché rimuove, nega, non vede o non vuol vedere le conseguenze della sua decisione.

Questo tipo di “coscienza” che non assume alcuna responsabilità sociale è una coscienza troppo ristretta, troppo angusta per poter essere eretta a principio della decisione. Se poi, alle sua spalle lavora l’obbedienza a principi che qualche autorità, come ad esempio la chiesa, pone come “vincolanti”, allora si giunge a quell’autolimitazione della responsabilità che abbiamo conosciuto in epoca nazista, dove tutti, dalle più alte gerarchie ai semplici militari, si sentivano responsabili solo di fronte ai superiori (“Ho obbedito agli ordini”) e non responsabili di fronte alle conseguenze delle loro azioni.

Se la dittatura della coscienza soggettiva, che in nome dei propri principi non si piega alla mediazione e non si fa carico delle domande sociali (come possono essere quelle delle coppie di fatto o dei malati terminali che chiedono l’interruzione delle cure) diventa principio inappellabile in politica, che è il luogo dove dovrebbe trovare compensazione il conflitto delle diverse posizioni, allora bisogna dire chiaro e forte che coloro che si attengono alla dittatura della coscienza non devono entrare in politica, perché la loro coscienza non prevede alcuna responsabilità collettiva, ma solo l’osservanza dei propri principi.

E questo vale tanto per i medici, la cui responsabilità oggi non è più solo tecnico- professionale ma anche sociale, quanto per i politici che, per il solo fatto di aver deciso di entrare in politica, non possono esonerarsi, in nome dei loro principi, di ascoltare le domande, le richieste, i desideri di coloro che li hanno eletti. Perché la politica è “mediazione”, non “testimonianza”. Per la testimonianza ci sono altre sedi, come ad esempio la condotta della propria vita.

Se si attiene unicamente ai propri principi, senza farsi carico delle mediazioni e soprattutto delle conseguenze delle proprie azioni, una simile coscienza, che limita a tal punto il “principio di responsabilità collettiva e sociale”, è troppo ristretta e troppo angusta per diventare il punto di riferimento della decisione politica, che per sua natura deve farsi carico della mediazione e delle conseguenze delle sue risoluzioni. Per cui la dittatura della soggettività è in ogni suo aspetto incompatibile con l’agire politico, e non salva neppure l’anima perché, come ci ricorda Kant: “La morale è fatta per l’uomo, non l’uomo per la morale”. E questo monito vale anche, e forse a maggior ragione, per l’ideologia.


Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

-  "CONOSCI TE STESSO". "ECCE HOMO. Come si diventa ciò che si è". Una bella e limpida discussione tra U. Galimberti ed E. Scalfari, ma ancora in un orizzonte "pre-copernicano" e "pre-fachinelliano".

-  LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI

-  "DUE POLI", DUE "POPOLI"(?), E L’ITALIA ALLA DERIVA. AVANTI TUTTA: "UCCIDETE LA DEMOCRAZIA"!!! LA "NOTTE" E’ COMINCIATA A "SCENDERE" QUANDO E’ STATO (ED E’ ANCORA !!!) "PERMESSO" A "UNA PERSONA" E A "UN PARTITO" L’ABUSO DELLA “PAROLA”. Che "forza"!!! Che vergogna!!! Istituzioni e cittadini, tutte e tutti - sonnambuli e conniventi?!! LUNGA VITA ALL’ITALIA!!!

-  "CHI SIAMO NOI, IN REALTA’?"(Nietzsche). La "questione antropologica" costringe ad aprire il cerchio del naturalismo (e a smetterla con il "platonismo per il popolo", sia da parte fideistica sia da parte scientistica). Un intervento del cardinale Ruini, e la riproposizione ratzingeriana di un’apertura ... ancora senza uscita "dallo stato di minorità"!!!

-  LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura.

-  PERVERSIONI di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO


LA DOPPIA COSCIENZA DEGLI ITALIANI

"Ahi, serva Italia, di dolore ostello, /nave senza nocchiere in gran tempesta, /non donna di provincie, ma bordello!" Dante, Purgatorio Canto VI.

di Umberto Galimberti (“D” - allegato a “la Repubblica” -, 7 luglio 2007)

Volevo farle alcune domande che mi frullano per la testa.

Perché io, iscritto ai Ds, ho tanta fiducia in Prodi e così poca in D’Alema? Perché il Pd nasce già sbilenco? lo ci ripongo (riponevo?) grosse speranze. Perché gli amministratori di sinistra tengono così tanto alle cariche? È sempre stato così?

Perché le ingiustizie non fanno arrabbiare più nessuno?

Perché non vengono valorizzate nuove risorse e potenzialità? Perché i politici fanno quello che conviene e non fanno quello che è giusto? E Infine, perché siamo così ottusi, imbarazzanti, autolesionisti? Eppure siamo migliori della destra, specie quella italiana.

Mi perdoni l’amarezza.

Saluti sinceri.

Antonio Tatulli - Isola del Gran Sasso (Teramo)

1. lo sono un grande estimatore di Prodi, anche se so di appartenere a una sparuta schiera. Le ragioni sono molto semplici. Nel suo primo governo, Prodi, con Ciampi, ha portato l’Italia nell’euro. Senza questo ingresso oggi noi saremmo del tutto fuori dal mercato mondiale. Nel suo secondo governo, con Padoa Schioppa, ha risanato in un anno i conti pubblici come riconoscono gli organismi monetari internazionali e le agenzie di rating che, nel periodo del governo Berlusconi. avevano declassato l’Italia. E siccome le agenzie di rating condizionano investimenti e fiducia nei Paesi che classificano, il loro giudizio, piaccia o non piaccia, va tenuto in gran conto. Ma gli italiani, sempre più televisivi e sempre meno democratici, sempre più tifosi e sempre meno attenti agli assetti strutturali del loro Paese, preferiscono chi li incanta con le battute a chi lavora con dedizione e passione all’emancipazione della coscienza civile in questa nostra Italia che ha tre gravi malattie: la mafia con i suoi trecento miliardi di fatturato, l’evasione fiscale al 25 per cento e i costi elevati della politica che, come una piovra, moltiplica i suoi presidi a livello centrale, regionale, provinciale, commerciale fino all’ultimo comitato di quartiere. Essendo questi problemi strutturali non è possibile risolverli in un anno, e per questo si tenta di non dare lunga vita al governo Prodi.

2. D’Alema ha tolto l’anima alla sinistra e la passione ai suoi militanti. E siccome la politica, oltre al governo dei conflitti e alla conciliazione degli interessi contrapposti è anche gestione delle passioni che alimentano gli ideali e conferiscono identità e appartenenza. azzerare le passioni significa perdere il proprio popolo e farlo rifluire in quel disorientamento che lo rende astensionista in occasione del voto. Anche in politica estera non apprezzo D’Alema a partire dalla guerra del Kosovo. Privo com’è di una cultura storico-antropologica, forse il nostro ministro degli Esteri non sa, e se lo sa è peggio perché cinicamente finge di ignorarlo, che il Kosovo è l’equivalente del Vaticano per la religione ortodossa che, dalla Grecia a Istanbul, dalla Serbia a Mosca, coinvolge milioni di persone che si rifanno alla cultura cristiana fondata e diffusa da Cirillo e Metodio proprio a partire dal Kosovo. Consegnare agli albanesi di religione musulmana questo piccolo territorio dalle quattrocento basiliche bizantine, oggi ridotte a duecento dopo le distruzioni durante la guerra, significa allontanare ancora di più il cristianesimo ortodosso dal dialogo con l’Occidente.

3. Tornando ai problemi di casa nostra, il Partito democratico a mio parere non ha alcuna possibilità di successo. L’utopia di Prodi che l’ha pensato purtroppo non si realizzerà, perché è impossibile fondere l’intransigenza dell’anima cattolica con i valori della laicità che dovrebbero essere tutelati, difesi e affermati dalla componente diessina. Basta che qualche teodem, tipo Binetti o Fioroni, si metta di traverso per difendere, arroccati, le loro posizioni, che la componente diessina si arrende e si consegna a una soluzione democristiana, con la benedizione di Santa Romana Chiesa al cui riconoscimento, da Rutelli a Veltroni, tutti ambiscono.

4. La sinistra, composta da Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e Sinistra democratica di Mussi e Salvi, è divisa tra una cultura di governo e una cultura della testimonianza. Sono due culture inconciliabili, perché per governare occorre mediazione, mentre per testimoniare basta l’intransigenza della fede o dell’ideologia, anche giuste in ciò che rivendicano, ma inefficaci per affrontare i problemi con quella gradualità che ne consenta la soluzione.

5. La destra italiana, purtroppo, non fa la "destra", ma si accontenta di alimentare quel fondo irrazionale che alberga in ciascuno di noi e che, quando trova un leader che con quattro slogan incanta, coagula in quell’antipolitica, non rivoluzionaria, ma semplicemente ribellistica, dove tendono a convergere tutti coloro che non pensano a soluzioni, ma si entusiasmano nel rifiuto dell’esistente e nella difesa dei loro interessi particolari, come bene spiega Freud là dove illustra la psicologia delle masse.

6. È dai tempi di Dante che ci trasciniamo questi vizi e questa inosservanza delle regole comuni e condivise. E ciò è dovuto a quella doppia coscienza a cui il cattolicesimo (e non il protestantesimo) ci ha educati, per cui dal pulpito ascoltiamo i precetti e le regole e nel confessionale ci vengono perdonate le trasgressioni e le deroghe. Finché la politica non si fa carico di queste basi e strutture antropologiche che caratterizzano noi italiani, difficilmente potrà governare con incisività, senza trascurare i problemi fino a quel punto di degrado dove nessuna soluzione apparirà più all’altezza. La sua amarezza, caro Antonio Tatulli, è del tutto giustificata.


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