Lettera aperta ai terroristi

Le parole, le pallottole e la cornice

martedì 20 febbraio 2007.
 

di Pietro Ichino

Dal Corriere della Sera del 27 febbraio 2003

Fino a un anno fa giravo per la città soltanto in bicicletta: con il sole, la pioggia o la neve. Come Marco Biagi: la bicicletta era una delle passioni che ci accomunavano. Poi, una sera, a lui, appena sceso dalla bici, avete sparato; e a me è stata data la scorta che - colpevolmente - era stata negata a lui. Da allora non mi lasciano più fare un metro per strada, se non in macchina e accompagnato dai miei custodi armati. Ora, dai vostri covi sembra sia trapelato che mi avreste posto tra i vostri bersagli prioritari, cosicché la scorta mi è stata raddoppiata: per non subire la mortificazione che voi vorreste riservarmi, patisco quella, certo assai minore, di dovermi muovere nel traffico cittadino - io, che odiavo muovermi in macchina - non con una sola macchina ma con due. Data l’ alternativa, non mi lamento. Resta il fatto che questa condizione di bersaglio in cui mi avete posto fa di me in qualche misura una vostra vittima. In misura minima, beninteso; ma sufficiente perché io possa rivolgermi a voi a nome di tutte le vostre vittime, passate e future. Anche a loro nome, ho alcune cose da dirvi. Potreste obiettarmi che voi non avete alcun interesse ad ascoltarci, ma solo a spararci. Capisco. Però, anche solo questa obiezione costituirebbe un primo scambio di idee, per quanto rudimentale; sarebbe dunque una pur minuscola cornice di umanità, in cui l’ atto dello sparo che vi sta tanto a cuore si inserirebbe. Anche solo un embrionale scambio di idee implicherebbe che ci riconoscete come persone e non come cose. Il problema, del resto, si pone anche dal nostro lato: voi, per noi, ora siete soltanto una cosa, al più un volto coperto e una canna di pistola puntata. Non riusciamo a pensare a voi se non come a entità aliene, con cui è possibile la sola interazione mortale: conta soltanto chi spara per primo. Per questo aspetto, il rapporto tra noi e voi non costituisce un’ eccezione. In tante altre situazioni si fronteggiano individui, gruppi, nazioni, che non si ri-conoscono e non comunicano: gli uni sono per gli altri degli alieni spaventosi, con i quali il solo problema è riuscire a sparare per primi. Anche lì manca la cornice. Ne avrebbero bisogno i rapporti tra Occidente e Islam, tra israeliani e palestinesi, tra americani e iracheni. Avrebbero gran bisogno di una cornice, fatta di un’ idea condivisa dello Stato di diritto, anche i rapporti tra maggioranza e opposizione in questo nostro disgraziato Paese. Avrebbero bisogno di una cornice i rapporti tra i sindacati: quel minimo di comune sentire e di semplici procedure che consentisse loro di riconoscersi reciprocamente come maggioranza e minoranza, senza che ciascuno pretenda di «far fuori» gli altri. Fra voi terroristi e noi vostre vittime designate, più o meno protette, basterebbe anche molto meno per fare un passo avanti importante: basterebbe smettere di considerarci reciprocamente come idee astratte, come alieni. Dateci un segno, anche solo per dirci che tutto questo discorso vi fa schifo. Guardiamoci negli occhi, anche soltanto per un attimo. Sappiamo che noi non possiamo pretendere di conoscere i vostri coniugi, i vostri figli; ma voi potete guardare in faccia i nostri: fatelo. Se poi, ciononostante, riterrete ancora di colpire, fatelo come lo ha fatto Caino con Abele, litigando con lui, maledicendolo; ma non come si ammazza un topo o un cane randagio. Se invece, a quel punto, non ve la sentirete più di sparare, vorrà dire che si sarà creata intorno a noi e voi una cornice più consistente del previsto. Avremo creato davvero qualche cosa di nuovo; una cosa per la quale - pensate un po’ che paradosso - vale persino la pena di morire.


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