ITALIA.

USTICA, IL Dc9, E LA GIUSTIZIA DELLA CASSAZIONE. NON E’ SUCCESSO NIENTE - NIENTE DI RILEVANTE.

giovedì 11 gennaio 2007.
 

Ventisette anni dopo

di Vincenzo Vasile *

E così non è successo niente di rilevante, niente che meriti risarcimenti alle vittime e ricerca ulteriore di giustizia e verità, quella sera del 27 giugno 1980 che passammo con gli occhi attaccati al tabellone degli arrivi di Punta Raisi, volo Itavia 870 Bologna-Palermo, ritardato, decollato, cancellato. Cancellati da un missile sparato nel cielo di Ustica divenuto il teatro di una guerra segreta, non tornarono in 81, tra cui 11 ragazzi, 2 bambini, e 4 dell’equipaggio. È pessima la pagina scritta dalla Corte di Cassazione ieri con il rigetto dell’appello della Procura Generale di Roma.

Che avrebbe consentito ai familiari di ottenere quanto meno una liquidazione dei danni economici patiti con la perdita dei loro congiunti è evidentemente l’ultimo coperchio giudiziario su un vergognoso e immenso calderone di depistaggi e di bugie, di cui sono pieni zeppi i 17mila volumi di atti dell’inchiesta.

C’è un paradosso, forse uno spiraglio. Ed è che i parenti delle vittime hanno appena ottenuto in Finanziaria di essere risarciti alla stregua delle vittime del terrorismo. E c’è da dire pure che l’eventuale riconoscimento, pur tardivo, delle responsabilità penali dei generali avrebbe avuto un senso pressoché simbolico, essendo i reati ormai prescritti, per il passare di tanto tempo. Ma la macchina della giustizia ha voluto liberare ieri gli alti ufficiali dell’Aeronautica militare dall’ultima macchia di carriere che furono segnate da quell’«orientamento» che frenò sin dalle prime ore le indagini.

Come scrisse nel 1992 il compianto presidente della Commissione stragi, senatore Libero Gualtieri, si trattò di un «orientamento» decisivo per la mancata e intempestiva risposta giudiziaria e politica sulla strage, quello del servizio segreto dell’Aeronautica. Che «privilegiò la tesi del cedimento strutturale», vale a dire la tragica e cinica ovvietà che quando gli aerei sono vecchi, come si disse che era quel Dc9, capita che a volte cadano giù. E a tale orientamento «furono improntati tutti gli atti compiuti dell’Aeronautica nelle prime fasi dell’inchiesta, anche se sin dai primi giorni immediatamente successivi all’incidente, vi erano informazioni che avrebbero potuto indirizzare le indagini in tutt’altra direzione».

I generali, originariamente mandati a processo per alto tradimento - ma solo nel 1992 - dal giudice Rosario Priore, che rilevò il fascicolo addormentato nella scrivania di un altro collega, avevano in mano, come emerse dai tracciati radar, la prova di un’intensa attività aereo-militare sui cieli del Tirreno. Essi affermarono, al contrario, che quel cielo era vuoto.

Semplicemente, non era vero. Ed è probabilmente assai poco interessante per il lettore capire come abbia fatto la Suprema Corte a porre la parola fine in calce al capitolo delle omissioni e delle nebbie che hanno impedito finora di stabilire una verità giudiziaria, risucchiando anche Ustica nel grande gorgo dei misteri d’Italia. I misteri non esistono in natura, sono sempre il frutto di errori e omissioni, sciatterie e collusioni. Scrisse il giudice Priore nella sentenza di rinvio a giudizio dei generali (originariamente incriminati per alto tradimento, ma questo reato, se non si commettono «atti violenti», intanto, è sostanzialmente sparito dal codice) che essi diedero vita a «una prova di forza» nei confronti dell’autorità politica, cui diedero informazioni errate, e di quella giudiziaria. E raggiunsero «l’obiettivo» distraendo le indagini dallo studio dei dati radar e alla ricerca della «eventuale presenza di altri aerei in prossimità del Dc9». Ora incassano persino il rigetto di una proposta minimalista avanzata in extremis dalla Procura generale: se li volete assolvere, aveva proposto il Pg della Cassazione, almeno usate la motivazione che intanto la legge è cambiata, sicché quei comportamenti non sono più da considerare reato, ma il danno resta e va indennizzato. Ricorso rigettato. Nessun colpevole, neanche per i depistaggi. Dunque, come per un glaciale sillogismo, niente risarcimenti.

La tragica partita, che si giocò quella sera nel cielo di Ustica, com’è noto, era tra Libia, Stati Uniti e forse Francia. Le risposte dei governi e delle agenzie di intelligence di questi tre stati all’autorità giudiziaria italiana sono state tra l’ambiguo e il negativo. Nel 2003 la Cia si rifiutò ufficialmente di offrire la collaborazione che veniva richiesta al processo giunto intanto in Corte d’Assise a Roma. E il governo Berlusconi ingollò anche questo boccone senza battere ciglio. C’è, dunque, dentro alla richiesta di verità che viene ribadita dai familiari delle vittime, una grande questione politica e di dignità nazionale ancora aperta: e forse la sentenza della Cassazione, anziché, chiudere la partita come una burocratica e miserella coda di topo, ventisette anni dopo la riapre.

* l’Unità, Pubblicato il: 11.01.07, Modificato il: 11.01.07 alle ore 8.47


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